Sulle piste dell’aeroporto di Barcellona e sull’insostenibilità del Capitalismo

Traduzione dall’originale “Acerca de las pistas del aeropuerto de Barcelona y la insostenibilidad del capitalismo

Il Capitale e lo Stato (compresa la Generalitat de Catalunya) hanno un progetto per Barcellona. Un progetto che è di fatto unico, anche se si combattono (o fingono di combattere davanti alla galleria) per ragioni politico-elettorali o per chi si aggiudica la fetta più grande della torta.

Il progetto è unico: continuare a devastare il territorio (quel poco che non è stato devastato) e, se ormai l’industrializzazione non basta più (la produzione industriale, lo sfruttamento della manodopera e la sua nocività si sono spostati in altri territori), l’attività del Capitale si sta spostando verso il settore terziario o dei servizi (soprattutto il turismo, che alcuni considerano come quarto [settore]).

Per questo settore, la terra, le persone lavoratrici e l’ambiente diventano merce. L’essere una “merce” non preserva dalla devastazione delle infrastrutture (alberghi, comunicazioni…); ciò che non viene direttamente devastato viene banalizzato e trasformato in un parco tematico paesaggistico.

È il caso della questione dell’ampliamento dell’aeroporto di Barcellona, che è stato recentemente ripreso tramite una sfilza di proposte con il patto di governo.

Le proposte e le minacce di proposte di cui si ha notizia sono sostanzialmente 3 (anche se Foment del Treball [Nacional] dice di averne 9):

1.-La prima è un mistero; è stata elaborata da una commissione creata dall’associazione padronale Foment del Treball (i creatori del pistolerismo antisindacale degli anni ’20 del secolo scorso).
La Commissione è presieduta dal presidente della Camera dei costruttori edili della Catalogna (i proprietari del cemento) e da 24 membri. I membri rappresentano tutti gli aspetti del Capitalismo locale: Foment stessa, l’altra grande associazione dei datori di lavoro CECOT, la Gremi d’Hotels, Turisme de Barcellona (un consorzio promosso dal Comune e dal settore alberghiero), la Camera di Commercio, l’IESE… e la copertura ambientalista di Jordi Sargatal, ex direttore del “Parc dels Aiguamolls” e attualmente direttore di un’azienda turistica. Queste proposte sono un mistero (si dice che includano un nuovo aeroporto a Vilafranca [del Penedès]?!), poiché non saranno presentate prima della tarda primavera o dell’inizio dell’estate; ma è chiaro che avranno un orientamento turistico e di [costruzione di] opere pubbliche.

2. – Il più recente è quello di un gruppo di figure accademiche prestigiose riunite intorno all’Universitat Pompeu Fabra e al Collegi d’Economistes, con la partecipazione dell’ex ministro Mas Colell, professore all’UPF e autore della politica neoliberista (compresa la privatizzazione della sanità) dei governi catalani di Artur Mas (2010-2016); in questo progetto la copertura ambientale è di Joandomènec Ros, ex professore di ecologia all’UB ed ex presidente dell’Institut d’Estudis Catalans. Come si può vedere in questo video pubblicitario, si tratta di una proposta di cementificazione. In qualche modo il gruppo promotore della proposta è legato alla commissione Foment del Treball, visto che ne condivide alcuni membri.

3. – La proposta di ampliamento di AENA, che è stata respinta, ha avuto il sostegno dello Stato e di JuntsxC (allora al governo); consiste sostanzialmente nell’allungamento di 500 m della terza pista. Tuttavia, è necessario aggiungere più di 300 metri di segnaletica, come si può vedere nel video, il che significherebbe andare “de facto” oltre l’Estany de la Ricarda-Estany de la Magarola.
Il progetto di AENA è stato proposto da diverse persone ed enti e ha cercato di guadagnare dei metri alle due estremità della terza pista (350 m verso la Ricarda, 100 m verso El Remolar-Filipines…); il problema è che è incastrata tra le lagune della Ricarda e del Remolar e non c’è molto da fare.

Vale la pena ricordare che le tre proposte prefiggono di dirottare migliaia di passeggeri su Girona e Reus (non dicono nulla su Lleida); in particolare la seconda è quella della pista sul mare che propone di dirottare 9 milioni di passeggeri. Se teniamo conto che nel 2022 tra Reus e Girona sono stati serviti un milione di passeggeri, possiamo vedere come il problema venga trasferito in un altro luogo (tipico di Barcellona). Quale sarà l’impatto di moltiplicare per 10 volte i voli in questi due aeroporti?

Il dirottamento dei voli verso aeroporti “periferici” comporterà la costruzione di nuove tratte di AVE o di altri treni veloci, un nuovo passo nella devastazione del territorio.

In sintesi possiamo dire che queste 3 proposte saranno fatte per accontentare il settore commerciale, soprattutto quello dei lavori pubblici (miliardi in costruzioni) e del turismo (aumentando gli oltre 40 milioni di viaggiatori verso El Prat) – due settori che, per ora, tirano il carro dell’economia e per cui lo sviluppo continua a basarsi su cose come il Mobile World Congress, la Feria Audiovisual, Copa América o anche il progetto del gasdotto a idrogeno… .

L’attenzione è rivolta al trasporto passeggeri, ma non dobbiamo dimenticare la crescita del trasporto merci. Barcellona movimenta più di 130.000 tonnellate per un valore stimato di circa 7 miliardi di euro. Le principali aziende di trasporto merci a Barcellona sono DHL, Amazon Air e UPS… che si stanno espandendo grazie alla devastante crescita dell’e-commerce.

Esiste una quarta opzione proposta dalle piattaforme [politiche] e dalle organizzazioni di “opposizione”, basata sulla sostenibilità o, la più radicale e “coerente”, decrescita. Sono opzioni poco concrete, come un’idra con molte teste; ad esempio nessuno ha ben chiaro cosa sia il “turismo sostenibile” – che viene equiparato al “turismo di qualità”. In realtà, tutto ciò che è “sostenibile” o “decrescente” all’interno del sistema significa [soltanto] continuare il dominio e la devastazione.

Il mondo delle piattaforme è un mondo confuso, dove i paradossi si trovano nella lotta contro la gentrificazione e chi si oppone agli appartamenti turistici è equiparato a chi non vuole una scuola superiore nelle vicinanze perché pensa che [questa] abbassi il prezzo delle sue proprietà… Hanno anche il problema della mediatizzazione da parte degli organi politici (governi di ogni tipo, statali, regionali, comunali…), dei partiti e delle corporazioni economiche che, attraverso le sovvenzioni, finiscono per reindirizzare, fermare, frenare e persino eliminare qualsiasi dissenso.

Non c’è dubbio che all’interno dei movimenti contro le grandi infrastrutture ci siano persone e gruppi molto validi con i quali possiamo unirci; ma dobbiamo stare attenti che l’interruttore delle richieste non sia nelle mani di nessuno e che l’agenda non sia stabilita dagli interessi di una fazione dello Stato e del Capitale.

I problemi non sono un aeroporto nuovo o più grande, la distruzione di uno spazio naturale – per quanto scarso e vulnerabile possa essere -, le emissioni e il mancato rispetto degli impegni di Parigi (che peraltro non ci allontanano dalla “catastrofe” climatica), il turismo di massa che gentrifica le città e ci spinge verso la periferia… i problemi sono il Capitalismo devastante e gli Stati.

Non si possono trovare alternative all’interno del sistema attuale perché sono tutte false. Promuovere aeroporti più piccoli (più ecosostenibili!) o collegamenti tra di essi tramite l’AVE o qualsiasi altro mezzo “efficiente” o “sostenibile” è, nel migliore dei casi, un’assurdità e nel peggiore un inganno premeditato che perpetua un sistema di dominio e devastazione.
Qualsiasi tipo di espansione deve essere fermata!

Aeroporti? Né a El Prat, né a Reus, né a Riudellots de la Selva.
Né “Hard Rock’s”, né Autostrade.
Eliminiamo le piste, le autostrade, i binari dell’AVE… e rinaturalizziamo lo spazio!
Contro la devastazione della terra da parte del capitalismo estrattivista!

 

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Sul lavoro di ABC Irkutsk

dal canale telegram di ABC Irkutsk

Salve, compagnu! È passato quasi un anno da quando abbiamo ripreso la nostra attività. Come ci aspettavamo, quest’anno [alcune] dozzine di persone sono finite nelle liste dei prigionieri politici. Non c’è un supporto per tutti e, a questo proposito, stiamo ampliando l’elenco dei casi che ci occuperemo.

Non tutte le persone attualmente imprigionate per atti di resistenza sono anarchiche, ma tutte rientrano nella morsa del sistema repressivo dello Stato. Coloro che esprimono apertamente una posizione contraria alla guerra, sotto forma di sabotaggio della ferrovia o di incendio di un centro di reclutamento militare, contribuiscono alla distruzione del regime e non dovrebbero essere lasciatu senza l’attenzione e il sostegno di coloro che stanno fuori. Ora ci occuperemo anche di questi casi.

Purtroppo le nostre risorse sono molto limitate, ma faremo ogni sforzo possibile per sostenere le persone detenute.
Potete sostenerci in qualsiasi modo – informativo, materiale o altro. Per quanto riguarda il sostegno materiale, potete inviarci fondi utilizzando le criptovalute indicate di seguito (contattateci prima di inviare fondi):

BTC: bc1qvq3gxfwv6r04anuuaefje8nvu48gxyvnk9yehq
ETH: 0x385f7847121ef646745d49C54CA80f7eFbF095e0
Monero: 47GA12PQjw2L8UEWTj1uKEK6ZBoDnL5g1W2NQYDwcp1k528qa3HnS1vsVxctkXjaFsCeANt2vh1R9s89YwZhD9Dam4zbw

Contatti:
Telegram – @abc_irk
Email – abcirk@riseup.net

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Le proteste e gli scioperi dopo l’incidente ferroviario greco denunciano il governo e l’azienda ferroviaria privata

Traduzione dall’originale “Protests and strikes over deadly Greek train crash denounce government and private rail firm”

Un’ondata di rabbia di massa nella classe operaia e tra le persone giovani si è scatenata dopo la devastante perdita di vite umane nel peggior disastro ferroviario mai avvenuto in Grecia.

Uno sciopero nazionale di 24 ore delle persone lavoratrici del settore ferroviario, iniziato giovedì (2 Marzo, ndt) per protestare contro la morte di almeno 57 passeggeri – tra cui 10 persone lavoratrici del settore -, è stato esteso a venerdì (3 Marzo, ndt). Più tardi, venerdì, è stato annunciato uno sciopero di 48 ore per tutto il fine settimana.

Studenti universitari intonano slogan durante la protesta, mentre si dirigono verso la sede dell’operatore privato “Hellenic Train”, ad Atene, venerdì 3 Marzo 2023. Il messaggio sullo striscione recita: “Non voglio vivere nella fortuna”. I manifestanti hanno attraversato il centro della città per protestare contro la morte di decine di persone avvenuta martedì scorso nel più grave incidente ferroviario mai registrato in Grecia. [Foto AP/Petros Giannakouris]

Migliaia di persone lavoratrici e giovani hanno protestato in questi giorni ad Atene davanti alla sede di “Hellenic Rail”, la rete ferroviaria privatizzata della Grecia, e al palazzo del Parlamento. Altre manifestazioni si sono tenute in molte delle principali città della Grecia. Circa 5.000 persone si sono radunate venerdì presso la sede di “Hellenic Rail”, con la scritta “assassini” dipinta sull’edificio.

Le proteste ripudiano i tentativi del governo di Nuova Democrazia (ND) e dei media nel dare la colpa esclusivamente all’errore umano di un capostazione della città di Larissa poche ore dopo il disastro. La rete ferroviaria greca è insicura, danneggiata da anni di tagli al bilancio, carente di personale e poi privatizzata. Il Paese è l’unico dell’Unione Europea (UE) a non avere un sistema nazionale di protezione automatizzata dei treni.

I morti sono stati causati quando un treno passeggeri, in viaggio da Atene a Salonicco con più di 350 persone a bordo, si è schiantato frontalmente contro un treno merci poco prima della mezzanotte di martedì, fuori dalla città di Tempi, nella Grecia centrale.

Almeno 40 persone sopravvissute sono ricoverate in ospedale, sette delle quali in terapia intensiva. Alcuni passeggeri risultano ancora dispersi, ma il numero esatto non è noto. Tre giorni dopo l’incidente, alcuni genitori non conoscono ancora il destino dei loro figli. L’Independent ha riportato che venerdì “Panos Routsi… e sua moglie hanno atteso con angoscia la conferma di ciò che era accaduto al loro figlio Denis di 22 anni”. Esprimendo un sentimento ampiamente condiviso, il padre di Denis ha detto: “Lo hanno ucciso, ecco cosa è successo. Sono tutti assassini”.

Il primo funerale di una delle vittime, Athina Katsara, trentaquattrenne e madre di un bambino piccolo, si è svolto venerdì nella sua città natale, Katerini. Il marito, rimasto ferito nell’incidente, era in ospedale e non ha potuto partecipare.

La risposta comune dei milioni di persone lavoratrici è che l’incidente di Tempi non è solo una tragedia, ma un grande crimine, legato alla selvaggia austerità imposta alla popolazione dall’élite al potere da oltre un decennio.

Soprattutto le persone giovani hanno partecipato numerose alle proteste; la maggior parte dei morti erano giovani studenti che tornavano all’università dopo una vacanza per la Quaresima greco-ortodossa. Scolari e studenti stanno protestando in tutto il Paese nelle scuole e nelle università. Ad Atene le università sono rimaste chiuse anche venerdì, a causa delle manifestazioni in corso.

Alcune persone partecipano ad una protesta silenziosa davanti al Parlamento, ad Atene, venerdì 3 Marzo 2023. Migliaia di persone si sono riunite per protestare contro la morte delle decine di persone avvenuta martedì scorso, nel peggiore incidente ferroviario mai registrato in Grecia. [Foto AP/Yorgos Karahalis]

Nel terzo giorno di lutto nazionale ufficiale vi sono state delle grandi manifestazioni ad Atene, Salonicco, Larissa – la città più vicina al luogo dell’incidente – e in altre città come Patrasso e Volos. Ad Atene migliaia di persone sono scese in strada al grido di “I loro profitti, i nostri morti”. Molte [persone] si sono presentate con palloncini neri in memoria delle vittime e hanno srotolato un grande striscione nero. In serata una marcia di oltre 1.000 persone è partita dai Propilei, la porta centrale dell’Acropoli, e una protesta silenziosa di almeno 3.000 persone si è tenuta in seguito davanti al palazzo del Parlamento in piazza Syntagma.
Un’altra marcia di migliaia di giovani si è svolta nel centro di Larissa (vedi video sotto).

Hanno cantato: “Questo crimine non deve essere coperto, siamo la voce di tutti i morti”. In riferimento alla narrazione del governo di voler attrarre investimenti per la crescita e l’occupazione e di svendere i beni statali come il sistema ferroviario in nome dello “sviluppo”, un altro canto è stato: “Le rotaie dello sviluppo sono state intrise di sangue, non dimenticheremo mai il crimine sui treni”.

Nella città di Karditsa, nella Grecia centrale, centinaia di scolari, studenti e insegnanti hanno manifestato. Hanno marciato dalla piazza principale fino alla stazione ferroviaria, dove sono stati depositati fiori e cartelli sui binari. È stato osservato un momento di silenzio.

Una selezione di video e foto delle proteste a Karditsa può essere visualizzata qui.

In tutta la prefettura di Karditsa, almeno 13 scuole secondarie sono state occupate, con lu studentu che arrivavano con striscioni e cartelli e gridavano slogan che denunciavano le autorità e la “Hellenic Rail” per omicidio.

È già iniziato un insabbiamento sulle modalità e sui motivi delle morti. Il governo ha nominato una commissione “indipendente” per indagare sulle morti. Il Ministro di Stato George Gerapetritis ha nominato Athanasios Ziliaskopoulos come membro dell’organismo. Ziliaskopoulos è stato presidente della “TrainOSE” di proprietà statale per cinque anni, prima della privatizzazione. In seguito è diventato presidente del “TAIPED”, il fondo greco per le privatizzazioni. Il “TAIPED” sta supervisionando le privatizzazioni in corso dei beni statali greci per un valore di miliardi di euro.

Quest’anno, la Grecia dovrebbe vendere una concessione a lungo termine per la sua autostrada più lunga e una società del gas per quasi 2 miliardi di euro. Reuters ha riportato che la Grecia deve “raggiungere un obiettivo annuale di 2,2 miliardi di euro (2,49 miliardi di dollari) di entrate dagli asset statali… Atene ha raccolto un totale di 7,6 miliardi di euro dalle privatizzazioni dal 2011, un elemento chiave dei suoi tre salvataggi internazionali che si sono conclusi nel 2018”.

Tutti i partiti dell’élite al potere sono coinvolti nelle morti, avendo supervisionato per anni un sistema ferroviario non sicuro. Prima della sua privatizzazione, nel 2017, il bilancio di “TrainOSE” è stato tagliato per renderla un’entità redditizia per la società che l’ha acquistata, l’italiana “Ferrovie dello Stato”.

I successivi governi sono stati frenetici nell’imporre l’austerità. Nel 2010, il governo socialdemocratico a guida PASOK ha lanciato un piano per tagliare di quasi il 40% la forza lavoro di “TrainOSE”: da più di 6.000 persone lavoratrici a circa 3.700. Nel decennio successivo, i governi di Nuova Democrazia e Syriza hanno tagliato ulteriormente la forza lavoro della rete ferroviaria nazionale, portandola alla quota odierna di 750 persone lavoratrici.

Un tweet del 2019 di Kostis Hatzidakis, Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali e Vice Presidente di ND, si vantava, di come “l’OSE era l’azienda più travagliata in Europa. Abbiamo implementato un piano di consolidamento che ha salvato centinaia di milioni [di euro] e ha reso Trainose redditizio. Grazie ai nostri interventi, la successiva privatizzazione della società è stata realizzata.”
SYRIZA ha svolto il ruolo più significativo, salito al potere nel 2015 promettendo di opporsi all’offensiva di austerità richiesta dall’Unione Europea, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Centrale Europea, ampiamente insultate come la “troika.” SYRIZA ha tradito questo mandato e ha intensificato l’imposizione dell’austerità. La società di manutenzione del materiale rotabile “EESSTY” è stata privatizzata dal governo SYRIZA nel 2017 e nel 2018.

I profitti sono stati raccolti mentre le misure di sicurezza di base sono state sacrificate. Il “Times”, citando un leader del sindacato ferroviario, ha riferito venerdì che “un sistema di sicurezza state-of-the-art era stato acquistato dal governo prima delle Olimpiadi di Atene del 2004, ma non è mai stato installato, lasciando il sistema ferroviario della Grecia “cieco”.

“The Guardian” ha riferito giovedi: “Un magistrato greco ha chiesto un’indagine urgente sulle accuse [fatte dalla Federazione dei dipendenti delle ferrovie] che un lungo tratto di ferrovia che porta all’aeroporto internazionale di Atene, utilizzato da milioni di turisti stranieri ogni anno, è gestito con segnali inadeguati.”
Giovedì, il capostazione, che non è stato nominato dalle autorità, è apparso di fronte al procuratore locale a Larissa ed è stato accusato di “aver premuto il pulsante sbagliato” per poi non riuscire a fermare i due treni dalla collisione.

Il “Times” ha riferito che nella sua “prima testimonianza, ha detto di aver “realizzato” il suo errore 12 minuti dopo aver autorizzato il treno passeggeri a lasciare la stazione nonostante un segnale di allarme rosso.” Il capostazione ha richiesto altri tre giorni per testimoniare.

Il suo avvocato Stefanos Pantzartzidis ha detto, “Il mio cliente ha accettato la responsabilità, ma lui da solo non è da biasimare. C’è un corollario di colpe che devono essere sondate. C’è stata troppa negligenza da parte dei funzionari.”

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Proteste, fughe e repressione in Russia – 4

Dal canale telegram di “Resistenza Femminista Anti-Militarista” (Feministskogo Antivoyennogo Soprotivleniya (FAS) (Феминистского Антивоенного Сопротивления (ФАС))

-“Popcorn Books”. Avviato il primo caso contro la “propaganda LGBT” (10 Gennaio)

“Popcorn Books” è stato denunciato dal deputato Khinstein della Duma di Stato. Egli era particolarmente indignato per il fatto che avessero messo una citazione della Costituzione sulle copertine dei libri gay.
“ “Popcorn Books” non solo ha continuato a vendere tali libri, ma ha anche iniziato a decorare palesemente le loro copertine con citazioni dell’articolo 29 della Costituzione, che garantisce la libertà di parola e proibisce la censura”, ha scritto il deputato.
Secondo Hinshtein, la casa editrice “ha sfidato apertamente lo Stato” e “dovrebbe avere ciò che si merita”.

-“È come portare di nuovo in grembo la tua bambina”. Monologo di Nadezhda Skokhilenko, madre di Sasha Skochilenko (15 Gennaio)

Abbiamo parlato con Nadezhda di cosa significhi essere la madre di un prigioniero politico russo. Come vive Nadezhda tutto questo? Di chi pensa sia la colpa dell’incarcerazione di Sasha? Ma la cosa principale di cui siamo riuscite a parlare è l’amore reciproco tra le persone, il mutuo aiuto e la gratitudine. Sasha Skochilenko è in detenzione preventiva da nove mesi. Sasha è stato imprigionata per una denuncia particolare: diffusione di propaganda [antimilitarista] e preceduto da un concerto contro la guerra – a cui ella ha partecipato.
Un prigioniero politico è una persona ingiustamente perseguitata dallo Stato.
Mia figlia è una di queste persone. Sasha non poteva tacere: come molte persone si è espressa contro la guerra. Si è espressa come persona creativa. Indipendente e intollerante alle ingiustizie. Sostituendo i cartellini dei prezzi nei negozi con informazioni su ciò che stava accadendo, voleva che la gente pensasse [ciò che stesse accadendo]. La capisco molto bene e anche se non abbiamo parlato di ciò che stava accadendo, sapevamo che ci sentivamo allo stesso modo. Sasha non ha discusso della sua azione con nessuno. Non ha bisogno di una guida o di un’affiliazione ad un’organizzazione per esprimere il suo pensiero.
Ora stanno cercando di “iscriverla” come membro di qualche associazione o di sottolineare la sua dipendenza da qualcuno. Ma mia figlia è una persona molto indipendente. Nella nostra famiglia non abbiamo mai cercato qualcuno da incolpare, ognuno faceva le cose per conto proprio e se necessario se ne assumeva la propria responsabilità. Le persone che litigano e cercano qualcuno da incolpare si dimenticano dei protagonisti di ciò che sta accadendo e si allontanano deliberatamente dalla situazione. Forse queste persone sono caratterizzate da azioni che possono essere compiute solo perdendosi nella massa.
Sasha è stata arrestata l’11 Aprile. È un’eternità, ma mi sembra ancora nitido, come ieri. Non pensavo che fosse minacciata da un articolo del codice penale. Ma dopo essere stata interrogata dagli investigatori, ho appreso che tutti gli ordini venivano dall’alto. Allora ho temuto di non poter fare nulla per proteggere mia figlia. E la mia bambina, con una salute così fragile, con un cuore caldo ma malato, avrebbe sopportato ingiustamente tutti gli orrori del carcere. Sasha è in detenzione preventiva da nove mesi.
Essere madre di un prigioniero politico significa attendere costantemente le udienze del tribunale, sperando in un cambiamento del destino. E ogni volta, alla fine, c’è [un senso di] vuoto e impotenza. E spesso disperazione. Aspettiamo le notizie sia dagli avvocati che ci hanno sostenuto per tanti mesi che queste sue lettere vive. È impossibile abituarsi. È come portare di nuovo la propria figlia dentro di sé, non si può lasciarla sola nemmeno per un minuto. Ora ci corrispondiamo tramite il servizio mail del Sistema Penitenziario Federale della Russia. Ogni settimana ricevo una risposta da Sasha. Scriviamo della vita, dell’amore, delle persone che abbiamo conosciuto attraverso gli scambi epistolari, del grande desiderio di abbracciarci quando ci incontreremo in futuro. Sulla pace, Sasha è una persona molto pacifica. Fin dall’infanzia, le cose più importanti per lei sono la musica, l’amore e le persone.
E lei mette tutto insieme in modo meraviglioso. Sa che ogni persona è un creatore. Ora Sasha ha unito un numero incredibile di persone!
Ha conquistato molti cuori con il suo sorriso durante le udienze. Le sue lettere aperte dal carcere vengono lette da persone famose e non. Molti scrivono di aver pianto per questo.
Sasha è ora una prigioniera politica molto famosa. Lei stessa è sorpresa di questa popolarità. Le dà un enorme sostegno, la fa sorridere. E fa andare avanti anche me. Quante persone meravigliose mi hanno inviato parole di sostegno. Sono molto grata che in questo momento difficile le persone trovino anche parole gentili per gli altri.
E sono molto grata a Sonya. La fidanzata di Sasha, fragile e vulnerabile, che fa di tutto per rendere più facile la permanenza di Sasha in carcere. I medici, le medicine, la dieta. Questa è solo la parte visibile del suo lavoro. Le vengono negate le visite per provocarle dolore. Sonya è anche la mia ragazza. E Lyosha, così poco appariscente ma così insostituibile. Tutte nel mio cuore. E nel mio cuore ci sono tutte queste belle persone, belle come mia figlia, oneste e sensibili. Tuttu lu prigionieru politicu hanno bisogno di sostegno – anche l’invio di lettere, la diffusione di informazioni e il sostegno materiale sono importanti. E che tuttu possano riavere il bene che non esitano a distribuire allu altru. Credo nelle persone e nell’amore.

-Discredito verso l’esercito russo da parte di un’attivista transgender di Kazan (23 Gennaio)

A causa di un nastro con i colori della bandiera ucraina, gli agenti del dipartimento di polizia di Mosca hanno redatto un rapporto amministrativo all’attivista transgender di Kazan, Sasha Kosareva, per “discredito” verso l’esercito . Lo riferisce il progetto OVD-Info.
Secondo l’attivista, due persone anziane l’hanno avvicinata per strada e hanno iniziato a insultarla a causa del nastro giallo e blu sul suo zaino. Uno degli uomini ha poi chiamato la polizia, che l’ha portata alla stazione di polizia.
Alla stazione di polizia, gli agenti hanno chiesto a Kosareva di rimuovere il nastro e hanno minacciato di strapparlo se si fosse rifiutata di farlo. L’attivista è stata quindi accusata di “screditare” l’esercito e rischia una multa dai 30.000 ai 50.000 rubli.
Un avvocato di OVD-Info, Maxim Ovchinnikov, si è recato alla stazione di polizia situata presso Kitay-Gorod (quartiere di Mosca, ndt) per vedere la detenuta.
Alle 00:55 Sasha Kosareva è stata rilasciata.

-Gli uffici di reclutamento militare disporranno di un database con dati completi sulle persone soggette al servizio militare e i posti di controllo alle frontiere saranno dotati di telecamere con sistemi di riconoscimento facciale. (19 Febbraio)

Il progetto “Faridaily” scrive di un database in cui vengono raccolti i dati delle persone soggette al servizio militare (dalla registrazione della residenza, ai numeri di telefono, allo stato di salute, ai dati lavorativi). Formalmente, il database dovrebbe essere operativo entro il 1° Aprile 2024, ma una versione di prova è già pronta e potrebbe essere già testata questa primavera se il Cremlino dovesse lanciare una nuova ondata di mobilitazione. Il database consentirà alle autorità di inviare rapidamente al fronte il giusto numero di cittadini. In sostanza, si tratta di creare un profilo digitale per ogni persona soggetta al servizio militare in Russia. Le informazioni contenute nel database saranno aggiornate quotidianamente. Putin ha firmato il decreto “Sulle risorse informative statali contenenti i dati sui cittadini necessari per l’aggiornamento dei documenti di registrazione militare” nel Novembre dello scorso anno. A quel tempo, la mobilitazione “parziale” in Russia, secondo le autorità, era terminata – anche se non c’era alcun decreto di conclusione, e una convocazione può arrivare per una persona soggetta al servizio militare in qualsiasi momento, anche ora. Il lavoro di digitalizzazione dei dati degli uffici di registrazione e arruolamento militare è “proprio alla fine”, anche se finora il database non funziona bene. Con l’aiuto del nuovo database, sarà più facile per le autorità impedire ai “renitenti alla leva” di lasciare il Paese. In autunno, le liste di coloro a cui è stato vietato di lasciare il Paese sono state inviate in modo disomogeneo ai posti di controllo di frontiera. Ad esempio, coloro che non hanno potuto recarsi in Georgia attraverso Verkhny Lars (valico al confine tra Georgia e Russia, ndt), sono riusciti comunque a recarsi in Kazakistan e in Bielorussia (le liste sono arrivate a Minsk con quasi due settimane di ritardo). Con il nuovo sistema, tutte le informazioni arriveranno subito alle guardie di frontiera. Le autorità prevedono, inoltre, di dotare i valichi di frontiera terrestri russi di telecamere collegate al sistema di riconoscimento facciale per impedire ai cittadini ricercati di lasciare il Paese. Finora anche le persone agli arresti domiciliari hanno potuto lasciare il Paese.

-Il Comitato investigativo apre un procedimento penale contro un medico per essersi rifiutato di partecipare alle azioni militari in Ucraina (20 Febbraio)

Come ha riportato Pavel Chikov, avvocato russo e attivista per i diritti umani, Denis Vasilyev, laureato nel 2022 all’Accademia di medicina militare con specializzazione in medicina generale, dall’estate dello scorso anno ha prestato servizio in una delle unità militari della Flotta del Nord.
Subito dopo l’assegnazione, Vasiliev ha presentato una lettera di congedo, ma non ha avuto il tempo di andare a causa dell’annuncio della mobilitazione parziale. La direzione del servizio medico della Flotta del Nord gli ha offerto un trasferimento presso l’isola “Terra di Francesco Giuseppe”, nel Mar Glaciale Artico; ma prima di ricevere l’ordine di trasferimento, è arrivato un nuovo ordine: la partenza per una zona di combattimento, che Denis Vasiliev ha rifiutato di eseguire a causa delle sue convinzioni personali.
Il 20 Gennaio 2023 è stato avviato un procedimento penale contro il medico ai sensi della parte 2.1 dell’articolo 332 del Codice penale (mancata obbedienza a un ordine durante il periodo della mobilitazione), che prevede la reclusione fino a tre anni.

-Due attiviste condannate per il caso di “fake news” (23 Febbraio)

A Sterlitamak, un tribunale ha condannato l’attivista 62enne Raisa Boldova (la donna a sinistra nella foto, ndt) per il caso “notizie false sull’esercito russo” e l’ha condannata a un anno di lavori correzionali, mentre lo Stato tratterrà il 15% del reddito della pensionata per sei mesi.
A Dicembre, durante un’udienza in tribunale, Boldova ha descritto il procedimento penale contro di lei come una violenza nei suoi confronti, dopodiché il tribunale l’ha sottoposta ad un esame psichiatrico. L’esame l’ha giudicata sana di mente. In precedenza, Boldova aveva difeso la cima del Kushtau e aveva partecipato alle manifestazioni contro il disboscamento della montagna.
A Novosibirsk, un tribunale ha condannato Elena Tardasova-Yun (la donna a destra della foto, ndt) a 11 mesi di lavori forzati per un caso di “fake news”. L’attivista è stata perseguita per il suo post su VKontakte sull’arrivo a Novosibirsk di migliaia di bare con i corpi di militari russi.
Il 2 Giugno, Tardasova-Yun è stata arrestata a Novosibirsk e il suo appartamento è stato perquisito. Ad Agosto, la polizia di Novosibirsk ha nuovamente arrestato l’attivista a Prokopyevsk (regione di Kemerovo). Tardasova-Yun è stata inserita nella lista dei ricercati federali quando è andata a trovare la sorella, anche se non era agli arresti domiciliari. L’attivista è stata successivamente ricoverata in ospedale per un mese, sottoponendosi ad un esame medico nell’ambito del procedimento penale. L’attivista è in detenzione preventiva dalla fine di Dicembre.

-L’ “ideologia childfree” deve essere vietata con urgenza. È stato presentato un disegno di legge alla Duma (28 Febbraio)

Un progetto di legge per proibire la propaganda childfree è stato preparato da una deputata del Parlamento, Elvira Aitkulova del Partito Russia Unita.
Secondo la deputata, l’idea di rifiutare consapevolmente di avere figli porta alla “degradazione” e allo “spopolamento”.
L’idea principale del disegno di legge è quella di proteggere i cittadini da “un sistema di idee e di valori estranei al popolo russo e distruttivi per la società russa come la coltivazione dell’egoismo, del permissivismo, dell’immoralità e la negazione degli ideali patriottici, del servizio alla Patria e della naturale prosecuzione della vita”.
Gli emendamenti alla legge “Sulla protezione dei bambini dalle informazioni dannose per la loro salute e il loro sviluppo” non sono stati proposti per la prima volta; la Duma di Stato li aveva già esaminati nel Settembre 2022. In quell’occasione, il disegno di legge era stato rinviato per la revisione.

-Febbraio dura un anno (dal giornale “Zenskaya Pravda”, n. 20, 23 Febbraio 2023)
di Redazionale di “Zenskaya Pravda”

La mattina del 24 Febbraio 2022 non è stato un bene per gli ucraini. Alcuni furono svegliati dalle telefonate ansiose dei parenti, altri dagli allarmi aerei e dai bombardamenti sulle loro case. Così è iniziata la Tragedia. E questa Tragedia si è protratta per un anno. Decine di migliaia di morti, centinaia di migliaia di mutilati, milioni di rifugiati. Destini distrutti, vite rubate… Chi aveva bisogno di tutto questo? Per quali grandi scopi avrebbe dovuto iniziare tutto questo?

“Se solo non ci fosse la guerra”: una frase così familiare a più di una generazione di russi. Fin dall’infanzia ci è stato insegnato a gioire della bellezza delle nostre città che l’esercito sovietico aveva difeso con le proprie vite nel 1945.
Perché ora la sete di sangue dovrebbe essere ora onorata?
“Kiev in tre giorni”, gridavano i funzionari eleganti dagli schermi televisivi, agitando i pugni. Avevamo bisogno di Kiev? Abbiamo vissuto e viviamo, pensando ai nostri affari, senza impicciarci di quelli altrui. [I burocrati] non hanno inviato i loro figli al fronte, non sono andati a morire in trincea, quindi non si sono [assunti la loro responsabilità]. È passato un anno.
Kherson è stata presa, è stata accettata in Russia con una tale fanfara… Kherson è andata perduta nessuno se ne è ricordato più. E quante persone sono state uccise… Perché? Per cosa? Non ci sono risposte.
Ogni tanto leggiamo quanti padri di bambini, medici e insegnanti sono stati mobilitati, come gli assassini e gli stupratori escono di prigione, riacquistano la libertà e sei mesi dopo tornano a casa, non nelle loro celle. E i nostri soldati tornano in bare di zinco.
Quanto durerà questo incubo? Quante morti insensate ci aspettano da entrambe le parti? Ci hanno detto che la Russia stava aiutando il popolo fratello a liberarsi da “un branco di nazisti”, ma non hanno chiesto il nostro aiuto.
E ora siamo in guerra, dicono, non con i nazisti, ma con l’intero “collettivo occidentale”. Hanno valori sbagliati e hanno il Dio sbagliato. Ma a noi cosa importa? Vivevamo in pace, e ora stiamo preparando le cassette di pronto soccorso per i nostri mariti e figli, e aspettiamo con ansia la seconda ondata di mobilitazione. Il Presidente dice che l’isolamento economico fa bene al Paese. Beh… Non paga la casa e le utenze e non va a fare la spesa. Tutto è diventato più costoso e di questi tempi i soldi sono pochi per le persone lavoratrici oneste. I prezzi delle farmacie sono saliti alle stelle, molte medicine sono finite. È spaventoso immaginare come andrà a finire. Cosa vedrà la generazione della pace? Non venite qui, non ascoltate questa musica, non guardate questo film. Persino Alla Pugacheva è caduta in disgrazia presso le autorità. E perché? Ha messo in dubbio le loro barbare decisioni. Studenti e pensionati sono stati multati per aver “screditato l’esercito russo”. E cosa c’è di così screditante nel comune desiderio di volere un cielo sereno? I funzionari e i giornalisti senza scrupoli sbavano: desiderano più morti e più sangue. In questo numero ricordiamo le storie più importanti e toccanti delle donne ucraine e russe di cui abbiamo scritto durante questo terribile anno: donne ucraine, rifugiate ed eroiche attiviste, donne russe che non hanno avuto paura di parlare contro la Tragedia.
La storia sanguinosa può essere scritta dagli uomini, ma al suo interno ci sono le storie delle singole donne che compongono il quadro della vita. È così che ricorderemo l’anno passato – la Tragedia. Solo domande senza risposte ed un orrore senza fine. Ma la speranza di un futuro più luminoso non svanisce mai. Le nostre famiglie hanno bisogno di noi, siamo il loro sostegno. L’importante è non soccombere alla frenesia sanguinaria e mantenere la bontà nei nostri cuori.

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L’anarchismo britannico soccombe alla febbre della guerra – Terza Parte

Seconda Parte

Internazionalismo della classe lavoratrice
La posizione di “nessuna guerra tranne la guerra di classe” non è una scappatoia, è un principio a lungo e a breve termine che nega la falsa scelta tra i “mali”. Per trasformarla in realtà dobbiamo essere ancora più attivi nell’incoraggiare l’internazionalismo nella classe operaia, nella misura in cui la gente comune si senta sufficientemente sicura, organizzata e sostenuta per resistere ai propri governi bellicosi e ai movimenti di liberazione nazionale”.
Organise! #52 (1999), Anarchist Federation

Non fraintendetemi, opponendoci alle guerre capitaliste non stiamo invocando la pace a tutti i costi. Non siamo pacifistu. Non ci può essere pace tra le persone finché una parte della società opprime e sfrutta il resto. La violenta imposizione del potere e della ricchezza è alla base di tutto nella nostra società e in tempi di guerra emerge in superficie come una terribile orgia di sangue. Una struttura di potere si scontra con un’altra; ma chiunque vinca, la nostra schiavitù continua. La nostra lotta è per rovesciare questi poteri e costruire nuove forme sociali senza gerarchie. Non saremo vittime passive della violenza: ogni lotta per la libertà deve difendersi quando è necessario. C’è una lunga storia di partigianu libertariu che hanno combattuto contro governi oppressivi ed occupanti. Milizie armate e unità di guerriglia che rispondono alle persone lavoratrici auto-organizzate (come i sindacati rivoluzionari e i consigli delle persone lavoratrici) sono sorte in tempi di rivoluzione sociale.1 Il popolo in armi”è la salvaguardia più sicura contro la controrivoluzione. Ma gli eserciti regolari – forze permanenti e specializzate che monopolizzano la violenza legittima con una disciplina gerarchica – sono una caratteristica del potere statale (e un elemento di base dello Stato in formazione).2

In Ucraina e in Russia non c’è rivoluzione, ma solo guerra. La guerra tra nazioni, quindi, deve essere trasformata in una lotta di classe aperta. Ciò inizia quando le persone lavoratrici rifiutano la tregua sociale all’interno della “propria” nazione e si organizzano sulla base della classe contro coloro che li opprimono e li sfruttano ogni giorno.3 Lu internazionalistu mirano a costruire la solidarietà tra le persone lavoratrici al di là delle frontiere, mentre si fa agitazione affinché i soldati fraternizzino, disertino e si ammutinino. Le infrastrutture militari possono essere sabotate, come è avvenuto per le ferrovie che collegano la Russia e la Bielorussia all’Ucraina.4 Si possono creare reti di mutuo soccorso, in modo che le persone possano sostenersi a vicenda per sopravvivere alla devastazione e alle difficoltà.5 È necessario dare sostegno ai renitenti alla leva, ai disertori, alle persone prigioniere e a quelle rifugiate.6 Tutti questi sforzi vitali e le nuove forme emergenti di lotta sociale dovrebbero essere organizzati dal basso, indipendentemente da tutte le strutture statali, militari e aziendali. Lu anarchicu possono prendere l’iniziativa di agitare e organizzare tali attività, sostenendo l’internazionalismo della classe operaia e opponendosi alle misure autoritarie dello Stato militarizzato.

Le persone lavoratrici di tutto il mondo possono intensificare la lotta latente nei loro luoghi di lavoro e nelle loro comunità, intraprendendo azioni dirette contro le industrie belliche e il commercio di armi attraverso scioperi, boicottaggi e sabotaggi. È indispensabile opporsi alla guerra e alla militarizzazione in Gran Bretagna e in Europa, resistendo alla generalizzazione della guerra. L’azione diretta è già utilizzata efficacemente dallu attivistu contro le aziende produttrici di armi legate alle Forze di Difesa di Israele, ad esempio.7 Dobbiamo collegare la lotta di classe in Gran Bretagna, che attualmente sta crescendo di intensità a causa della crisi del costo della vita, alle lotte affrontate dalla classe operaia in Ucraina e in Russia. “NWBCW Liverpool” ha organizzato delle agitazioni su questa base nei picchetti in tutto il Merseyside durante l’attuale ondata di scioperi. Dobbiamo diffondere le informazioni sulle lotte quotidiane e sugli atti di ribellione emergenti nei territori in guerra e trovare modi per sostenerli nella pratica.8 Nel frattempo possiamo cercare di assistere le persone che fuggono dalla guerra, siano esse rifugiatu civili o disertori militari.9 L’ “Iniziativa di Solidarietà Olga Taratuta” in Francia offre un buon esempio di questo tipo di supporto pratico. Questo dovrebbe rafforzare una lotta più ampia contro il regime di frontiera della “Fortezza Europa” e la politica di “ambiente ostile” (politiche stringenti sull’immigrazione in Gran Bretagna che fanno sì che i datori di lavoro, i proprietari di case, il personale del servizio sanitario nazionale e altri dipendenti pubblici debbano verificare lo stato di immigrazione prima di offrire un lavoro, un alloggio, assistenza sanitaria o altro tipo di assistenza, ndt) della Gran Bretagna. Alcunu anarchicu in Gran Bretagna hanno intrapreso questo percorso di internazionalismo della classe operaia – come Anarchist Communist Group, Liverpool Solidarity Federation,10 e AnarCom Network – ma sono una minoranza

L’invasione russa dell’Ucraina e l’impoverimento della classe operaia in Gran Bretagna sono entrambi prodotti dello stesso sistema capitalista in crisi. E questa crisi capitalista può essere superata solo dalla lotta rivoluzionaria della classe lavoratrice internazionale. Se la lotta rivoluzionaria e la solidarietà internazionale della classe lavoratrice non si sono ancora sviluppate, è nostro compito contribuire a realizzarle.11 Ciò che è stato detto dallu anarchicu durante la prima guerra mondiale non è meno veritiero di oggi: “Il ruolo degli anarchici nell’attuale tragedia, qualunque sia il luogo o la situazione in cui si trovino, è quello di continuare a proclamare che vi è una sola lotta di liberazione: quella che è combattuta in tutti i paesi dagli oppressi contro gli oppressori, dagli sfruttati contro gli sfruttatori. Il nostro compito è quello di fare appello agli schiavi perché si ribellino contro i loro padroni.12 Diserzioni, ammutinamenti, scioperi di massa e sconvolgimenti rivoluzionari internazionali portarono alla fine della guerra.

In Gran Bretagna siamo al centro dell’economia capitalista globale e dell’imperialismo della NATO; farsi prendere dalla febbre della guerra in questo momento è disastroso. La lotta di classe è già in atto da parte dei nostri padroni, banchieri, oligarchi e dei loro lacchè al governo: possiamo reagire o andare al macello.

Ulteriori letture

~ Guerra in Ucraina e diserzione: intervista con il gruppo anarchico “Assembly” di Kharkiv, Commissione Relazioni Internazionali della Federazione Anarchica Italiana -FAI

~ ‘An interview with anarchosyndicalists from Russia: no war but the class war!’, Grupo Moiras.

~ ‘Anarchist Antimilitarism and Myths About the War in Ukraine’, Alcuni anarchici dalla regione dell’Europa centrale Some Anarchists from the Central European Region.

~ Notizie da parte di Assembly riguardo azioni dirette contro la guerra e lotta sociale in Ucraina e Russia. [in inglese]

~ ‘Against Nationalism’, Anarchist Federation.

Note

1La formazione di milizie da parte della CNT-FAI in Spagna, nel Luglio 1936, prima della loro regolarizzazione nelle forze armate della Repubblica, ne è un buon esempio.

2Ad esempio, la regolarizzazione delle milizie anarchiche [vedi nota precedente] nelle forze armate della Repubblica borghese-stalinista, insieme al disarmo dei Consigli di Difesa cittadini della CNT, fu una tappa fondamentale della controrivoluzione e del rafforzamento del potere statale nella guerra civile spagnola.

3Si veda, ad esempio, “Wildcat strikes in Ukraine on both sides of the front line”, Assembly. https://libcom.org/article/wildcat-strikes-ukraine-both-sides-front-line

4Si veda anche l’incendio degli uffici di reclutamento militare in tutta la Russia e la campagna di sabotaggio della “Organizzazione combattente anarco-comunista” (BOAK).

5“Solidarity Collectives” e Assembly hanno entrambi organizzato attivamente gli aiuti umanitari per i civili.

6I soldati saranno più propensi a rifiutarsi di combattere se sanno che ci sarà una rete di supporto che li aiuti ad affrontare le conseguenze (o che li aiuterà ad evitarle). La persecuzione e l’abuso dei disertori e degli obiettori di coscienza sono già iniziati. Vedi, “Repression against those who do not want to fight”, KRAS. https://aitrus.info/node/6044

7Anche se non sono pienamente d’accordo con la loro linea politica, “Palestine Action” è un buon esempio del potenziale dell’azione diretta. https://www.palestineaction.org/news/

8La sezione dedicata ad Assembly sul blog di Libcom è una buona fonte di informazioni su questo argomento. https://libcom.org/tags/assemblyorgua

9L’Iniziativa antimilitarista riferisce che “Almeno 200.000 persone stanno fuggendo dalla Russia per sottrarsi alla mobilitazione militare di Putin, e altre decine di migliaia stanno evitando la mobilitazione in Ucraina. Eppure alcune voci sostengono che “il numero dei disertori è così trascurabile che non se ne dovrebbe neanche parlare”. Questi cinici tentativi di “rendere invisibili” le persone che scelgono di non prestare servizio nell’esercito, di disertare o di emigrare in altri paesi per motivi politici, devono essere contrastati. La loro voce deve essere ascoltata e devono poter ricevere un aiuto concreto”. https://antimilitarismus.noblogs.org/post/2022/09/12/appeal-days-of-international-solidarity-with-deserters

10Liverpool SolFed ha fondato “No War But the Class War – Liverpool”, insieme Communist Workers’ Organisation. https://nwbcwliverpool.wordpress.com

11Alcunu anarchicu hanno giustificato la collaborazione [con lo Stato] sostenendo che la mancanza di un forte movimento rivoluzionario in Russia o in Ucraina renderebbe impraticabile un approccio anarchico (internazionalista). Ma questa logica porterebbe lu anarchicu ad abbandonare l’anarchismo, preferendo e scegliendo così una fazione della classe dominante ogni volta che le circostanze [lo permettano] (cioè in ogni momento storico decisivo). L’anarchismo si trasformerebbe così in una politica liberale e riformista.

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L’anarchismo britannico soccombe alla febbre della guerra – Seconda Parte

Prima Parte

 

 

Guerra e lotta rivoluzionaria
Lu anarchicu che sostengono l’Ucraina hanno rivelato una grande confusione su come ci rapportiamo alla guerra come anarchicu. Alcunu mantengono la loro retorica contro la guerra pur sostenendo una parte contro un’altra. Altru confondono la guerra con la lotta per la libertà. Altru ancora abbracciano pienamente la [propaganda] guerrafondaia, giustificando il tutto con l’opposizione alla Russia.

Peter Ó Máille (redattore della rivista “Organise!”) si dissocia in modo superficiale dall’antimilitarismo della classe operaia affermando che “per l’anarchico c’è solo una guerra che conta ed è la guerra di classe, tranne quando non c’è. Ci sono fascisti che vanno combattuti, ci sono despoti, tiranni e imperi. Non se ne andranno a casa grazie alla vostra petizione piena di parole forti”.1 Siamo sicuramente d’accordo sulla necessità di lottare contro i tiranni come Putin, ma il nocciolo della questione è il mezzo con cui farlo. E qui troviamo travisamenti e confusione. La guerra tra nazioni e la “guerra di classe” sono distinte nel loro genere. Lu anarchicu sono contrariu alla guerra nel senso di conflitto militare intrapreso dall’autorità politica. “Guerra di classe” è un termine figurato, che si riferisce alla lotta tra classi inquadrata nelle relazioni sociali capitalistiche. La lotta di classe rivoluzionaria è lo sforzo collettivo della classe operaia per trasformare quei rapporti sociali che non possono essere modificati dalla guerra in senso proprio. La guerra, infatti, consacra nel sangue questi rapporti sociali.

La guerra è stata trattata, in generale, non come una guerra tra due Stati, ma come una lotta per la libertà dell’Europa orientale.2 La vittoria della Russia rafforzerebbe il suo regime totalitario all’interno e incoraggerebbe l’ulteriore sottomissione dei suoi vicini, mentre la sconfitta della Russia, ci viene detto, inciterebbe il crollo del governo di Putin e rafforzerebbe la governance democratica nella regione, mantenendo condizioni favorevoli per la lotta sociale. Qui è chiaro che i metodi e i principi dell’anarchismo sono stati completamente scartati a favore della dottrina dell’umanitarismo militare (esemplificata dagli interventi della NATO nel Sud globale e nei Balcani). Con l’adozione di tale logica, era solo questione di tempo prima che lu anarchicu cominciassero a chiedere ai Paesi membri della NATO di inviare più aiuti militari all’Ucraina (o a lamentarsi della loro esitante mancanza).

Gli esiti politici, sociali ed economici della guerra sono imprevedibili. Non è improbabile che l’Ucraina esca dalla guerra come uno Stato autoritario, un partner attivo dell’imperialismo militare della NATO e altamente suscettibile alle ideologie di estrema destra, i cui fanatici saranno stati rafforzati dalla guerra in più di un modo. Anche se la democrazia liberale sopravvivesse in Ucraina, non c’è garanzia che queste condizioni siano favorevoli alla lotta di liberazione. Uno Stato democratico che gode del sostegno popolare avrà la libertà di reprimere tranquillamente le ribellioni del dopoguerra e di sedare le agitazioni industriali. I malcontenti anarchici saranno facilmente inquadrati come separatisti e sabotatori sostenuti dalla Russia, o semplicemente ignorati nell’ondata di patriottismo e di desiderio di ritorno alla normalità e alla stabilità che potrebbe seguire ad una vittoria militare. In ogni caso, si tratta di pura speculazione e non di una base solida per la classe operaia di sacrificarsi allo sforzo bellico.

Lu anarchicu hanno sempre capito che la trasformazione sociale che desideriamo non può avvenire per mezzo dello Stato o di forze militari di qualsiasi tipo, ma deve svilupparsi dal basso verso l’alto all’interno delle stesse persone oppresse e sfruttate. Le guerre possono solo imporre una nuova forma di autorità, anche se questa nuova autorità è un male minore. Rimandare la lotta contro il capitalismo e lo Stato alla fine di una guerra “vittoriosa” non fa altro che garantire il permanere delle condizioni per ulteriori guerre e oppressioni, minando la lotta contro di esse. La guerra non è uno strumento di liberazione. Così come usiamo l’azione diretta, l’auto-organizzazione, il mutuo soccorso e il sabotaggio per perseguire i nostri fini rivoluzionari, questi stessi mezzi possono essere usati per indebolire tiranni e invasori, senza facilitare altre forme di dominio.

Azione che scaturisce da un principio
La coerenza tra mezzi e fini è una nozione fondamentale per l’anarchismo. I principi che ci guidano e i metodi che utilizziamo sono un filo continuo che collega le nostre lotte parziali di oggi con la rivoluzione sociale che cerchiamo di accelerare e la società libera che ne nascerà. Un’azione ispirata ai [nostri] principi è alla base di tutto ciò che facciamo. Nel difendere un’azione militare statalista, lu anarchicu si sono imbattutu in contraddizioni di fondo. Questo è stato risolto con una serie di falsificazioni e concessioni.

L’antimilitarismo, l’internazionalismo e così via sono tutti molto belli in teoria, ci dicono, ma alla fine sono astrazioni vuote. 3 Semplicemente non sono applicabili alla realtà che lu anarchicu affrontano sul campo. Qui vediamo la separazione tra teoria e pratica. Siamo portati a credere che la teoria appartenga ai libri mentre i piani e le pratiche dellu anarchicu sono guidatu dalla forza delle circostanze. Il male minore sostituisce qualsiasi obiettivo autodeterminato come punto di riferimento, mentre la convenienza diventa la misura di ogni scelta. La necessità giustifica tutto, alla fine.

Ciò che si dimentica è che la teoria e la pratica dell’anarchismo sono attinte l’una dall’altra in un costante processo di sviluppo reciproco. È dall’esperienza – di successi e sconfitte, di guerre e di pace, di rivoluzione e di reazione – di generazione in generazione, in tutto il mondo, che abbiamo coltivato un metodo di libertà: l’anarchismo. È falso contrapporre i principi al pragmatismo, perché i nostri principi sono precisamente la cristallizzazione di ciò che funziona.4 Ci possono essere opzioni più attraenti a breve termine, in relazione a interessi più immediati, ma queste ci allontaneranno dai nostri obiettivi. Lu anarchicu, ad esempio, rifiutano di agire all’interno delle strutture statali o di collaborare con le forze statali non per obbedienza a un dogma indiscutibile, ma perché sappiamo che con questi mezzi non faremo altro che perpetuare il potere dello Stato, che la nostra lotta sarà recuperata in canali politici e rimodellata dalle pressioni istituzionali. Lo sappiamo sia attraverso l’analisi astratta dello Stato moderno, sia attraverso le esperienze di individui, organizzazioni e interi movimenti.

Questa consapevolezza era al centro della Anarchist Federation. Ora denigrano apertamente i principi anarchici etichettandoli come “slogan” usati per eludere l’analisi critica, provocare reazioni emotive e chiudere il dibattito. L’agitazione antimilitarista viene paragonata alle pratiche manipolative e autoritarie dei Brexiteers e dell’estrema destra.5 Questo semplicemente non riflette la realtà del lavoro di propaganda dei gruppi “No War but the Class War”, per i quali questo slogan è solo un’intestazione.6 Nel frattempo, il direttore della loro rivista teorica Organise! afferma che “dubito che la teoria funzioni dopo la prima raffica di artiglieria sul quartiere”.7 In tal caso, tanto vale rinunciare e indossare la divisa kaki (mettersi l’uniforme, ndt). L’anarchismo, concludono, non è altro che un idealismo ingenuo, appartenente a un mondo più pacifico del nostro. Direi, al contrario, che è proprio in questi tempi di conflitto più acuto, di posta in gioco ed elevate minacce mortali che imparare dal nostro passato è più vitale che mai. E direi che, lungi dal limitarci a condizioni ideali, il movimento anarchico ha una forte tradizione di antimilitarismo in tempi di guerra, così come di sforzi eroici e costruttivi nei momenti più profondi di crisi e di disastro.

Una volta separati i metodi dagli obiettivi, le idee dalle azioni, rimane solo la regola della convenienza: il mezzo più efficiente per raggiungere gli obiettivi immediati, indipendentemente da altre considerazioni. Se la vittoria militare dell’Ucraina e il crollo del governo di Putin vengono prima di ogni altra cosa, allora ci sono modi molto più efficaci per perseguire questo obiettivo che formare unità di difesa territoriale “antiautoritarie” ideologicamente vincolate e composte da volontari con poca o nessuna esperienza di combattimento. È del tutto logico che lu anarchicu e lu altru attivistu di sinistra che combattevano in guerra si sentissero frustratu dal ruolo ausiliario e dalle limitazioni burocratiche affrontate nel “plotone antiautoritario” e si disperdessero in unità di combattimento più efficaci dell’esercito, più vicine alla linea del fronte. E poiché “i fascisti sono molto meglio organizzati nelle file dell’esercito ucraino” 8 – condividendo anche la motivazione di combattere in prima linea – è prevedibile che “i tentativi di ottenere un posto nei ranghi militari abbiano portato [i combattenti antiautoritari] direttamente alle unità collegate ai gruppi fascisti ucraini”9 e “in un modo o nell’altro, diventano forze che sostengono lo sviluppo della politica di estrema destra in Ucraina”10. Questo è il risultato logico della rinuncia ai principi anarchici per le esigenze pratiche dello sforzo bellico.

Nel nostro contesto, la febbre della guerra che ha colpito l’anarchismo britannico porterà probabilmente a sostenere l’intervento militare britannico (attraverso aiuti militari e supporto tecnico, se non un vero e proprio coinvolgimento in combattimento) e, per estensione, l’imperialismo della NATO. È attraverso questi mezzi che l’Ucraina sarà in grado di sconfiggere la Russia. Dato che i membri della NATO sono attualmente esitanti ad un’escalation di conflitto diretto tra potenze nucleari, alcunu anarchicu si trovano nell’assurda posizione di essere più desiderosu della generalizzazione della guerra imperialista delle loro stesse classi dirigenti. Lu anarchicu si arruoleranno nell’esercito britannico per andare a uccidere i russi? Non abbiamo nessun parlamentare anarchico che voti per i crediti di guerra, almeno.

Il male minore
Nella nostra condizione proletaria di espropriazione, di esautorazione e di alienazione, tutta la nostra vita si è ridotta alla ricerca del male minore. Guardando alla brutale invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ai crimini di guerra che ha perpetrato e alla dura repressione inflitta ai suoi stessi cittadini, potremmo identificare la difesa nazionale dell’Ucraina come il male minore. Tuttavia, riconoscere che esiste un male minore non significa, senza ulteriori ragioni, che dovremmo sostenerlo. E, da una prospettiva anarchica, non possiamo trovare alcuna buona ragione per collaborare con nessuno dei due Stati. Allo stesso tempo, rifiutare di sostenere uno Stato contro un altro non significa equiparare le due parti. Non diciamo che le due parti siano uguali, semplicemente che nessuna delle due ha qualcosa da offrire alla classe operaia.11 Le diverse strutture e forze di oppressione devono essere analizzate nella loro particolare natura e l’azione può essere focalizzata su un aspetto piuttosto che su un altro, senza ricorrere alla collaborazione.

Il male minore è sempre un male. Nel difendere il suo territorio, lo Stato ucraino non si è trasformato in una forza del bene. Mentre la guerra infuria, la classe capitalista ucraina non ha fatto altro che intensificare lo sfruttamento e l’abuso verso i lavoratori e le lavoratrici, sostenuta da nuove restrizioni all’azione industriale e dallo smantellamento dei diritti del lavoro.12 Cioè per coloro che non sono stati arruolati nei campi di battaglia. La coscrizione è una forma di schiavitù, a cui bisogna opporsi a tutti i costi. Le frontiere ucraine sono state chiuse a tutti gli uomini in età di leva (una categoria in cui sono state incluse le donne trans, cancellando la loro identità) per consentire l’arruolamento di carne da cannone. Nel frattempo, l’Ucraina contribuisce alla guerra genocida nel Tigray, fornendo supporto all’uso di droni da parte dell’esercito etiope.13 Lungo la strada del male minore, le condizioni politiche ed economiche che producono guerra e dittatura continueranno a perpetuarsi; “si dimentica che scegliere un male – anche se è un male minore – è il modo migliore per prolungarlo”.14

Dobbiamo scegliere le nostre battaglie. La minaccia della cooptazione e della contro-insurrezione ci nega la possibilità di combattere alle nostre condizioni. Sia che si tratti di spingere i movimenti sociali nel cimitero elettorale, sia che si tratti di spingere la ribellione nel campo del conflitto militare, la nostra vera forza sociale viene meno, lasciandoci un’opposizione controllata o un nemico simmetrico dello Stato che può essere isolato e schiacciato. La forza dell’anarchismo – ciò che lo ha reso una forza veramente sovversiva al di fuori e contro ogni sistema di autorità – è che lu anarchicu hanno costantemente lottato per combattere alle proprie condizioni, anche se ciò significava affrontare l’emarginazione o la soppressione. Se all’inizio parliamo da solu con la voce dell’internazionalismo rivoluzionario, la marea può rapidamente invertirsi – una marea che non di rado si alza verso la fine e all’indomani della guerra.

Né Oriente né Occidente
Moltu anarchicu in Ucraina e in tutta l’Europa orientale si sono schieratu a favore dello sforzo bellico dell’Ucraina. Questo crea una tensione con l’agitazione antimilitarista e internazionalista in Gran Bretagna e nel mondo. Come dice Peter Ó Máille, “non riuscite proprio a sopportare di ascoltare gli anarchici dell’Europa orientale, eh? […] Vi dimenticate di ascoltare i fottuti locali mentre [vi] comportate come il Politburo dell’Anarchismo. Per favore, gentilmente, chiudete quella cazzo di bocca”.15 Nel frattempo, Zosia Brom si lamenta del “westplaining”, ovvero la spiegazione da parte della sinistra occidentale della propria realtà agli europei dell’Est. Dovremmo “essere informati che molte persone di sinistra dell’Europa dell’Est sono sulla stessa lunghezza d’onda, e ne stiamo discutendo da un po’ di tempo”.16

In questo modo, il dibattito tra anarchici bellicisti e anarchici antimilitaristi si trasforma in un confronto tra l’Europa occidentale e l’Europa orientale, tra l’ignoranza e l’arroganza degli occidentali da un lato e il “consenso” pro-Ucraina nell’Europa orientale dall’altro. Si tratta ovviamente di un espediente retorico per sminuire qualsiasi critica. In realtà, moltu anarchicu dell’Europa orientale, tra cui alcunu nella stessa Ucraina, hanno risposto all’invasione russa con una propaganda e un’azione internazionalista e antimilitarista. Il collettivo anarchico dietro la rivista Assembly, con sede a Kharkiv, in Ucraina, ha resistito all’impulso del militarismo nazionalista e ha scelto di concentrarsi sull’aiuto reciproco, sulla controinformazione e sul conflitto di classe. Tutte le sezioni anarcosindacaliste dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (International Workers’ Association – IWA) della regione – in Polonia17 Slovacchia,18 Serbia,19 e Russia20 – hanno preso una chiara posizione a favore dell’internazionalismo rivoluzionario. Un’ “Iniziativa antimilitarista” con sede nell’Europa centrale è stata lanciata in risposta all’impennata del militarismo in Europa, non da ultimo nel movimento anarchico. Saranno anche una minoranza, ma lu anarchicu non hanno fiducia nelle virtù intrinseche di nessuna maggioranza. C’è anche un problema di eurocentrismo nella dicotomia Est versus Ovest, poiché le reazioni internazionaliste all’invasione dell’Ucraina sono visibili in tutto il mondo.

Anche in assenza di tali esempi concreti, dovremmo essere scettici nei confronti di chiunque pretenda di parlare a nome di un’intera regione, come se lu anarchicu dell’Europa orientale fossero un collettivo omogeneo con un unico consenso di opinione. La logica stessa della rappresentazione deve essere esaminata dallu anarchicu. Chi parla a nome della regione “estrae solo una tendenza dall’insieme a più dimensioni e ignora o minimizza le altre”.21 Al contrario, “cerchiamo di ascoltare il maggior numero di voci possibile, ma sosteniamo solo quelle che riteniamo costruttive. Altre le critichiamo e ci rifiutiamo di sostenerle. In breve, percepiamo tendenze diverse e cerchiamo di non sostenere la propaganda di guerra che ritrae la popolazione ucraina come una comunità unita che chiede all’unanimità il coinvolgimento nella guerra”.22 Dobbiamo ascoltare, sì, ma anche pensare con la nostra testa.

Rifiutiamo totalmente la costruzione di un paradigma “noi e loro” tra Europa orientale ed Europa occidentale. Ci relazioniamo come individui e collettivi sulla base di lotte e principi condivisi, non come blocchi geopolitici. Il KRAS (la sezione russa dell’IWA) è stato diffamato e i suoi membri sono stati oggetto di doxing (pratica che consiste nel pubblicare dettagli personali di una persona come numeri di telefono o indirizzo per renderla oggetto di attacchi fisici e molestie, ndt)23 per non essersi allineati al presunto “consenso” pro-Ucraina, nonostante i loro sforzi contro la guerra. Uno degli autori del doxxing è stato in seguito ospitato in Gran Bretagna sulla rivista Freedom,24 in un’intervista sulla defunta RKAS dell’Ucraina, un’organizzazione accusata di dinamiche autoritarie simili ad una setta e di simpatie nazionaliste, i cui membri si sono dispersi nel conflitto tra lo Stato ucraino e i separatisti del Donbass.25Allo stesso tempo, i redattori di Freedom si sono rifiutati di pubblicare qualsiasi cosa contraria alla loro linea pro-Ucraina.26 Questo tipo di tribalismo può distruggere i movimenti internazionali.

Continua nella Terza Parte

Note

2Vedi ad esempio, “Why Do Anarchists Go To War?”, by RevDia, March 2022. apparso su Organise! #96. https://organisemagazine.org.uk/3d-flip-book/organise-96-plus/

3Ad esempio, “L’analisi [internazionalista] è […] piena di astrazioni e irreale al livello reale, da dove gli anarchici ucraini chiedono il nostro aiuto pratico, compreso l’equipaggiamento militare”. Citato da “Ukraine – Anarchist Approaches” in Organise! #96. https://organisemagazine.org.uk/3d-flip-book/organise-96-plus

4‘Pragmatism as Ideology’, Joseph Kay. https://libcom.org/article/pragmatism-ideology

5The Trouble With Slogans’, Emma Hayes, Organise! #96. https://organisemagazine.org.uk/3d-flip-book/organise-96-plus

6Si veda l’elenco delle posizioni internazionaliste della NWBCW di Liverpool.
https://nwbcwliverpool.wordpress.com/internationalist-positions/

8“A political and personal statement as well as a review of our solidarity work around the war in Ukraine so far”, Anarchist Black Cross Dresden. https://enoughisenough14.org/2022/12/04/a-political-and-personal-statement-as-well-as-a-review-of-our-solidarity-work-around-the-war-in-ukraine-so-far-anarchist-black-cross-dresden

9Ibid.

10Ibid.

11“Il nazionalismo non può offrire nulla se non una serie di ulteriori conflitti, che sembrano destinati ad aumentare di numero e di gravità con l’aumentare della competizione nazionale per le risorse energetiche mondiali in via di esaurimento. Quando il conflitto viene inquadrato in termini nazionali – inteso come conflitto tra una nazione oppressa e una oppressora – la classe operaia necessariamente ci rimette”. https://theanarchistlibrary.org/library/anarchist-federation-against-nationalism

12“Ukraine’s anti-worker law comes into effect”, openDemocracy. https://www.opendemocracy.net/en/odr/ukraine-labour-law-wrecks-workers-rights

13“La Turchia, membro della NATO, vende al governo etiope droni i cui motori sono prodotti in Ucraina, a Kiev. Il governo ucraino, che pure è sotto la minaccia dell’imperialismo, non ha esitato a fornire assistenza post-vendita e a inviare tecnici mercenari per insegnare all’esercito imperialista etiope come usare questi droni contro le popolazioni del Tigray”. http://cnt-ait.info/2022/02/27/tigre-ukraine

16“Fuck Leftist Westplaining”, Zosia Brom. https://freedomnews.org.uk/2022/03/04/fuck-leftist-westplaining

17“Against the War!”, ZSP. https://zsp.net.pl/przeciw-wojnie. See also, anti-war actions in front of Russian and Ukrainian embassies. https://zsp.net.pl/anti-war-actions

19“Let’s turn capitalist wars into a workers’ revolution!”, ASI. https://iwa-ait.org/content/lets-turn-capitalist-wars-workers-revolution

20‘No War!’, KRAS. https://aitrus.info/node/5921

21“Anarchist Antimilitarism and Myths About the War in Ukraine”, Some Anarchists from the Central European Region. https://theanarchistlibrary.org/library/anonymous-anarchist-antimilitarism-and-myths-about-the-war-in-ukraine#toc28

22Ibid.

23“Again about “anarchists” who forget the principles”, KRAS. https://iwa-ait.org/content/again-about-anarchists-who-forget-principles

24““Leftists” outside Ukraine are used to listening only to people from Moscow: Interview with anarcho-syndicalists in Eastern Ukraine”. https://freedomnews.org.uk/2022/10/04/leftists-outside-ukraine-are-used-to-listening-only-to-people-from-moscow-interview-with-rkas-anarcho-syndicalists-in-eastern-ukraine

25“Caution: platformist party and psychosect in one bottle!”, Eretik. https://eretik-samizdat.blogspot.com/2013/01/caution-platformist-party-and.html

26Vedasi “Fuck Leftist Westplaining”, by Zosia Brom. https://freedomnews.org.uk/2022/03/04/fuck-leftist-westplaining/

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L’anarchismo britannico soccombe alla febbre della guerra – Prima Parte

Premessa del Gruppo Anarchico Galatea
Ad un anno dalla guerra, il movimento anarchico di lingua italiana si ritrova frammentato tra posizioni molto differenti e confuse.
Questa frammentazione, come abbiamo più volte scritto nei nostri articoli, era già iniziata tempo addietro, ed è esplosa definitivamente nel periodo 2020-21 in merito alle questioni dei lockdown, delle zone a colori, del green pass e del cosiddetto “obbligo vaccinale”.
Il movimento anarchico è influenzato dalle dinamiche sociali e culturali.
I tempi che stiamo vivendo ci stanno “deliziando” con una progressiva desensibilizzazione riguardo ciò che accade nel mondo: tra instupidimento di massa che forse non ha precedenti nella storia umana fino alla creazione di un binarismo rigido, creato ad arte e che mira a dividere le persone in due tifoserie opposte e complementari (utilizzando la retorica dei buoni vs cattivi). L’abbiamo visto nelle fasi più delicate della pandemia da Covid-19 e in altre questioni più recenti come, per l’appunto, il conflitto russo-ucraino o, nel caso prettamente italiano, il 41 bis.
Queste mosse binarie rendono incapaci, culturalmente parlando, gli individui nel riuscire a leggere una realtà che, di per sé, è ricca di sfumature e non racchiudibile in categorie binarie opposte tra loro.
Nel caso del conflitto russo-ucraino, si sono giustificate prese di posizione da parte di alcuni pezzi del movimento anarchico ucraino a favore dello Stato Ucraino; ciò ha portato i primi ad ignorare, volutamente o meno, che porsi sotto l’istituzione statale, seppur utilizzando la retorica della “guerra popolare antifascista”, significhi nei fatti aderire alla sua gerarchia e annichilire qualsiasi tentativo di liberazione sociale ed economica.
Chi dice che ciò è meglio di niente, mette sotto il tappeto il razzismo, la transfobia o il destino riservato ai disertori da parte dello Stato ucraino.
L’articolo di cui andiamo a presentare la traduzione ci offre una panoramica su come il movimento anarchico inglese si sia spaccato a metà e abbia assimilato, allo stesso tempo, concetti e pratiche che appartengono più a politiche autoritarie (liberali, marxiste-leniniste etc) che anarchiche.
Questa spaccatura, insieme al sostegno verso una parte militare in guerra, fa da pericoloso apripista politico a posizioni ben peggiori di quelle rappresentante nel “Manifesto dei Sedici” di 107 anni fa: a furia di assorbire negli anni determinate analisi, parole d’ordine e pratiche estranee all’anarchismo (come il campismo), non si vede veramente ciò che succede nei territori in guerra, diventando così incapaci di sostenere a livello pratico chi vive costantemente nel pericolo.

Traduzione dall’originale “British Anarchism Succumbs to War Fever

Una polemica contro l’ondata di militarismo vista all’interno del movimento anarchico in Gran Bretagna a partire dall’invasione russa in Ucraina del Febbraio 2022.

In astratto, chiunque è contro la guerra – persino gli amministratori dell’industria delle armi possono raccontarsi di star meramente fornendo armi per la difesa atti a [mantenere] l’ordine globale, come deterrente alla guerra e così via. Ma quando la guerra scoppia, questo sentimento diventa irrilevante.
Che si ami o meno la pace, la guerra arriva; [a quel punto] o sei con la tua nazione ed il tuo popolo, o contro di loro. La pace arriverà con la vittoria. In ogni caso, la tua parte è la parte giusta, perché lotta per la libertà e la giustizia, la democrazia e la stabilità, perché i nemici sono aggressori, per di più tiranni e diavoli. Così il bagno di sangue viene facilmente santificato.
L’anarchismo spezza in due queste mistificazioni. Lo diciamo per come lo vediamo: le persone lavoratrici di nazioni differenti sono mandate a massacrarsi l’un l’altra nell’interesse dei loro governanti. L’antimilitarismo è un principio cardine dell’anarchismo. Intendiamo gli eserciti come una forza violenta che sostiene l’autorità politica (o coloro che la vogliono conquistare). Sottolineiamo il ruolo della forza militare nella soppressione delle insurrezioni e degli scioperi in madrepatria, mentre all’estero impone gli interessi nazionali, impone in maniera coatta i mercati capitalistici e governa le colonie. Ricerca e produzione militare sono un investimento altamente remunerativo di capitali privati e fondi pubblici, e non in ultimo una fonte sussidiaria di sviluppo tecnologico (al fine del controllo sociale e per generare profitti). Consideriamo come il sistema militare, fatto di disciplina e di una stretta gerarchia, insieme alla sua cultura sciovinista e di deumanizzazione 1, spezzi il carattere dell’essere umano e lo rimodelli a seconda dei bisogni di chi comanda.

Quindi come può essere che oggi il movimento anarchico in Gran Bretagna (e altrove) stia supportando l’esercito di una nazione contro un’altra, giustificando ideologicamente e supportando materialmente2 gli sforzi di guerra ucraini? Stiamo vedendo qualcosa di completamente nuovo che ci porta a mettere in discussione e rivedere i nostri principi? No. Stiamo assistendo alla stessa tragedia che si abbatte sulla popolazione della regione, come abbiamo visto [tante] altre volte. La nostra prospettiva antimilitarista, internazionalista e rivoluzionaria è più che mai vitale. Allo stato attuale, la lotta per la liberazione si trova nella terra di nessuno tra l’invasione imperialista da un lato, e la difesa nazionale (supportata da un opposto imperialismo) dall’altro. Cercare uno scopo in una delle due trincee sarebbe solo un ulteriore combustibile nella fornace della guerra capitalista; significherebbe fedeltà allo Stato contro l’anarchia.

Difesa nazionale ed anti-imperialismo

Dal giornale anarchico di lunga data Freedom e dall’anarco-comunista Federazione Anarchica (AFed – Anarchist Federation), fino alla “scena” anarchica intorno ai gruppi antifascisti e ad altri gruppi di attivistu, la febbre della guerra è diffusa. All’inizio si è trattato di fare il tifo per il cosiddetto “Plotone Anti-autoritario”, un’unità della Difesa territoriale composta, tra gli altri, da anarchici e antifascisti.3

La partecipazione in strutture militari è stata spiegata con la necessità di difendersi, e ammorbidita da una narrazione di resistenza popolare indipendente. Ma la realtà è piuttosto differente. Le Forze di Difesa Territoriale sono forze riserviste dell’Esercito Ucraino, soggetto alla sua catena di comando. Non c’è alcune possibilità di autonomia. Un membro del Plotone Anti-autoritario ha osservato che nella sua unità “c’è una normale gerarchia militare con comandanti di sezioni e comandanti di plotone subordinati ad ufficiali militari superiori4. Altru anarchicu ed antifascistu si sono uniti all’Esercito regolare. Al di là della retorica, questo significa collaborare nella difesa nazionale e andare a far parte dell’esercito statale. Non ci sono vie di mezzo.

Che ci siano persone che decidono di unirsi o di supportare la difesa militare della nazione in cui risiedono quando sono minacciate dalla dominazione imperialista, è una cosa che è comprensibile5 e non giudico nessuno che faccia scelte così difficile. Ma non è anarchismo, non è compatibile con le teorie e le prassi anarchiche. Nessuno vive la propria vita sempre in accordo ai propri ideali, ma questi compromessi e contraddizioni dovrebbero essere accettati come tali, non assimilati nelle nostre teorie e prassi in modo tale che il nostro movimento venga inglobato all’interno della società statale e capitalista.

Quando la realtà della collaborazione è diventata più chiara allu anarchicu britannicu, il messaggio si è allargato al sostegno per la difesa dell’Ucraina, mantenendo la retorica della “resistenza popolare”.
“Dall’Ucraina alla Scozia, dal Sahara Occidentale alla Palestina fino al Tatarstan, siamo con i popoli che resistono all’imperialismo” 6 proclama Darya Rustamova nelle pagine di Freedom (ripubblicate da Afed). Questa dichiarazione fa sorgere più domande che risposte. Chi è “il popolo”? Con quali mezzi sta resistendo? A quale fine? Nel passato, l’AFed era in grado di vedere oltre questi discorsi vuoti, sostenendo che “come comunisti anarchici, ci siamo sempre opposti al nazionalismo, e abbiamo sempre marcato la nostra distanza dalla sinistra opponendoci a gran voce a tutti i nazionalismi, compresi quelli delle “nazioni oppresse”. Pur opponendoci all’oppressione, allo sfruttamento ed all’espropriazione su base nazionale, ed opponendoci all’imperialismo ed alla guerra imperialista, rifiutiamo di cadere nella trappola, così comune a sinistra, di identificarci con la parte sfavorita e di glorificare la “resistenza” – per quanto “criticamente” – una cosa, quest’ultima, che è facilmente osservabile nei circoli leninisti/trotskisti.7

L’articolo di Rustamova, “Mille bandiere rosse”, rende esplicite le premesse nazionaliste, rispolverando la differenziazione di sinistra tra nazionalismo buono e cattivo. Le sfumature tra le diverse espressioni del nazionalismo, in contesti diversi, sono senza dubbio reali e significative.
Il nazionalismo di una colonia che lotta per l’indipendenza è ovviamente differente dal nazionalismo dall’impero. Tuttavia, per entrambi lo Stato è il fine (che sia costituirlo, difenderlo o espanderlo); entrambi sopprimono o oscurano il divario di classe attraverso la nazionalità; ed entrambi stanno al servizio degli interessi della classe dominante (presente o futura). Le caratteristiche comuni di tutti i nazionalismi, quelle che le definiscono in quanto tali, sono precisamente ciò che rifiutiamo come anarchicu ed internazionalistu rivoluzionariu.

“Gli anarchici sono scesi in campo per difendere la loro patria”8 ha annunciato il direttore della rivista di AFed, “Organise!”, nel numero 96. Quale patria hanno lu anarchicu? La “patria” è una nozione sentimentale dello Stato-nazione in cui una persona è nata. Sono i sentimenti di appartenenza, fedeltà e nostalgia che legano l’individuo alla nazione. Questo chiarisce il salto [logico rimasto] indiscusso [nel movimento anarchico] che è stato fatto tra l’Ucraina, come nazione sovrana che difende il suo territorio dall’invasione (cioè la difesa nazionale), e lu anarchicu o altri individui che si difendono da soli (cioè l’autodifesa). È un argomento potente per andare a combattere in guerra, in quanto pochi rinuncerebbero al diritto di autodifesa. Ma presuppone l’identità tra la nazione e sè stessi, una formulazione dell’ideologia nazionalista che lu anarchicu respingono. Senza esitazione, lu anarchicu sono passati dal sostenere unità anarchiche “semi-autonome” in una “resistenza popolare” a suonare i tamburi di guerra per la vittoria militare dell’Ucraina e la sconfitta totale della Russia.

L’auto-giustificazione ultima per l’[esistenza] dello Stato è la preservazione della sicurezza e del benessere dei suoi soggetti. La guerra contro le altre nazioni è la più grande forza unificante dello Stato (perlomeno all’inizio). La rivista anarchica ucraina Assembly dice che “dovremmo capire che l’unità nazionale degli ucraini attorno al potere di Zelensky si basa solo sulla paura di una minaccia esterna.9 Partecipare a questa unificazione e dare come spiegazione lo stesso istinto di autoconservazione significa non solo dare legittimità al potere ideologico dello Stato, ma anche sostenerne il rafforzamento materiale. Affermare la necessità di partecipare alla difesa nazionale e di arruolarsi nelle forze armate dello Stato significa accettare la necessità dello Stato. Assembly lamenta che “la maggior parte di coloro che si identificano come anarchici in Ucraina non avevano nemmeno intenzione di fare questa agitazione rivoluzionaria, si sono immediatamente fusi con la classe dominante in un unico impulso nazionalista.10 Il potere dello Stato sulla vita e sulla morte, sulla guerra e sulla pace, è uno degli aspetti che lo definiscono: lu anarchici devono criticarlo e sovvertirlo, non considerarlo un male necessario.

Oltre al rifiuto teorico dell’unità nazionale, è importante interrogarsi sulla realtà pratica dell’assunto che la nostra sicurezza personale sia legata alla sicurezza nazionale. Una riflessione in merito è offerta da Saša Kaluža, anarchico ucraino, che afferma che: “L’obiettivo dello Stato ucraino e delle sue strutture militari in questa guerra è quello di mantenere il proprio potere, mentre l’obiettivo dello Stato russo e delle sue strutture militari è quello di prendere il potere. La partecipazione dellu anarchicu alle strutture di uno di questi Stati non rende la situazione più facile per il popolo ucraino sofferente a causa della guerra. Tutte le parole sull’esercito che difende il popolo, la società e il territorio sono solo parte della propaganda di Stato e la storia ne è un esempio. La guerra può essere fermata solo opponendosi ad entrambi gli Stati.”11 Per quanto riguarda specificamente le unità di volontari, [Saša Kaluža] sostiene che “La “difesa territoriale” è un buon esempio di come le strutture di volontariato avviate e controllate dallo Stato, possano svolgere funzioni di supporto assistenziale solo all’interno della struttura statale con metodi burocratici e solo per proteggere l’istituzione stessa. [La “difesa territoriale”] non fornisce assistenza alla popolazione nel campo della sicurezza e di altri bisogni primari derivanti da situazioni di crisi – il che provoca una fuga ancora maggiore di persone dal Paese e un aumento delle vittime.”12
Si può inoltre dubitare che la partecipazione di un centinaio di anarchicu e antifascistu nelle forze armate abbia un qualche impatto sull’esito della guerra, mentre altrettanti agitatori impegnati potrebbero costituire un nucleo significativo antimilitarista.13

Dobbiamo guardare oltre il binarismo bianco/nero di aggressore e resistenza, nazione imperialista e nazione oppressa, rivelando la complessità degli antagonismi di classe, delle strutture di potere e delle gerarchie sociali all’interno di ogni Stato-nazione, identificando la forza nascosta dell’internazionalismo della classe operaia.

Sostenendo l’Ucraina, lu anarchicu britannicu si sono trovatu dalla parte della NATO, un’alleanza militare imperialista che difende gli interessi delle principali nazioni capitaliste in Europa e Nord America. Ma invece di cogliere l’occasione per ripudiare la NATO, riconoscendo una mera coincidenza di interessi in questa particolare situazione, lu anarchicu britannicu hanno esitato nella loro opposizione, simpatizzando con l’imperialismo occidentale come freno all’imperialismo russo. Ciò è particolarmente evidente nell’articolo di Zosia Brom, “Fuck Leftist Westplaining”14,pubblicato su Freedom (di cui all’epoca era redattrice), e ristampato su Organise! #96 di AFed. Sostenere la necessità dell’adesione alla NATO per la sicurezza dell’Europa orientale è senza dubbio corretto dal punto di vista della diplomazia statale e delle relazioni internazionali, ma noi non siamo politici e non facciamo parte dell’apparato decisionale dello Stato. Come anarchicu dobbiamo rispondere alle manovre degli Stati nazionali e dei blocchi imperialisti da una prospettiva della classe lavoratrice. Autonomi da tutti gli apparati statali; la sua realpolitik non è di nostra competenza. Il nostro antimperialismo non può essere il riflesso stalinista di appoggiare chiunque si opponga all’imperialismo occidentale – ma non può nemmeno implicare il rivolgersi a tale imperialismo per mantenere i nostri diritti e la nostra sicurezza. Piuttosto che pensare in termini di agency nazionale, dobbiamo pensare secondo linee di classe, in termini di lotta sociale.

Antifascismo e lotta di classe

Né lo Stato russo né quello ucraino possono essere descritti con precisione come fascisti, anche se entrambi hanno tollerato, permesso e utilizzato elementi fascisti ogni volta che è stato necessario.. Tuttavia, lo Stato russo ha raggiunto un livello di nazionalismo autoritario, repressione interna ed espansionismo revanscista paragonabile ai regimi fascisti del XX secolo. Lo Stato ucraino può essere meglio descritto come una democrazia neoliberale e corrotta.15 È necessario respingere con forza la propaganda russa di “de-nazificazione” dell’Ucraina. Ma lu anarchicu britannicu hanno semplicemente ribaltato la situazione, inquadrando la difesa militare dell’Ucraina come una lotta antifascista. In questo modo si rischia di legittimare la guerra in nome dell’antifascismo, una manovra ideologica su cui Putin ha fatto leva in un modo così trasparente. Proiettare i nostri ideali antifascisti sulla difesa nazionale dell’Ucraina non cambia la sua realtà materiale.

L’antifascismo ideologico può servire a oscurare gli interessi di classe e a subordinare la lotta rivoluzionaria ai fronti popolari in difesa dello Stato democratico.16 Il movimento verso l’anarchia è rimandato ad un momento futuro e più opportuno, poiché la minaccia immediata del fascismo (o di un’analoga tendenza totalitaria) ridisegna lo scacchiere. L’obiettivo intermedio di difendere i diritti limitati della società democratica diventa l’unico punto di riferimento legittimo. L’unificazione ideologica è rispecchiata dall’unificazione sociale in alleanze interclassiste che uniscono governanti e governati, sfruttatori e sfruttati contro la minaccia eccezionale.

Se questo significa sconfiggere il fascismo, salvaguardare la vita e le libertà effettive, la rinuncia ai propri principi può essere comprensibile. Ma dovremmo aver imparato dal ventesimo secolo che non è altro che una farsa.17 Ancora una volta, lo Stato democratico difeso dai fronti popolari ha ceduto al fascismo con poco più di un lamento. Questi Stati hanno dato priorità – attraverso la controrivoluzione – al consolidamento della loro autorità, anche se ciò significava consentire o abbracciare il fascismo. “La lotta per uno Stato democratico è inevitabilmente una lotta per consolidare lo Stato e, lungi dal paralizzare il totalitarismo, questo tipo di lotta aumenta la presa del totalitarismo sulla società.18 Lo Stato può evolvere verso la democrazia o la dittatura, a seconda di ciò che è necessario per la continuazione del capitalismo e dello Stato. È attraverso la lotta contro lo Stato, in quanto tale, che possiamo affrontare le tendenze autoritarie a medio termine e rovesciare le condizioni che le producono a lungo termine.

Continua nella Seconda Parte

Note

1Lu anarchicu non sono meno suscettibili a queste pressioni, nonostante i nostri ideali, come si può vedere con lu combattenti anarchicu in Ucraina che si riferiscono ai soldati russi come “orchi” e “l’orda di Putin”.

2Lu anarchicu hanno raccolto fondi per “Solidarity Collectives” (ex “Operation Solidarity”) che fornisce attrezzature militari allu attivistu libertariu e antifascistu delle forze armate ucraine (oltre agli aiuti umanitari). Tra Febbraio e Giugno 2022, su 59.680 euro spesi da Operation Solidarity, 41.404 euro sono stati utilizzati per “cause militari”. https://operation-solidarity.org/2022/07/06/operation-solidarity-the-end/

3Dall’inizio della guerra, si sono dispersi in varie unità della Difesa Territoriale e dell’esercito regolare (molti di loro si sono trasferiti per essere più vicini al fronte), ma sono ancora collegati attraverso il Comitato di Resistenza e sostenuti da Solidarity Collectives.

4“La guerra difensiva come atto di resistenza popolare…”: Intervista esclusiva con un combattente anarchico delle Forze di difesa territoriale dell’Ucraina. https://enoughisenough14.org/2022/06/02/defensive-war-as-an-act-of-popular-resistance-exclusive-interview-with-an-anarchist-fighter-of-the-territorial-defense-forces-of-ukraine

5Così come è comprensibile che altre persone cerchino di sfuggire alle zone di guerra e di rifugiarsi altrove, per evitare di essere arruolate o disertare dall’esercito.

6“A thousand red flags”, Darya Rustamova. https://freedomnews.org.uk/2022/03/07/a-thousand-red-flags/

9Guerra in Ucraina e diserzione: intervista con il gruppo anarchico “Assembly” di Kharkiv https://umanitanova.org/guerra-in-ucraina-e-diserzione-intervista-con-il-gruppo-anarchico-assembly-di-kharkiv-iten

10Ibidem

12Ibidem

13Nel 2018, in relazione alla guerra contro i separatisti sostenuti dalla Russia nella regione del Donbass, ma prima della piena invasione russa del 2022, il gruppo anarchico ucraino “RevDia” (che ora partecipa al Comitato di Resistenza) sosteneva che “L’esercito è una struttura gerarchica, dove un soldato comune non può influenzare il corso della guerra”, e che “… l’esercito non ci protegge. E non difende i nostri interessi”. https://theanarchistlibrary.org/library/rev-dia-thought-of-war e https://theanarchistlibrary.org/library/rev-dia-anarchism-in-action#toc6

14“Fuck Leftist Westplaining”, Zosia Brom. https://freedomnews.org.uk/2022/03/04/fuck-leftist-westplaining/

15Anche se l’estrema destra extraparlamentare in Ucraina non dovrebbe essere nascosta sotto il tappeto.

16Non si tratta di una critica all’antifascismo in senso generale, ma a una particolare ideologia antifascista che era prevalente nei fronti popolari della metà del XX secolo e che continua a essere presente nell’opposizione liberale al fascismo.

17“Per i rivoluzionari, e in particolare per gli anarchici, la tragica esperienza della Spagna del ’36 dovrebbe bastare per mantenersi liberi da illusioni rispetto all’antifascismo, che non è altro che la difesa delle forme democratiche di gestione capitalistica, la riconciliazione tra le classi, l’opzione del “male minore” e l’abbandono dell’orizzonte rivoluzionario.” https://malcontent.noblogs.org/post/2022/03/28/reflections-on-the-ongoing-capitalist-butchery-russia-ukraine-vamos-hacia-la-vida/

18‘When Insurrections Die’, Gilles Dauve. https://libcom.org/article/when-insurrections-die-gilles-dauve

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Abolire le armi nucleari: la consapevolezza femminista, queer e indigena per porre fine alle armi nucleari – Seconda Parte

Prima Parte

Quindi, opporsi a questi sistemi richiede creatività su come e dove si realizza il cambiamento. Considerate come lu attivistu nucleari si siano rivolti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per proibire le armi nucleari. Il forum diplomatico internazionale in cui si dovrebbe “supporre” che si svolgano i negoziati sul disarmo nucleare – la Conferenza sul disarmo, con sede all’ONU a Ginevra – è chiuso allu attivistu e alla maggioranza degli Stati membri dell’ONU. Ha solo 65 Stati come membri, e a ciascuno è dato un veto assoluto su ogni decisione che il forum può prendere, inclusa la struttura del suo ordine del giorno. Dal 1996, in questa sede, non si svolge alcun lavoro sostanziale; eppure i governi possessori di armi nucleari sostengono che è l’unica sede in cui le questioni relative alle armi nucleari possano essere discusse in modo credibile.

Portando la questione all’Assemblea Generale, il resto dei governi del mondo hanno rifiutato la struttura di oppressione impostagli da quelli che possiedono le armi nucleari; hanno creato un nuovo percorso al di fuori dei canali “credibili”, consentendo alle voci e agli interessi di coloro che non controllano gli enormi arsenali che distruggono il mondo non solo di essere ascoltati, ma anche di avere un posto [in prima fila].
Questo cambiamento di posizione è stato imperativo anche per quanto riguarda il modo in cui i diplomatici hanno lavorato per cambiare le politiche dei loro governi. Nei primi anni di lavoro per il “Trattato di messa al bando delle armi nucleari”, i diplomatici e lu attivisti si sono riuniti al di fuori delle istituzioni per discutere, pensare e imparare. In questi piccoli gruppi di discussione, sparsi in varie parti del mondo, gli individui coinvolti potevano lavorare insieme per sviluppare argomenti e strategie da portare alle proprie istituzioni nazionali – al fine di portare il proprio governo a seguire e, persino, aprire la strada per un nuovo trattato. Se questo lavoro iniziale avesse avuto luogo all’interno dei processi o delle istituzioni preesistenti, l’obiettivo di vietare le armi nucleari sarebbe stato spento prima di avere una possibilità di cristallizzarsi in un obiettivo politico credibile.

[Questo stato di cose] ha permesso alle persone di riunirsi per discutere di idee “radicali” o “non realistiche” in spazi nuovi, e ha portato ad una soluzione di un problema apparentemente intrattabile. Consapevolmente o meno, la decisione di rivolgersi a forum alternativi ha permesso alle posizioni marginali sulle armi nucleari di informare il cambiamento progressivo in corso, mettendone a nudo il processo. Questi spazi alternativi hanno permesso “un’agenda politica che cerca di cambiare i valori, le definizioni e le leggi che rendono queste istituzioni e relazioni oppressive” (Cohen 1997, 444-5).

Per mettere in discussione ciò che è considerato normativo e, al tempo stesso, da dove si possono lanciare le sfide, bisogna considerare essenzialmente chi è incluso nella conversazione – diversificando la partecipazione.

Nel dissenso dei quadri normativi dell’etero-patriarcato e del colonialismo, per esempio, alcunu studiosu e attivistu queer, indigenu e femministi lavorano per chiedere e sfidare cosa o chi è un soggetto, cosa o chi è consideratu credibile e legittimo, cosa o chi può essere fonte di conoscenza e intellettualità. In questo lavoro, essi criticano le strutture intellettuali che i regimi coloniali impiegano per sopprimere le identità e l’opposizione e “trattengono il cambiamento della responsabilità dell’eredità etero-patriarcale.” (Driskill et al. 2011, 19).
Nel contesto delle armi nucleari, le voci dominanti sono quelle degli uomini che rappresentano il governo o le istituzioni accademiche degli Stati possessori delle armi nucleari – persone che beneficiano direttamente della produzione di teorie e prospettive che giustifichino il possesso, il continuo sviluppo e l’ammodernamento degli arsenali nucleari. Queste “autorità” spesso negano e allontanano lu attivisti anti-nucleari, ignorando molte volte chi ha sofferto per lo sviluppo, i test e l’uso di queste bombe.
Attualmente, c’è stata una spinta concertata per includere le donne nel dialogo e nei negoziati relativi alle armi nucleari.

Il “Trattato di messa al bando delle armi nucleari”, ad esempio, riconosce che “la partecipazione paritaria, piena ed effettiva delle donne e degli uomini sia un fattore essenziale per la promozione e il raggiungimento di una pace e di una sicurezza sostenibili”, ed esprime l’impegno dei suoi Stati firmatari a “sostenere e rafforzare l’effettiva partecipazione delle donne al disarmo nucleare.” Tali richieste di partecipazione delle donne nei settori della politica delle armi nucleari e di altre attività militaristiche sono spesso basate su una preoccupazione legittima sulla mancata diversità di genere in queste discussioni o istituzioni. Ma “aggiungere donne” non solo è insufficiente, ma rischia anche di legittimare ulteriormente le istituzioni, le pratiche e le politiche che molti vorrebbero cambiare.
Il campo della politica nucleare è dominato da uomini bianchi eterosessuali cisgender che compongono un sedicente “sacerdozio nucleare” e che sposa prospettive mascolinizzate riconosciute sulla sicurezza e sulle armi. Un recente studio pubblicato dalla “New America” (Hurlburt et al. 2019) dipinge un ritratto del sessismo e degli stereotipi di genere [in questo ambito politico-nucleare], notando che ci sono alti livelli di abbandono delle donne dal settore.
Le donne (per lo più bianche, donne cisgender) che hanno partecipato con successo alle istituzioni politiche nucleari sono state spesso costrette a dimostrare la loro competenza “padroneggiando l’ortodossia” e a “padroneggiare i dettagli tecnici prima di poter avere un’opinione” (Hurlburt et al. 2019). Le pochissime donne che riescono in questo settore sono celebrate come se avessero attraversato il divario dal controllo delle armi (mansione giudicata “femminile”) alla pianificazione della guerra nucleare (mansione giudicata “maschile”). L’ex vice assistente del segretario alla difesa per la politica di difesa nucleare e missilistica Elaine Bunn ha spiegato: “C’era il lato morbido e sfocato sul controllo delle armi e poi c’era il lato militare vero e proprio, quello del dispiegamento e mi sentivo come se dovevo dimostrare la mia buona fede dall’altro lato.”

Ella si ricordava di un mentore che le diceva che se doveva rimanere nel Dipartimento della Difesa, doveva “occuparsi degli obiettivi, del lato duro della questione, non solo del controllo degli armamenti”, altrimenti non sarebbe stata presa sul serio.
Un’intervistata, borsista presso la National Nuclear Security Administration, ha sostenuto che, come donna di colore, si chiedeva dell’impatto delle politiche nucleari non solo sulle donne ma anche sulle comunità indigene e di colore:
“Abbiamo fatto esplodere alcune delle nostre armi più potenti nell’atollo di Bikini e in Micronesia e nelle Isole Marshall. Non era nei sobborghi del Montana che lo facevamo… Che si tratti di politica di giustizia penale o di politica di sicurezza nazionale, quando si parla di chi è una vita preziosa, le persone [di colore e non bianche] sono le ultime della lista.” (Hurlburt et al. 2019)
Tuttavia, altre donne intervistate nello studio hanno dichiarato di non considerare gli impatti civili importanti o utili. Un’intervistata ha suggerito che le armi nucleari hanno avuto un impatto positivo sulle donne e su altri per il numero di donne che hanno salvato grazie alla deterrenza nucleare.
Le dichiarazioni di queste donne policy-makers dimostrano che l’aggiunta di donne alle discussioni sulle politiche nucleari non garantisce sufficientemente l’ottenimento di cambiamenti significativi. Ciò è ulteriormente amplificato dal fatto che, nel Gennaio 2019, gli amministratori delegati di quattro delle più grandi aziende statunitensi produttrici di armi – Northrup Grumman, Lockheed Martin, General Dynamics e l’ala armiera di Boeing – erano donne. Anche il principale acquirente di armi del Pentagono quale il sottosegretario di Stato per il controllo delle armi e gli affari di sicurezza internazionali, così come il sottosegretario per la sicurezza nucleare, sono donne (Brown 2019). Queste donne non stanno sfidando le strutture e i sistemi patriarcali che hanno creato l’ordine mondiale militarizzato: lo stanno attivamente mantenendo, traendone profitto.

Nel Marzo 2019, la Minot Air Force Base ha celebrato un “allarme missilistico femminile”, durante il quale solo le donne erano responsabili del lancio di missili nucleari sul sito per 24 ore. Per l’occasione, hanno indossato una patch speciale con Wonder Woman impresso. Una delle donne che ha preso parte alla missione ha detto: “C’è molta bellezza in un equipaggio unito tutto al femminile che, come parte della storia, svolge la missione per i tre stormi missilistici di ICBM [missili balistici intercontinentali]” (Ley 2019).
Come dice la studiosa femminista Cynthia Enloe, “Puoi militarizzare qualsiasi cosa, inclusa l’uguaglianza” (in Hayda 2019). Le donne sono state sostenitrici delle armi nucleari, a volte sfruttando la loro posizione di madri e mogli per giustificare questo sostegno. L’ex ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, Niki Haley, ha fatto appello al suo status di madre per giustificare la sua difesa delle armi nucleari. “Prima di tutto, sono una mamma, sono una moglie, sono una figlia”, ha detto in una conferenza stampa in cui si è opposta alla negoziazione di un trattato internazionale che vieti le armi nucleari (Democracy Now! 2017). “E come mamma, come figlia, non c’è niente che desidero di più per la mia famiglia che un mondo senza armi nucleari. Ma dobbiamo essere realistici.” Ella ha identificato il desiderio di disarmo con la sua femminilità, ma collega il suo desiderio di “proteggere” la sua famiglia con la “necessità” di mantenere le armi nucleari.
L’idea che il possesso di armi nucleari sia una politica realistica e credibile è insita nel discorso normativo sulla sicurezza adottato dagli Stati possessori di armi nucleari. L’aggiunta delle donne alla discussione non mette in discussione, di per sé, la normatività di queste affermazioni.

Le donne che accedono a queste discussioni provengono principalmente dalla stessa classe economica, dallo stesso contesto sociale, dalla stessa prospettiva e identità degli uomini che sono già lì.
La stragrande maggioranza delle donne che ricoprono qualsiasi posizione all’interno della politica del nucleare o del più ampio “stabilimento della sicurezza” degli Stati Uniti sono bianche, eterosessuali, cisgender e di classe media o superiore.

Sono principalmente interessate a salire la scala e a “rompere il soffitto di vetro”, non a sfidare o riconfigurare le istruzioni o le strutture alle quali sono state ammesse. L’aggiunta delle donne alle discussioni sulla politica nucleare, in particolare negli spazi “tradizionali”, non garantisce una prospettiva diversa. Le donne sono socializzate alle idee di sicurezza militarizzata, e possono sostenere le politiche intrise di nozioni di “minaccia”. La presentazione di soluzioni militarizzate alle “minacce e ai nemici” è legittimata quando i luoghi decisionali sono percepiti come “pari opportunità” dalle diverse identità delle persone partecipanti.
Nel tentativo di stabilire la loro legittimità, gli attori statali a volte abbracciano anche il linguaggio dei loro critici – descrivendo se stessi o la loro politica estera come femminista. Le affermazioni di “politica estera femminista” da parte dei governi è un mezzo per legittimare la loro leadership, nonostante questi Stati continuino a trasferire armi, partecipino a guerre o ad interventi militari e rifiutino di fare i conti con il loro status di Stato coloniale colonizzatore. L’uso dell’etichetta “femminista” riflette ciò che Duriesmith (2019) definisce “l’uso cinico della programmazione di genere per legittimare altre forme di violenza”.
La Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà (WILPF) è sempre stata solidale con le persone bombardate e non con i bombardieri. La WILPF lavora per la pace e il disarmo e contro l’industria degli armamenti, il capitalismo, il razzismo e la distruzione ambientale.
La WILPF è stato membro della “Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari” (ICAN), che ha condotto [i maggiori] sforzi per raggiungere il “Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari”. Durante questo periodo di lavoro, l’ICAN includeva molte donne, persone identificate come queer, attivistu del Sud globale, rappresentanti delle comunità indigene, sopravvissutu alle bombe atomiche e altru che avevano sperimentato l’impatto delle armi nucleari.

Questo era parte di uno sforzo concertato per diversificare la partecipazione alle conversazioni su queste armi. Lu partecipanti al processo decisionale sulle armi nucleari sono importanti: è importante chi siede al tavolo, perché la diversità di partecipazione è l’unico modo per contribuire a garantire la diversità di prospettive.
È inoltre fondamentale adottare un approccio intersezionale alle questioni di uguaglianza, giustizia e sicurezza nell’ambito del nostro lavoro abolizionista del nucleare. Attingendo dall’attivismo femminista, queer e indigeno, si riconosce la complementarità delle nostre lotte e che possiamo trovare strategie resilienti per cambiarlo. I Water Protectors di Standing Rock hanno identificato l’oppressore non solo come il governo degli Stati Uniti, gli interessi militari o capitalisti; hanno capito che l’etero-patriarcato, il razzismo e lo sfruttamento da parte dell’impero sono al centro delle sfide che devono affrontare per proteggere la terra e l’acqua dalla violenza delle condutture energetiche (Estes 2019). Lu attivistu queer vedono l’impegno politico come “un’ampia critica verso i molteplici antagonismi sociali, tra cui la razza, il genere, la classe, la nazionalità e la religione, oltre alla sessualità” e in “un’ampia considerazione delle crisi globali del XX secolo che hanno configurato le relazioni storiche tra le economie politiche, la geopolitica della guerra e del terrore e le manifestazioni nazionali delle gerarchie sessuali, razziali e di genere” (Eng et al. 2013, 1).
Nel contesto delle armi nucleari, questo significa che fare campagne per il disarmo nucleare senza comprendere l’ingiustizia razzista, patriarcale e capitalista che queste armi rappresentano nelle relazioni internazionali e nelle esperienze locali portano ad un cattivo servizio sia verso la lotta per il disarmo che verso la giustizia. La nostra critica alle armi nucleari deve essere anche una critica allo Stato coloniale colonizzatore, che ritiene di poter condurre test nucleari o immagazzinare scorie nucleari su terre rubate.

Deve essere una critica del razzismo, con attenzione ai corpi e alle terre su cui vengono testate e usate le armi nucleari. Deve essere una critica al patriarcato, pensando come le armi nucleari coinvolgano le norme di genere e come siano usate per rafforzare le gerarchie sociali, il controllo e il dominio.

Un approccio intersezionale al disarmo nucleare significa anche garantire che le voci e le prospettive di coloro che sperimentano la violenza delle armi nucleari e dell’intersezione di queste oppressioni guidino le nostre critiche e il nostro lavoro. Ciò significa apprendere le lezioni di altru che hanno lottato per il cambiamento [e sono partitu] da posizioni non normalizzate e marginalizzate – e [, al contempo,] imparare e farsi guidare da loro.

Significa non affidarsi semplicemente alle istituzioni consolidate che ci “permettono” di partecipare o di accontentarsi di piccoli accomodamenti all’interno di tali istituzioni. Una critica delle armi nucleari nelle sedi e con il linguaggio dei sostenitori delle armi nucleari non funzionerà. Nella migliore delle ipotesi, può contribuire a ridurre leggermente il numero di testate o missili, o a stabilire delle norme di controllo delle armi e delle iniziative di non proliferazione. Non ci porta all’abolizione. Solo collocando la nostra critica nelle lotte dellu attivistu indigenu, queer, femministi e antirazzistu possiamo onestamente spiegare quello che fanno, cosa sono e “per” chi sono veramente le armi nucleari. Solo ripensando il nostro rapporto con le istituzioni esistenti, che tendono a cooptare lu partecipanti allo status quo piuttosto che fornire opportunità a costoro di cambiare le cose “dall’interno”, possiamo iniziare a pensare a spazi e relazioni alternative e impegnarci in processi significativi. Resta ancora molto lavoro da fare e più possiamo imparare dalle teorie e dalle pratiche di azione e partecipazione “dell’altru”, maggiore sarà l’impatto che avremo in una serie di lotte per la giustizia sociale.

Riferimenti
Nota: Tutti gli URL sono stati consultati l’ultima volta il 24 Giugno 2021.
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-Intondi, Vincent (2015) African Americans Against the Bomb. Stanford, CA: Stanford University Press.
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-Warner, Michael (1993) Introduction. In M. Warner (ed.) Fear of a Queer Planet: Queer Politics and Social Theory. Minneapolis, MN: University of Minnesota Press, pp. vii–xxxi.

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Abolire le armi nucleari: la consapevolezza femminista, queer e indigena per porre fine alle armi nucleari – Prima Parte

di Ray Acheson

Ray Acheson è direttrice del Reaching Critical Will, il programma sul disarmo della Women’s International League for Peace and Freedom, una delle più antiche organizzazioni femministe per la pace. Dal 2005 è coinvolta nei processi intergovernativi di disarmo, fornendo relazioni, analisi e sostegno riguardanti le armi nucleari, il commercio internazionale di armi e altro ancora, da una prospettiva femminista e antimilitarista. Ray fa parte del gruppo direttivo della “Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari” (ICAN), che ha vinto il Premio Nobel per la pace nel 2017 per il suo lavoro di messa al bando delle armi nucleari, nonché dei comitati direttivi della “Campaign to Stop Killer Robots” e della “Rete internazionale sulle armi esplosive”. Ray ha ricevuto il premio Nuclear Free Future 2020 e il premio Champion of Change 2018 dell’UN Women Metro New York. È autrice di “Banning the Bomb, Smashing the Patriarchy” (2021).

Traduzione del capitolo “Abolish nuclear weapons: feminist, queer, and indigenous knowledge for ending nuclear weapons”, tratto dal libro (edited) Megan MacKenzie e Nicole Wegner, “Feminist solutions for ending war”, Pluto Press, Londra, 2021, pagg. 105-120

Questo capitolo analizzerà l’abolizione nucleare come obiettivo femminista nel porre fine alla guerra. Esplora il ruolo del femminismo intersezionale nel dare forma all’attivismo contro la bomba. La bomba stessa è l’espressione più estrema della violenza e del controllo dell’ordine mondiale patriarcale, razzista e capitalista. Coloro che possiedono o desiderano armi nucleari sostengono che il semplice possesso della bomba impedisca il conflitto e scoraggi l’attacco. Le armi nucleari sono discusse in astratto, come strumenti magici che ci tengono al sicuro e mantengono la stabilità nel mondo. Ma le armi nucleari non sono astratte. Sono fatte di materiali radioattivi. Sono fatte per distruggere carne e ossa. Per sciogliere la pelle dai nostri corpi. Per ridurre intere città in cenere.
Per la maggior parte delle persone che lottano quotidianamente sotto questo ordine oppressivo, l’abolizione delle armi nucleari potrebbe non sembrare una priorità. Quando si affronta il colonialismo, l’intervento imperialista, la guerra, l’incarcerazione di massa, la povertà, la deportazione, la devastazione ambientale e la violenza nelle nostre case e comunità, le armi nucleari possono sembrare davvero un’astrazione. Ma queste armi fanno parte dello spettro della violenza istituzionalizzata. Sono l’apice del monopolio di uno Stato sulla violenza, il significato ultimo del dominio. Queste armi possono manifestare una violenza straordinaria in un solo momento – morte estrema, distruzione e disperazione.
Quindi, resistere all’ingiustizia richiede attenzione al ruolo delle armi nucleari nel nostro ordine mondiale, all’intersezione di oppressioni patriarcali, razziste, coloniali e capitaliste. Dobbiamo privilegiare le voci e le prospettive di coloro che sono storicamente trascuratu, ignoratu o ridicolizzatu. Farlo significa cambiare la conversazione, cambiare la posizione delle conversazioni e diversificare la partecipazione alle conversazioni sulle armi nucleari.
Questo capitolo si basa sulla convinzione che il lavoro di abolizione delle armi nucleari debba contribuire alle più ampie lotte per la giustizia sociale.
Cerco di impegnarmi con la scrittura femminista, queer e indigena, non per distrarre il target dellu attivistu su altre oppressioni strutturali e fisiche. Piuttosto, credo che lu abolizionistu nucleari possano imparare da altru attivistu che lavorano contro i sistemi patriarcali, razzisti e colonialisti. È utile riconoscere diverse prospettive ed esperienze che si rivoltano contro le strutture normative e i sistemi di pensiero egemonici; l’abolizione del nucleare ci impone di sfidare l’ordinamento sociale e le logiche di produzione della conoscenza che conferiscono “alla differenza sociale e politica il loro potere discorsivo” (Eng 2013, 4). Questo capitolo procede con una panoramica sulla storia delle armi nucleari e sugli sforzi femministi per abolirle, prima di impegnarsi con una serie di studiosi e capire come continuare a resistere e a creare sforzi per abolire le armi nucleari.

Armi nucleari, oppressioni intersezionali e miti della Sicurezza

La storia delle armi nucleari è una storia di sfruttamento coloniale. Gli Stati dotati di armi nucleari hanno testato le bombe al di fuori dei loro territori, spesso in colonie o terre ritenute inferiori (Hawkins 2018).
Quando i governi possessori di armi nucleari hanno condotto test sui propri territori, è stato principalmente sulle terre indigene. Ad esempio, la Western Shoshone Nation, nel sud-ovest degli Stati Uniti, è la nazione più bombardata della Terra (Johnson 2018). In una dichiarazione rilasciata durante i negoziati del Trattato delle Nazioni Unite (ONU) sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) nel Luglio 2017, 35 gruppi indigeni hanno dichiarato: “Governi e forze coloniali hanno fatto esplodere le bombe nucleari sulle nostre terre sacre – da cui dipendono le nostre vite e i mezzi di sostentamento, e che contengono luoghi di importanza critica culturale e spirituale -, credendo che fossero inutili” (Dichiarazione indigena 2017). Consegnato da Karina Lester, una donna Yankunytjatjara-Anangu dell’Australia meridionale, la dichiarazione ha sottolineato che le persone indigene non hanno “mai chiesto, e non hanno mai dato il permesso di avvelenare il nostro suolo, cibo, fiumi e oceani. Continuiamo a resistere agli atti disumani di razzismo radioattivo.”
Lu attivistu negli Stati Uniti hanno da tempo riconosciuto il razzismo insito nella pratica della politica delle armi nucleari: “I bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki erano inestricabilmente legati al colonialismo e all’uguaglianza razziale” (Intondi 2015, 22).
Coretta Scott King, Martin Luther King Jr, W.E.B. Du Bois e altru hanno elaborato l’inseparabilità tra il disarmo nucleare, la fine degli imperi coloniali e i diritti civili (Intondi 2015).
Allo stesso modo, le studiose femministe hanno mappato le connessioni tra la mascolinità militarizzata, la ricerca del dominio nelle relazioni internazionali e le armi nucleari.
L’analisi di Carol Cohn (1987a, 1987b) sul discorso di genere e le armi nucleari ha fornito le basi per un’analisi femminista della guerra nucleare, della strategia nucleare e delle stesse armi nucleari. Prendendo spunto da un leader nazionalista indù che, dopo i test nucleari condotti in India nel 1998, ha spiegato “abbiamo dovuto dimostrare che non siamo eunuchi”, Cohn et al. (2006), [Cohn] sostiene che le dichiarazioni come questa hanno lo scopo di “suscitare ammirazione per la virilità furibonda dell’oratore” e implica che l’utilizzo delle armi nucleari significhi essere “abbastanza uomini” per “difendere” il proprio paese. [Inoltre, ella] ha anche esaminato come il disarmo sia “femminilizzato” e legato alla mancanza di potere [e alla manifestazione di] debolezza e irrazionalità, mentre il militarismo e il conseguimento delle armi nucleari sono celebrati come segni di forza, potere e razionalità (Cohn et al. 2006).
Le femministe osservano anche come le aspettative mascolinizzate per i leader politici possano essere accoppiate con le ansie circa le prestazioni sessuali e la riproduzione, sottolineando che il “linguaggio tecnostrategico” è impostato per segnalare la “competenza” dell’ èlite (Eschle 2012). Nei discorsi dove si difendono le armi nucleari come necessarie per la sicurezza, “il protettore” è codificato come maschile e “il protetto” come femminile. Questi discorsi rafforzano e favoriscono le fantasie dei “veri uomini” e la mascolinità viene definita come “invulnerabilità, invincibilità e inespugnabilità” (Eschle 2012). Le femministe criticano un approccio maschilista sulla sicurezza, in particolare la teoria delle Relazioni Internazionali che attribuisce alle armi nucleari lo status di marcatori sia del dominio maschile (capace di infliggere violenza) che come protettore maschile (capace di dissuadere la violenza) (Duncanson ed Eschle 2008).
Gli Stati dotati di armi nucleari cercano di screditare coloro che chiedono l’abolizione delle armi nucleari. I sostenitori delle armi nucleari cercano di usare una logica di razionalismo e di potere per difendere il loro possesso di queste armi mentre cercano di “femminilizzare” lu oppositoru delle armi nucleari sostenendo che sono emotivu e irrazionali.
Nello sviluppo del Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari, i rappresentanti degli Stati possessori di armi nucleari rimproverarono i governi e lu attivisti che spingevano per vietare la bomba. In un caso, un ambasciatore russo ha suggerito che coloro che vogliono vietare le armi nucleari sono “sognatori radicali” che hanno “sparato in qualche altro pianeta o spazio esterno”. In un altro caso, un ambasciatore del Regno Unito ha detto che gli interessi di sicurezza delle persone oppositrici alle armi nucleari fossero irrilevanti o inesistenti. Un ambasciatore degli Stati Uniti ha affermato che il divieto di armi nucleari potrebbe minare la sicurezza internazionale – tanto che si potrebbero utilizzare le armi nucleari (Acheson 2019a). Queste affermazioni esemplificano le tecniche patriarcali – tra cui il victim-blaming e il gaslighting. Il messaggio è chiaro: se tentate di toglierci i nostri giocattoli di violenza nucleare di massa, non avremo altra scelta che usarli, e sarà colpa vostra. Questo discorso che presenta lu attivistu anti-bomba come “emotivu”, ignora gli effetti che le armi nucleari infliggono alle persone e nega agli individui lo spazio per esprimere le loro preoccupazioni su questi strumenti genocidi. Questa è una forma di gaslighting – insistendo sul fatto che queste armi sono una fonte di sicurezza e accusando chiunque la pensi diversamente di essere emotivu, agitatu, irrazionale o poco pratico (Acheson 2018).
Coloro che determinano ciò che è considerato realistico, pratico e fattibile sono uomini e donne di incredibili privilegi; élite delle loro società e della comunità globale – come politici, personale governativo, comandanti militari, professionisti della sicurezza nazionale e accademici. Questo campo spesso ignora le persone colpite dallo sviluppo, dalla sperimentazione, dallo stoccaggio, dall’uso o dalla minaccia di usare le armi nucleari. La narrazione comune è che le armi nucleari sono necessarie in un mondo in cui ci sarà sempre qualcuno che vuole mantenere o sviluppare la capacità di esercitare livelli massicci e insondabili di violenza sulle altre persone.
Le élite che possiedono armi nucleari sostengono di essere attori “razionali” e che le devono mantenere per la protezione contro altri “irrazionali”.
Per esempio, nel 2018, il governo degli Stati Uniti ha affermato che gli impegni del passato per il disarmo nucleare erano obsoleti e non al passo con l’odierno “ambiente di sicurezza internazionale” – ignorando che l’ambiente di sicurezza internazionale è pesantemente influenzato dalle azioni del governo degli Stati Uniti, compreso il rafforzamento del suo arsenale nucleare. L’amministrazione Trump ha articolato un nuovo approccio alla politica sulle armi nucleari, incentrato non su ciò che gli Stati Uniti possano fare per il disarmo nucleare, ma su quello che il resto del mondo può fare verso gli Stati Uniti – il Paese più militarizzato al mondo – affinché questo si senta “più sicuro”. (Acheson 2019b).
Questa logica insiste sul concetto che gli Stati siano sempre in contrasto tra loro, piuttosto che perseguire collettivamente un mondo in cui l’interdipendenza reciproca e la cooperazione possano guidare il comportamento attraverso un insieme integrato di interessi, bisogni e obblighi comuni (Acheson 2019a). Le femministe contestano che la sicurezza “posseduta o garantita dallo Stato… È un processo: immanente nelle nostre relazioni con gli altri e sempre parziale, sfuggente e contestato.” (Duncanson e Eschle 2008, 15). La sicurezza non è un oggetto o un risultato: è un processo che dipende dalle interazioni di molte parti in movimento. La sicurezza non può essere raggiunta attraverso l’armamento, ma attraverso le nostre relazioni reciproche e con il nostro ambiente – e queste, come noi, cambiano sempre. “Come viviamo, come ci organizziamo, come ci impegniamo nel mondo – il processo – non solo inquadra il risultato, è la trasformazione”, scrivono la studiosa Michi Saagiig Nishnaabeg e l’attivista Leanne Betasamosake Simpson (Simpson 2017, 19).

Decostruire e ricostruire la normatività
Per abolire le armi nucleari, dobbiamo svalutarle. Il femminismo, insieme all’esperienza e all’attivismo queer e indigeno, è essenziale per il processo di decostruzione e ricostruzione di ciò che è considerato normativo riguardante le armi nucleari. Dobbiamo privilegiare le voci e le prospettive di coloro che, di solito, sono trascurate, dobbiamo cambiare le prospettive su ciò che è realistico e razionale, e dobbiamo offrire modi alternativi per organizzarci e impegnarci nelle relazioni della società internazionale.
La scrittura femminista, queer e indigena tenta di interrompere lo status quo e costruisce qualcosa al suo posto, sfidando ciò che è considerato normativo e credibile. Questi approcci forniscono tre strumenti tangibili, utili per resistere e abolire le armi nucleari: cambiare le conversazioni in corso; cambiare la posizione di queste conversazioni e diversificare la partecipazione a queste conversazioni.
Cambiare la conversazione ci aiuta a decostruire, distruggere e cambiare i quadri normativi di pensiero e azione. Nel suo studio innovativo sul genere, la studiosa femminista queer Judith Butler (1999, xxiii) sostiene: “la conoscenza naturalizzata del genere opera nella forma di una delimitazione preventiva e violenta della realtà.”. Nella sfida al potere, Butler suggerisce che non dobbiamo solo criticare gli effetti delle istituzioni, delle pratiche e dei discorsi che i potenti creano – dobbiamo chiederci quali possibilità emergano quando sfidiamo le affermazioni di ciò che è normativo, e sfidiamo ciò che nelle concezioni tradizionali è considerato terreno comune o realtà assoluta. “Nessuna rivoluzione politica è possibile senza che si sposti radicalmente la nozione che ognuno e ognuna ha di ciò che è reale e di ciò che è possibile”, dice Butler (1999, xxiii).
Un’analisi femminista, queer e antirazzista nel discorso nucleare aiuta a decostruire le armi nucleari come simboli del potere e strumenti dell’impero.
L’associazione tra armi nucleari ed emblemi del potere non è inevitabile e immutabile, ma una costruzione sociale di genere che sostiene un ordine patriarcale, razzista e capitalista. Il disarmo nucleare inizia quando viene evidenziato come il valore delle armi nucleari sia socialmente costruito (Acheson 2016).
Sfidare il discorso normativo è utile anche quando si cambia il luogo in cui si svolgono queste discussioni. Lu attivistu queer e le persone indigene hanno lanciato sfide alle concezioni e agli ordinamenti sociali dominanti in materia di sessualità, genere, diritti, razza e cittadinanza, non solo attraverso i tribunali e le altre istituzioni sociali dei potenti, ma anche attraverso vere e proprie sfide a tali istituzioni. Per esempio, per alcunu attivistu queer non è sufficiente che i diritti LGBT siano “riconosciuti” o “tollerati” dalle società etero-sessiste quando le vite queer vengono distrutte e sminuite in vari modi. L’assimilazione rischia di permettere alle persone privilegiate dei gruppi marginali di accedere allo status quo, mentre la parte vulnerabile di queste comunità continuerà ad essere stigmatizzata e oppressa (Cohen 1997). “Le lotte queer mirano non solo alla tolleranza o all’uguaglianza di status, ma a sfidare le stesse istituzioni e norme”. (Warner 1993, XIII).
Questo può offrire un approccio basato non sull’integrazione nelle strutture dominanti, ma sulla trasformazione “del tessuto di base e delle gerarchie che permettono ai sistemi di oppressione di persistere e operare in modo efficiente.” (Cohen 1997, 437).
Allo stesso modo, alcunu attivistu indigenu sostengono che non è sufficiente per le comunità indigene ottenere certi diritti su certe terre dai governi coloniali che hanno condotto campagne di genocidio contro di loro. Essi combattono per le tutele e i diritti ambientali come cittadini delle Prime Nazioni e non degli Stati che continuano a rubare, stuprare, uccidere e distruggere i loro corpi, la terra e l’acqua con cui vivono (Driskill et al. 2011; Estes 2019).
Lu attivistu e lu studiosu indigenu riconoscono che i sistemi istituiti dallo Stato coloniale colonizzatore etero-patriarcale non sono sistemi in cui chi cerca protezione dalla violenza insita in tali strutture la riceverà. All’interno di questi parametri e spazi, lo Stato coloniale colonizzatore dominerà sempre le interazioni con le popolazioni indigene.
Come scrive Simpson (2017, 45):
Lo Stato stabilisce diversi punti di interazione controllati attraverso le sue pratiche … e usa il suo potere asimmetrico per assicurarsi di controllare sempre i processi come un meccanismo per la gestione del dolore, della rabbia e della resistenza indigena, e questo assicura che il risultato rimanga coerente con il suo obiettivo di mantenere l’espropriazione.”
Gli Stati dotati di armi nucleari utilizzano processi simili per mantenere il controllo e il dominio sulle questioni legate alle armi nucleari. Diplomatici e attivisti si entusiasmano per una rara riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulle armi nucleari, ma gli spazi tradizionali in cui si svolgono le interazioni internazionali sulle armi nucleari – come le riunioni del Trattato di non proliferazione e la Conferenza sul disarmo – sono regolati e non mettono in discussione il potere di chi possiede la bomba.
Allo stesso modo, i metodi con cui uno Stato coloniale colonizzatore può cercare di promuovere e narrare la cultura indigena come il “mosaico multiculturale” del Paese – senza mettere in discussione l’espropriazione su cui si basa l’istituzione statale -, ricorda la maniera di quegli Stati dotati di armi nucleari e dei loro alleati quando invocano la “costruzione di ponti” e il “dialogo”, sostenendo fondamentalmente che le persone radicali contrarie alle armi nucleari devono calmarsi e rimettersi in riga.

Continua nella Seconda Parte

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“Sono un’anarchica e le mie idee non sono cambiate nel corso degli anni”. Cinque anni di persecuzione, tre arresti, due condanne: DOXA ha parlato con Anastasia Safonova, imputata nel caso dello striscione “FSB: il principale terrorista”.

Traduzione dall’originale “«Я анархистка, и мои взгляды не поменялись за эти годы»Пять лет преследований, три ареста, два приговора — DOXA поговорила с Анастасией Сафоновой, фигуранткой дела о баннере «ФСБ — главный террорист»

Nota
Per rendere scorrevoli determinate frasi e termini, abbiamo fatto qualche lieve modifica, aggiungendo, dove ritenevamo opportuno, delle parentesi quadre.
Pur non essendo madrelingua e tanto meno dei russist*, abbiamo utilizzato come materiali di studio:
-“Dizionario essenziale Russo-Italiano Italiano-Russo a cura di Edigeo”, Zanichelli, 1990; “Dizionario Russo-Italiano, Italiano-Russo”, edizioni “Perun”, 2002.
-“Grammatica russa. Manuale di teoria” di Claudia Cevese e Julia Dobrovolskaja del 2018
-Wiktionary versioni inglese e russa

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Nella notte tra il 14 e il 15 Febbraio 2018, la coppia Anastasia Safonova e Dmitry Tsibukovsky di Chelyabinsk hanno affisso uno striscione sulla recinzione dell’ufficio dell’FSB con la scritta “FSB – il principale terrorista”

Contro di loro è stato aperto un procedimento penale, la cui decisione finale non è ancora stata emessa. Nel Dicembre 2022, Anastasia è stata liberata per la terza volta – in quanto ha scontato il periodo detentivo.

Con l’anarchica abbiamo parlato della persecuzione, delle condizioni e della routine nei centri di detenzione preventiva femminili, della vita sotto ogni tipo di divieto, nonché del supporto premuroso delle persone e le [sue] opinioni sull’anarchismo. Alla fine dell’intervista c’è un bonus: una poesia di Anastasia.

Il caso contro Safonova e Tsibukovskiy è stato chiuso e riaperto più volte. Nell’autunno del 2018 è emerso un altro episodio: Anastasia e Dmitri sono stati accusati di “vandalismo” a causa dei graffiti contro la riforma delle pensioni. Nel 2020, su sollecitazione della polizia, il tribunale ha mandato la coppia nei centri di detenzione preventiva. Nel 2021, Anastasia e Dmitriy sono stati condannati rispettivamente a due anni e due anni e mezzo di regime generale. Tuttavia, in appello, la decisione è stata annullata e gli imputati sono stati rilasciati dal centro di detenzione preventiva.

Nell’autunno del 2022, in seguito ad una nuova indagine, il caso è tornato a galla: l’ufficio del pubblico ministero ha chiesto cinque anni per Dmitriy e Anastasia. Tuttavia, i giovani non erano presenti alla pronuncia della sentenza. Come hanno riferito i media, citando FSB, gli anarchici erano stati arrestati il giorno prima nella regione di Orenburg mentre tentavano di attraversare il confine con il Kazakistan. Questo non ha influito sulla durata della sentenza: alla coppia non era stato vietato di viaggiare in quel momento. La decisione del tribunale è stata relativamente clemente: Anastasia è stata condannata ad un anno e nove mesi di reclusione e Dmitry a due anni. La pena di Tsibukovsky, compreso il periodo di detenzione preventiva, scade l’8 Febbraio 2023, mentre per Safonova è terminata a Dicembre ed è stata rilasciata dal centro di detenzione preventiva.

Il caso contro Safonova e Tsibukovskiy è stato chiuso e riaperto più volte. Nell’autunno del 2018 è emerso un altro episodio: Anastasia e Dmitri sono stati accusati di “vandalismo” a causa dei graffiti contro la riforma delle pensioni. Nel 2020, su sollecitazione della polizia, il tribunale ha mandato la coppia nei centri di detenzione preventiva. Nel 2021, Anastasia e Dmitriy sono stati condannati rispettivamente a due anni e due anni e mezzo di regime generale. Tuttavia, in appello, la decisione è stata annullata e gli imputati sono stati rilasciati dal centro di detenzione preventiva.

Nell’autunno del 2022, in seguito ad una nuova indagine, il caso è tornato a galla: l’ufficio del pubblico ministero ha chiesto cinque anni per Dmitriy e Anastasia. Tuttavia, i giovani non erano presenti alla pronuncia della sentenza. Come hanno riferito i media, citando FSB, gli anarchici erano stati arrestati il giorno prima nella regione di Orenburg mentre tentavano di attraversare il confine con il Kazakistan. Questo non ha influito sulla durata della sentenza: alla coppia non era stato vietato di viaggiare in quel momento. La decisione del tribunale è stata relativamente clemente: Anastasia è stata condannata ad un anno e nove mesi di reclusione e Dmitry a due anni. La pena di Tsibukovsky, compreso il periodo di detenzione preventiva, scade l’8 Febbraio 2023, mentre per Safonova è terminata a Dicembre ed è stata rilasciata dal centro di detenzione preventiva.

Doxa da ora D : Come e quando siete stati seguiti?
Anastasia da ora A: Nel Febbraio 2018, i media hanno riportato molte informazioni 1 sulla repressione degli anarchici e la tortura da parte delle forze dell’ordine, tra cui FSB. Tali atrocità non dovrebbero esistere nel ventunesimo secolo, e sono davanti a noi ovunque.
Io e Dima non siamo stati in grado di rimanere indifferenti; abbiamo deciso di esprimere il nostro parere e attirare l’attenzione su cose scandalose, inaccettabili.
Pertanto, abbiamo realizzato un’azione contro la tortura: abbiamo appeso uno striscione sulla recinzione vicino all’edificio locale del FSB. Dima ha gettato un fumogeno nella neve, dietro lo striscione per illuminarlo; per questo è stato accusato di “aver usato un oggetto come arma”.

Video Azione degli anarchici di Chelyabinsk

L’azione si è svolta nella notte tra il 14 e il 15 Febbraio. La sera del 19 sono venuti a perquisirci. Io ero a casa e loro preso Dima dal lavoro [e lo hanno portato] in manette [a casa]; lo hanno tenuto a faccia in giù sul pavimento per tutta la durata della perquisizione. Poi ci hanno portato nell’edificio del FSB per il resto della notte. Lì hanno picchiato Dima con un taser, lo sentivo urlare. Anche io sono stata minacciata, ma per fortuna non si è arrivato a nulla. Al mattino lo hanno portato alla stazione di polizia, dove ci sono stati degli interrogatori, e la cosa è andata avanti per cinque anni.

D: Riguardo lo striscione, come sono arrivati a voi?
A: Anche noi vorremo saperlo.

D: Non lo sapete ancora?
A: Speravamo che il dossier facesse luce su questo, ma non è stato così. Va chiarito che il Ministero degli Interni ha aperto il caso il 19 Febbraio, ma dal 15 al 19 è stato gestito dal FSB, che ha condotto “un lavoro investigativo operativo”. Con loro tutto è segreto, quindi nessuno ci dirà la verità. Possiamo solo fare ipotesi e supposizioni. Probabilmente siamo stati seguiti nei giorni precedenti. Una volta mi trovavo alla fermata dell’autobus e ho notato un uomo che si comportava in modo strano, attraversando più volte il semaforo, avanti e indietro. Ma in quel momento non ci ho fatto molto caso. Ho ricordato quel momento molto più tardi, quando la sorveglianza era totale e avevo imparato a individuarlo. All’epoca pensai semplicemente che quell’uomo fosse strano.
Ero inesperta e il livello di paranoia non era abbastanza alto.

D: Come è iniziato il caso dei graffiti 2?
A: Nell’autunno del 2018, c’è stata una riforma per aumentare l’età pensionabile dei cittadini. Ha causato malcontento tra la popolazione. A Chelyabinsk, con [l’inquinamento persistente] e un gran numero di fabbriche [presenti], questo problema è molto più acuto perché non sempre le persone vivono fino alla pensione. Siamo stati invitati a partecipare all’azione contro la riforma delle pensioni. Non abbiamo potuto rifiutare perché non eravamo d’accordo [con questa misura].

Graffiti contro la riforma delle pensioni
Fonte: Reti sociali

Verso la fine, quando stavamo per tornare a casa, ci sono saltati addosso da tutte le parti, ci hanno afferrato e portato alla stazione di polizia. Non si sono presentati, non ci hanno mostrato i documenti e nessuno indossava un’uniforme.

D: All’epoca eravate sotto inchiesta penale per lo striscione?
A: No, il caso penale sullo striscione era stato chiuso all’epoca. È stato chiuso due volte per mancanza di prove: una volta nel Giugno 2018 e un’altra il 5 Ottobre [dello stesso anno]. Il 6 Ottobre c’è stata una manifestazione sulla riforma delle pensioni. In seguito è stato aperto un caso di vandalismo e a Novembre è stata condotta una seconda perquisizione. Poi hanno riaperto il caso di teppismo [lo striscione] e successivamente li hanno uniti.

D: Dici di essere stata trattenuta dopo l’azione, ma di essere stata attaccata da più parti: cosa è successo?
A: Come abbiamo scoperto in seguito, tramite gli atti del caso, eravamo “sotto sorveglianza”. Anche in questo caso, per qualche ragione, il motivo non è stato specificato. È stata esclusa immediatamente la fuga di informazioni da parte dei nostri amici. Non ne abbiamo parlato al telefono o via messaggi. Il livello di segretezza era alto. Probabilmente, tutti coloro di cui si sapeva qualcosa erano tenuti d’occhio, perché c’erano molte proteste contro la “riforma delle pensioni”.

D: Come valuti ora il tuo operato?
A: Ci sono stati degli errori, alcune cose dovevano essere fatte in modo diverso. Ma anche in questo caso si tratta di una visione di cinque anni fa, con le conoscenze e l’esperienza attuale. Un detto dice: “Se sapessi dove cadrò, getterei un po’ di paglia” 3. È facile riflettere quando si sa cosa ha portato a ciò che è successo. All’epoca, credo che abbiamo fatto del nostro meglio, quello che pensavamo fosse la cosa giusta da fare.

D: Quanto tempo hai passato in detenzione e agli arresti domiciliari?
A: Ho trascorso circa nove mesi nel SIZO (centro di detenzione preventiva, ndt): circa tre e mezzo nel 2020, due e mezzo nel 2021 e quasi tre nel 2022. E circa tre mesi di arresti domiciliari. Per tutto il resto del tempo [circa due anni] mi è stato vietato di svolgere determinate attività. Ci hanno imposto tutta una serie di divieti speciali: per oltre un anno abbiamo avuto il divieto di “comunicare con qualsiasi persona”, il che significa che non potevamo comunicare con nessuno tranne che con gli avvocati, i parenti stretti e gli organi statali.
La situazione è cambiata solo quando i tribunali hanno iniziato un secondo ciclo nel Dicembre 2021. Il resto è stato tutto nella norma: divieto di utilizzare Internet, il telefono, ricevere e inviare delle lettere, partecipare a eventi pubblici e uscire di casa dalle 22 alle 6 del mattino.

D: Descrivi le caratteristiche della detenzione femminile nei centri di detenzione preventiva.
A: Nel centro di detenzione preventiva numero 3 di Chelyabinsk le donne sono tenute in un edificio separato. È a regime [carcerario stretto].4 Le donne tendono a seguire [questo] regime perché non hanno molta coesione. Tutte vogliono andare a casa il più velocemente [possibile], spesso dai loro figli; cercano di non infrangere le regole perché sperano di [ottenere la] libertà vigilata5. Le condizioni di vita sono migliori di quelle degli uomini: l’edificio è relativamente nuovo, vengono fatte delle riparazioni, le finestre sono di plastica e non vengono mai aperte, vi è l’acqua calda, i servizi igienici sono decenti, i materassi sono alti e vi sono, in ogni cella, sei persone. Per un carcere, [queste caratteristiche], non sono affatto male.
A Zlatoust 6, dove noi siamo andati [dopo la sentenza] d’appello, la prigione era vecchia, le celle erano fredde, umide, non c’era acqua calda e così via dicendo. Ma non erano così severi con le regole.
Per quanto riguarda il regime [generale] della “Tre” (riferito al numero del centro di detenzione preventiva di Chelyabinsk, ndt), non posso non dire che sia stato quasi difficile.
I letti devono essere fatti, i rapporti [delle guardie penitenziarie] vengono fatti, non puoi dormire durante il giorno, non puoi camminare in cella di notte, non c’è comunicazione tra le varie celle.
Anche se il personale penitenziario ti tratta bene, non c’è maleducazione. Per quanto riguarda il modo di vivere, tutto è abbastanza prosaico: libri, lettere, preparazione per il processo giudiziario, TV. Ho anche scritto poesie e imparato il coreano, quindi ho trovato qualcosa da fare. In carcere il tempo non manca; bisogna riempirlo con qualcosa.

D: Quali erano le sanzioni per chi violasse il regime? Supponiamo che qualcuna si fosse sdraiata sul letto durante il giorno.
A: Nel centro di detenzione preventiva di Chelyabinsk ci si poteva sdraiare durante il giorno e nessuno avrebbe detto nulla, ma non era permesso dormire. Se si accorgevano che stavi dormendo, potevano scrivere un rapporto e mandarti nel buco (cella di isolamento, ndt).
I rapporti vengono inviati al tribunale insieme al detenuto; questa cosa chiude la porta della libertà vigilata e quindi si cercano di evitare [comportamenti del genere]. La maggior parte dei rapporti sono per aver dormito, aver gridato tra le celle e, occasionalmente, aver trovato oggetti taglienti come coltelli.

D: Interessante: puoi sdraiarti, ma non puoi dormire. Ma come fanno a sapere se sei solo sdraiata o stai dormendo?
A: Nel centro di detenzione preventiva di Chelyabinsk c’è una telecamera tra i due angoli opposti della cella. Ebbene, il personale ti sorveglia 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Probabilmente il reality show più deprimente di sempre. All’inizio non ne ho parlato perché ero abituata alla presenza della videosorveglianza in cella. Avevo dimenticato che le altre carceri non ce l’hanno, soprattutto quelle maschili.

D: Quindi se chiudi gli occhi, scatta l’allarme?
A: Non proprio. Se una ragazza rimane a lungo sdraiata in una posizione, gira la testa contro il muro e si copre con una coperta; possono scrivere un rapporto in silenzio e poi chiedere spiegazioni a posteriori. Possono arrivare a fare un rimprovero e fermarsi a quello. Qualcuna viene osservata più da vicino, qualcuna riceve meno attenzione. Tutto dipende dal comportamento di chi ci sorveglia.

D: In generale, come ci si sente a essere video sorvegliati 24 ore su 24?
A: All’inizio è stato molto scomodo. Nei primi giorni guardavo costantemente le telecamere, la loro presenza era molto fastidiosa. Ma alla fine ho smesso di farci caso. Una persona è in grado di adattarsi e di abituarsi a questi fastidi rapidamente. Ma questo non ci fa sentire meglio.

D: Gli agenti erano donne? Secondo la mia esperienza, nelle carceri maschili possono stare al banco di sorveglianza sia donne che uomini.
A: Nell’unità femminile tutto il personale che vi lavora è composto da donne. Agli uomini non è permesso nemmeno toccarci. In tutte le perquisizioni e dietro le telecamere ci sono sempre donne. Il personale maschile è lì solo per accompagnarci [in tribunale e in carcere.]

D: Nella detenzione maschile ci sono gerarchie, caste. C’è stato qualcosa di simile nella tua esperienza di detenzione femminile?
A: No, non ho sentito nulla del genere. E che tipo di gerarchia può esserci se non c’è comunicazione tra le celle e ogni cella ha le sue relazioni e il suo ordine? A volte, una ragazza che in carcere da molto tempo, per esempio un anno o due, e conosce tutto il personale, può dare consigli e spiegare [alle altre come funzionano le cose]. Le persone la ascoltano, ma qui è più simile ad una sorella maggiore. Le donne sono molto lontane da qualsiasi gerarchia, almeno nella “Tre”.

D: Seppur agli arresti domiciliari e con il divieto di svolgere determinate attività, sei riuscita a comunicare e/o a stare insieme con Dima?
A: Quando siamo stati trasferiti agli arresti domiciliari [nel Luglio 2020], vivevamo in due indirizzi diversi. Siamo andati insieme al dipartimento di polizia per studiare il fascicolo, nessuno ci ha vietato di comunicare. Poi abbiamo cambiato indirizzo e abbiamo riunito la nostra piccola famiglia, intorno all’autunno del 2020. Da allora abbiamo trascorso tutto il nostro tempo insieme, tranne quando siamo stati in isolamento.

D: Avete preso qualche accordo con Dima in caso di detenzione? Se vi danno un tempo [di condanna] diverso, per esempio
A: Che tipo di accordo ci sarebbe stato in quel caso? Se c’erano più scadenze e differenze tra loro, andavo a fare visite, spedivo pacchi e cose del genere. In pratica, non c’era nulla di cui discutere.

D: Tutto può accadere. Dima avrebbe potuto dire: “Se mi imprigioneranno, dimenticami”. È questo che intendevo.
A: No, no, abbiamo affrontato tutto insieme e continuiamo ad andare avanti insieme. Ne abbiamo passate così tante che alcuni muri e sbarre non possono proprio tenerci separati. Forse tutti questi eventi ci hanno addirittura fatto avvicinare di più.

D: Sei riuscita a tenerti in contatto con Dima durante la detenzione preventiva?
A: Ahimè, no. Mi è stato permesso di mandargli delle lettere dopo la sua sentenza, ma le mie lettere non gli sono arrivate, perché il suo “magico” centro di detenzione [SIZO-1 di Chelyabinsk] ha un problema eterno con le lettere. Nel 2020 abbiamo avuto un divieto di corrispondenza da parte della polizia, e nel 2021 e 2022 non c’erano ostacoli, ma in realtà c’erano. Hanno firmato il mio permesso senza problemi, ma non hanno dato le mie lettere a Dima; c’erano sempre delle scuse. Siamo riusciti a scambiarci un paio di lettere quando, nel 2021, lui è stato portato al SIZO-4 di Zlatoust dopo la sentenza di appello, mentre io ero ancora al SIZO-3.

D: Come ti sei sentita quando è tornato in carcere?
A: Essere detenuti è di per sé spiacevole. Essere imprigionati per la terza volta è doppiamente spiacevole. E la mia ultima esperienza sgradevole è iniziata con il SIZO-1 di Orenburg.
Atteggiamento terribile da parte del personale, molto rudi e maleducati. Oltre alla videosorveglianza, vi erano delle microspie nella cella e al mattino era obbligatorio fare ginnastica. Nella cella in cui mi trovavo non c’erano né libri, né un televisore.
Ignoravano un bene di civiltà come le e-mail. Non c’era da stupirsi se ero contenta di essere tornata al SIZO-3 di Chelyabinsk. Dei due mali preferisco il minore, come si suol dire.
Alla “Tre” [a Chelyabinsk] mi sono trovata in una cella con un’ottima squadra; le ragazze erano tranquille, avevamo molto di cui parlare ed erano molto gentili e disponibili. Le compagne di cella, si può dire, fornivano un aiuto psicologico. Le ringrazio per questo.
L’ultima permanenza nel centro di detenzione preventiva è stata snervante: quando tutto va avanti, è difficile credere che presto finirà.
La mia detenzione, con tutti gli accumuli, è terminata il 9 Dicembre 2022, e il 7 Dicembre c’è stato un tribunale che ha cambiato la misura di restrizione. Tutti sapevano che il 9 Dicembre il tribunale avrebbe ordinato la mia liberazione, ma ero comunque molto preoccupata. Credo che una piena comprensione della fine di tutto questo arriverà solo dopo il ritorno di Dima.

D: Ora sei libera o c’è ancora [qualche] rischio?
A: Il rischio, che aumenteranno il tempo di detenzione? No. L’appello è previsto per il 10 Febbraio. La mia condanna è scaduta lo scorso Dicembre, quella di Dima scadrà l’8 febbraio. Anche lui sarà fuori prima dell’appello. Non ha senso aggiungere tempo e non c’è ragione. Questa volta ha fatto ricorso solo la difesa. L’ultima volta che siamo stati condannati a due anni e mezzo, il pubblico ministero ha scritto che non ci avevano dato abbastanza. Questa volta ci hanno dato un anno e nove mesi e due anni, ma la Procura non ha reagito. A quanto pare, anche loro sono stufi di questo caso. Credo che tutti siano stufi.

D: Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
A: “Progetti per il futuro” – per me è ancora presto in questo momento. Per ora dobbiamo ricostruire quello che avevamo prima della detenzione nel 2020. C’eravamo già stabiliti a Tula e siamo stati portati a Chelyabinsk. Abbiamo trascorso quasi tre anni lontano da casa. Dobbiamo colmare le lacune che si sono create in qualche modo. Per ora, la cosa più grandiosa che possiamo aspettarci è il ritorno a casa di Dima.

D: Il vostro caso è stato definito “il caso degli anarchici di Chelyabinsk”. Ci parli un po’ della tua visione del mondo. È cambiata nel corso degli anni?
A: Sono un’anarchica, quindi non posso dire che le mie idee siano cambiate in tutti questi anni. Per me l’anarchismo è innanzitutto rispetto per l’individuo, ma anche responsabilità di ognunu di noi verso la società, verso le persone che ci circondano.
È un alto livello di solidarietà, di auto-organizzazione, di rispetto e probabilmente un’assenza dell’atomizzazione a cui assistiamo oggi, dove nessuno si preoccupa delle persone che li circondano. Se c’è un alto livello di auto-organizzazione, perché mai avreste bisogno di qualcuno che vi dica cosa fare? Ma capisco che in questo momento l’inizio dell’anarchia è a dir poco difficile. Per me la priorità è una società civile forte e solidale, in grado di difendere i propri diritti e interessi.

D: Chi ti ha difesa e sostenuta in tutti questi anni?
A: Andrei Gennadyevich e Olga Nikolaevna Lepyokhin ci hanno difeso in tribunale. Sono persone squisite e professionisti molto competenti. In un certo senso, il nostro caso è diventato una questione di principio per loro. Si sono battuti per noi dal 2018 e continuano a sostenerci e ad aiutarci. Sono immensamente grato a loro.
Oltre a loro, tante persone ci hanno sostenuto. Sia finanziariamente, rispondendo alla raccolta fondi, sia moralmente, inviando lettere e biglietti. Mando [il mio amore] a tutte queste persone meravigliose! Ad essere sincera, non mi aspettavo di ricevere così tante lettere: il nostro caso era molto lungo e di basso profilo. Per questo è stato doppiamente piacevole: le lettere ci hanno aiutato nel centro di detenzione preventiva, ci hanno dato molta energia positiva e fiducia, ci hanno fatto capire che non siamo soli e che ci sono molte persone buone che si preoccupano per noi.

D: Ci sono organizzazioni o iniziative che vi hanno aiutato e che ora possono essere sostenute per continuare ad aiutare i prigionieri politici? Parlando di sostegno verso gli anarchici incarcerati, viene subito in mente la Croce Nera Anarchica: avete ricevuto qualche aiuto da essa?
A: La Croce Nera Anarchica ci ha dato il suo sostegno. Vladimir Akimenkov ha dato un grande contributo per la raccolta fondi. Sostiene i prigionieri politici da molti anni.

D: C’è qualcos’altro che vorresti dire?
A: Ancora una volta, vorrei esprimere la mia gratitudine a coloro che, in un modo o nell’altro, ci hanno sostenuto. Voglio augurare il meglio a tutti coloro che leggeranno [quest’intervista]. Che significhi qualcosa per tutti.
Lascerò una mia poesia scritta nel 2021 nel centro di custodia cautelare. Forse è rilevante per entrambi i lati delle sbarre.

“Non cedere alla disperazione,
Non importa quanto il destino giri,
Per quanto ferito possa essere il tuo cuore,
Non importa quanto ti laceri l’anima.
*
Prenditi cura della tua umanità
Tieni dentro la gentilezza.
Non essere negligente
Nel vostro lungo viaggio.
*
Lasciati alle spalle i tuoi problemi
Hai le forze per superarli
Getta via le catene
E apri le ali, vola.

*
Non aver paura di fraintendere
Vai con orgoglio, con dignità.
Non cedere alla disperazione.
Sappiate che il meglio deve ancora venire.”

Note del Gruppo Anarchico Galatea (tra parentesi segnate quelle di Doxa)

2Stiamo parlando del caso dei graffiti contro la riforma delle pensioni (Doxa)

3Proverbio russo che indica l’imprevedibilità del futuro. È inserito nel libro di Vladimir Ivanovič Dahl, “Proverbi del popolo russo”

4Luoghi designati in cui il regime stabilito dall’amministrazione è rigorosamente rispettato (Doxa)

5In russo “Усло́вно-досро́чное освобожде́ние от наказа́ния” (УДО). Traduzione letterale: “Rilascio condizionale anticipato dalla pena”. I detenuti possono richiedere la libertà vigilata al tribunale qualora abbiano seguito un percorso correttivo e scontato una parte della pena. Il tribunale giudicherà l’idoneità o meno dei richiedenti per la libertà vigilata.

6SIZO-4 della città di Zlatoust della regione di Chelyabinsk (Doxa)

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