Questione migranti. Situazione dal confine polacco-bielorusso – 5

dal canale Telegram di “No Borders Team”

— La memoria è potere (23 Maggio)
“La memoria è potere!” Queste parole sono risuonate con forza nel [tredicesimo] anniversario dell’omicidio di Maxwell Itoia. Max era stato colpito alla coscia da un poliziotto allo [“Stadio del decimo anniversario del manifesto di luglio” (ora conosciuto come “Stadio Nazionale” di Varsavia, ndt), dove esisteva] il più grande mercato dell’Europa orientale di quegli anni. I poliziotti non fecero nulla per salvare la vita di Maxwell. Non gli prestarono soccorso, non permisero a nessuno di aiutarlo a fermare l’emorragia e non chiamarono un’ambulanza. Maxwell Itoia morì dissanguato tra le bancarelle. [L’uomo] voleva aiutare i suoi colleghi facendo da interprete tra questi e la polizia – impegnata ad eseguire l’ennesimo controllo dei migranti che lavoravano quotidianamente [vicino] allo stadio. Nessuno venne condannato per l’omicidio di Maxwell e sua moglie e i suoi due figli non avevano mai ricevuto un risarcimento o delle scuse. Alla fine, si sono trasferiti fuori dalla Polonia. La vedova era stanca della discriminazione istituzionale e degli atteggiamenti razzisti verso lei e i suoi figli. Sono passati 13 anni. Da allora, le persone ricordano e non condividono la cancellazione della storia dei migranti, delle donne migranti e della brutalità della polizia; si sono incontrate nello stesso luogo. Quest’anno vi sono state numerose riflessioni collettive sul problema del razzismo e della brutalità della polizia; oltre i discorsi di un attivista nigeriano edi un rappresentante dell’Unione dei polacchi di origine africana, vi è stato l’intervento di una persona che, da quasi due anni, sostiene le persone migranti che attraversano il confine tra Polonia e Bielorussia. Le sue parole:
La realtà del confine: un percorso pericoloso, la violenza sistemica e il ruolo del potere.”
Finora sono state documentate 44 vittime della crisi umanitaria:
1. Ahmed Hamid al-Zabhawi, anni 29, Iraq,
2. Sconosciuto
3. Mustafa Mohammed Murshed Al-Raimi, anni 37, Yemen,
4. Wafaa Kamal, anni 38, Iraq,
5. Sconosciuto, Iraq,
6. Sconosciuto, anni 16, Iraq,
7. Sconosciuto,
8. Sconosciuto,
9. Issa Jerjos, anni 24, Siria,
10. Farhad Nabo, anni 33, Siria,
11. Sconosciuto, anni 33, Siria,
12. Ahmed Al Hasan, anni 19, Siria,
13. Sconosciuto,
14. Sconosciuto, anni 30, Sri Lanka,
15. Gaylan Dier , anni 25, Kurdistan iracheno,
16. Kurdo Khalid, anni 35, Kurdistan iracheno,
17. Radża Hasan, anni 44, Palestina,
18. Sconosciuto, anni 20, Siria,
19. Halikari Dhaker, bambino non nato, 24 settimane, Kurdistan iracheno,
20. Avin Irfan Zahir, anni 38, Kurdistan iracheno,
21. Kawa Anwar Mahmood al-Jaf, anni 25, Iraq,
22. Sconosciuto, Nigeria,
23. Sconosciuto, anni 26, Yemen,
24. Sconosciuto,
25. Sconosciuto, anni 26, Yemen,
26. Sconosciuto, anni 50, Siria,
27. Siddig Musa Hamid Eisa, anni 21, Sudan,
28. Sconosciuto,
29. Jaber Al Jawabra, Siria,
30. Sconosciuto, anni 28, Etiopia,
31. Ibrahim Jaber Ahmed, anni 33, Yemen,
32. Sconosciuto, Etiopia
33. Tawfik Ali Omar Ahmed Al-Hashiri, anni 31, Yemen
34. Sconosciuto, anni 20-30, Etiopia,
35. Njenguoue Livine, anni 28, Camerun,
36. Sconosciuto,
37. Sconosciuto
38. Yasar Suliuomokhil, anni 23 , Afghanistan (12 Marzo 2023)
39. Mohammad Noor Jan Gurbaz, anni 27, Afghanistan (21 Marzo 2023)
40. Sconosciuto, uomo, (24 Marzo 2023)
41. Sconosciuto, uomo, (18 Aprile 2023)
42. Sconosciuto, uomo, (22 Aprile 2023)
43. M., anni 58, uomo, Siria (23 Aprile 2023) – morto in ospedale
44. Sconosciuto
Si tratta di un elenco di 44 persone morte al confine tra Polonia e Bielorussia, assassinate da un sistema di Paesi chiusi (la fortezza Europa), dalla politica razzista delle autorità e dei servizi. La polizia è un’istituzione razzista e fascista che difende i ricchi contro i poveri.
Le persone elencate sono morte principalmente sul territorio polacco; non sappiamo quante morti ci siano state sul lato bielorusso. Queste persone cercavano un posto sicuro in Europa, una casa e un rifugio.
Le situazioni economiche, le guerre e i disastri climatici costringono le persone a fuggire dai loro Paesi – in quanto non possono più vivere in sicurezza. Siccità, inondazioni, incendi, tornado, temperature elevate, carenza di cibo, guerre, mancanza di accesso all’acqua – un quadro del disastro globale. Nell’arco di sei mesi (Settembre 2020 – Marzo 2021), circa 10,3 milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case a causa di questi eventi estremi.
La rotta polacco-bielorusso è stata aperta nell’estate del 2021. I servizi e le autorità polacche e bielorusse hanno commesso svariati crimini. I servizi polacchi, le guardie di frontiera, l’esercito e la polizia non accettano le domande di asilo e le richieste ai valichi di frontiera. A loro volta, costringono le persone ad attraversare il confine in modo irregolare. Nell’Agosto 2021, i servizi hanno trattenuto illegalmente le persone afgane a Usnarz. Successivamente, il governo polacco ha approvato una legge illegale per creare una zona, la “Zona della vergogna”, limitando l’accesso umanitario e rendendo più facile il lavoro dei servizi nel trovare le persone nella foresta e trattenerle e respingerle in Bielorussia.
I respingimenti sono illegali; ma in Polonia la legge sui respingimenti è stata approvata, consentendo alle guardie di frontiera di rigettare le persone oltre la recinzione, minacciandole di morte. Hanno tolto loro i telefoni, il cibo, l’acqua, le medicine e i vestiti; li hanno picchiati e li hanno costretti a nuotare nei fiumi. E non è tutto. Nel Luglio 2022 [le autorità polacche] hanno terminato la costruzione di un muro alto 5,5 metri lungo il confine.
Pensavano, forse, che il muro avrebbe fermato le persone e sarebbe stato disgustosamente efficace, e non avrebbe causato che ferite, gambe rotte e perdita di coscienza? E guardando oltre questo, in Polonia vi sono centri sorvegliati per stranieri – vere e proprie prigioni dove non si può accedere a cure mediche e legali decenti, non si hanno contatti con il mondo esterno e non vi è nessuna informazione sul tempo di permanenza e cosa succederà dopo alla persona imprigionata. VERGOGNA.
Non possiamo permettere che ci mettano a tacere e ci offendano!
Non possiamo permettere che vincano e continuino a commettere questi crimini.
Dobbiamo andare avanti, spalla a spalla, con solidarietà, forza e memoria.

—Addenda (24 Maggio)
Proprio ieri abbiamo pubblicato un elenco di 44 persone morte al confine negli ultimi 20 mesi. Oggi, purtroppo, abbiamo ricevuto un informazione sulla 45esima vittima del regime di frontiera. La vittima è stata ritrovata nel fiume Svisloch – che percorre il confine. Non conosciamo ancora il sesso, gli anni o la nazionalità di questa persona.

— Persone migranti intrappolate al confine polacco-bielorusso (29 Maggio)

Da diversi giorni, un gruppo di oltre venti persone, provenienti dalla Siria e dall’Iraq, è intrappolato nella barriera al confine tra Polonia e Bielorussia. Undici di loro sono bambini, alcuni di appena 2 anni.
Chiedono di poter attraversare la Polonia e domandano asilo.
I servizi polacchi li osservano senza intervenire.
I soldati bielorussi minacciano le persone migranti con i cani – specie se queste non riescono a passare dal lato polacco. Per spaventarli ancora di più, i soldati bielorussi hanno rilasciato una donna congolese morsa dai cani. Quest’ultima, intanto, si è unita ieri al gruppo.
L’area dietro la barriera è territorio polacco. Ma il governo polacco, insieme a quello bielorusso, sta condannando queste persone alla sofferenza e alla morte.

— Supporta le persone migranti (10 Giugno)
Ci sono ancora persone nelle foreste e hanno ancora bisogno del nostro aiuto per i beni di prima necessità come cibo, vestiti asciutti e acqua – che ora vale come l’oro. Il nostro gruppo raggiunge gli angoli più profondi (con gli zaini pieni) in modo che nessuno sia lasciato solo.
Gli ultimi giorni sono stati molto intensi; le condizioni naturali si sono ulteriormente aggravate a causa delle centinaia di zanzare e zecche, del caldo e della siccità.
Le persone provenienti dagli angoli più remoti del mondo si presentano sulla nostra strada, ancora convinte di riuscire a raggiungere la loro destinazione nell’Unione Europea.
Purtroppo, nonostante stiano molto attente, ci sono volte in cui vengono catturate, come il gruppo ritratto in foto.

Non avevano alcuna possibilità; probabilmente sono stati respinti subito.
La vista di queste persone, i cui sogni sono stati infranti e che stanno affrontando un altro calvario nella foresta, ci motiva ancora di più a lavorare qui, nell’area di Podlaskie, e a non arrenderci. La fortificazione dell’Europa deve essere fermata e le persone migranti devono potersi muovere secondo il loro piano.
Una volta aperto, il sentiero non scomparirà mai.

— Estate e repressione al confine (5 Agosto)
Continua l’estate al confine tra Polonia e Bielorussia.
Migliaia di turisti, come ogni anno, scelgono questa regione come luogo di riposo. Allo stesso tempo, nelle foreste ci sono delle persone che devono lottare per la propria vita: inseguite dai soldati bielorussi e braccate dalle guardie di frontiera polacche. Sebbene questi due mondi siano geograficamente così vicini, in realtà sono separati da un abisso: il prezzo della vita umana è estremamente differente.
Negli ultimi giorni abbiamo incontrato persone provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente.
Non ricorderanno la Foresta di Białowieża come una meravigliosa area primordiale che nasconde incommensurabili tesori della natura.
Per loro, le cavità della foresta sono degli ostacoli dove si rompono le gambe.
Le dense boscaglie vergini sono spine paralizzanti per i loro corpi.
Le paludi della foresta, habitat di innumerevoli specie vegetali e animali, sono una trappola insidiosa in cui annegano.
Ogni persona che incontrano è una minaccia. Minaccia di percosse, molestie, imprigionamento, respingimento.
Spesso dimentichiamo cosa succede a queste persone. Non dimentichiamolo.
Ricordiamo la storia di due persone incontrate recentemente nella foresta:
In Bielorussia, vicino al confine con la Polonia, un numero enorme di persone è imprigionato. La maggior parte sono donne con bambini. Noi, insieme ad altri uomini, durante il giorno eravamo tenuti in una stanza angusta. Eravamo una dozzina. [Rinchiusi] tutto il giorno. Molte persone volevano tornare a Minsk; ma le guardie di frontiera bielorusse non lo permettevano. Ci hanno aizzato i cani; ho visto persone con ferite da morso sul viso. Quando ci siamo ritrovati sul lato polacco, le guardie di frontiera polacche ci hanno rintracciato. I bielorussi, a volte, distruggono i nostri telefoni. I soldati polacchi danneggiano le prese USB – impedendoci la ricarica dei telefoni. Dopo aver danneggiato i nostri telefoni, ci hanno detto di spogliarci, di toglierci i pantaloni e la biancheria intima. Poi hanno spruzzato dello spray al peperoncino sui nostri ani e genitali.”
Possiamo far finta di niente. Dopo tutto, nella storia del mondo qualcuno ha sempre fatto del male al più debole. È facile per noi condannare il passato e le persone indifferenti al male.
Come affronteremo il presente?

— Sciopero della fame nel campo di Przemysl – 1 (6 Settembre)
Nel campo di detenzione di Przemysl è in corso un grande sciopero della fame. Quasi tutte le persone detenutesono in sciopero; hanno inviato una lettera aperta con annesse richieste.
Il campo di Przemysl è conosciuto come il peggiore della Polonia. Ci sono stati diversi casi di violenza da parte delle guardie.
Vi aggiorneremo sulla situazione

— Sciopero della fame nel campo di Przemysl – 2 (8 Settembre)
Sciopero della fame nel campo di detenzione di Przemysl.
Oggi, 8 Settembre, le persone detenute hanno riferito che intorno alle 12:30 un gruppo di uomini mascherati è entrato nelle celle della prigione e ha iniziato a picchiarle con dei manganelli; alcune sono ferite e sanguinano.
Nello stesso momento, le guardie hanno iniziato a fotografare un piccolo gruppo di migranti che mangiavano e non avevano iniziato lo sciopero della fame. Probabilmente questo fa parte della campagna contro la protesta in atto.

— Solidarietà agli scioperanti del campo di Przemysl (10 Settembre)

La manifestazione di solidarietà davanti al campo di detenzione di Przemysl è in corso!
Solidarietà con tutti i detenuti in sciopero della fame e con tutte le persone migranti!
Contro la fortezza Europa!
Siamo in contatto con le persone detenute.
Stanno cantando “LIBERTÀ” e chiedono canzoni che passiamo, subito dopo, dagli altoparlanti.
La polizia è arrivata; finora non ha fatto nulla.

— Altri due morti al confine (24 Ottobre)
Due persone sono state trovate morte al confine polacco-bielorusso. Uno di loro era un giovane siriano, scoperto nel distretto di Hajnówka.
La polizia di Podlasie lo ha annunciato ufficialmente sul proprio sito web.
I media dell’area di Podlasie riferiscono della seconda persona. Secondo le notizie, domenica scorsa i servizi di frontiera polacchi hanno individuato un gruppo di persone nei boschi. Mentre cercavano di fuggire, uno degli uomini è caduto nella palude. Hanno cercato di tirarlo fuori ma era così infreddolito ed esausto che è morto prima dell’arrivo dell’ambulanza.
Al confine tra Polonia e Bielorussia la gente muore e perde la salute. Questo è il risultato diretto delle attuali decisioni politiche. Dobbiamo continuare a fare pressione per cambiarle!

Spari contro le persone migranti (4 Novembre)
Un rifugiato, proveniente dalla Siria, è stato trovato morto oggi al confine tra Polonia e Bielorussia, precisamente nella riserva della Foresta di Białowieża.
Nelle prime ore del mattino, i dipendenti del parco hanno avvisato la polizia del ritrovamento di una persona deceduta.
Per diversi giorni, lu attivistu hanno cercato un ragazzo siriano scomparso.
L’ufficio del procuratore non conferma ufficialmente che si tratti di lui. Ma probabilmente si tratterà del ragazzo scomparso.
Sempre oggi, i media locali di Podlasie hanno riportato delle informazioni su un’altra persona della Siria colpita alle spalle. Il colpo deve essere stato sparato da un soldato perché il caso è stato deferito alla polizia militare. Secondo le ultime informazioni l’uomo ferito è in ospedale.
La violenza al confine continua, assumendo forme diverse. Oggi è passata ad un altro livello: sono state usate munizioni vere.
Spintoni, percosse, umiliazioni e rapine sono diventate una routine; qualcuno ha pensato che sparare ad una persona non sia niente di eccezionale.
Tutto quello che accade da oltre 2 anni è il risultato delle decisioni delle autorità e delle politiche anti-migratorie.
Non lo dimenticheremo mai e non lo perdoneremo mai!

— Spari contro le persone migranti e lu attivistu (13 Novembre)
dal profilo instagram di “No Borders Team”
Aumento della tensione al confine tra Polonia e Bielorussia. Sono state utilizzate delle munizioni vere contro le persone migranti e lu attivistu. Di recente si sono susseguiti diversi incidenti al confine.
Avevamo appena seppellito due uomini uccisi dalla politica di frontiera UE-Russia – un uomo di 26 anni proveniente dallo Yemen e un uomo siriano di 21 anni -, quando ci è giunta la notizia di un’altra vittima – un uomo di 23 anni proveniente dalla Siria.
Il giorno prima, un uomo siriano di 22 anni era stato portato in ospedale a Hajnówka con una ferita da arma da fuoco alla schiena. Si è scoperto che un soldato gli aveva sparato durante il giorno, senza alcun preavviso. Il proiettile si è conficcato nella spina dorsale. Per il momento non è in pericolo di vita. Ma c’è ancora il rischio di paralisi.
I militari hanno dichiarato che il colpo sparato dal soldato è stato accidentale (causato da un inciampo) e non di proposito…
Poco dopo, un ufficiale della guardia di frontiera ha sparato un colpo in direzione di un gruppo di attivistu che trasportavano aiuti nella foresta. Questo è stato registrato su dei filmati; ma la guardia di frontiera sostiene che il colpo non è stato sparato e la polizia ha confermato questa versione, affermando che nel caricatore dell’ufficiale non mancava alcun proiettile…
Un altro inverno al confine orientale dell’UE è iniziato.

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L’emergenza umanitaria in Messico è il risultato della politica migratoria degli Stati Uniti

Tradotto dall’originale e per conoscenza “Emergencia humanitaria en México es resultado de la política migratoria de EEUU

Gli ostelli e le organizzazioni della società civile – che assistono e accompagnano le persone migranti e quelle bisognose di protezione internazionale -, hanno denunciato come a Città del Messico si stia vivendo un’emergenza umanitaria causata “dalle attuali e insostenibili politiche migratorie restrittive”.

Negli ultimi due anni, le organizzazioni e gli ostelli hanno sottolineato le conseguenze dei cambiamenti nella politica migratoria degli Stati Uniti e la collaborazione del governo messicano in tutto questo. “Il Messico si è consolidato come la frontiera esternalizzata degli Stati Uniti: ha firmato accordi nella più totale opacità. Tutto ciò ha avuto gravi conseguenze per i diritti umani dei migranti nel territorio messicano. In seguito a questi accordi, migliaia di persone rimangono intrappolate, irregolari e immobilizzate in tante città del Paese”, affermano.

Città del Messico è diventata un punto strategico per il transito e la destinazione di migliaia di persone migranti. Questo ha portato al sovraffollamento degli ostelli e degli spazi di accoglienza della società civile, che nell’ultimo anno hanno ospitato fino al 900% della loro capacità. “Insistiamo: la crisi umanitaria che attualmente si vive a Città del Messico è causata [dall’incapacità delle] autorità e non dei migranti e persone richiedenti asilo”.

[Le organizzazioni] sottolineano che sempre più persone arrivano a Città del Messico e si fermano per periodi lunghi e/o indefiniti, rendendo la capitale un luogo di destinazione che “merita politiche pubbliche globali di attenzione e integrazione”.

Denunciano, inoltre, come le politiche restrittive di contenimento, incentrate sulla persecuzione e detenzione delle persone migranti e sull’ostacolo ai processi di regolarizzazione migratoria, generano condizioni di maggiore rischio e vulnerabilità per le stesse, come è accaduto negli ultimi anni con i molteplici incidenti dei camion rimorchi.

Tali politiche includono delle azioni illegali come il blocco,da parte delle compagnie di trasporto private, della vendita dei biglietti aereo o autobus alle persone prive di documenti – impedendo, quindi, un trasporto e soggiorno regolare nel Paese.

Questo ha costretto le persone a viaggiare in treno e su altre rotte, come i camion rimorchi controllati dalla criminalità organizzata “che opera con il consenso e la partecipazione delle autorità.”

Le organizzazioni sottolineano che “c’è stata una disponibilità al dialogo con le autorità di Città del Messico”, ma ritengono che gli “incontri consistano in una simulazione dove viene dato un sostegno minimo alla situazione e[, allo stesso tempo,] continua a far ricadere la responsabilità sulla società civile”.

Inoltre, hanno registrato situazioni di maltrattamento e persino abusi, come le riscossioni illecite negli spazi messi a disposizione dalle autorità. “Tutto ciò ha portato le persone a finire in strada, passando la notte nei pressi degli ostelli, [edifici istituzionali], chiese, ospedali e terminal degli autobus. La situazione pone queste persone in una condizione di maggiore vulnerabilità, in quanto si tratta di famiglie con bambini e adolescenti che sono esposti a rischi come il traffico di minori”, affermano.

Tutto ciò “crea tensioni con le comunità locali e porta a situazioni di discriminazioni e xenofobia nei confronti dei migranti”.

Tra le richieste delle organizzazioni ci sono la trasparenza e la responsabilità negli accordi migratori tra il Messico e gli Stati Uniti, oltre a programmi adeguati e completi riguardanti la regolarizzazione migratoria e le esigenze sulla protezione che consentano alle persone migranti di accedere ai documenti di soggiorno permanente.

Le organizzazioni e i centri di accoglienza che hanno firmato il comunicato: Casa de Acogida, Formación y Empoderamiento para Mujeres y sus Familias Migrantes (Cafemin), Casa Tochan, Casa Peñas, Albergue Constitución, Asociación de Nicaragüenses en México, Apoyo a Migrantes Venezolanos, A.C., Colectivo Ustedes Somos Nosotros, Fundación Humano y Libre, Plataforma Todos Somos Venezuela, Programa Casa Refugiados, Programa de Asuntos Migratorios de la Universidad Iberoamericana Ciudad de México.

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Morti e crimini contro le persone migranti, mentre l’INM depressurizza la frontiera meridionale del Messico

Famiglia di migranti presso la stazione autobus di Tuxtla Gutiérrez

Originale: Muerte y delitos contra migrantes, mientras el INM despresuriza la frontera sur de México

Tradotto da Fabio per il Gruppo Anarchico Galatea

Sono dodici le persone migranti morte la scorsa settimana e in diversi momenti non casuali. Secondo i difensori dei diritti umani, i fatti rappresentano una politica violenta e inumana dello Stato messicano.

Giovedì 28 Settembre, un autocarro ribaltabile si rovescia all’altezza del chilometro 125 della strada Malpaso-La Herradura, in Chiapas. Dentro il veicolo viaggiavano stipate cinquantadue persone, due delle quali sono morte e ventisette (tra cui sei minori) sono state trasportate [presso l’ospedale di] Tuxtla Gutierrez.

Ventiquattro di queste persone sono originarie del Guatemala, una dell’Ecuador, una del Venezuela; solo di una non si è arrivata a conoscere la nazionalità.

All’alba del 1 Ottobre, un secondo ribaltamento ha portato alla morte di dieci donne su ventisette persone di origine cubana che viaggiavano in un camion con rimorchio. L’incidente è accaduto al chilometro 134 della strada Pijijiapan-Tonala, Chiapas, dove questi avvenimenti sono ricorrenti.

Le diciassette persone restanti hanno riportato delle ferite gravi: sedici di queste sono state portate all’ospedale di Pijijiapan e una è stata trasferita all’ospedale di Huixtla. L’azienda sanitaria mantiene il riserbo sulle condizioni delle persone ricoverate.

Lo Stato deve fare una indagine veloce, esaustiva e imparziale sulle cause e sulle responsabilità di questo incidente e prestare attenzione alle vittime e ai loro familiari”, ha dichiarato il Colectivo de Monitoreo – Frontera Sur.

Composto da diverse organizzazioni presenti in Chiapas, il Colectivo ha ribadito che i fatti non sono isolati ma sono una conseguenza diretta della politica che respinge, contiene e detiene i flussi migratori.

È preoccupante che queste politiche generino un contesto di violenza, precarietà e rischi per migliaia di persone che, per diverse ragioni, hanno dovuto lasciare il proprio paese”, denuncia il Colectivo. [“Queste condizioni] costringono le persone a percorrere vie incerte e clandestine, oltre ad esporle all’abuso, all’estorsione e alla morte.”

[Il Colectivo] ha chiesto il rispetto del diritto all’identità e dignità delle persone morte, facilitare l’identificazione e la consegna dei corpi ai familiari, così come il trasporto e la sepoltura: “che si ripari il danno integrale alle vittime e le famiglie”.

I difensori che appartengono al Colectivo esigono giustizia, ricordando che sono passati due anni dall’incidente del tratto Chiapa de Corzo-Tuxla nel quale morirono cinquantacinque persone e centoquattordici risultarono ferite – e le famiglie dei morti e feriti non ebbero mai alcun rimborso per i danni.

Il contenimento si espande in Chiapas

Lo scorso 26 Settembre, l’Instituto Nacional de Migracion (INM) ha fatto sapere che il commissario Francisco Garduño Yáñez ha “desprezzurizzato” 8.152 persone che aspettavano il loro turno nella Comisión Mexicana de Ayuda a Refugiados (Comar) a Tapachula, Chiapas.

Significa che hanno usato centottantanove autobus e settantatre van tra Tuxtla Gutiérrez, Huixtla, San Cristóbal y Palenque (Chiapas), Villa Hermosa, Tabasco e Acayucan (Veracruz) per trasportare tutte queste persone.

Questi trasferimenti non sono nuovi: sono cominciati poco dopo l’incendio del centro di accoglienza migranti INM a Ciudad Juárez (Chihuahua).

I trasferimenti si fanno dal ponte d’ingresso a Suchiate fino a Tuxtla e recentemente in altri Stati della repubblica”, spiega ad “Avispa Midia” Karen Martinez del Servicio Jesuita a Refugiados.

Oaxaca è uno degli altri Stati che si sta saturando perché gli autobus portano persone anche lì. Ma l’INM non riporta delle informazioni chiare e non indica quante persone sono state trasportate in totale. Non c’è nemmeno un controllo”, dice Martinez.

Le organizzazioni del Colectivo de Monitoreo – Frontera Sur hanno documentato l’uscita di almeno dieci autobus al giorno da Suchiate e Tapachula – dove viaggiavano quaranta persone in media.

Dalle testimonianze delle persone migranti e richiedenti asilo arrivate a Tuxtla Gutiérrez tramite la rotta del Golfo, il trasferimento viene concesso in cambio della rinuncia formale dei loro diritti di regolarizzare il proprio stato o accedere alla protezione internazionale.

Ma se le persone cercano di andare via da Tuxla Gutiérrez – e vogliono dirigersi a Ciudad de México -, vengono intercettate in uno dei cinque posti di blocco del tratto Chiapas-Veracruz, del quale fa parte anche la Fiscalia General de la Republica (FGR), e riportate indietro nella capitale del Chiapas.

Yannet Gil Ardon fondatrice dell’ostello “Una ayuda para ti mujer migrante” ha raccontato che anche le persone migranti detenute nel nord del Messico vengono portate a Tuxtla Gutiérrez: “L’INM li porta via dai terminal degli autobus e gli sequestra o distrugge i documenti officiali”.

La nazionalità più presente è quella venezuelana e quasi sempre sono dei nuclei familiari”, dice la difensora ad “Avispa Midia”. Inoltre ella ha dichiarato che stanno aumentando i casi di persone sparite: “Arrivano dei soggetti nei terminal degli autobus, offrendo aiuto alle persone migranti. Le prendono e non si sa più niente di loro”.

Fermare i numeri

Dall’incendio nel centro di accoglienza di Ciudad Juárez, Chihuahua, (dove morirono quaranta persone), le modalità dell’INM cambiarono superficialmente. Venne annunciata la chiusura di trenta centri di accoglienza provvisori per persone migranti a causa di un analisi della Comisión Nacional de los Derechos Humanos (CNDH) sulle condizioni delle strutture.

Lo studio realizzato non tenne conto, però, delle principali vittime delle violazioni dei diritti umani in questi spazi – e che per anni vennero documentate da giornalisti e difensori dei diritti umani.

Da Luglio di quest’anno, le statistiche dell’Unidad de Política Migratoria – dipendente dalla Secretaría de Gobernación (Segob) -, non sono state aggiornate; fino a quel mese, erano state riportate, come “entrate irregolari”, circa 317.334 persone: 93.732 donne e 223.602 uomini.

Almeno 140.671 erano arrivate dall’America del Sud – e superava di molto quelle che arrivavano dal Centroamerica (102.106 ingressi). La nazionalità che riportava il maggior numero di entrate irregolari era quella venezuelana (87.063), seguita dall’Honduras(50.655), dal Guatemala (35.426) e dall’Ecuador (30.252).

Questo report menzionava che 117.076 persone erano state detenute in Chiapas nella prima metà dell’anno, in numero maggiore a Tapachula (58.447), Suchiate (11.541), Huixtla (11.223), Arriaga (8.859), Huehuetán (7.151) e Palenque (4.718).

Nel frattempo, la Comisión Mexicana de Ayuda a Refugiados ha pubblicato che fino ad Agosto si sono registrati 99.881 richiedenti – 33.127 in più rispetto allo stesso periodo del 2022. In questo momento le persone provenienti da Haiti, Honduras, Cuba, El Salvador, Venezuela, Guatemala, Brasile e Cile sono in cima alla lista.

Senza dubbio i numeri non mostrano la realtà della quantità di persone che aspettano di essere ricevute nei differenti municipi del Chiapas. Alcuni testimoni riportano che non possono prenotare sulla piattaforma digitale perché la geolocalizzazione richiede che siano nel nord del paese, dove, per quanti sforzi facciano, non possono dirigersi.

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Perù: crisi idrica, estrattivismo e insicurezza alimentare.

Originale “Perú: Crisis hídrica, extractivismos e inseguridad alimentaria

Tradotto da Federica per il Gruppo Anarchico Galatea

Metà della popolazione peruviana rischia di non accedere al cibo; la situazione è aggravata dalla crisi idrica causata dal fenomeno [noto come] El Niño. Quest’anno la siccità ha causato la perdita di migliaia di ettari di raccolti e ha compromesso le riserve idriche. Per questo motivo, a Settembre, il governo ha dichiarato lo stato di emergenza in 544 distretti, appartenenti a 14 regioni.

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il 50% degli abitanti del Perù vive in condizioni di insicurezza alimentare, uno dei tassi più alti dell’America Latina. Nel 2022, il Paese ha registrato il primato del Sud America, con 16,6 milioni di persone prive di cibo.

In questo contesto, negli ultimi mesi il prezzo di alcuni prodotti essenziali è aumentato a livelli mai registrati negli ultimi due decenni a causa delle forti piogge e delle inondazioni nelle zone costiere. Il valore del limone è aumentato fino al 500%. Il cambio climatico si riflette sugli scenari lavorativi: secondo la Società di Commercio Estero del Perù, sono 8,5 milioni le persone che rischiano fortemente di non poter svolgere le proprie attività economiche a causa del deficit idrico.

Il ritardo della stagione delle piogge, prevista per Settembre sulle Ande e sull’Altipiano, ha causato enormi danni. A Puno, la regione più colpita dalla siccità, sono andati perduti quasi 17mila ettari di coltivazioni. Secondo il censimento nazionale sulla semina, non sono stati raccolti 9mila ettari di quinoa, che rappresentano un quarto della produzione prevista. Delle patate, alimento base in gran parte del Paese, 5.000 dei 60.000 ettari lavorati sono andati persi. L’allevamento di alpaca per l’industria tessile e l’allevamento del bestiame per l’industria della carne sono altri settori colpiti dalla siccità nelle Ande meridionali.

Il periodo 2022-2023 è stato critico: non ci sono state le piogge attese, la produzione agricola è stata colpita. Questa situazione era stata annunciata, succede ciclicamente. Adesso le piogge sono arrivate, saranno di breve durata; secondo le nostre osservazioni, il terzo raccolto, a fine Novembre, sarà migliore. Nelle comunità esistono tecniche di accumulo dell’acqua che allo Stato non interessano come politiche pubbliche. Credono che la tecnologia occidentale risolva tutto. Il Ministero dell’Agricoltura dovrebbe considerare le nostre osservazioni e tecniche. Ci sono bacini di stoccaggio per i periodi di siccità”, ha dichiarato per “Avispa Mídia” Rubén Apaza Añamuro, portavoce del Consiglio delle autorità indigene di Mallkus, Jilacatas e Mama Tallas di Puno.

Un effetto risaputo del cambiamento climatico sull’Altipiano è l’abbassamento del livello dell’acqua del Lago Titicaca – che quest’anno diminuirà di 80 centimetri a causa delle alte temperature durante il giorno, ha riferito il Servizio Nazionale di Meteorologia e Idrologia. Tra le implicazioni sociali, gli specialisti osservano un possibile esodo migratorio della popolazione di Puno.

Acqua per estrattivismo e inquinamento delle sorgenti

L’uso dell’acqua in Perù è monopolizzato dall’agroindustria. L’Autorità nazionale per le acque precisa che questo settore utilizza l’87,7% del liquido, mentre il 9,9% è destinato alla popolazione. L’estrazione mineraria ne utilizza l’1,5%; tuttavia il suo impatto è amplificato perché danneggia le sorgenti. Il 38% dei progetti estrattivi in Perù si trovano nei territori indigeni e contadini, e il 56% in aree sopra i 3mila metri di altezza, dove nascono i fiumi.

L’agroindustria si concentra sulla costa nord. Nelle Ande sono soprattutto le compagnie minerarie a concentrare l’acqua. Minacciano i bacini idrografici. Allo Stato non interessa se contaminano l’erba destinata alla produzione animale. I fiumi appaiono giallastri a causa dei residui di ruggine, e questa si trasmette ai pascoli, poi ai latticini e, quindi, colpisce tutto il Paese. Bisogna evitare l’inquinamento soprattutto nelle sorgenti idriche. Noi come comunità poniamo l’accento su questo”, ha aggiunto Apaza, un’autorità originaria della provincia Huancané di Puno.

A questo proposito, a Settembre, il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, Pedro Arrojo, ha sottolineato che la distruzione delle falde acquifere, delle zone umide e delle foreste umide è principalmente dovuta all’attività mineraria. Il rapporto avverte che le conseguenze sono devastanti: il 31% della popolazione del Perù (più di 10 milioni di persone, di cui l’84% minorenni), affronta quotidianamente i rischi di contaminazione da metalli pesanti e altre tossine.

Come alternativa alla conservazione, la Sociedad Peruana de Alpacas Registrada propone la creazione di un organismo autonomo per la protezione delle zone umide andine e degli altipiani. “Vogliamo sottolineare che da queste zone umide nascono piccoli fiumi che alla fine danno origine ai grandi fiumi che sfociano nel Lago Titicaca”, spiega un rappresentante dell’organizzazione. Secondo l’Istituto Nazionale per la Ricerca sui Ghiacciai e sugli Ecosistemi Montani, Puno, Cusco e Arequipa ospitano oltre il 50% delle zone umide del Perù.

Tra l’assenza di pioggia e la perforazione di pozzi minerari, questi tipi di zone umide dell’alto andino si sono prosciugate, il che si aggiunge alla siccità in periodi sempre più frequenti e alla diminuzione delle riserve idriche.

Ci sono esperienze per evitare che si verifichino ecocidi. Ci sono paesi che sono stati devastati. Il sistema produttivo non è interessato alle persone, agli esseri viventi. Agiamo seguendo Madre Natura per garantire le nostre attività. Ci scontriamo apertamente con il modello estrattivista neoliberista che considera le risorse naturali come strumenti di utilizzo per arricchirsi. Noi riteniamo che la natura, la Madre Terra, sia la vita. Le élite promuovono i semi transgenici, non pensano alla convivenza. In quanto autorità originarie, noi, popoli indigeni e contadini, garantiamo che i modi di vita e di produzione siano in armonia”, ha affermato Apaza.

Nelle ultime settimane, la situazione [creatasi] ha costretto al razionamento dell’acqua alla popolazione in più della metà delle 25 regioni, compresa Lima. Il 10% dei peruviani non ha acqua potabile ed è costretto a comprarla. Un quarto dei 25 dipartimenti riceve il servizio per meno di dodici ore al giorno.

In questo panorama di scarsità idrica e crisi climatica, ci sono voci dell’Esecutivo e del Congresso che suggeriscono la privatizzazione dell’acqua a Lima. Per il ministro dell’Edilizia, Hania Pérez de Cuéllar, bisogna “analizzare se sia meglio ristrutturare o privatizzare”.

Quando la gestione privata delle risorse è fallita nell’unica regione in cui è stata applicata (Tumbes, che ha l’indice di accesso più basso, con sole sette ore al giorno), l’approvvigionamento idrico della capitale Lima (la seconda città più grande del mondo sita in un deserto) così come del resto del Perù, entra nel dibattito esposto dai rappresentanti dei gruppi di potere alleati al regime di Dina Boluarte.

 

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Finchè c’è guerra, c’è speranza

Ogni 4 Novembre, in Italia, si celebra la “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate”, data in cui si ricorda la firma dell’armistizio che pose fine alla “Grande Guerra”, denominata così in quanto fu un evento dove la crescita del militarismo di quegli anni, unita alla nascita dei nazionalismi, condannò alla morte e alla follia centinaia di migliaia di persone dentro le trincee.

Attraverso questa festa non si ricorda soltanto la vittoria del primo conflitto mondiale ma si presenta il militarismo italiano (e della NATO, aggiungiamo) come “difensore della pace e della sicurezza dello Stato”.

La realtà, invece, è che il militarismo porta a un sempre crescente accumulo di soldati e materiali bellici pronti ad essere utilizzati sia per operazioni di difesa sia soprattutto di attacco. Come si vede nell’ultimo rapporto dello “Stockholm International Peace Research Institute” (2022) “la spesa militare globale è aumentata per l’ottavo anno consecutivo, raggiungendo una cifra stimata di $2.240 miliardi […] un aumento della spesa del 3,7% su base annua […] I governi di tutto il mondo hanno speso in media il 6,2% del loro bilancio per le forze armate, pari a $282 a persona”.

Stando sempre a questo rapporto, l’Italia ha speso ben 33,5 miliardi di euro per la difesa.

Con questi numeri si prevede che da quest’anno (2023) e negli anni a venire la spesa aumenterà ancor di più,alimentando così il business dell’industria bellica e innescando ed esasperando ulteriori conflitti in quelle parti di mondo pronte ad essere colonizzate e sfruttate oltremodo (in particolare in quei territori ricchi di materiali considerati vitali per la transizione energetica nel cosiddetto Primo Mondo).

Oltre il dato economico, il militarismo plasma gli individui ad avere rapporti eteropatriarcali: la mascolinità e l’eterosessualità viene esaltata e difesa ad oltranza come forma di identità del potere dell’esercito stesso.

Come anarchicu rigettiamo il militarismo in quanto ingranaggio violento e necessario per la colonizzazione capitalista e la difesa dell’ordine statale e dei rapporti di potere.

Il nostro antimilitarismo è la distruzione di tutta la produzione armaiola e il rifiuto di obbedire alla cieca disciplina militare. Ripudiamo profondamente la violenza che può essere eseguita solo con le armi di cui si serve lo Stato e, quindi, tutti i fondamenti del potere dominante.

La scomparsa di questo strumento di oppressione sarà la migliore garanzia di libertà per tuttu.

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Catania: pulizia etnica e gentrificazione – Seconda Parte

Prima Parte

 

Gentrificazione e capitalismo razziale

Quando parliamo di gentrificazione, in estrema sintesi, intendiamo una migrazione di un gruppo socioeconomico ricco (possibilmente composto da giovani, bianchi, liberi professionisti e con livelli di istruzione e reddito alti) in un’area più povera, popolata da persone con un basso reddito e/o appartenenti alle minoranze sessuali e a gruppi non bianchi e non europei etnici. Questo spostamento comporta un’acquisizione, da parte del gruppo più ricco, degli immobili a prezzi stracciati (quindi precedentemente svalutati); il successivo recupero e trasformazione in senso commerciale (struttura ricettiva e/o ristorativa/pub, attività di vendita al dettaglio (negozi di indumenti, musicali, mini-market) etc.) di queste infrastrutture farà lievitare i prezzi degli edifici vicini e causerà un allontanamento dei “vecchi” residenti.

Negli studi che fece lo statunitense Peter Marcuse, docente universitario di pianificazione urbana, evidenziò in “Gentrification, abandonment, and displacement: connections, causes, and policy responses in New York City1 quattro tipologie di allontanamenti:

– diretto: rivolto al singolo individuo o nucleo familiare. Può avvenire a livello fisico (esempio: quando i proprietari degli immobili si servono della forza pubblica) o economico (esempio: un aumento del canone d’affitto);

– diretto a catena: quando dei nuclei familiari occupano stabili fatiscenti e vengono successivamente allontanati;

– per esclusione: si riferisce a quei residenti che non possono accedere ad un alloggio perché è stato abbandonato e/o gentrificato: “Quando una famiglia lascia volontariamente un’abitazione e quest’ultima viene abbandonata o gentrificata, sarà impossibile per un secondo nucleo familiare trasferirsi in quanto il numero di alloggi disponibili nel mercato abitativo è stato ridotto . La seconda famiglia, quindi, è esclusa dall’abitazione dove altrimenti avrebbe vissuto2;

– per pressione: si riferisce all’espropriazione subita dalle famiglie durante la trasformazione dei quartieri in cui vivono: “Quando una famiglia vede cambiare drasticamente il quartiere in cui vive, quando i loro amici lasciano il quartiere, quando i negozi che frequenta vengono liquidati – e al loro posto sorgono altri esercizi commerciali rivolti ad un’altra clientela -, e quando i cambiamenti nelle strutture pubbliche, nei modelli di trasporto e nei servizi di supporto stanno rendendo l’area sempre meno vivibile, l’allontanamento […] sarà solo una questione di tempo.3

Nelle fasi di allontanamento e, più in generale, di gentrificazione, le istituzioni giocano le loro carte sotto forma di aumento del valore dei terreni e riduzione (quantitativa e qualitativa) a lungo termine dei servizi e delle infrastrutture pubbliche (specie sanitarie). La questione non dovrebbe meravigliare: le istituzioni statali sono le principali componenti politiche di dominio in un territorio delimitato e mantengono e garantiscono una serie di rapporti sociali ed economici tra individui, gruppi e classi. La violenza perpetrata da questi enti – o, per meglio dire dallo Stato -, si basa su modelli di pacificazione, militarizzazione e controllo applicati tipo: la sorveglianza della comunità, il profiling razziale e le politiche di arresto e cattura preventiva e il contenimento.

Atti che servono a “ripulire” le strade e i quartieri e proteggere gli investimenti nelle aree in via di riqualificazione.

La gentrificazione, quindi, “non è soltanto il reinvestimento di capitale negli spazi urbani ma è anche l’accompagnamento delle forze di sicurezza nell’esercitare la violenza e il controllo spaziale sulle popolazioni urbane povere e razzializzate.” 4

Nel contesto capitalistico e di violenza istituzionale, questo processo di ringiovanimento dei quartieri o spazi urbani considerati degradati si fonda sul “capitalismo razziale” 5 dove i prodotti, i luoghi e le persone vengono valutati in base alla loro razzializzazione (ovvero un ordine sociale gerarchico e violento fondato sulle differenze biologiche razziali), residenza urbana, classe e grado di “diversità”.6

Zawadi Rucks-Ahidiana espone in un suo articolo 7 quattro punti su come la gentrificazione e il capitalismo razziale siano inscindibili:

– il disinvestimento in quei quartieri che non ricevono un afflusso di capitali e subiscono una perdita di popolazione. Da questa situazione si vengono a creare due condizioni consequenziali: la prima è il “redlining” 8 e la seconda è il futuro investimento da parte dei privati (coadiuvati dagli enti istituzionali) nei contesti impoveriti, marginalizzati e razzializzati;

– la disomogeneità e l’ineguaglianza come conseguenze del disinvestimento. I processi iniziali di gentrificazione avvengono a “macchia di leopardo” (o disomogenei) e risaltando una disparità economica e razziale che influenza “il modo in cui gli investitori, i banchieri, i funzionari comunali, i periti e i potenziali acquirenti e affittuari di case vedano, attraverso le diverse forme di valore, quei quartieri da gentrificare.”

la rivalutazione di quei quartieri che passano “da una minore probabilità di subire la gentrificazione ad essere luoghi molto apprezzati – a causa della loro vicinanza al centro cittadino o alla mercificazione della “diversità” delle persone non bianche.”

– il processo di (ri)sviluppo dei quartieri da parte degli attori economici sia “esterni” che “interni”.

In definitiva, il razzismo sia capitalistico che istituzionale in un contesto gentrificativo esclude in modo violento qualsiasi essere umano non produttivo o dannoso per il progresso economico-immobiliare formato espletamento dei servizi di turistici e investimenti derivanti da svalutazioni precedenti. Questo che abbiamo riportato (e sintetizzato) è quello che potrà avvenire in un futuro non troppo lontano a San Berillo.

Conclusione

Il processo di gentrificazione non è soltanto un mero discorso di prezzi, classe o status sociale-economico: è anche razzista, sessuale 9 e di specie. Nel contesto da noi preso in esame, San Berillo, assistiamo a dei prodromi gentrificativi delineati da quel che è successo – e sta succedendo tuttora – nelle varie zone centrali della città etnea (Murorotto o Pozzo di Gammazita e Terme dell’Indirizzo, Pescheria, vie Gemellaro e Santa Filomena, le vie tra Piazza Università e Piazza Teatro e, prossimamente, Civita).

A differenza di queste, però, San Berillo è letteralmente un simbolo della violenza istituzionale e capitalistica – la quale ha modellato e distrutto un’intera comunità soltanto per soddisfare determinati appetiti economici e politici. Seppur semi-svuotato dai continui raid delle forze di polizia e dileggiato e/o presentato come zoo umano da persone e associazioni bianche, il quartiere è ancora vivo ed è una casa per tutte quelle persone considerate “feccia” o “non umane” dalla società odierna.

Per uscire da logiche dominanti di questo tenore e contrastare questi inizi gentrificativi, è opportuno che vengano fatti dei lavori sia di contro-informazione seria e dettagliata (e non comunicati-slogan) che di mutuo aiuto verso le persone residenti (lavoro di cura e sostegno emotivo, psicologico e economico) e difesa di un posto fisico (inteso come casa e non strada)).

Questo discorso, ovviamente, non vale solo per San Berillo o il centro di Catania: vale per tutti quei territori urbani sotto o prossimi alla gentrificazione.

Chi vuole una società libera ed equa, il contrasto contro la società del consumo, dell’alienazione dell’individuo e dell’abuso dei territori deve essere portato avanti senza se e senza ma.

Note

1Pubblicato su “Urban Law Annual. Journal of Urban and Contemporary Law”, Volume 28, 1985, pagg. 195-240. Link

2Ibidem

3Ibidem, pag. 207

4Maharawal, M. M. (2017), “Black Lives Matter, gentrification and the security state in the San Francisco Bay Area”, Anthropological Theory, Volume 17, n. 3, pag 349. Link

5Termine coniato da Cedric Robinson, docente universitario statunitense, nel libro “Black Marxism: The Making of the Black Radical Tradition”. Robinson spiegò che il capitalismo era emerso all’interno dell’ordine feudale e fiorì nel terreno culturale di una civiltà occidentale intrisa di tematiche razziste e dipendente dalla schiavitù, dalla violenza e dal genocidio. “La borghesia che ha guidato lo sviluppo del capitalismo”, scrive Robinson nel libro citato poc’anzi, “proveniva da particolari gruppi etnici e culturali; i proletari europei e i mercenari degli Stati leader da altri; i suoi contadini da altre culture ancora; e i suoi schiavi da mondi completamente diversi. La predisposizione della civiltà europea, attraverso il capitalismo, è stata quella di differenziare e non di omogeneizzare – quindi di esasperare le differenze regionali, subculturali e dialettali in differenze “razziali”. Come gli Slavi divennero gli schiavi naturali, il ceppo razzialmente inferiore per il dominio e lo sfruttamento durante l’Alto Medioevo, come i Tartari andarono ad occupare una posizione simile nelle città italiane del tardo Medioevo, così, all’incastro sistemico del capitalismo nel XVI secolo, i popoli del Terzo Mondo iniziarono a riempire questa categoria [schiavistica] in espansione di una civiltà riprodotta dal capitalismo.”(pag. 26) Riconoscere questi passaggi ci aiuta a comprendere come le due cose (capitalismo e razzismo) non siano staccate o nate in periodi storici differenti ma, anzi, abbiano una radice comune e si siano evoluti insieme fino ai giorni nostri.

6Per diversità ci si riferisce a quel tipo di operazioni portate avanti dalle persone bianche pro-gentrificazione che esaltano l’esotismo e la differenza culturale e, al contempo, mercificano e svuotano i simboli delle comunità non bianche e non europee (in particolare africane, asiatiche e native americane) dai loro significati anti-coloniali e anti-oppressivi.

7Rucks-Ahidiana, Z. (2022), “Theorizing gentrification as a process of racial capitalism,” City & Community, Volume 21, n. 3, pagg. 179-180. Link

8Pratica discriminatoria in cui i servizi vengono negati a quei potenziali clienti che risiedono in quartieri classificati come “pericolosi” per l’investimento economico (abitati da un numero significativo di minoranze razziali ed etniche a basso reddito)

9Nel caso di San Berillo ci riferiamo allu sex workers e al loro essere rappresentatu in modo criminalizzante e di “diversità” o pregio del quartiere. Per non appesantire questo articolo, ne scriveremo un altro dove tratteremo tale questione.

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Catania: pulizia etnica e gentrificazione – Prima Parte

La mattina del 19 Ottobre è partita un’operazione ad “alto impatto”1 finalizzata, stando a quanto riferito dal comunicato stampa della Prefettura di Catania, “all’individuazione di situazioni di illegalità all’interno del quartiere San Berillo vecchio, con particolare riferimento a quei fenomeni che destano particolare allarme sociale, quali le occupazioni abusive, il traffico di stupefacenti, l’ immigrazione clandestina e la prostituzione.”2

I reparti di polizia impiegati (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, coadiuvati dalla Polizia Locale) sono stati piazzati, per la maggior parte, nelle vie esterne che delimitano il perimetro del quartiere (Via San Giuliano, Via Di Prima, Via Sturzo, Via Ventimiglia, Via Coppola e Via Biondi). La prassi seguita era stata collaudata negli anni precedenti: le forze dell’ordine chiudevano i vari accessi di San Berillo, una parte di esse entravano nel quartiere sequestrando le sostanze stupefacenti trovate e schedando e/o arrestando le persone migranti.

A questo giro, invece, oltre le forze di polizia sono entrate dentro il quartiere i vigili del fuoco, gli operatori dell’Azienda Sanitaria Provinciale, gli operai della Multiservizi SpA (una partecipata del Comune di Catania) e i dipendenti del Consorzio GEMA (azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti urbani nel centro cittadino).

Nelle successive ore, stando al comunicato della Prefettura, sono stati raggiunti i seguenti obiettivi: “liberazione di due strade pubbliche in cui insistevano sette baracche che ne impedivano l’accesso […] Controllate complessivamente 247 persone, di cui 59 risultate avere pregiudizi di polizia, 104 autovetture e 10 esercizi pubblici […] effettuate diverse perquisizioni domiciliari, rinvenute apparecchiature per la coltivazione di marijuana e sequestrati circa 500 grammi della medesima sostanza stupefacente. Nove stranieri extracomunitari, inoltre, sono stati accompagnati presso gli uffici della Polizia di Stato per accertamenti, di cui uno è stato arrestato e tre saranno destinatari di provvedimento di espulsione perché non in regola con la posizione sul territorio nazionale. Rinvenuti, infine, animali affidati al servizio veterinario dell’Azienda Sanitaria provinciale di Catania.”3

Alle operazioni era presente il sindaco Enrico Trantino che, in una dichiarazione rilasciata alle testate giornalistiche, ha manifestato la sua più totale soddisfazione: “l’illegalità non può avere campo libero utilizzando mezzi illeciti per spacciare droga o attuare condotte illecite, rendendo di fatto invivibile un’intera zona. Sono certo che questa iniziativa verrà ripetuta, con l’obiettivo di riprenderci tutti insieme la città. Oggi è buon inizio per il quartiere perché a San Berillo esistono anche forze sane che lavorano per l’integrazione che vanno sostenute e incoraggiate, ma si proseguirà perché i progetti sono concreti e devono avere un contesto di legalità.”

A questa dichiarazione, ne sono seguite altre (sia di plauso che di “critica”).

Pierluigi di Rosa, attuale direttore editoriale di “SudPress” ed ex assessore della fu giunta democristiana di Antonino Mirone, si è complimentato con il questore Bellassai e il sindaco Trantino, esortando quest’ultimo 4 ad “attivare quei controlli che erano stati già disposti negli anni scorsi, senza mai trarne le dovute conseguenze”, individuare “i proprietari inerti o complici delle illegalità, metterli in mora e nel caso intervenire in loro danno per mettere in sicurezza gli immobili”, “insediare un presidio quotidiano di sicurezza che impedisca il solito reinsediarsi delle gang, com’è accaduto ogni volta dopo ogni operazione di questo tipo” e, infine, “accelerare al massimo l’iter di realizzazione dei progetti con fondi pubblici che sono già in corso su quel quartiere per almeno 25 milioni di euro.”

La segreteria catanese del sindacato “Movimento dei Poliziotti Democratici e Riformisti” (MP) ha ringraziato il questore Bellassai “per la tempestiva operazione interforze di sicurezza pubblica fatta scattare nella giornata odierna, a poche settimane dal suo insediamento, sul tristemente noto e malfamato rione di San Berillo vecchio, relativamente al quale, in plurime occasioni, da circa due anni a questa parte, avevamo lanciato accorate e vane grida di allarme anche mediante interviste televisive, per l’enclave di illegalità diffusa che si era creata al suo interno.”5

Marcello Rodano, segretario generale provinciale del MP Catania, ha condiviso la notizia dell’operazione scrivendo pubblicamente sul suo profilo facebook: “Oggi è stata sanata una piaga purulenta della cittá di Catania, che rischiava di trasformarsi in cancrena. A volte, basta dare il bisturi al chirurgo giusto affinchè si realizzi l’auspicata guarigione.”

Pietro Ivan Maravigna, avvocato, ex vice questore ed ex consigliere di Forza Italia, sul gruppo facebook “La Vergogna di Corso Sicilia” ha commentato in modo entusiasta l’operazione: “ANDATE AVANTI COSÌ!L’EX SAN BERILLO È UN BUBBONE CANCEROGENO DA ERADICARE DAL TESSUTO CIVILE DELLA CITTÀ Significativa operazione in corso nell’ex San Berillo per sgomberare le attività nei ruderi occupati da spacciatori e trafficanti di stupefacenti. Avevano installato bar e discoteche all’aperto in condizioni igieniche da terzo , o forse quarto, mondo. La notte in via Sturzo non si poteva dormire perché questa gente se ne fotte altamente delle esigenze di normalità e di civiltà, di sicurezza igienica e sanitaria dei residenti. I nostri sentiti ringraziamenti al nuovo Sindaco Enrico Trantino ed al nuovo Questore dott. Bellassai. Andate avanti così!”

Giovanni Leone, architetto ed attivista presente a San Berillo, ha chiesto “un’alleanza tra abitanti, parrocchie, associazioni, Servizi sociali del Comune…” e annesse “operazioni di polizia6 per rigenerare e rendere più sicuro il quartiere.

Graziano Bonaccorsi, consigliere comunale del Movimento Cinque Stelle, ha manifestato dei dubbi sull’operazione come inversione di trend (ovvero gestione pubblica e di controllo del quartiere) e ha richiesto “una seduta itinerante con la commissione Urbanistica e la commissione servizi Sociali, così da poter affrontare sin da subito le storiche criticità del quartiere San Berillo”

Altre operazioni poliziesche (anche se più piccole) sono avvenute tra la tarda notte del 23 e il primo pomeriggio del 25 Ottobre. In quei due giorni, la polizia si è “prodigata” nel cercare gli ultimi depositi di droga e chiudere gli ultimi piani terra occupati dalle persone migranti – le quali hanno protestato vivamente contro i poliziotti presenti (unità cinofila e la squadra volante dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico (UPGSP)).

Queste azioni istituzionali repressive sono in linea con quello che è oggi giorno il centro cittadino catanese: un epicentro per l’espletamento dei servizi (immobiliare, finanziario e ristorativo-turistico). Gli investimenti immobiliari e lo stanziamento dei fondi PNRR destinati alla rigenerazione urbana del quartiere di San Berillo (considerato degradato e quant’altro di negativo) sono dei tasselli utili nel proteggere e incrementare la domanda turistica esistente.

Immobiliari, strutture ricettive e housing sociale a San Berillo

Ne “Il mercato immobiliare residenziale” (2023) redatto dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI)7, il quartiere di San Berillo ricade, per la stragrande parte, nella Zona OMI B1 “‘Teatro Massimo, Civita, Antico Corso, Duomo, Sangiuliano, Alcala, Dusmet, Porto, Universita, P.zza Dante, Etnea/P, Garibaldi/P’”; una minima parte, invece, ricade nella Zona OMI B6 (per la precisione Via Di Prima e parte di Piazza Turi Ferro (ex Piazza Spirito Santo)).

Il Numero delle Transazioni Normalizzate (NTN)8 nel 2022 è stato di 240 (+31,1% rispetto al 2021 (che era a quota 182)) con un’ “intensità del mercato immobiliare” (IMI)9 del 3,17% (+0,7% rispetto al 2021) . La quotazione media di compravendita è aumentata dello 0,8% rispetto all’anno precedente, portandola a 1193 euro/metro quadro. I dati esposti dall’OMI sono indicativi e servono come mezzo di supporto per i proprietari e le aziende immobiliari che vogliono calcolare i prezzi medi del valore di uno o più immobili.

Sul “Mercato Immobiliare in zona Centro Storico a Catania” del sito mercato-immobiliare.info – e collegato a caasa.it, principale motore di ricerca degli immobili in Italia -, viene riportato che l’area del centro cittadino è “una zona molto attiva dal punto di vista immobiliare e rappresenta circa il 21% di tutte le transazioni immobiliari di Catania. Il prezzo medio degli appartamenti in zona Centro Storico e di circa 1.335 €/m², superiore al prezzo medio cittadino, pari a circa 1.270 €/m². La quotazione dei singoli appartamenti in zona Centro Storico a Catania è molto diversificata, anche se il 60% circa è offerto ad un prezzo compreso tra 820 €/m² e 1.770 €/m².10

La scelta di far ricadere San Berillo nella zona OMI B1 non è stata casuale: fino al 2013 il quartiere era inserito in una zona OMI a se stante (B7 per la precisione); dal 2014 è confluito nell’area nota, secondo lo “Studio di dettaglio del centro storico. L.R. 13/2015”, come “Zona Omogenea A” 11 (detto genericamente “Centro Storico”).

Inserito in questa zona, i prezzi degli immobili del quartiere hanno avuto un aumento costante (rispetto a prima che erano in costante calo 12). Dai dati pubblicati sul sito di “Immobiliare.it” (Agosto 2023), possiamo vedere come il prezzo medio per la vendita degli immobili residenziali delle vie Zara, Buda, Pistone e Reggio (ad esclusione delle vie Carro, Maraffino, Gian Battista Caramba, Ciancio, De Pasquale e delle Finanze) si aggirino tra i 1800 e i 1850 euro/metro quadro.

Gli aumenti avvenuti – o, per meglio dire, le rivalutazioni -, non sono da imputarsi tanto al cambio di zona ma, bensì, ad una diversificazione economica generale cittadina coadiuvata da bonus (come il 110%) e stanziamenti dei fondi PNRR per la rigenerazione del quartiere stesso. Ciò spiega, ad esempio, come la “Expertise RE”, azienda fondata da Vincenzo Cavallaro e focalizzata nella vendita e locazione degli immobili, abbia fatto una specie di “chiamata” pubblica nel Giugno di quest’anno: San Berillo sarà una buona opportunità di investimento grazie “ai lavori di riqualificazione del territorio, dal valore complessivo di 136 milioni di euro” e all’alto flusso turistico della città etnea.13

La “chiamata” non è arrivata a caso: l’azienda immobiliare sta gestendo, all’interno del quartiere, la vendita (come futuro complesso residenziale/turistico) dell’ex Museo Reba. E dove sorge questa struttura? All’angolo tra le vie Pistone e Buda e di fronte a Via Carro, precisamente le arterie viarie interessate allo sbaraccamento e sgombero dell’operazione “ad alto impatto”.

Oltre la “chiamata” della “Expertise”, intorno e dentro il quartiere vi sono altre tipologie di investimenti rivolti, nello specifico, all’accoglienza privata di breve termine: b&b, alberghi (come il Romano House) e Airbnb. Questa turistificazione centro-cittadina si presenta come una grande opportunità economica per coloro che possiedono un immobili e un disastro sociale per quelle persone affittuarie (specie se queste frequentano le università e/o hanno un lavoro precario (in particolare per chi lavora nel settore dei servizi)).

L’aumento del canone d’affitto è una conseguenza tipica di questi fenomeni ricettivi: da una parte vi sarà la restituzione forzata degli immobili locati da parte delle persone affittuarie – in quanto non potranno pagare tali strutture e saranno costrette a dirigersi verso i margini della città o, addirittura e nel peggiore dei casi, a vivere in strada -; dall’altra, vi saranno i proprietari degli immobili che metteranno a disposizione stanze e/o interi appartamenti ad una clientela tipicamente turistica e con un reddito medio-basso o medio-alto.

Nel caso del centro cittadino etneo possiamo vedere questi effetti con il citato incremento del flusso turistico 14 e l’aumento dei prezzi degli affitti – arrivati a 8,38 euro al mese per metro quadro (dato di Agosto 2023; aumento del +8,41% rispetto a Settembre 2022) 15, con punte di 9-11 euro al mese per metro quadro nella zona del centro storico cittadino. 16

Con prospettive del genere, vivere a San Berillo diventerà sempre più difficile. Chi offre una specie di panacea (o per meglio dire “placebo”) all’interno del quartiere è l’housing sociale “Sottosopra: Abitare Collaborativo”. Il progetto si trova all’interno di Palazzo de’ Gaetani – quest’ultimo gestito dalla Cooperativa di Comunità “Trame di Quartiere” -, sostenuto dalla “Fondazione Con il Sud” 17 e diretto da “Oxfam Italia Intercultura”.18

A differenza delle strutture ricettive e degli immobili affittati, questo housing sociale è rivolto a quelle persone considerate fragili ma con un minimo di stabilità economica e viene presentato, a livello mediatico e pubblico, come una forma di reintegrazione sociale ed economica rispetto all’aggressività (anche turistificativa) presente in città.

Uscendo dalle dinamiche mediatiche, questo esperimento abitativo, inserito in un contesto di isolamento sociale ed economico (definito volgarmente “degrado” dai media e personaggi pubblici), pone l’attenzione sul problema degli alloggi a San Berillo e, più in generale, nella città stessa di Catania. Potremo definirlo, in modo molto azzardato, migliore delle pratiche aziendali ricettive dei vari Airbnb, del Romano House (via Di Prima) o del futuro albergo in costruzione (sempre in via Di Prima) 19 presenti a San Berillo.

Ma al di là dell’azzardo, il progetto di housing sociale “Sottosopra ha però a lungo faticato per trovare i propri inquilini viste le condizioni di accesso che non rispondono ai bisogni esistenti in quartiere: un permesso di soggiorno, un contratto di lavoro, certificati medici di buona salute fisica e mentale e cento euro al mese da devolvere per una stanza in condivisione. Questi requisiti hanno comportato il reiterato rifiuto di dare ospitalità a persone che vivono in strada, tra cui anche le molte che passano le giornate sotto le finestre del co-housing.”20

Nello specifico questa struttura sociale di accoglienza non stravolge le logiche capitalistiche o, più in generale, di poteri vigenti. Anzi, è tutto l’esatto contrario. Il cosiddetto reinserimento sociale ed economico (o detto in parole povere “reintegrazione lavorativa”) di “Sottosopra” avviene all’interno dell’attuale sistema dove, in sostanza, si dovrà concorrere con i propri simili (intesi come persone sfruttate) per conquistare un posto di lavoro e poter così divenire parte integrante della grande macchina produttrice e sfruttatrice capitalistica. 21

Le associazioni “Oxfam Italia” e “Fondazione con il Sud”, così come le associazioni cattoliche presenti nel quartiere, difendono un ordine basato sulla gerarchia e sui privilegi di classe e razza (e aggiungiamo di genere e specie), spingono contro le discriminazioni di razza, genere e sesso e, al tempo stesso, puntano sui bisogni basilari dell’essere umano (avere una casa e del cibo).

Queste modalità creano e fidelizzano una potenziale clientela – specie se è marginalizzata a livello sociale, sessuale e razziale –, normalizzano i rapporti e le relazioni basati su deleghe e gerarchie piramidali e, soprattutto, impediscono qualsiasi messa in discussione dell’intero assetto violento capitalistico, patriarcale, razziale e specista.

I discorsi sullinclusività, sul reinserimento sociale e sul profitto ottenuto da affitti turistici e/o vendita delle case rientrano a pieno titolo nell’inizio di quel processo di rinnovamento o “ringiovanimento” dato dagli investimenti di capitali sugli immobili e normalizzazione (a suon di future espulsioni razziali e allontanamenti o “displacements”) di quartieri considerati degradati come San Berillo: la gentrificazione.

Continua nella Seconda Parte

Note

1Per operazione ad “alto impatto” si intende una strategia volta a mandare in campo tutte le forze di polizia disponibili; l’obiettivo è stroncare un punto critico di illegalità. Chi coordina e sincronizza queste forze o, per meglio dire, “interforze” è il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica presieduto dalla Prefettura.

2Comunicato stampa della Prefettura di Catania. Link

3Ibidem

4“San Berillo Vecchio: finalmente un’operazione di sgombero. Benissimo, grazie, ma non basta”, Sudpress, 20 Ottobre 2023. Link

5“Legalità a San Berillo, Rodano(MP): “Quando il buongiorno si vede dal mattino””, FreePressOnline, 19 Ottobre 2023. Link

6“Blitz San Berillo, l’architetto Giovanni Leone: “La polizia qui non basta””, livesicilia.it, 19 Ottobre 2023. Link

7“Statistiche regionali. Il mercato immobiliare residenziale. Sicilia”, 6 Giugno 2023, pagg. 41-42. Link

8Il NTN è l’indicatore della dinamica di mercato (ovvero la movimentazione degli immobili compravenduti in un territorio e in un determinato intervallo temporale (semestre, anno)); rappresenta il numero di transazioni, normalizzate rispetto alla quota di proprietà compravenduta, avvenute in un determinato periodo di tempo; è un dato estratto dalla Banca Dati degli Uffici di Pubblicità Immobiliare. Fonte: “Glossario – Glossario Economico-Immobiliare – Sezione I: FABBRICATI ED AREE EDIFICABILI”. Link

9L’IMI è la quota percentuale dello stock di unità immobiliari oggetto di compravendita. Consente di percepire quale sia stata la “movimentazione” degli immobili compravenduti rispetto allo stock immobiliare presente in un determinato territorio. Fonte: “Glossario – Glossario Economico-Immobiliare – Sezione I: FABBRICATI ED AREE EDIFICABILI”. Link

10Ultima consultazione: 28 Ottobre 2023. Link

11La “Zona Omogenea A” presente nello “Studio di dettaglio” è grande circa 3,24 kmq, suddivisa in quattro sotto-zone: “A”: costituisce la parte del centro cittadino ricostruito dopo il terremoto del 1693, con riferimento al rilievo di S. Ittar nel 1832, comprendendo anche la zona del viale Regina Margherita, caratterizzata dalla presenza di ville nobiliari realizzate tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900; “A1”: costituisce il centro storico di San Giovanni Galermo, quartiere posto a nord-ovest della città, prima comune autonomo e, successivamente, accorpato a Catania nel 1926; “B”: costituisce prevalentemente l’espansione del secondo ottocento e primo novecento, ad est della via Etnea; “San Cristoforo-Sud”: rientra nel piano di riqualificazione cittadino a seguito del Decreto del Presidente della Regione Sicilia del Novembre 2002 e del Decreto 9 ottobre 2008, “Approvazione di una variante urbanistica al piano regolatore generale del comune di Catania.” Estratto da “Catania: ristrutturazioni e investimenti borghesi”. Link

12A tal merito si vedano le note territoriali dell’OMI su Catania nelle annate 2010-2013, in particolare l’abbassamento progressivo del valore degli immobili a San Berillo. Link

13Dopo il biennio pandemico (2020-2021), a partire dal 2022 il settore turistico regionale e cittadino si è ripreso abbastanza velocemente. Come previsto dalle dichiarazioni di inizio 2023 di Ivana Jelinic, ceo dell’ “ENIT Agenzia nazionale per il turismo”, nei primi nove mesi di quest’anno vi è stato un incremento sostanziale dei flussi turistici in Sicilia. Fonti consultate: “Il 2023 anno dei record per il settore turistico ma Sicilia bloccata a 15 mln di pernottamenti”, Quotidiano di Sicilia, 26 Aprile 2023. Link ; “Turismo in Sicilia, Confcommercio: “bene, ma si può fare di più””, 8 Settembre 2023. Link ; “Turismo, Amata:«In Sicilia 13 milioni di presenze nei primi nove mesi dell’anno»”, 11 Ottobre 2023. Link

14Ibidem

15Dati estratti dal sito di immobiliare.it. Ultima consultazione: 28 Ottobre 2023

16Dati estratti dal sito di mercato-immobiliare.info. Ultima consultazione: 28 Ottobre 2023.

17Come riportato sulla home, “Fondazione con il Sud” “è un ente non profit privato nato il 22 novembre 2006 dall’alleanza tra le fondazioni di origine bancaria e il mondo del terzo settore e del volontariato, per promuovere l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno, cioè percorsi di coesione sociale e buone pratiche di rete per favorire lo sviluppo del Sud.” Il principale sostenitore finanziario della “Fondazione con il Sud” è l’ “Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio spa” (ACRI spa). All’interno di essa vi sono 106 soci: 83 fondazioni di origine bancaria, 11 società bancarie, 8 associazioni territoriali di fondazioni e 4 tra altre società e fondazioni. Riguardo le fondazioni di origine bancaria abbiamo quelle legate ad Intesa San Paolo e Unicredit: stando al “XXVIII Rapporto Annuale del 2022”, le due banche hanno investito rispettivamente tra i 7,3 e i 1,166 miliardi di euro all’interno delle loro fondazioni. (pag. 48) e risultano quelle più grandi (a livello di dipendenti, sportelli e degli investimenti fatti) all’interno dell’ACRI. Nonostante il loro carattere apparentemente filantropico, le fondazioni dell’ACRI sono gestite da personaggi della politica o da ex faccendieri. Non a caso l’attuale presidente dell’ACRI (così come della Compagnia di San Paolo, fondazione legata a Intesa San Paolo) è Francesco Profumo, ex ministro dell’Istruzione durante il governo Monti (e continuatore della politica gelminista) ed ex presidente del CNR.

18A livello internazionale, Oxfam (acronimo di “Oxford Committee for Famine Relief”) è una Organizzazione Non Governativa Internazionale (ONGOI) strutturata come confederazione; si occupa di aiuti umanitari e progetti di sviluppo in paesi o situazioni considerati poveri e degradati. Per poter portare avanti tali progetti, Oxfam viene finanziata dall’Unione Europea, dai governi ed altri enti privati (in particolare Rockefeller Foundation e Bill&Melinda Gates Foundation). Nonostante le varie attività umanitarie, Oxfam ha ricevuto critiche molto serrate: dagli abusi sessuali perpetrati dal personale di questa ONGI nel Ciad e ad Haiti (un territorio considerato un vero e proprio paradiso per le ONG di mezzo pianeta, come riportato nelle note dell’articolo “Haiti: viva la rivoluzione”, Umanità Nova del 2 Dicembre 2019. Link) fino alle collaborazioni con multinazionali (come Starbucks) famose nello sfruttare le persone e interi ecosistemi del cosiddetto Terzo Mondo.

19“San Berillo, via le demolizioni”, Argo, 2 Ottobre 2021. Link

20Osservatorio repressione e riqualificazione di Catania, “bell hooks a Catania. Di imprese sociali e riqualificazione”, pubblicato originariamente in “Lo Stato delle città”, n. 9, Novembre 2022, pagg. 59-63. Link

21Vedere il paragrafo “La disoccupazione come arma del Capitale” in “La guerra della borghesia contro la povertà”. Link

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Riscaldamento: Intervista a Peter Gelderloos sul cambiamento climatico e la lotta per cambiare tutto questo

Traduzione dall’originale “Heating Up: An Interview with Peter Gelderloos on Climate Change and the Fight to Change Everything”

L’estate appena conclusa ci ha portato ad un’altra ondata di caldo record, mentre i disastri causati e alimentati dal cambiamento climatico hanno colpito i paesi di tutto il mondo, lasciando intere comunità umane devastate dalle inondazioni, dagli incendi e dalle tempeste. Se da un lato questa “nuova normalità” ha portato alla ribalta il cambiamento climatico nella coscienza popolare, dall’altro abbiamo visto il lancio di nuove cospirazioni dell’estrema destra e la spinta del centro neoliberista riguardante le stesse, stanche e fallacie soluzioni sui cambiamenti degli stili di vita consumistici.

Abbiamo incontrato l’autore e organizzatore anarchico di lunga data Peter Gelderloos per parlare del momento attuale, del tragitto da percorrere per i movimenti autonomi e delle dure realtà che abbiamo di fronte.

It’s Going Down (IGD): Tu affronti il tema del cambiamento climatico nel tuo libro “The Solutions Are Already Here”. Cosa pensi del periodo storico che stiamo vivendo?

Peter Gelderloos: Penso che ci troviamo in un momento molto critico dove il mainstream sta identificando un punto di svolta nelle relazioni riguardanti i recenti e ricorrenti eventi meteorologici estremi come: l’estate più calda dell’emisfero settentrionale a memoria storica, la peggiore inondazione della storia greca dopo una rara tempesta tropicale nel Mediterraneo – con le forti piogge che sono arrivate, a distanza di poche settimane, dopo i più grandi incendi selvaggi mai registrati in Europa -, il primo allarme di tempesta tropicale in California – causata da un raro uragano nel Pacifico -, i più grandi incendi selvaggi della storia registrati nel cosiddetto Canada…
Penso che questo sia un momento critico perché il modo in cui veniamo condizionatu dai media, dalle ONG, dagli accademici e dai governi sull’attuale crisi sia un’enorme bugia e, allo stesso tempo, un’enorme verità.
Prima la verità: il modo in cui l’atmosfera terrestre è stata alterata è visibile nella nostra vita quotidiana; sta uccidendo le persone e sta peggiorando. Questa verità è importante perché si tratta di una questione urgente per la nostra sopravvivenza – e quindi una legittima questione di autodifesa -, e ribadisce che possiamo fidarci delle nostre esperienze e osservazioni a patto che siamo effettivamente radicatu e attentu al mondo che ci circonda. Possiamo inserire la nostra vita quotidiana e la nostra esperienza in un angolo del mondo, precisamente dentro una narrazione globale, solidale e coesa.
La bugia è questa: queste morti sono senza precedenti, il cambiamento climatico serve per comprendere queste morti e possiamo fidarci degli attuali modelli scientifici basati sui punti critici, sulle previsioni di “quando è troppo tardi” e sui programmi di compensazione e riduzione delle emissioni.

IGD: C’è stato un punto di svolta – qualunque cosa significhi – quest’estate? Sembra che abbiamo raggiunto un picco nella coscienza popolare dopo questa ondata di caldo record. Significa qualcosa tutto ciò?

Peter Gelderloos: Non c’è stato un punto di svolta e l’apparente picco di coscienza è stato il trionfo della falsa coscienza. Perché la verità è che era già troppo tardi. A seconda di come si guarda il mondo e quali forme di vita si valutano, era troppo tardi mille anni fa, 531 anni fa, 101 anni fa e 50 anni fa. La verità è che da decenni interi ecosistemi e molte specie che li componevano sono stati completamente distrutti. Decine di milioni di esseri umani muoiono ogni anno a causa di questa enorme crisi ecologica. Da secoli le forme societarie estrattiviste (responsabili della crisi ecologica) stanno colonizzando e sradicando quelle forme societarie che resistono alle oppressioni umane e si prendono cura dei propri ecosistemi.
Sebbene il metodo scientifico [serva] a produrre una conoscenza – il cui valore sia dimostrabile -, i modelli per prevedere i punti di rottura ecosistemici e il tasso di cambiamento climatico si sono dimostrati, in gran parte, inaffidabili e generalmente conservativi. Di conseguenza, questa specifica branca della scienza ha dimostrato di essere troppo difettosa nell’avere un peso strategico – specie quando ci troviamo di fronte a scelte di vita o di morte.
La “crisi climatica” è una struttura appartenente a coloro che cercano di ucciderci e di trarne profitto. Il clima è solo una parte di una crisi più grande e interconnessa. E se ci concentriamo solo sul clima, non vedremo mai le cause profonde e le peggiori forme di sofferenza che si stanno verificando. Questa crisi non è causata dall’uomo. Non è “antropogenica”. È causata da quegli esseri umani che hanno consegnato le loro vite alle istituzioni profondamente estrattiviste e oppressive. Tali istituzioni hanno il potere di costringere tuttu noi ad allinearci e a partecipare alla loro società [mortifera] – indipendentemente se decidiamo di resistere e/o voltarci dall’altra parte. Questo quadro, fondamentalmente, è lo Stato.
Come ho dimostrato in “Worshiping Power”, tutti gli Stati sono estrattivisti e tutti gli Stati, a livello storico, sono stati ecocidi. Un tratto comune di quellu che vogliono riformare il Leviatano (attivistu di XR, ricercatoru sul clima, attivistu di ONG a pagamento, marxistu autoritariu o cripto-autoritariu), è nascondere o decentrare il ruolo dello Stato in questa crisi. In precedenza, gli Stati si limitavano a provocare collassi ecologici regionali – azioni che servivano per l’espansione coloniale.
I sistemi estrattivisti che gli Stati rappresentano devono espandersi, altrimenti muoiono. Le rivoluzioni, nel corso dei millenni, hanno rovesciato gli Stati ma non sono riuscite a coltivare una coscienza sufficientemente globale e sistemica. L’unica alternativa [rimasta, a quel punto,] era che gli Stati creassero un sistema mondiale. E questo significava inventare la possibilità di una crisi ecologica globale.
Lo Stato moderno ha trovato nel capitalismo un motore adatto e nella supremazia bianca una visione del mondo divoratrice e capace di organizzare la colonizzazione intercontinentale. Sul pianeta Terra non c’è capitalismo che non sia coloniale e, quindi, razziale; non c’è capitalismo senza Stato e non c’è Stato che non sia estrattivista e patriarcale – e quindi ecocida e oppressivo -, nemico di ogni forma di vita.

IGD: Quest’estate abbiamo assistito ad una serie di articoli neoliberali basati sullife hackse su come adattare il proprio corpo a temperature estreme e, in Grecia, ad un’ondata di sentimenti anti-migratori mentre infuriavano incendi e teorie cospirative. Come possiamo reagire a tutto questo?

Peter Gelderloos: È inevitabile che quando c’è una falsa coscienza intorno ad una crisi come questa, le risposte egemoniche saranno individualistiche: verranno privilegiati i consumatori con denaro da spendere in modo etico e i cittadini con il diritto di votare i candidati migliori. Entrambi rivitalizzeranno le istituzioni che hanno causato questa crisi. Oppure promuoveranno una pseudo-comunità come lo Stato-nazione – con i suoi confini artificiali e sanguinosi. Il loro cast sarà composto da capri espiatori e cattivi che sono quasi sempre pure invenzioni o gruppi di persone oppresse (troppo lontane per essere comprese e abbastanza vicine per rappresentare una minaccia).
Fortunatamente esiste una sintesi tra strategie e obiettivi, specie quando siamo onestu con noi stessu e [sappiamo] cosa stiamo affrontando. La società patriarcale e il capitalismo coloniale, organizzati dallo Stato, sono nemici della vita. Hanno dimostrato che non possiamo condividere questo pianeta insieme e, soprattutto, non ne abbiamo bisogno perché non sono esseri viventi. Rappresentano un limite rigido. Solo superando quel limite è possibile avere un mondo in cui molti mondi si adattano.
I principali ostacoli strategici riguardanti la distruzione dello Stato sono i due bracci [istituzionali politici]: la Sinistra e la Destra (intendendo la Sinistra nel suo senso storico e non nel suo non-sense anglofono e amnesico, in cui si ventilano cose vaghe, non specificate, buone e incoerenti). Per generalizzare, la sinistra rinnova, aggiorna e rivitalizza le strutture oppressive, dandoci poliziotti neri, donne milionarie e carta igienica riciclata, mentre la destra punisce la resistenza grazie allo sradicamento. Entrando nel dettaglio, la sinistra svolge anche attività di polizia e la destra cerca di rinnovare le strutture oppressive (come lo Stato-nazione). Ma il punto è che entrambe servono lo Stato. Nei momenti di pace sociale sono più coordinate mentre nei momenti di sconvolgimento sociale, come quello attuale, non riescono a vedere oltre le loro mitologie, fornendo degli alibi e sospettandosi reciprocamente nell’essere una minaccia per il Leviatano.

IGD: Stiamo vedendo gli ecosistemi colpiti da fenomeni come lo scioglimento dei ghiacciai e altri segni di impatto sui sistemi di supporto alla vita. Cosa accadrà nei prossimi anni? E quando saremo prontu, che impatto avrà tutto questo nel cosiddetto Nord America?

Peter Gelderloos: Per rispondere a questa domanda è necessario conoscere ogni specifica bio-regione (le sue specifiche storie umane ed ecologiche). I modelli di movimento consumistico che sono prevalenti in Nord America, soprattutto negli ambienti della classe media, non possono rispondere a questa domanda. L’incapacità di ascoltare non permette [delle risposte]. Gli uomini e le persone bianche sono tutti socializzati nel non ascoltare; quindi dobbiamo sottolineare la necessità di imparare ad ascoltare. Coloro che hanno accettato la civiltà occidentale e trattano, ad esempio, i loro smartphone con riverenza [mentre dileggiano] le persone circostanti, non saranno mai in grado di dare risposte adeguate e specifiche alla domanda sulla sopravvivenza collettiva. Chi si fa beffe di quelle persone che ascoltano gli uccelli migratori, le foreste, le montagne, non ha la minima idea e non sarà nemmeno in grado di trovare la vera conversazione che fornisce queste risposte.
Ecco uno strumento analitico che potrebbe aiutare. Come si definisce una persona? Dovremmo considerare che una persona è un qualsiasi essere dove il dialogo sia possibile e significativo. Quindi un poliziotto o un milionario, pur essendo umani, non sono persone. La ghiandaia azzurra fuori dalla mia finestra è una persona. Diamo la nostra attenzione e cura alle persone, perché se sono persone allora possiamo condividere un mondo con loro. Puntiamo la nostra rabbia e le nostre capacità distruttive sulle istituzioni e sui loro fedeli robot – in quanto non condivideranno mai un mondo insieme a noi.

IGD: Il grande movimento per il clima è sceso nelle strade in un momento dove le cose vanno male. Come anarchicu e partecipanti ai movimenti autonomi, qual è la strada da seguire?

Peter Gelderloos: Questa è una conversazione che, ritengo, debba avvenire in ogni angolo del mondo. Anche se sospetto che emergerà un numero minore di modelli rispetto alle discussioni su ogni particolare ecosistema (ovvero: cosa deve fare per sopravvivere e adattarsi).
Negli ultimi vent’anni, in ogni continente, abbiamo rovesciato regimi di lunga durata, abbiamo sconfitto la polizia, abbiamo spinto affinchè la coscienza antirazzista, anticoloniale ed ecologica diventasse temporaneamente la norma e abbiamo aiutato i gruppi emarginati a conquistare spazi per la sopravvivenza – per la guarigione, per la gioia. (Non “un noi che aiuta un loro”, ma “un noi che aiuta noi stessu e un altro noi che è solidale con altru noi che aiutano se stessu”). Abbiamo realizzato cose che, nei due decenni precedenti, sembravano inimmaginabili.
E la nostra ondata di potenti ribellioni ha chiaramente preceduto la crisi economica del 2007/2008. È fondamentale ricordarlo e trasmetterlo, soprattutto perché i sacerdoti del materialismo stanno riemergendo dalle loro meritate tombe e cercano di dirci che siamo oggetti secondari nei calcoli dei sistemi monetari globali – nonostante si siano dimostrati, l’ultima volta che li abbiamo ascoltati, mortalmente sbagliati. Noi non siamo questi oggetti. Siamo esseri viventi colpiti da numerosi sistemi oppressivi – i quali si intersecano tra loro e operano in modi quantificabili e non. Facciamo delle scelte e queste scelte sono importanti. Non siamo né individui né oggetti identici.
Da quell’ondata di ribellioni, però, abbiamo perso terreno nella maggior parte del mondo. Dobbiamo chiederci il perché, in modo approfondito e senza paura di ciò che potremmo imparare. E dobbiamo condividere queste lezioni perché da esse dipende la nostra sopravvivenza.
Credo che in molti luoghi scopriremo come abbiamo ceduto alla repressione, non abbiamo imparato le lezioni dalle generazioni precedenti – in particolare su come sopravvivere -, e perché non abbiamo valorizzato i ruoli della cura, della guarigione e della sopravvivenza – a dispetto della valorizzazione dell’attacco. E lo dico da persona che, durante la sua vita, ha cercato di costruire la nostra capacità di attaccare e di convalidare quegli attacchi – visto come eravamo statu pacificatu negli anni ’90 e 2000. Ma nessuna società oppressiva può essere distrutta solo con la negazione; e chi attacca deve anche saper sopravvivere alle reazioni di quegli attacchi.
In altri luoghi, abbiamo ceduto alle correnti autoritarie; esse hanno preso il sopravvento sui movimenti sociali e sugli spazi di ribellione. (In realtà, la repressione e il recupero avvengono sempre insieme, ma uno dei due può essere predominante, uno può fallire e l’altro avere successo). Le forze repressive dello Stato sono immense e quando non riusciamo a resistere, il massimo che possiamo fare è leccarci le ferite e riconoscere cosa avremmo potuto fare. Tuttavia, quando i movimenti e gli spazi di resistenza ci lasciano indietro, significa che vi sono dei fallimenti interni e inevitabili.
Abbiamo difeso quelle norme di partecipazione che supportano le persone con più risorse (i laureati, gli appartenenti alla classe media, il neurotipico, le persone senza traumi o problemi di salute cronici, quelli che non hanno figli o altri da accudire, gli individui che hanno la cittadinanza, le persone bianche) ?
Abbiamo riprodotto i sistemi di valori patriarcali negli stili di comunicazione, nelle forme di lotta in cui questi vengono celebrati e premiati, ignorati e/o sfruttati?
Abbiamo dimenticato la nostra storia e stretto alleanze non critiche con le ONG e i partiti politici, o ci siamo messu in disparte accettando, in maniera opportuna, un approccio monotematico, un quadro riformista? Abbiamo ripetuto il grande errore dell’antifascismo e visto solo la destra come un pericolo, lasciando passare la democrazia o i socialisti autoritari?
Abbiamo creato una nuova forma errata di nichilismo dove le critiche storicamente valide e offerte dall’insurrezionalismo sono state annegate in un rinnovato feticismo verso i gruppi armati? (ironico, data la critica insurrezionale verso queste forme feticiste).
Ci siamo lasciatu condizionare dal dogmatismo o dall’architettura delle reti sociali e abbiamo creato spazi di resistenza così tossici che solo i prepotenti e i sicofanti potevano prosperare?
Abbiamo fallito nello sviluppare pratiche di sopravvivenza, di guarigione, di trasformazione, di crescita reciproca, così che tutto quello che avevamo era un martello e tutto ciò che potevamo vedere erano i chiodi?
Abbiamo fallito nell’unire le lotte in modo decentrato, diffondere logiche di solidarietà che permettessero a tuttu di sostenersi e imparare lu unu dallu altru, senza permettere a nessunu di prendere il sopravvento?
Abbiamo dimenticato di sviluppare delle strategie per il giorno dopo, come la diffusione di una vita gioiosa e significativa dopo aver distrutto tutto?
Abbiamo perso la capacità di immaginare di essere altro, di creare altro, di vivere in un altro modo?

IGD: Dicci come te la stai cavandorecentemente hai organizzato una raccolta fondi per la tua salute e come possono sostenerti le persone?

Peter Gelderloos: Me la cavo in modo terribile e meraviglioso. Il che è normale dato che sono bipolare. Il mio tumore è considerato incurabile ma trattabile. Quindi, dal punto di vista dei medici, si tratta di allungare l’aspettativa di vita e di migliorare le statistiche. Comunque non è così che affronterò la mia vita e la mia morte. Riceverò il sostegno di cui ho bisogno da me stesso e da chi mi è più vicino. A chiunque legga queste righe – e non soltanto perché ho una piattaforma [dove condivido] libri o altro -, vorrei chiedere di riflettere su alcune cose. Molte persone si ammalano di cancro e di altri problemi di salute mortali o cronici. La malattia non è un problema individuale. Il nostro mondo è malato. Le persone meritano tutto lo spazio di cui hanno bisogno mentre guariscono o muoiono. Ma la malattia stessa non può rimanere privata. Dobbiamo prendere i nostri tumori, le nostre infiammazioni, i nostri crolli, le nostre lacrime, le nostre morti, portarli con le mani insanguinate e metterli [davanti] alle porte del capitalismo. Non per chiedere un risarcimento o una riparazione: queste cose ci servono come unica spiegazione, l’unica parola di verità possibile, prima di bruciare tutto – il Leviatano e tutti coloro che scelgono di difenderlo (a discapito della vita).
La sofferenza non può continuare dietro queste porte metaforicamente chiuse. Coloro che si prendono cura di noi quando stiamo soffrendo, sono lu nostru compagnu più veru. Impara da loro e prenditi cura di loro, cazzo.
Non sostenete me, sostenete tuttu noi. Questo è un problema collettivo.
Forse potremmo promuovere delle lotte dove vale la pena di vivere e morire.
Forse potremmo immaginare dei mondi dove vivere davvero, in cui saremmo gratu di deporre i nostri corpi una volta giunto il nostro momento.
Grazie per la gestione di questo sito e per tutto il lavoro che fate.

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Russia: dalla chiamata alle armi al funerale

 

Traduzione dall’originale “От повестки до похоронки”

Un anno di mobilitazione ha causato la morte di migliaia di coscritti. Quanto tempo sono riusciti a rimanere in vita e quanti ne sono morti. Lo raccontiamo insieme al Conflict Intelligence Team.

Esattamente un anno fa (21 Settembre 2022, ndt), Vladimir Putin aveva annunciato l’inizio della “mobilitazione parziale”. Secondo lui, più di 300.000 russi erano stati convocati e mandati in guerra. Molti di loro sono ancora oggi nelle zone di combattimento – senza le ferie promesse da Putin. Alcuni non torneranno mai a casa: un anno di mobilitazione ha causato la morte di migliaia di uomini russi. Il “Conflict Intelligence Team” (CIT) e i volontari di “Storie Importanti” hanno compilato e analizzato l’elenco dei mobilitati morti in modo da capire quanti coscritti vivono al fronte e quando e dove si sono verificate le perdite più ingenti.

Ecco cosa abbiamo scoperto:
– un mobilitato su cinque non viveva più di due mesi dopo la convocazione militare;
– l’età media tra i mobilitati morti sono tra i 19 e i 62 anni;
– il bombardamento della Scuola Tecnica Professionale di Makeyevka è, [attualmente,] la più grande e singola perdita per l’esercito russo – ma non per i soldati mobilitati;
– quasi ogni regione (46 oblast’, ndt) del Paese ha seppelito almeno un uomo mobilitato.

Un mobilitato su cinque non vive nemmeno due mesi

Dall’inizio della mobilitazione [parziale] fino ad oggi, le autorità russe non hanno mai comunicato il numero di militari morti nella guerra in Ucraina. Ogni giorno appaiono nuovi necrologi in tutto il Paese, da Mosca alla Chukotka. Un cuoco di un collegio psico-neurologico, un insegnante di scuola rurale, un autista di trattori – tutti con un destino simile: dalla chiamata alle armi al funerale in meno di un anno.

Come noi pensavamo…

Sulla base delle fonti aperte, “Storie Importanti” e il “Conflict Intelligence Team” (CIT) sono riusciti a compilare un elenco di quasi 3mila coscritti morti tra il 21 Settembre 2022 e il 1 Settembre 2023. Questo numero non riflette le perdite effettive del personale mobilitato: la lista dei morti si basa solo sui dati che possono essere rintracciati nelle fonti aperte – pubblicazioni dei media, rapporti dei funzionari o dei parenti dei morti. Grazie al conteggio rigoroso, questa stima è strettamente conservativa: CIT e “Storie importanti” non hanno incluso coloro che “si sono presentati volontariamente all’ufficio militare per ritirare la convocazione.”

Si conosce la data di morte di circa 1.900 mobilitati. Per calcolare la “speranza di vita in guerra” di quei coscritti morti e mobilitati in altre date sconosciute (quindi antecedenti al 22 Settembre 2022, ndt), CIT e “Storie Importanti” sono partiti dal 22 Settembre 2022.

Vadim Bulatov, 23 anni, della regione di Chelyabinsk, è morto l’8 Ottobre, nove giorni dopo la mobilitazione. “Il 4 ha chiamato, dicendo che si stavano ritirando vicino a Kherson. Capisci… è morto in prima linea. Non c’è stato addestramento: uno, due, tre – e già era”, ha raccontato il fratello. Stessa sorte è toccato ad un suo connazionale mobilitato, Nikita Perlin. “Era il tutore di suo nonno; ha detto che non avrebbe usato questo come scusa. Il funerale è avvenuto il giorno del suo compleanno”, ha raccontato la moglie di Perlin. Prima della guerra, costruiva case e bagni e realizzava gratuitamente cabine per i canili. Ha lasciato due figli.

Nello stesso giorno, altri tre uomini mobilitati della regione di Chelyabinsk sono morti. Quasi senza addestramento, sono stati inviati nella zona di Kherson, dove la controffensiva ucraina era molto attiva. Un mese dopo, la Russia si è ritirata da Kherson. I soldati mobilitati morti sono stati ricordati dai loro parenti; le autorità russe, invece, li hanno abbandonati – in quanto hanno profuso il loro impegno nel tenere la riva destra del Dnepr.

Morti così rapide non sono rare: almeno 130 persone sono morte nel primo mese dopo la mobilitazione. Un mobilitato su cinque non vive nemmeno due mesi. In media, sono morti dopo 4,5 mesi di guerra.

Percentuale dei mobilitati morti entro il periodo di tempo specificato (Settembre 2022-Settembre 2023)
Fonte: Calcoli effettuati da “Storie Importanti” e CIT, basati sulle segnalazioni pubbliche dei mobilitati morti – 2023

L’aspettativa di vita che va dalla mobilitazione all’invio al fronte è influenzata dall’intensità dei combattimenti, affermano gli analisti del CIT. “I [periodi] più intensi, in termini di vittime, sono stati l’autunno 2022 e la primavera 2023. Questi hanno contribuito in modo significativo all’aspettativa di vita media dei mobilitati al fronte”, spiega CIT, “Alcuni erano già finiti nel tritacarne [dei combattimenti] in autunno, nei pressi di Svatovo e Kremennaya, dove [i vertici militari russi] dovevano chiudere con urgenza lo sfondamento [dell’AFU]. Per evitare che il fronte collassasse, [gli uomini mobilitati], inizialmente, riempivano velocemente i “buchi” fino a saturare la zona di battaglia. Il tempo trascorso dalla convocazione alla tomba è stato di pochi giorni.”

Sono pochi i caduti [di questo periodo] che erano sopravvissuti per 11 mesi al fronte.

Nella nostra lista ci sono quattro persone (forse ci sono altri morti di questo tipo, ma non sono entrati nel nostro elenco in quanto le notizie funebri appaiono con un certo ritardo). Ad esempio, Vyacheslav Moiseyev, 24 anni, di Perm Krai, era vivo fino al 25 Agosto 2023. Era stato ucciso all’inizio della mobilitazione, tre mesi dopo la nascita di suo figlio.

Mobilitazione dei trentenni

Igor Dadanov, 33 anni, della Buryatia, era morto in Ucraina esattamente cinque mesi dopo la mobilitazione. Lo stesso giorno, suo fratello Dmitry era morto in guerra. Quattro bambini erano rimasti orfani. Questa è l’età tipica di un uomo mobilitato morto: in media avevano 33 anni. La mobilitazione colpisce gli uomini di età superiore ai 30 anni: più della metà dei morti aveva tra i 30 e i 45 anni.

Rapporto tra la percentuale dei mobilitati morti e le loro età indicate. Fonte: Calcoli effettuati da “Storie Importanti” e CIT, basati sulle segnalazioni pubbliche dei mobilitati morti – 2023

Ci sono delle eccezioni: uno dei morti del nostro elenco aveva solo 19 anni. Anton Getman della regione di Rostov, era stato mobilitato tre mesi dopo aver completato il servizio obbligatorio ed era morto nel Novembre 2022. Getman era apparso in un servizio di “Pervyj kanal”1 dove gli era stato chiesto di presentarsi come un volontario, sostengono i blog locali. Complessivamente, un mobilitato morto ogni dieci aveva meno di 25 anni.

Le commissioni militari sono interessate, in particolare, ai giovani sotto i 35 anni, in buona forma fisica e che hanno servito recentemente l’esercito, ha spiegato CIT. Tuttavia, le persone di questa età potrebbero non essere così disposte a presentarsi alla convocazione e, anzi, sono pronte a nascondersi: “Sono più informati sulle brutalità che avvengono al fronte e comprendono lo stato [effettivo] dell’esercito russo. Per le commissioni militari era stato più facile reclutare le persone anziane: chi ha prestato servizio negli anni Duemila non metteva in relazione il servizio obbligatorio nell’esercito con quello che c’è adesso – pensano che tutto sia cambiato.”

Il mobilitato più anziano morto e presente nella nostra lista è il maggiore Nikolai Isakov, 62 anni della regione di Tver. Ha trascorso quasi otto mesi in guerra ed è morto all’inizio di Giugno in territorio russo, nel distretto di Shebekinsky della regione di Belgorod. In quel periodo, la Legione “Libertà alla Russia” e il Corpo Volontario Russo (formazioni in cui i russi combattono a fianco dell’Ucraina) avevano riferito dei combattimenti nelle zone di confine. Il Corpo Volontario Russo aveva affermato di aver preso il controllo del villaggio di Novaya Tavolzhanka a Belgorod.

Non solo Makeyevka: dove sono morti i mobilitati

Molte persone sono state trasformate in carne da macello. Molti di loro sono stati fatti a pezzi”, ha raccontato a “Storie importanti” la moglie di uno dei mobilitati sopravvissuti all’attacco dell’AFU al campo russo di Makeyevka (avvenuto il 1 Gennaio). Centotrentanove coscritti provenienti dalla regione di Samara erano stati uccisi quella notte – secondo i dati del nostro elenco -, ed erano morti anche dei volontari.

Si tratta di un numero una volta e mezzo superiore a quello dichiarato dal Ministero della Difesa russo. [L’istituzione russa] aveva ammesso la morte di sole 89 persone e aveva attribuito la responsabilità dell’incidente agli stessi coscritti: questi, secondo il Ministero, avevano violato il “divieto” di usare i telefoni cellulari, rendendo la base individuabile all’AFU. La tragedia poteva essere evitata, dicono gli esperti di CIT: “Non permettere che tutto il personale si riunisca in un solo luogo, non collocare un’unità militare in una località dove la gente del posto si arrenderà immediatamente, non immagazzinare le munizioni vicino ai dormitori militari. Se le truppe mobilitate fossero vissute in un luogo all’aperto, ad esempio in una tendopoli, ci sarebbero state meno vittime.”

Il bombardamento della scuola professionale di Makeyevka è, al momento, la più grande perdita di vite umane dell’esercito russo – e pubblicamente nota durante le fasi guerreggianti, anche se non è l’unica per i mobilitati.

Ad appena un mese dall’inizio della mobilitazione, il 24 Ottobre 2022 era stato un altro giorno nero per i coscritti russi. Erano morte 47 persone mobilitate – presenti nel nostro elenco. Almeno 18 di loro erano stati mobilitati dalla sola regione di Volgograd. Tutti avevano prestato servizio nel 255° reggimento ed erano morti insieme quando il loro convoglio venne colpito vicino a Novaya Kakhovka, nella regione di Kherson. Tra i morti, ad esempio, ci sono Denis Osadchenko, 24 anni, e Gennady Smirnov, 53 anni. Secondo i coscritti sopravvissuti, la tragedia poteva essere evitata: il comando aveva costretto le persone a salire su dei mezzi sovraffollati, senza coordinare la marcia e mandando avanti la colonna senza copertura e in un percorso pericoloso.

Un altro gruppo di mobilitati provenienti da altre regioni (Sverdlovsk, Chelyabinsk e Tomsk), sono morti il 24 Ottobre. Due di loro provenivano da Chervonopopovka e alcuni dei morti erano stati assegnati alla stessa brigata. “È molto probabile che tutti i morti del 24 Ottobre, provenienti dalle regioni di Sverdlovsk, Chelyabinsk e Tomsk, siano morti insieme. Molto probabilmente erano arrivati [da poco] nel campo, come a Makeyevka, ma non possiamo ancora confermarlo”, dicono gli esperti del CIT. Come scrive il canale telegram Possiamo spiegare, almeno cinque mobilitati morti – provenienti dalla regione di Sverdlovsk -, erano stati probabilmente uccisi alla Casa della Cultura di Chervonopopovka – dove si trovavano le truppe russe. Secondo i nostri dati, almeno 29 coscritti erano morti nell’area di Chervonopopovka durante questo anno di guerra. Alcune truppe mobilitate avevano subito gravi perdite in autunno e in inverno nell’area di Kupyansk-Svatovo-Kreminna della regione di Luhansk. Questa sezione del fronte è strategicamente importante per entrambe le parti in conflitto. La leadership militare russa ha cercato di tenere questo territorio a spese delle truppe coscritte – spesso impreparate e non addestrate. Secondo i nostri dati, dall’inizio della mobilitazione fino all’anno trascorso sono morti più di 250 coscritti.

Erano i primi mesi dell’inizio della mobilitazione. [L‘esercito russo] aveva bisogno di fermare l’offensiva dell’AFU vicino a Svatovo e Kremennaya. Le persone mobilitate erano state mandate”, ha spiegato il CIT. “Sono arrivati molti videomessaggi dei coscritti dove si lamentavano di essere stati gettati in prima linea e senza addestramento. Intere sezioni del fronte sono state completamente occupate dai mobilitati. Questi sono stati disposti all’improvviso nelle diverse linee di battaglia, senza nessun coordinamento e strategia: sono stati semplicemente buttati dentro, in modo che qualcuno con i fucili automatici si sedesse nelle trincee e l’AFU non sarebbe passata da lì senza combattere.”

Dall’inizio della mobilitazione, nell’area di Donetsk sono state uccise circa 100 persone (senza contare le 139 vittime della scuola professionale di Makeyevka). “Le ingenti perdite in quella zona sono il risultato dell’offensiva invernale-primaverile di Gerasimov che, con l’aiuto degli uomini mobilitati voleva fare pressione sulla direzione di Donetsk e prendere Avdeevka. Ha mandato i coscritti in avanti, facendoli passare attraverso le brigate di fanteria motorizzata della Repubblica Popolare di Donetsk (RPD). Ci sono stati molti videomessaggi dei mobilitati dove si lamentavano del fatto che il comando della RPD li avesse trattati come sacrificabili, dicendogli apertamente: “Siete carne [da cannone] per noi”.

Nella primavera e nell’estate del 2023, almeno 40 mobilitati sono morti nelle battaglie vicino a Bakhmut. Questi si lamentavano del mancato supporto dell’aviazione e dell’artiglieria, le comunicazioni non operative e i comandanti che usavano i coscritti come carne da cannone. “Nell’area di Bakhmut, molte persone mobilitate sono morte a Maggio, quando l’esercito russo stava cercando di concludere [la conquista della città]. Questa è un’ulteriore conferma di come non fossero coinvolti soltanto i wagneriani nella conquista dell’area, hanno detto gli esperti di CIT.

Più di 30 uomini mobilitati sono morti vicino a Vuhledar. “Vediamo due picchi nel numero di morti a Vuhledar: l’assalto al villaggio di Pavlovka a Novembre, dove morirono i mobilitati provenienti dalle regioni del Distretto Federale dell’Estremo Oriente, e l’assalto a Vuhledar a Febbraio, dove ci furono molti morti”, ha commentato il CIT.

Altri 24 membri della lista sono stati uccisi nei pressi di Makeyevka, nel distretto di Svatovsky della regione di Luhansk: tra questi, otto coscritti provenivano dalla regione di Voronezh. “In televisione mostrano che tutto è bello. Ma in realtà sono i mobilitati ad esser gettati in prima linea qui, nella regione di Luhansk”,ha detto a Verstka una persona coscritta, sopravvissuta alla mobilitazione dopo il bombardamento avvenuto a Novembre sulla linea del fronte vicino a Makeyevka – situazione che avrebbe potuto “uccidere centinaia di persone.”

Da quando è stata annunciata la mobilitazione [parziale], è cambiato poco per i coscritti: come prima, anche adesso vengono usati [nei punti più caldi]”, afferma il CIT. “Vi è un cattivo atteggiamento dei comandanti, un sistema di combattimento non sviluppato, nessun supporto di artiglieria: i problemi sistematici dei mobilitati sono rimasti al loro posto. Coloro che hanno affrontato i combattimenti e sono sopravvissuti, sono diventati più esperti. Ma la stanchezza accumulata sta aumentando. All’inizio gli era stato detto: “Presterete servizio per sei mesi e poi tornerete a casa, nessuno vi manderà in prima linea” – e loro pensavano: “Ora andremo velocemente al fronte, prenderemo delle medaglie, dei soldi e torneremo a casa.” Ora molti mobilitati si lamentano di aver prestato servizio per 11 mesi e non essere mai tornati a casa. Una volta iniziata la mobilitazione, non possono più tornare indietro. Vediamo, quindi, un livello crescente di procedimenti penali riguardante l’abbandono dell’unità senza autorizzazione. Perché non li mandano in licenza? Perchè temono che se si mandassero 100 uomini in licenza solo la metà di loro ritornerà.”

Dove vanno la maggior parte delle bare

La foto con una bara di zinco coperta da una bandiera russa e il numero di telefono di un’impresa di pompe funebri per nuovi “ordini di sepoltura”: ecco come si presenta il necrologio di Stepan Zhigulev, 50 anni, mobilitato di Revda, nella regione di Sverdlovsk. Zhigulev è morto il 12 Febbraio e la sua famiglia ha atteso il suo corpo per oltre un mese. È stato sepolto il 29 Marzo a Revda in una nuova sezione del cimitero cittadino, dove di solito vengono sepolti i wagneriani. Anche un altro mobilitato di Revda, Oleg Zverev, 36 anni, è stato sepolto lì. Secondo la vedova di Zverev, l’ufficio del sindaco della città le ha offerto di seppellire il marito “nella terra selvaggia” e non nel Vicolo della Gloria, dove erano sepolti altri caduti di guerra, perché non c’era spazio per nuove tombe.

Nella regione di Sverdlovsk vi è il maggior numero di funerali. Più di 200 uomini locali mobilitati sono morti nel primo anno di guerra. In termini di numero di morti per popolazione maschile in età di leva, la regione di Sverdlovsk risulta al settimo posto.

A seguire abbiamo un centinaio di uomini mobilitati tumulati in Buryatia (la regione è al secondo posto dopo la Chukotka, sempre in termini di numero di morti per popolazione maschile in età di leva), Tatarstan, Bashkortostan, Samara (quinto posto) e la regione di Volgograd (sesto posto).

Solo a Volgograd, dove erano stati mobilitati i morti del bombardamento di Novaya Kakhovka, sono arrivate quest’anno non meno di 48 bare. Più di 33 erano state sepolte a Samara – in particolare dopo l’incidente di Makeyevka, dove giornalmente vi erano state delle tumulazioni -, e altrettante a Togliatti, sempre nella stessa regione. “In Buryatia, in effetti, sembra che siano stati mobilitati più uomini di quanto fosse dovuto”, suggerisce il CIT. Questo perché il tasso di vittime tra i mobilitati di quella regione era significativamente più alto rispetto ad altre regioni, specie se si tiene conto della loro popolazione”.

Tuttavia, la mobilitazione può essere definita una tragedia nazionale: quasi ogni regione del Paese ha già seppellito almeno una persona mobilitata.

Editore: Alesya Marokhovskaya

Storie Importanti” desidera ringraziare i volontari di CIT per il loro aiuto nella raccolta e nella verifica dei dati.

Se siete a conoscenza di informazioni su persone mobilitate decedute, potete condividerle con noi su istories.ds@gmail.com

 

Nota del Gruppo Anarchico Galatea

1“Pervyj kanal” è la principale emittente televisiva pubblica della Russia, nonché quella con la più vasta area di copertura. Secondo una pubblicazione dello stesso governo russo, quest’ultimo controlla il 51% delle quote azionarie.

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L’urgenza di abolire la polizia e una nota sull’antirazzismo morale – Seconda Parte

Prima Parte

La governamentalità emersa con il liberalismo(fine del XVIII secolo),avrebbe scomposto le funzioni sovrane della polizia: da un lato vi sarebbe stata la gestione della popolazione (attraverso le politiche urbane e la medicina sociale)e, dall’altro, degli interventi diretti e repressivi(tramite gli strumenti di prevenzione del disordine).

Pratica economica, gestione della popolazione, un diritto pubblico articolato per il rispetto della libertà e delle libertà, una polizia con funzione repressiva: l’antico progetto di polizia apparso in correlazione con la ragion di stato, si disloca, o piuttosto si decompone in quattro elementi – pratica economica, gestione della popolazione, diritto e rispetto delle libertà, polizia -, quattro elementi che si aggiungono al grande dispositivo diplomatico-militare che, da parte sua,non ha subito modificazioni significative nel XVIII secolo.”1

Questo riassume le funzioni dello Stato moderno attraverso le tecnologie politiche – le quali vanno ben oltre l’intervento diretto statale.

Per questo motivo, quando proponiamo l’abolizione della polizia dobbiamo capire il suo ruolo al di là dell’istituzione e al di là dell’uniforme e degli agenti.

Inquadrando la polizia come tecnologia di governo e seguendo le sue metamorfosi nel corso della storia, possiamo [disinnescare] quei discorsi riformisti e quelle critiche sui comportamenti polizieschi considerati abusivi [– strumenti ideologici che] promuovono e rinnovano una nuova polizia basata sull’assistenza e sul controllo.

Queste fallacie riformiste perpetuano i comportamenti e contro-comportamenti che trasformano e mutano la polizia sovrana in un dispositivo di sicurezza (atto a mantenere l’ordine interno) e in un insieme di pratiche governative biopolitiche. L’abolizione della polizia deve essere una lotta contro la ragione governativa e contro lo Stato – sia come categoria di lettura della realtà che modo di fare e pensare. Un movimento anti-polizia deve essere anche anti-politico – dove per politico si intende un insieme di tecniche governative. Altrimenti, ogni critica alla polizia sarà solo l’annuncio di una nuova forza poliziesca o il cambiamento, con nomi diversi, delle pratiche di contenimento.

Il poliziotto moderno e una breve nota sull’antirazzismo morale

Facendo un salto temporale e geografico, concentriamoci sulla figura del poliziotto moderno. Ogni volta che si parla e si scrive sulla polizia, si considerano solo le funzioni legali della polizia – rappresentate dalle immagini o falsificazioni mediatiche. Tuttavia, la polizia, sia come istituzione che come forma di comportamento, si è moltiplicata in un modo mai immaginato prima. Oggi giorno non si può andare da nessuna parte senza incontrare una qualche forza dell’ordine o un’ampia varietà comportamentale poliziesca. Allo stesso tempo, la mentalità poliziesca si è diffusa così tanto che la creazione di una forza di polizia è diventata la prima soluzione a cui le persone e i gruppi sociali pensano quando si trovano di fronte ad un problema – anche quando questo problema è la polizia stessa. Così oggi giorno abbiamo una “polizia” della polizia.

Facciamo un brevissimo esempio di questa multi-presenza della polizia nella vita dellu cittadinu. Nella Costituzione federale brasiliana, l’articolo 144 del Capitolo III tratta la sicurezza pubblica, i suoi mezzi e le sue funzioni. Contiene un elenco delle diverse forze di polizia: “I – polizia federale; II – polizia stradale federale; III – polizia ferroviaria federale; IV – polizia civile; V – polizia militare e vigili del fuoco militari.2 Da questo articolo costituzionale e da questo elenco di forze di polizia derivano regolamenti, funzioni, protocolli, raccomandazioni, codici etici e di condotta e tutta una serie di funzioni su come dovrebbero agire [queste gruppi securitari istituzionali.]

A questo elenco si aggiungono le polizie private legali, le società di sicurezza e di difesa del patrimonio e le polizie illegali (chiamato milizie e/o fazioni criminali) che difendono il patrimonio ottenuto “illegalmente.” Una varietà infinita di polizie; eppure nessunu è al sicuro. Anzi. Tuttu sono sospettatu e tuttu sono chiamatu a sorvegliare i comportamenti propri e altrui. Si arriva così alla diffusione del “cittadino-poliziotto” – che è una forma di azione politica e di vita pubblica legata alle pratiche e ai controlli polizieschi. E nonostante vi siano così tante polizie, i cosiddetti “crimini” o “conflitti con la legge” continuano a verificarsi in massa. Non solo: questa varietà di polizie ospita gli agenti della violenza letale che, quando diventano incontrollabili o superano un limite (abbastanza elastico) di ciò che è tollerabile, [devono essere “fermati”. Così] la prima soluzione è creare la “polizia” della polizia o altre forme di giudizializzazione dei comportamenti e della condotta di vita

Infine ci sono diversi istituti, ONG, gruppi di ricerca universitari e persino movimenti per i diritti umani che, di fronte agli abusi delle forze dell’ordine, non solo rifiutano di considerare la violenza poliziesca come una pratica legata all’istituzione stessa ma, addirittura, la vogliono contrastare imitando le tecnologie della polizia: protocolli d’azione, regolamenti e pratiche di monitoraggio.

Sono azioni che, oltre a rinnovare la fiducia nei controlli di polizia, diventano un punto di appoggio per l’espansione dei dispositivi polizieschi e di sicurezza.3 Quando si pone la questione dell’abolizione della polizia si rifiuta la via gradualistica o riformistica. [Il motivo] non deriva da un puro e semplice posizionamento politico-ideologico (come se si trattasse di un capriccio), ma da una decisione di agire tatticamente. L’obiettivo finale è far cessare la violenza della polizia una volta per tutte. Scegliere il male minore significa conservare ed espandere i dispositivi di sicurezza. In parole povere: dare una continuità al sistema penale con la sua selettività criminale omicida – dove la moderna polizia repressiva si presenta come un elemento terminale di intervento e azione.

Resta un’ultima domanda: come fa questo complesso tecnologico di cura, controllo e repressione a produrre tanta morte? È la stessa domanda posta da Michel Foucault sul biopotere come tecnologia che “ti lascia vivere e ti fa morire”. E la risposta è la stessa e inequivocabile: ciò che permette ad un potere di lasciar vivere e far morire è il razzismo di Stato. Quest’ultimo produce soggetti che, nel nome della vita e nel perseguimento della produzione dell’ordine, devono essere eliminati o consegnati a morte lenta sempre in conformità all’ordine stabilito.

Non è una coincidenza che “8 To Abolition” sia nato durante le proteste Black Lives Matter del 2020. La polizia, in quanto operatore diretto di questo dispositivo di intervento mortale, [agisce] contro gli obiettivi razzializzati.

Non è una questione di cattiva condotta o di forza eccessiva della polizia; [il punto] è come funziona il dispositivo. Qualsiasi discorso antirazzista che ignora questo funzionamento è solo un’obiezione morale; esso descrive il razzismo come una sorta di deviazione etica (che può essere corretta attraverso la condanna del razzismo). Di conseguenza, questa posizione trasforma la condotta razzista in un pregiudizio da correggere con qualche tipo di consapevolezza o sanzione (penale o sociale) – in modo da moralizzare e regolare la condotta.

La polizia,storicamente, è una tecnologia politica moderna che opera contemporaneamente come potere sovrano (azioni omicide) e gestione biopolitica nella vita di ogni cittadinu e/o dell’intera popolazione. Dall’emergere della razionalità neoliberista degli anni ’70, le azioni e i processi della polizia sovrana e mortale si sono intensificati: militarizzazione, iperincarcerazione, giudizializzazione della vita e pacificazione dei territori urbani impoveriti (come le favelas) o di interi Paesi (come Haiti e la Siria). La biopolitica, ancora una volta, ha portato la cura della vita al suo parossismo di morte su larga scala; ciò è stato dimostrato nella metà del XX secolo dai regimi autoritari e genocidi (come il nazismo tedesco e il fascismo italiano). Ma oggi giorno il potere sovrano mortale, realizzatosi attraverso il razzismo di Stato, è diventato democratico. Questo potere, nelle democrazie, opera attraverso l’apparato di sicurezza della polizia, divenuto transterritoriale e fondendosi con l’apparato diplomatico-militare.4

La politica dei governi mondiali, colonizzata dagli apparati di sicurezza, ha mantenuto una parvenza di democraticità (senza manifestare una dittatura autoritaria). Tutto questo è noto come “democrazia della sicurezza” o “democrazia securitaria”.

La polizia, come dispositivo di sicurezza nelle democrazie securitarie, interviene con la sua politica di controllo e di morte al di là dell’istituzione e dei soggetti che la compongono; essa produce un ordine basato sulla sicurezza della vita (ecopolitica5). E per vita non si intende solo la categoria “umano” ma ogni essere vivente produttore di obbedienza e ordine – tutto ciò che è considerato buono e ordinato. Se un essere vivente non ricade in questa produttività ordinata, il razzismo di Stato agisce in modo omicida, uccidendolo o lasciandolo morire.

Nelle democrazie odierne, non c’è antirazzismo senza abolizione della polizia: a partire dalle azioni contro l’esecuzione di George Floyd, vi è un cambiamento che si sta diffondendo in tutto il pianeta. Al di fuori di questo scontro vitale volto a disattivare l’apparato di sicurezza, vi è l’apparato diplomatico-poliziesco impegnato in una retorica morale (pregiudizio e comportamento sbagliato) del razzismo. Dobbiamo andare oltre se vogliamo smettere di contare i cadaveri delle persone razzializzate – che siano nella periferia di São Paulo,nelle favelas di Rio de Janeiro o di Soweto (Johannesburg), nelle banlieue di Parigi, nelle strade di Minneapolis o nella Striscia di Gaza in Palestina.

L’urgenza di abolire la polizia significa voler essere vivu! L’urgenza di affermare la vita come antipolitica [significa] contrastare il potere sovrano mortale del razzismo di Stato.

Non vogliamo più la maledetta polizia!

 

Note

1Ibidem, pag. 258

2Nota del Gruppo Anarchico Galatea. Nel caso italiano abbiamo tre ordinamenti di Corpi di Polizia: uno civile (in cui ricadono la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria), uno militare (in cui ricadono l’Arma dei Carabinieri e il Corpo della Guardia di Finanza) e uno locale (in cui ricadono la Polizia Locale e la Polizia Provinciale e Metropolitana). I vigili del fuoco e la guardia costiera (rispettivamente corpo civile e corpo militare) espletano funzioni di polizia – ovvero svolgono servizi di ordine e sicurezza pubblica in determinate situazioni. A livello di “polizia” privata legale e illegale abbiamo: gli Istituti di Vigilanza Privata e la figura della Guardia Particolare Giurata (GPG) che collaborano, quanto richiesto, con i citati tre ordinamenti dei Corpi di Polizia; la parte di manovalanza dei clan criminali italiani e non che espleta funzioni di protezione patrimoniale e personale.

3Per una panoramica di questa espansione dei dispositivi di sicurezza vedere Adalton Marques, “Humanizar e expandir: uma genealogia da segurança pública em São Paulo,” Tese de Doutorado, São Carlos, UFSCar, 2017.

4Sopra la costituzione del “dispositivo diplomatico-poliziesco”, vedere Edson Passetti et. al, “Ecopolítica”, São Paulo, Hedra, 2019, pp. 219-257.

5Ibidem

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