Finchè c’è guerra, c’è speranza

Ogni 4 Novembre, in Italia, si celebra la “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate”, data in cui si ricorda la firma dell’armistizio che pose fine alla “Grande Guerra”, denominata così in quanto fu un evento dove la crescita del militarismo di quegli anni, unita alla nascita dei nazionalismi, condannò alla morte e alla follia centinaia di migliaia di persone dentro le trincee.

Attraverso questa festa non si ricorda soltanto la vittoria del primo conflitto mondiale ma si presenta il militarismo italiano (e della NATO, aggiungiamo) come “difensore della pace e della sicurezza dello Stato”.

La realtà, invece, è che il militarismo porta a un sempre crescente accumulo di soldati e materiali bellici pronti ad essere utilizzati sia per operazioni di difesa sia soprattutto di attacco. Come si vede nell’ultimo rapporto dello “Stockholm International Peace Research Institute” (2022) “la spesa militare globale è aumentata per l’ottavo anno consecutivo, raggiungendo una cifra stimata di $2.240 miliardi […] un aumento della spesa del 3,7% su base annua […] I governi di tutto il mondo hanno speso in media il 6,2% del loro bilancio per le forze armate, pari a $282 a persona”.

Stando sempre a questo rapporto, l’Italia ha speso ben 33,5 miliardi di euro per la difesa.

Con questi numeri si prevede che da quest’anno (2023) e negli anni a venire la spesa aumenterà ancor di più,alimentando così il business dell’industria bellica e innescando ed esasperando ulteriori conflitti in quelle parti di mondo pronte ad essere colonizzate e sfruttate oltremodo (in particolare in quei territori ricchi di materiali considerati vitali per la transizione energetica nel cosiddetto Primo Mondo).

Oltre il dato economico, il militarismo plasma gli individui ad avere rapporti eteropatriarcali: la mascolinità e l’eterosessualità viene esaltata e difesa ad oltranza come forma di identità del potere dell’esercito stesso.

Come anarchicu rigettiamo il militarismo in quanto ingranaggio violento e necessario per la colonizzazione capitalista e la difesa dell’ordine statale e dei rapporti di potere.

Il nostro antimilitarismo è la distruzione di tutta la produzione armaiola e il rifiuto di obbedire alla cieca disciplina militare. Ripudiamo profondamente la violenza che può essere eseguita solo con le armi di cui si serve lo Stato e, quindi, tutti i fondamenti del potere dominante.

La scomparsa di questo strumento di oppressione sarà la migliore garanzia di libertà per tuttu.

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