Questione migranti. Situazione dal confine polacco-bielorusso – 1

dal canale Telegram di “No Borders Team”

-Mohammed in sciopero della fame

Mohammed, un 26enne iracheno, è in sciopero della fame da più di una settimana al Centro Sorvegliato per Stranieri di Przemyśl.
“Libertà o morte!” ha scritto riguardo le sue motivazioni.
Questa è la sua richiesta. Probabilmente domani [25 Dicembre 2022] verrà spostato in isolamento.
Mohammed è in detenzione da diciassette mesi. Recentemente il tribunale, su richiesta della guardia di frontiera, ha esteso la sua pena di un altro mese. [Mohammed] ha subito violenze nel suo paese d’origine, poi sul confine lituano, dove è stato respinto dalle forze dell’ordine polacche. Mohammed è ancora imprigionato dopo essere stato preso nell’Agosto 2021
Vi invitiamo a scrivere una lettera al comandante della guardia di frontiera responsabile della prigione e chiedere giustizia per Mohammed (ID219): komendant.biosg@strazgraniczna.pl o chiamarli al +48 16 673 20 00
Mohammad ha ricevuto due rifiuti per il suo status di rifugiato. In tali situazioni, la guardia di frontiera vuole garantire efficacemente l’adempimento dell’obbligo di rimpatrio, ad esempio con la deportazione della persona.
Nel caso dell’Iraq però, questo è impossibile perché il paese non accetta deportazioni forzate. Quindi qual è lo scopo di detenere ulteriormente Mohammed ed altre persone irachene nei centri-prigioni sorvegliate per stranieri di Przemyśl and Lesznowola?
Sembra che questa sia violenza nella sua forma più pura, violazione dei diritti fondamentali e tortura, sebbene l’attraversamento irregolare del confine non sia un crimine, ma solo un reato. La punizione con molti mesi di prigione è inadeguata ed incompatibile con gli standard dell’Europa fondata sui diritti umani. Vale la pena far presente anche che le persone irachene sono un gruppo particolarmente discriminato in Polonia e soggetto a detenzione eccessiva che dura più di un anno.
Basta detenzioni!
Libertà per Mohammed e per tutt* i prigionier*!

-Ennesima morte al confine

Il 28 Dicembre, abbiamo ricevuto informazioni su un’altra vittima dei confini.
Sembra che una donna di 30 anni dalla Siria sia morta il 27 Dicembre.
Non conosceremo mai del tutto le circostanze della sua morte, perché come tutte le persone che arrivano ai confini dell’Unione Europea, era uno strumento nella guerra di propaganda degli Stati, ed anche ora viene usata in questo senso.
I servizi bielorussi hanno già prodotto un video di propaganda a loro vantaggio, i servizi polacchi si stanno scrollando di dosso la responsabilità scrivendo che avevano informato il lato bielorusso di una persona morta al confine.
Nel frattempo, bielorussi e polacchi hanno rimbalzato persone malate e deboli, donne, uomini e bambini da una parte all’altra del confine per diversi mesi. Li buttano in fiumi ghiacciati, picchiano persone indifese e distruggono i loro cellulari, che spesso sono l’unico strumento per uscire dalla foresta.
In questo modo, entrambe le parti hanno portato alla morte di dozzine di persone, centinaia di persone sono scomparse o hanno subito danni permanenti alla salute, migliaia di persone sono rimaste traumatizzate dal dover lottare per la propria vita mentre venivano lanciate attraverso il filo spinato più e più volte.
Non conosceremo mai i dettagli delle morti di molte delle persone che hanno perso la vita al confine.
Ma sappiamo la verità riguardo il loro destino: sono state uccise dai funzionari bielorussi e polacchi, dalle politiche razziste dell’Unione Europea e dai signori della guerra dei paesi vicini. L’Unione Europea ha insegnato [a questi paesi] come usare [le persone migranti] come mezzi di pressione, pagandoli per anni per proteggere i loro confini e traendo vantaggio dal fatto che in questi paesi i diritti umani non vengono rispettati.
Non dimenticheremo le vittime dei confini. Né dimenticheremo chi le ha uccise.

-Aggiornamento su Mohammed
Ieri [2 Gennaio] Mohammed, in sciopero della fame da 21 giorni, è stato trasferito in isolamento nel Centro Sorvegliato per Stranieri di Przemyśl.
Quattro persone irachene sono in sciopero della fame nel SOC a Lesznowola. Lottano per la loro dignità, la loro libertà e le loro vite. Mostriamogli che non sono sol* in questa lotta.
Nel caso di Mohammaed, chiama l’unità della Guardia di frontiera di Bieszczady e chiedi riguardo la sua salute e quando verrà rilasciato dal centro.
Telefono +48 16 673 20 00

-Altri scioperi della fame e picchetti fuori dai SOC

Oggi, 7 Gennaio, è un altro giorno di sciopero della fame nel centro polacco di detenzione a Lesznowola, dove quattro persone irachene stanno rifiutando il cibo da 5 giorni.
Mohammed, un detenuto a Przemyśl, è in sciopero della fame da venti giorni. Ha interrotto [lo sciopero] quando le guardie di frontiera l’hanno messo in isolamento.
Queste persone, come quelle prima di loro, utilizzano questa forma di protesta per porre l’attenzione sulle condizioni disumane in cui sono tenute, sulla mancanza di informazioni sui loro casi legali, l’impossibilità di conoscere la durata della loro permanenza nei cosiddetti centri sorvegliati per stranieri (in polacco, SOC).
Alcuni di loro sono lì da 17 mesi…
Oggi gli attivisti che lottano da tempo per i diritti e la libertà delle persone migranti hanno protestato fuori da entrambi i centri [di detenzione]. Ci sono state manifestazioni spontanee di solidarietà di fronte al SOC a Przemyśl e al centro chiuso di Lesznowola
La solidarietà è la nostra arma; quello che segue è il contenuto del discorso di alcune ore fa a Przemyśl e la risposta dietro le mura del centro di detenzione.
Quando siamo stat* qui l’ultima volta avevamo promesso di ritornare. Ed eccoci qui.
Un’altra persona imprigionata e tenuta nel campo ed è in sciopero della fame. Per qualcuno, questa potrebbe sembrare una decisione drastica o incomprensibile. Ma sotto queste condizioni – condizioni di isolamento, confusione, incertezza sul futuro, aggressioni e violenze da parte delle guardie di confine – questo è l’unico modo.
Ed anche se non produce risultati immediati, mostra che le persone non sono passive e che usano i mezzi di resistenza che gli rimangono.
Siamo qui per le persone in sciopero della fame; per quelle che stanno lottando; per quelle che stanno perdendo la forza; per quelle che hanno provato a suicidarsi; per quelle che si supportano a vicenda; per quelle che si oppongono alle guardie; per quelle in detenzione ed isolamento; per quelle che vengono da Iraq, Syria, India, Congo o Tajikistan. Siamo qui per tutt*, perché nessuno dovrebbe stare un giorno di più in questo centro che sembra una prigione, mai piu!
Basta centri di detenzione, basta confini, libertà di movimento per tutt*!”

 

-Proteste del 7 Gennaio davanti al centro per stranieri di Lesznowola, Polonia

Abbiamo bisogno di voi, attivisti, affinché raccontiate di noi nei media. Veniamo dall’Afghanistan, dall’Iraq, dalla Siria. Vogliamo solo la pace per tutti. (…) Vogliamo solo avere una buona vita. Vogliamo la libertà!”
È un estratto dell’appello di una delle persone che si trovano dietro le mura del centro chiuso di Lesznowola, ascoltato il 7 Gennaio, quando in segno di solidarietà con tutte le persone detenute e in sciopero della fame, gli attivisti avevano organizzato una manifestazione fuori dalla struttura.
Già prima della manifestazione uno degli scioperanti doveva essere ricoverato in ospedale e ieri sera (8 Gennaio, ndt) un altro ha perso conoscenza. Le guardie non sembravano preoccuparsi e gli hanno detto di bere solo acqua…. Tuttavia, gli attivisti hanno chiamato un’ambulanza due volte, che le guardie si sono rifiutate di far entrare e uno dei chiamanti è stato multato per chiamata di servizio ingiustificata.
Alle due del mattino di oggi (9 Gennaio, ndt) tutti gli scioperanti sono stati portati in isolamento.
La Guardia di frontiera polacca si sta ovviamente vendicando dei manifestanti; è anche possibile che li sposteranno in un altro SOC. C’è anche il fondato timore che neghino le visite ai sostenitori come ulteriore forma di punizione.
Tutto ciò dimostra quanto siano disumani e fuori controllo i centri per stranieri polacchi; ma noi non smetteremo di sostenere coloro che sono ingiustamente imprigionati.
La solidarietà è ancora la nostra arma!

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Gran Bretagna. Più di un milione di lavoratori potrebbero scioperare il 1° Febbraio

Traduzione dall’originale Over one million workers could strike on 1 February

I leader sindacali parlano di una giornata di sciopero unitaria. Ma gli attivisti devono lottare perché sia il trampolino di lancio per una maggiore resistenza, non soltanto una protesta di un giorno.

I leader sindacali si stanno muovendo per indire una giornata di sciopero unitaria che potrebbe coinvolgere oltre un milione di lavoratori mercoledì 1° Febbraio. Il piano è un altro segno di quanto le cose stiano cambiando – e del potenziale di lotte efficaci per trasformare la politica britannica.

Una giornata di sciopero unitaria può diventare un punto di riferimento per l’intera classe operaia, indipendentemente dal fatto che abbia votato o meno per lo sciopero o che [lavoratori e lavoratrici] siano iscritti/e o meno in un sindacato. Ogni attivista dovrebbe spingere per questa iniziativa e costruirla nella maniera più ampia possibile con picchetti di massa, marce e proteste militanti.

Ma la visione dei leader sindacali è ancora molto lenta e limitata. Lasciata a se stessa, sarà in gran parte passiva e sarà la fine di un processo piuttosto che un inizio.

La scorsa settimana [12-18 Dicembre 2022] i vertici di circa 20 sindacati si sono incontrati per discutere della possibilità di un’azione congiunta. Tra i presenti c’erano rappresentanti dei sindacati CWU, PCS, NEU, NASUWT, Unison, GMB, Aslef e FBU.

La maggior parte di essi mirava a uno sciopero di un giorno il 1° Febbraio. Tuttavia, molti sono in attesa dei risultati delle votazioni. Il voto del NEU, che coinvolge centinaia di migliaia di insegnanti, si chiude il 13 Gennaio. È appena in tempo per dare i 14 giorni di preavviso richiesti dalle leggi antisindacali per il 1° Febbraio [ – sempre] se i funzionari sindacali si muovono rapidamente. Il voto del sindacato degli insegnanti NASUWT in Inghilterra e Galles termina il 9 Gennaio.

Ma, ad esempio, le votazioni per il sindacato dei vigili del fuoco FBU si protraggono fino al 30 Gennaio, quindi non saranno convocati il 1° Febbraio.

La scorsa settimana i leader sindacali hanno concordato di riunirsi nuovamente il 10 Gennaio per prendere una decisione definitiva. La data è oggetto di discussione. Questa settimana (quella del 19-25 Dicembre 2022, ndt) il leader dell’UCU Jo Grady ha dichiarato agli iscritti del sindacato: “È possibile che l’azione coordinata del TUC venga indetta nella prima settimana di Febbraio (a partire dal 6 Febbraio)”.

Un membro dell’esecutivo sindacale di alto livello, a conoscenza di quanto accaduto, ha dichiarato a Socialist Worker: “Tutti si rendono conto che stanno per arrivare decisioni importanti. Ci saranno accordi nel settore ferroviario e postale, e gli infermieri riusciranno a spuntarla?

“Alcuni di coloro che sono fuori da un po’ di tempo sentono che avrebbero bisogno di un po’ più di sostegno per superare la soglia e ottenere qualcosa. Ma la maggior parte dei leader sindacali è anche desiderosa di ottenere attenzione per la propria azione specifica, quindi non è convinta dell’idea che lo sciopero unitario sia la via principale da seguire”.

È in atto un vero e proprio cambiamento. Centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici sono già stati/e coinvolti/e in scioperi quest’anno. L’Ufficio per le statistiche nazionali ha dichiarato il 13 Dicembre che a Ottobre sono state “perse” 417.000 giornate lavorative a causa degli scioperi. È il dato più alto dal Novembre 2011, quando 2,5 milioni di lavoratori del settore pubblico hanno scioperato per gli attacchi alle pensioni.

Tra Giugno e Ottobre di quest’anno, ci sono state più di 1,1 milioni di giornate di sciopero, il numero più alto in un periodo di cinque mesi dall’inizio del 1990. E queste cifre sottovalutano sempre il numero effettivo di lavoratori e lavoratrici coinvolti/e, perché si basano sui rapporti dei datori di lavoro.

Ma ciò che colpisce è quanto poco i leader sindacali si siano mossi per adeguarsi alle nuove possibilità. Nessun leader sindacale, sia di destra che di sinistra, ha lanciato un appello per un’azione concreta a sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici del Servizio sanitario nazionale.

Il sindacato degli infermieri RCN ha organizzato scioperi in vaste aree dell’Inghilterra e del Galles per la prima volta da oltre un secolo. Ma questo fatto straordinario, e la profondità della crisi sociale che riflette, non ha suscitato quasi alcuno scalpore tra i segretari generali.

Non ci sono stati appelli ufficiali a livello nazionale per una reale solidarietà nei picchetti, né manifestazioni o raduni di sostegno. Perché i leader sindacali non hanno spinto per azioni sul posto di lavoro – almeno durante le pause – a sostegno degli infermieri ed infermiere e dei lavoratori e lavoratrici delle ambulanze? Perché non spingersi oltre e incoraggiare i lavoratori e le lavoratrici a recarsi ai picchetti del RCN, della GMB, dell’Unison e dell’Unite NHS?

La risposta è: il timore dei leader sindacali è che qualsiasi cosa possa essere vista come una violazione delle leggi antisindacali. Ci sono state alcune imponenti manifestazioni di sostegno e picchetti, ma solo grazie all’iniziativa di sindacalisti e attivisti locali.

L’editorialista del “Financial Times” Sarah O’Connor ha scritto questa settimana: “Arrivati alla fine dell’anno, è difficile sostenere che il 2022 sia stato un anno positivo per i lavoratori. I salari globali sono scesi in termini reali quest’anno per la prima volta dall’inizio degli studi comparabili.

“Nel Regno Unito, secondo le previsioni ufficiali, un decennio di crescita stagnante dei salari prima della pandemia sarà seguito dal più forte calo del tenore di vita delle famiglie in sei decenni. A me non sembra una spirale salari-prezzi. Sembra un attacco contro le condizioni di vita”.

Abbiamo bisogno di vittorie. Tutti dovrebbero spingere affinché il 1° Febbraio diventi una realtà e che sia un trampolino di lancio per l’escalation di scioperi a oltranza necessari a garantire il successo.

Tony Cliff, fondatore del Partito Socialista dei Lavoratori, ha scritto che uno sciopero di massa “accentua tutta la forza della classe” ma anche “tutte le sue debolezze – l’influenza della burocrazia, l’immaturità ideologica”.

Lottiamo per un grande sciopero il 1° Febbraio e perché sia un passaggio decisivo ad un livello di lotta più alto.

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La gestione della migrazione – Un commento sugli ultimi 12 mesi al confine

Traduzione dall’originale Migration management – A comment on the last 12 months at the border.

[Per ulteriori informazioni sulla situazione al confine tra Polonia e Bielorussia vedasi anche “Vedi Minsk e muori. Come le imprese bielorusse vendono i rifugiati” Parte Prima e Parte Seconda]

I confini nei giochi politici
È passato un anno da quando la migrazione è diventata ancora una volta l’argomento più discusso in Polonia. È da quasi un decennio che non si vedevano così tanti eventi importanti.

In occasione di questo anniversario si possono leggere numerosi resoconti di organizzazioni e gruppi di ogni tipo che sono in qualche modo legati alla situazione al confine o che vogliono semplicemente utilizzare un argomento popolare solo per promuoversi agli occhi dell’opinione pubblica. I resoconti sono forniti da chiunque: autorità governative, fondazioni, ONG, media statali e di “opposizione” e media che si dichiarano indipendenti.
Ci si può basare su questo per avere un quadro di ciò che è accaduto negli ultimi dodici mesi? Probabilmente sì.
È possibile comprendere meglio il quadro più ampio di ciò che sta accadendo nel mondo ed il perché? Purtroppo molto meno.

Il confine, come altri aspetti della nostra realtà, è oggetto di appropriazione da parte di due narrazioni dominanti che hanno dominato il discorso politico per più di dieci anni. Entrambe queste visioni sono, in realtà, due facce della stessa medaglia ed entrambe ci portano verso l’abisso.

Da un lato, il governo, utilizzando strumenti primitivi di ingegneria sociale, ci sta propinando la più disgustosa propaganda razzista. Dall’altro, l’opposizione – nota per la sua ostinata attuazione delle politiche neoliberali create da Sachs e Balcerowicz 1, che hanno segnato i primi due decenni della Polonia post-comunista (privatizzazioni, tagli al welfare, decostruzione della collettività a favore di una società dei consumi) – sta mostrando una fede quasi da culto nell’Unione Europea, nelle sue istituzioni e nei suoi funzionari.
Queste narrazioni hanno completamente dominato la scena politica negli ultimi due anni, non lasciando spazio a nessun tipo di prospettiva radicale. Finché non usciremo da questo circolo che si autoalimenta, non saremo in grado di rispondere alle domande su cosa sta succedendo e su quale sarà il nostro futuro.

Guerra alle persone che si spostano

Non intendiamo discutere del fatto se l’approccio del governo sia appropriato o meno. Non è detto che chi legge creda a tutto ciò che dice Anna Michalska 2 . Più avanti nel testo analizzeremo in che modo il governo ha reagito al cambiamento della situazione e come l’ha modellata negli ultimi anni.

La politica di Prawo i Sprawiedliwość (Partito Diritto e Giustizia – PiS) in materia di migrazione è più o meno la stessa dal 2015, quando è iniziata la prima battaglia su[lla pelle dei] migranti. Ricordiamo bene gli attacchi razzisti prodotti dai media governativi, che riproducevano cliché razzisti [presi] direttamente dalla storia del III Reich, quindi non ci aspettavamo che le autorità reagissero in modo diverso questa volta. La situazione a Usnarz Górny 3 , nonostante la paura, ha mostrato quanto sia grande la paralisi decisionale creata da poche persone indebolite e in bilico tra la vita e la morte. Diversi giorni nel fango e nella pioggia senza la possibilità [per i solidali] di portare cibo o bevande. Nessuno che potesse prendere una decisione e assumersene la responsabilità. [Nessuna possibilità di] riferire al ministero domande come:” si può dare una bottiglia d’acqua a una persona assetata?” Da un lato [del confine], soldati nervosi durante il loro lavoro disumano, dall’altro, soldati che buttano a terra acqua davanti a chi non beve da oltre una dozzina di ore. Il cerchio si chiude. Ma sapevamo che era solo l’inizio.

Quando ci si trova di fronte a una tale sofferenza per la prima volta, non si può passare indifferenti, deve fare impressione. Era il momento degli impulsi umani. Più tardi arriva qualcos’altro: la normalizzazione della sofferenza, [del]la morte, [del]la segregazione umana. Quello che molti di noi hanno già visto ai confini tra Grecia e Macedonia, in Serbia e Ungheria o a Calais. Dopo questo, nessuno si chiede “come sia possibile”: sappiamo che le forze dello Stato uccidono e guardano la morte senza emozioni. La neutralizzazione è la normale reazione del nostro corpo. E se a questo potere aggiungiamo la possibilità di una violenza eccessiva e l’impunità, otteniamo un perfetto mirmidone di Stato. Nessuno che sia stato al confine si meraviglierà più di come sono stati creati i campi di sterminio e come sono iniziati i genocidi.

L’attuazione dello stato di emergenza è stata una reazione alla copertura mediatica che Usnarz ha ricevuto. Donne e bambini stesi nel fango, sorvegliati da soldati con i fucili: immagini del genere non fanno fare bella figura alle autorità.

Così è stata creata la “zona”. Nonostante la legge polacca consenta di attuare lo stato di emergenza per un massimo di tre mesi, l’area al confine tra PL e BY [Polonia e Bielorussia] è stata isolata per dieci mesi, durante i quali le persone che attraversavano le foreste sono state lasciate da sole.

A queste persone è stata data la caccia:  soldati, fascisti delle unità di difesa territoriale, cani, droni, dispositivi di imaging termico. Hunger games, giochi di guerra sicuri per ragazzi e ragazze in uniforme. Gli altoparlanti della polizia emettevano suoni di cani che abbaiavano per spaventare ancora di più i bambini nei boschi. In mezzo a tutto questo, persone provenienti dai villaggi vicini e da quelli che hanno fatto molta strada per cercare di trovare le persone nella natura selvaggia prima che accada il peggio.

Tutto ciò che serve per svalutare la vita umana è tracciare una linea sulla mappa

Tutte le grandi organizzazioni con budget enormi, che amano vantarsi di proteggere i diritti umani, si sono rivelate inefficaci e incapaci di agire.

Ciò che resta sono le azioni autogestite e informali. Eravamo lì insieme – insieme abbiamo sperimentato i respingimenti dei nostri nuovi amici incontrati nelle foreste; quando abbiamo ricevuto notizie di altri cadaveri trovati nella natura più remota; eravamo lì con i bambini spaventati, le donne violentate, gli uomini torturati, molti dei quali sono stati costretti a vendere i loro organi per fare questo viaggio. Eravamo insieme quando il governo ha deciso di costruire un muro lungo il confine – perché cos’altro poteva inventarsi un governo del genere?

Eravamo insieme a Krosno Odrzańskie 4, per protestare contro la detenzione di persone in celle sovraffollate solo a causa dei loro passaporti. È lì che le autorità, che provano odio e paura verso qualsiasi segno di solidarietà, hanno usato la violenza contro di noi – diverse persone sono state ricoverate in ospedale. Qualche agente ha subito conseguenze? Ovviamente no. Invece, dieci di noi sono accusati di aver aggredito un agente di polizia – un’accusa standard in Polonia. 5

Krosno Odrzańskie, 12.02.2022. Protest pod SG w Krośnie Odrzańskim

Siamo stati insieme in tutte quelle situazioni, condividendo questo grande fardello e avvicinandoci l’uno all’altro. Queste esperienze ci hanno permesso di vedere un lato completamente nuovo di ciascuno di noi. Un lato bellissimo.

Per questo vogliamo ringraziare di cuore tutte le persone con cui abbiamo lavorato nell’ultimo anno. Sia che si tratti di foreste, campi di detenzione, ricerca di persone scomparse o lotta contro questo sistema deleterio nei tribunali. L’organizzazione di base e l’indipendenza sono stati i nostri punti di forza e siamo riusciti a creare qualcosa che non molto tempo fa molti consideravano impossibile.

La zona è stata revocata, il muro è stato costruito.

Il numero di persone che attraversano le frontiere a volte sale, a volte scende. I media hanno dimenticato l’argomento: c’è la guerra in Ucraina, c’è l’inflazione, ci sono le celebrità e i loro problemi. Nel frattempo, è bene sapere che la rotta orientale rimarrà aperta per molto tempo. Łukaszenko, portando persone dal Medio Oriente e dall’Africa, sicuramente stava in qualche modo attuando il piano di Putin di destabilizzare la Polonia nel contesto dell’invasione dell’Ucraina. Non è l’unica ragione delle sue azioni. Avendo un confine diretto con l’Unione Europea, voleva avere delle garanzie al suo potere assoluto, [garanzie] diverse da quelle russe, inaffidabili in una prospettiva di guerra. Come altre dittature confinanti con l’UE, ha usato il solito vecchio trucco: ha dimostrato che può aprire i suoi confini, ma può anche rendere molto più difficile attraversarli, ovviamente a caro prezzo.
Altre dittature attorno all’UE conducono la stessa politiche. La Turchia governata da Erdogan – il secondo più grande esercito della NATO – può perpetrare un genocidio sui curdi e torturare i membri dell’opposizione, e continuare a essere considerata un partner rispettato dai leader europei. Tutto questo perché l’UE ne ha bisogno per controllare i propri confini. La dittatura in Marocco può condurre una politica di epurazioni e discriminazioni contro la popolazione del Sahara occidentale occupato per lo stesso motivo.

Sostenendo regimi che violano i diritti umani, l’Unione Europea sposta gran parte dell’onere di mantenere la Fortezza Europa su altri Paesi. E [questi paesi] possono essere molto più efficienti nel contenere le persone in movimento, dal momento che non sono soggetti alle stesse “limitazioni” dei membri dell’UE.

Turchia
Nel 2014, a causa delle operazioni militari in Siria, milioni di persone bisognose di aiuto umanitario immediato sono arrivate in Turchia. Hanno implementato un sistema basato su un atto speciale, simile a quello che abbiamo ora in Polonia dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Tuttavia, dopo la caduta di Aleppo nel 2016, la situazione è cambiata drasticamente, molte più persone che non volevano rimanere lì sono arrivate in Turchia. Così dal 2016 è in vigore il cosiddetto “accordo di sangue”, chiamato eufemisticamente accordo tra Turchia e Unione Europea, volto a fermare le imbarcazioni che attraversano il mare in direzione delle isole greche. Sono stati pubblicati molti rapporti, libri e pubblicazioni su ciò che accade dalla parte turca. Quando le barche con i rifugiati affondano nel Mediterraneo, nessuno reagisce. Comincia a sembrare un omicidio politico premeditato.

La tragedia di queste persone è il risultato delle azioni di trafficanti, poliziotti corrotti, politici dell’UE, avvocati e tribunali. Quante persone non raggiungono mai le coste greche? Nessuno tiene un elenco delle persone scomparse. Le indagini indipendenti indicano che ci sono molte domande senza risposta. Chi identifica le vittime? Dove vengono portati i corpi? Chi decide dove seppellirli? Come fanno le famiglie a sapere della morte dei loro parenti ed è possibile per loro trovare le tombe? Coloro che sono riusciti ad attraversare il mare vengono poi portati nella più grande prigione all’aperto d’Europa, il cosiddetto hot spot di Moria e, dopo che è stato completamente bruciato nel settembre del 2021, a Moria 2.0.

L’esternalizzazione delle frontiere ha causato danni inimmaginabili a migliaia di persone in movimento che, oltre a subire traumi di guerra o altre forme di PTSD [stress post-traumatico], sono spesso costrette a vivere in condizioni terribili, certamente non conformi a nessuna convenzione sui diritti umani. L’esistenza delle tendopoli sulle isole greche è una macchia nella nostra storia moderna e nulla potrà cancellare questa vergogna.

Libia
Un altro triste esempio delle politiche migratorie dell’UE sono i cosiddetti centri di accoglienza in Libia. Da lì salpano le imbarcazioni verso l’Italia e Malta, le cui possibilità di raggiungere la destinazione sono per lo più un grande punto interrogativo. La più grande tragedia sulle coste dell’isola italiana di Lampedusa, chiamata per decenni la porta d’Europa, ha fatto 366 vittime e in un solo momento è diventata il simbolo dell’impotenza, costringendo allo stesso tempo l’UE a intraprendere azioni di aiuto. La missione avrebbe dovuto aiutare le persone, ma è diventata l’ennesimo sistema oppressivo di controllo e sofferenza.

In risposta alle politiche migratorie di regime, le imbarcazioni di soccorso delle iniziative di base sono salpate alla volta del mare. Si è scatenata una vera e propria guerra contro gli attivisti, le cui navi sono state spesso fermate in porto e l’equipaggio arrestato, impedendo di fatto di effettuare operazioni di salvataggio.

L’UE ha concluso un altro accordo finanziario (dopo quello con la Turchia) con la Libia, inviando la cosiddetta guardia costiera libica contro le persone in mare, alla vista delle quali alcuni preferiscono gettarsi in acqua e annegare… Perché? Perché i cosiddetti centri di accoglienza in Libia sono famosi per essere luoghi in cui avvengono quotidianamente torture, stupri, omicidi e schiavitù.

La legge libica stabilisce che si può diventare prigionieri del centro di detenzione sia quando ci si va, sia quando si vuole lasciare il Paese.

Questi campi sono “gestiti” non solo dalle autorità, ma anche da mercanti di schiavi, bande e contrabbandieri. Non assomiglia forse alla situazione delle persone in movimento che hanno attraversato il confine tra Polonia e Bielorussia? Mettere arbitrariamente le persone in centri sorvegliati per stranieri ha conseguenze negative altrettanto forti di quelle a cui vanno incontro le persone imprigionate in Libia.

Tutti conoscono la situazione delle persone nei campi libici, ma nessuno fa nulla al riguardo.
I soccorritori in mare, che  strappano letteralmente le persone dalle mani dei libici, lo sanno. Sono essi stessi vittime della criminalizzazione e molti di coloro che lavorano in missione sono accusati di reati e sono in attesa di processo, mentre il loro unico crimine è la forte necessità di aiutare e salvare le persone dalla morte.
In questo tratto di confine non c’è una guardia costiera ufficiale europea, perché l’UE ha ancora una volta comprato la pace e ha usato la forma dell’esternalizzazione delle frontiere. I ricordi di coloro che sono sopravvissuti ai campi libici, raccontati dopo un viaggio pericoloso, ci spingono a rispondere alla domanda: perché permettiamo violazioni così evidenti dei diritti umani su così larga scala?

Spagna

In Spagna ci sono due importanti hotspot per i flussi dei migranti: le enclave di Melilla e Ceuta, sulle coste dell’Africa settentrionale. Nonostante il muro che le circonda sia alto sei metri, [esso] viene regolarmente oltrepassato. Quest’anno, a giugno, quando un folto gruppo di persone ha cercato di attraversare il muro, la polizia spagnola e marocchina ha aperto il fuoco. Si stima che siano state colpite ben 45 persone (i numeri non sono esatti perché non si conosce lo stato dei feriti riportati in Marocco). Questo confine è uno dei luoghi in cui la brutalizzazione della migrazione avviene su larga scala.

La Spagna, in quanto potenza coloniale, non vede la necessità di assumersi la responsabilità del proprio passato, rendendolo un elemento chiave del progetto della Fortezza Europa. Alle Isole Canarie, tra le migliaia di turisti, ci sono anche le “ombre umane”. Sono persone in movimento che sono arrivate lì dall’Africa occidentale. A volte i pescatori locali trovano barche vuote, segno che qualcuno non ce l’ha fatta. A volte trovano cadaveri. È il prezzo da pagare per cercare di raggiungere l’Europa.

Perché ombre umane? Perché una volta arrivati sulle isole diventano invisibili – al sistema, al mondo. Sono intrappolati e non possono uscire. Aspettano sulle isole per mesi la possibilità di trasferirsi nella metropoli spagnola.

Libertà, non Frontex
Purtroppo, abbiamo sentito molte volte persone solidali con le nostre azioni – anche da parte di persone attive sul confine polacco-bielorusso – affermare che la presenza di funzionari di Frontex potrebbe porre fine alle violazioni dei diritti umani perpetrate dalle autorità polacche. Per le persone del movimento no borders, attive sul Mar Mediterraneo e sulla rotta balcanica, questo argomento suona come uno scherzo di cattivo gusto. Purtroppo, in Polonia sono ancora poche le persone che conoscono l’operato di questa istituzione.

Frontex è stata creata nel 2004 con l’obiettivo di “aiutare i Paesi membri dell’UE e quelli dell’area Schengen a sorvegliare le frontiere esterne dell’area di libera circolazione dell’Unione”. Dal 2016, l’agenzia europea non si occupa solo di sorvegliare i flussi migratori, ma anche di gestire le frontiere. Dal sito web di Frontex si apprende che la sua missione è quella di sostenere lo “Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia”. Diamo un’occhiata più da vicino. In Grecia e nei Balcani Frontex è presente e lavora a fianco delle guardie di frontiera e della polizia.

L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è stata accusata di aver coperto i respingimenti illegali di imbarcazioni nel Mar Mediterraneo. Un’indagine ha concluso che i vertici dell’agenzia hanno intenzionalmente nascosto informazioni sulle pratiche di respingimento della guardia costiera greca, ritenute illegali dal diritto internazionale. In seguito a queste rivelazioni, Fabrice Leggeri, direttore generale di Frontex, è stato costretto a dimettersi. Questo incidente dimostra quanto sia importante l’esistenza di organizzazioni di base e indipendenti in grado di monitorare le frontiere marittime.

Un buon esempio è Aegean Boat Reports che, dal 2015, pubblica rapporti dettagliati sui respingimenti illegali che avvengono sulla terra e sul mare. Il loro lavoro è reso possibile grazie alle stesse persone in movimento, che condividono la loro posizione prima, durante e dopo la traversata. Nel 2021, Aegean Boat Reports ha documentato 629 respingimenti nel Mar Egeo, in cui 15803 donne, uomini e bambini sono stati allontanati dalla sicurezza [che potevano trovare in] Europa. Un terzo di loro, 5220 persone, si trovava già sulle isole greche (Lesbo, Kos, Chios, Leros) quando, arrestate dalla polizia, sono state costrette a tornare ai pontili e alle zattere di salvataggio per poi essere deportate dalla Guardia Costiera greca (HCG) e da Frontex.6

Quasi il 60% di tutte le imbarcazioni intercettate dalla guardia costiera turca nel 2021 sono state inizialmente respinte dalle autorità greche. A questo va aggiunto un elevato numero di respingimenti che avvengono nei pressi di Evros, al confine terrestre tra Turchia e Grecia. Qui, come in altri confini esterni dell’UE, le guardie di frontiera locali sono aiutate da funzionari di Frontex. È proprio in aree come queste – punti di contatto e zone cuscinetto – che avvengono molti respingimenti violenti.

https://left.eu/issues/publications/black-book-of-pushbacks-volumes-i-ii/

La procedura è simile a quella a cui siamo abituati in Polonia: rifiuto di accettare la domanda di protezione internazionale, sequestro di telefoni e documenti, privazione di cibo e bevande, violenze, percosse… Nessuno viene registrato, anzi, le persone vengono caricate su camion e riportate al confine, gettate sulle spiagge, nei fiumi, nelle foreste e costrette a tornare da dove sono venute.

Rapporti dettagliati sulla violenza alle frontiere esterne sono disponibili sul sito web Border Violence Monitoring Networks. Lavorando a fianco di iniziative autogestite e organizzazioni formali, sono riusciti a documentare 1558 casi di violenza perpetrati dalle guardie di frontiera in Serbia, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Grecia, Turchia e Slovenia 7. Alcune testimonianze sono così drastiche che è difficile credere alla depravazione dei servizi in uniforme.

Un’altra regione in cui Frontex collabora con la guardia costiera locale con conseguenze mortali è la costa libica. Basta leggere i rapporti di Sea Watch, soprattutto a partire dal maggio 2021, per avere un quadro della situazione.8

Oltre a gestire le frontiere, Frontex è anche un organizzatore chiave dei programmi di espulsione dell’Unione Europea. Funziona come agenzia dell’UE per le “operazioni di rimpatrio”, coordinando i voli di deportazione, avviando espulsioni, aiutando i “rimpatri forzati” e facendo pressione sui Paesi non facenti parti dell’UE affinché riprendano i rifugiati espulsi.9

La fiducia nel ruolo di Frontex e dell’Unione Europea come garanti dei diritti umani è semplicemente priva di fondamento. Migliaia di persone condannate alla tortura o alla morte nelle periferie dell’UE dovrebbero essere sufficienti a metterci in guardia da queste istituzioni e dalla loro attività alle frontiere. Seguendo la loro logica, i diritti umani dovrebbero essere garantiti solo ai cittadini dell’UE e del Nord globale.

Abbiamo potuto osservare una trasformazione nelle persone al confine. La fiducia nelle autorità – enorme all’inizio – si è rapidamente dissolta a ogni notizia di respingimenti, violenze e trattamenti disumani delle persone in movimento. Nessuna parola avrebbe potuto ottenere questo risultato: la gente doveva vederlo con i propri occhi. Frontex si costruisce la reputazione di un’organizzazione che ci protegge dalla “minaccia” della migrazione incontrollata, mentre collabora con chi ne trae profitto.

Polonia – Il confine orientale della Fortezza Europa

I problemi ai confini esterni dell’UE non sono stati creati da Łukaszenko. L’unica cosa che ha fatto è stata sfruttare la situazione di milioni di persone che cercano rifugio in Europa per le proprie macchinazioni. Se non avesse creato il passaggio a est, molti rifugiati avrebbero cercato di raggiungere l’Europa in altri modi. In realtà Łukaszenko non è diverso dai dittatori di Paesi come la Turchia, che proteggono i confini esterni dell’UE, in cambio di guadagni finanziari.
In molti casi, il governo polacco va contro i desideri di Bruxelles – l’abbattimento delle foreste secolari o l’omofobia ne sono due esempi, ma è ingenuo credere che ci sia un conflitto quando si tratta di politica di confine. La finzione di una disputa viene mantenuta solo perché i politici di destra possano fingere di difendere l’indipendenza e le tradizioni dello Stato polacco, guadagnando così elettori. Gesti teatrali come la minaccia di non far entrare Frontex significano poco quando la Polonia è pienamente conforme ai desideri dell’UE quando si tratta di politiche di confine e di esercito.

Frontex, come organizzazione, è responsabile di tutte le frontiere esterne dell’UE, e solo perché non incontreremo nessuno dei suoi scagnozzi al confine polacco, non è una prova che non coordini le politiche e il comportamento delle guardie di frontiera. Le azioni intraprese contro coloro che cercano rifugio non sono diverse in Polonia rispetto alla Grecia o alla Spagna. Come dappertutto, i respingimenti, la violenza fisica e il rifiuto di avviare qualsiasi procedura legale di asilo sono all’ordine del giorno.

Pertanto, una “crisi dei migranti” creata artificialmente è utile a tutte le parti in conflitto. Łukaszenko ha potuto usarla per rafforzare la sua posizione nei negoziati. La Polonia è stata in grado di mobilitare una grande quantità di soldati e volontari delle unità di difesa territoriale, oltre a costruire oltre 100 km di mura nel mezzo di una delle ultime foreste veramente secolari d’Europa. Nessuno può stimare quanto sia costato a tutti noi quest’ultimo anno, anche se è molto più facile indovinare dove siano finiti i soldi (per un resoconto sulle aziende che hanno costruito il muro e sui loro legami con le autorità, si veda il nostro blog).10

Da Bruxelles sono arrivati milioni di euro. L’UE ha rafforzato la sicurezza al confine orientale. Tutto questo è stato fatto a spese di persone normali e comuni che cercavano solo una vita migliore e che sono state (falsamente) indotte a credere che i loro diritti umani fondamentali non sarebbero stati violati in Europa.

Sia chiaro, non crediamo che l’UE sia in qualche modo diversa dagli altri imperi. Ci rendiamo conto che il comfort di cui gode il suo cittadino medio è possibile solo grazie allo sfruttamento di coloro che si trovano al di fuori dei suoi confini. Inoltre, questo benessere è accessibile solo ad alcuni all’interno dei suoi confini, indipendentemente dal fatto che si trovino lì “legalmente” o meno.

Epilogo
Durante una recente chiacchierata con un* attivista impegnat* nelle lotte contro le deforestazioni, ha dichiarato di non pensare di proteggere la natura, ma piuttosto di salvare esseri umani. Un ecosistema distrutto ci inghiottirà per primi per poi ricrescere rapidamente, questa volta senza di noi. È semplice: prendendoci cura del nostro ambiente, prolunghiamo la nostra esistenza sulla Terra.

L’analogia con la migrazione è ovvia: aiutando le persone in movimento salviamo anche noi stessi.
Le conseguenze del riscaldamento globale provocheranno lo spostamento di un numero sempre maggiore di persone, costringendole a migrare dai loro luoghi di origine. Quello a cui stiamo assistendo ora è solo una frazione di ciò che ci aspetta nel prossimo futuro. Mantenere gli attuali ritmi di produzione è impossibile. Mantenere la qualità di vita a cui siamo abituati diventerà presto irrealistico, ecco perché dobbiamo iniziare a riconsiderare il nostro approccio al futuro in cui vogliamo vivere. Le migrazioni di massa in arrivo cambieranno questo mondo per sempre. Domani potremmo diventare noi i rifugiati braccati dalle guardie di frontiera.

La nostra unica speranza risiede nell’immaginare un mondo in cui possiamo coesistere gli uni con gli altri, avviando processi di ridistribuzione della ricchezza e ponendo fine alle politiche (post)coloniali basate sull’estrattivismo e sull’espropriazione. Questo non può essere fatto senza cambiamenti sociali e politici più profondi, in cui le lotte intersezionali sono di importanza cruciale.

La situazione delle persone in movimento riflette, e non può essere separata dal, l’attuale crisi globale del sistema capitalistico. Già vediamo molti luoghi diventare inabitabili a causa della siccità, dell’esaurimento del suolo e dell’avvelenamento 11. Nonostante ciò, ci sono ancora milioni di persone che vivono in queste aree degradate. Non abbiamo il diritto di dire loro di “stare a casa loro”, senza alcuna prospettiva per loro e per i loro figli. Le “migrazioni di ritorno” forzate spesso significano condannare le persone alla fame, alla povertà, alla violenza, alle malattie, alle repressioni politiche e alla morte.

Porre fine all’attuale sistema, basato sull’accumulo e sullo sfruttamento illimitato di persone e risorse, potrebbe non sembrare realistico. Sicuramente non sarà un passaggio graduale a una nuova era, in cui vivremo tutti in pace. Sarà piuttosto un processo doloroso, soprattutto per coloro che provengono dal Nord globale e che non hanno mai sofferto la fame o conosciuto la violenza del quotidiano. Dovremo rinunciare alle comodità e ai privilegi che abbiamo considerato acquisiti per troppo tempo.

Ci troviamo in una situazione in cui semplicemente non c’è altra soluzione: cercare risposte nell’attuale quadro politico può solo portare a guerre, totalitarismi incombenti, nuove forme di schiavitù e una vita ridotta a una mera lotta per la sopravvivenza.

Sì, abbandonare il sistema attuale non sembra realistico, ma è la nostra unica possibilità. Le azioni che non affrontano questo contesto più ampio non possono portare alcun risultato duraturo e a lungo termine. Ecco perché, al contrario di molti individui e organizzazioni, e nonostante questo non sia esattamente il messaggio che garantisce una diffusione sui social media, non abbiamo paura di dirlo. Spesso sentiamo dire che la società non è pronta al cambiamento, che non è nemmeno pronta a discutere di alternative. Seguendo questo modo di pensare, la nostra capacità si riduce ad atti reattivi e performativi che rafforzano ulteriormente il sistema attuale. Seguendo questa logica, trattiamo le persone come degli stupidi – ma questa è esattamente l’essenza della carità e degli aiuti umanitari. A prescindere dalle preoccupazioni morali che derivano da questo tipo di attività, esse non porteranno mai un vero cambiamento. Non è questo il loro scopo.

Non proponiamo soluzioni semplici, perché i problemi che dobbiamo affrontare sono estremamente complessi. La realtà post-capitalista vuole farci credere che ogni ostacolo può essere superato se “ci impegniamo abbastanza”. Ci fa credere che tutto possa essere risolto in modo facile e indolore.

Non abbiamo soluzioni pronte o risposte semplici: dobbiamo elaborarle insieme. È possibile solo se continuiamo a comunicare tra di noi, evitando di trattare le persone come qualcuno da proteggere dalla verità, da tenere nella loro bolla di ignoranza. Inoltre, non possiamo chiuderci nel contesto più ampio della lotta e rifuggire da azioni ritenute “non realistiche” dal resto della “società civile”. Perché tutti noi meritiamo di meglio.

Questo (anti)report non deve essere considerato come una sintesi accurata delle nostre attività e azioni. Sarebbe impossibile racchiudere in un unico testo tutto ciò che è accaduto durante l’anno. Inoltre, non siamo interessati a farlo. Per noi, in quanto testimoni di alcuni processi politici e storici che si sono svolti sul confine, è più importante aprire una discussione su che tipo di azioni possono portare benefici e cambiamenti reali. Agire alla cieca, in modo schematico, non può che portare a ulteriori burn-out e delusioni.

Non chiudiamoci in una narrazione in cui le persone in movimento sono viste come la radice del problema; non crediamo, opportunisticamente, che rendere più sicure le politiche di “migrazione di ritorno” risolverà la situazione che stiamo affrontando.

Non si tratta di distogliere lo sguardo dalle sofferenze che si verificano nel cortile di casa nostra.
Al contrario, dovremmo essere “grati” che sia così visibile e sotto gli occhi di tutti.

Perché quando le persone soffrono lontano [da noi], è più facile per noi dimenticare e fingere di non sapere…

Note

Abbiamo deciso di cambiare l’impostazione delle note per inserire alcune informazioni di contesto in modo da spiegare chi sono alcuni personaggi citati e quale ruolo giocano nello scenario polacco. Le note [1] [2] [3] [4] sono la traduzione di brevi spiegazioni forniteci da No Borders Team, il resto delle note è quello originario.

1 Jeffrey Sachs, autore della terapia d’urto in economia per passare dall’economia socialista al capitalismo. Alla fine degli anni ’80, con la caduta del regime comunista in Polonia e in tutto il blocco sovietico, il governo polacco iniziò a trasformare l’economia in un capitalismo liberale insieme ad alcuni leader dell’opposizione. Utilizzarono la terapia d’urto di Sachs/Lipton, che fu attuata da Leszek Balcerowicz – giovane economista liberale responsabile dell’economia nel nuovo governo. Per questo motivo tutta l’economia crollò, tutti gli impianti statali e le aziende agricole statali (sovkhoz) furono distrutte e privatizzate. Questa fu grande tragedia per la maggior parte della società, molte persone si suicidarono, la disoccupazione esplose e il capitalismo selvaggio prese il sopravvento per i successivi 20 anni.

2Anna Michalska è portavoce della Guardia di frontiera polacca. È il volto della politica disumana delle guardie e del governo polacchi.

3Usnarz Górny è un villaggio dove all’inizio dell’agosto 2021 un gruppo di afgani era bloccato sul lato polacco. Questa situazione ha avuto molta attenzione dei media, non potevamo raggiungerli per dare loro acqua o cibo perché erano circondati dai soldati. Hanno trascorso in quel campo intere settimane, e alla fine sono stati spostati, non sappiamo dove esattamente. In questo gruppo c’erano donne e bambini ed era un’immagine piuttosto forte della violenza al confine. A causa di questa situazione e dell’attenzione dei media lo Stato polacco ha attuato uno stato di emergenza per 10 mesi, in cui nessuno poteva avvicinarsi a pochi chilometri dal confine.

4Krosno Odrzanskie è una piccola città nella Polonia occidentale, dove si trova uno dei centri di detenzione per migranti. Nel febbraio 2022 il movimento No borders organizza una manifestazione di fronte a questo centro di detenzione in solidarietà con gli scioperi della fame. La manifestazione finisce con degli scontri. 10 de* nostr* compagn* hanno subito processi, accusat* di aver aggredito agenti di polizia.
Vedasi https://nobordersteam.noblogs.org/2022/02/against-repressions-after-demo-in-krosno/

5https://nobordersteam.noblogs.org/2022/02/against-repressions-after-demo-in-krosno/

6https://aegeanboatreport.com/monthly-reports/

7https://www.borderviolence.eu/

8https://sea-watch.org/frontex_crimes/

9https://abolishfrontex.org/frontex/

10https://nobordersteam.noblogs.org/2022/01/kto-buduje-mur-na-granicy-spolki-akcjonariusze-powiazania-biznesowe/

11https://www.nature.com/articles/d41586-022-00585-7

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Gran Bretagna: Sull’ondata di scioperi in corso

 

Traduzione dall’originale “The current strike wave”

Molti lavoratori e lavoratrici si sono alzati in piedi per combattere. La classe dominante ed il governo Tory, aiutati e favoriti dalla leadership del partito Laburista, insistono [sul fatto] che lavoratori e lavoratrici devono accettare la riduzione dei posti di lavoro, i tagli salariali, peggiori condizioni [di lavoro] ed un declassamento dei servizi [sociali]. Allo stesso tempo hanno alzato il tetto dei bonus ai banchieri.

Il governo di Sunak è preparato a mandare l’esercito negli ospedali in Inghilterra e Galles per rompere gli scioperi dei lavoratori e lavoratrici delle ambulanze e per utilizzare altri soldati per sostituire i lavoratori delle dogane in sciopero nel controllo dei passaporti.

Nel frattempo i leader dei sindacati sono rimasti silenti su queste mosse per interrompere gli scioperi. Non si deve collaborare con l’esercito nelle sue operazioni di rottura dello sciopero e i lavoratori devono uscire immediatamente se vengono impiegati.

Oltre questo, il governo sta progettando ulteriori leggi per limitare il diritto allo sciopero. Ciò comporterebbe l’applicazione di leggi sul servizio minimo durante gli scioperi nei sistemi di trasporto. In altre parole, i sindacati dovrebbero accettare di far funzionare molti servizi durante gli scioperi.

A sostegno di queste proposte, il partito Laburista ha dichiarato che non avrebbe abrogato queste leggi se fosse stato eletto.

Scioperi isolati di uno o due giorni non scoraggeranno i dirigenti delle ferrovie, delle poste e del servizio sanitario nazionale. I lavoratori devono introdurre tattiche di “work to rules” e di “go-slows”1 (come stanno già facendo i lavoratori postali) e aumentare le dimensioni e la militanza dei picchetti. Inoltre, è necessario aumentare la pressione per costringere i leader sindacali ad accettare un’azione di sciopero coordinata. Sebbene alcuni di questi leader sindacali si stiano dichiarando a parole favorevoli all’idea di uno sciopero generale, in realtà non riescono a mobilitarsi in modo efficace in questo momento.

Questi stessi leader sindacali sono pronti ad accettare accordi salariali inferiori all’inflazione, se possono. Basti pensare all’accordo con BT, rivendicato come una vittoria dai vertici del sindacato CWU 2 , o alla disponibilità del sindacato GMB a revocare lo sciopero programmato dai lavoratori delle ambulanze per il 28 Dicembre.3

La pressione dal basso sta costringendo i leader sindacali a pensare a un’azione congiunta per il 1° febbraio. I leader sindacali di ASLEF, CWU, FBU, GMB, NASUWT, NEU, UNISON e PCS si sono incontrati di recente per discutere di una giornata di sciopero comune. L’FBU, il sindacato dei vigili del fuoco, ha deciso di non aderire all’azione in quanto le votazioni proseguono fino al 30 gennaio.

Uno sciopero unitario di un giorno è ancora limitato, ma è un inizio per costruire un’azione unitaria su vasta scala. I lavoratori militanti dovrebbero fare pressione sui burocrati sindacali affinché questa giornata di azione si realizzi.

Quest’anno, nel 2022, centinaia di migliaia di lavoratori hanno intrapreso azioni di sciopero. Secondo l’Office of National Statistics, nel solo mese di ottobre sono state perse 417.000 giornate lavorative per sciopero, il livello più alto dal novembre 2011. Inoltre, da giugno a ottobre sono stati persi 1,1 milioni di giorni lavorativi per scioperi, il livello più alto dai primi mesi del 1990.

Nonostante il riemergere di questa militanza, i leader sindacali si rifiutano di indire raduni e manifestazioni nazionali e di incoraggiare il sostegno ai picchetti.

Come l’ACG continua a ripetere, è necessario organizzare comitati di base per gli scioperi che cerchino un’azione congiunta e solidale tra i diversi settori in sciopero e che puntino a costruire organismi a livello di quartiere che uniscano gli scioperanti, i disoccupati, i pensionati e gli studenti delle scuole e dei college per sviluppare la solidarietà negli scioperi, per resistere agli sfratti e per fungere da fulcro per la resistenza al regime di Sunak e, in effetti, a qualsiasi futuro governo laburista in arrivo intenzionato a perseguire l’austerità e gli attacchi ai salari e alle condizioni della classe operaia.

Note del Gruppo Anarchico Galatea
Abbiamo deciso di aggiungere delle note al testo originario per inserire alcune informazioni di contesto, in modo da spiegare meglio le dinamiche delle lotte sindacali in corso

1 Il “work to rules”, o sciopero bianco, è forma di protesta dei lavoratori che consiste nel rifiuto di collaborare realizzato però senza astensione dal lavoro, mediante applicazione rigida e burocratica delle regole e dell’orario di lavoro contrattuale. Il go-slows o “slowdown” è una tattica che i lavoratori usano che consiste nel portare a termine il lavoro ma impiegando più tempo e riducendo quindi la produttività.

2 L’accordo a cui si fa riferimento è quello firmato tra il sindacato CWU (Communication Worker Union – Sindacato dei lavoratori delle [tele]Comunicazioni) e BT (British Telecom). Sul sito del CWU si riportano i termini dell’accordo:

Retribuzione BT – Raggiunto un accordo finale

A seguito delle discussioni con l’azienda nelle ultime settimane, abbiamo raggiunto un accordo finale per risolvere la nostra controversia. Ci stiamo preparando per una votazione consultiva e voi potrete votare sull’accordo proposto.

L’accordo porterà a:
-Un aumento di stipendio forfettario di £ 1500 (pro-quota (o pro-rata) per i [lavoratori] part-time) completamente consolidato e pensionabile per tutti i gradi rappresentati dalla CWU in BT plc, EE Ltd e Openreach Ltd, pagabile mensilmente dal 1° gennaio 2023.
-Anche le indennità legate alla retribuzione che sono automaticamente collegate alla retribuzione aumenteranno dell’importo complessivo del premio.
-La prossima data di revisione salariale, solo per il 2023, sarà il 1° settembre 2023 per consentire un periodo di trattative su discussioni di lunga data per risolvere tutte le questioni salariali e di inquadramento attualmente non concordate.
-Dal 2024 in poi, la revisione annuale delle retribuzioni tornerà al 1° aprile 2024.
-Nell’ambito dei colloqui con BT abbiamo concordato di rinnovare e rafforzare il nostro modo di lavorare insieme. Ciò sarà importante nel momento in cui l’azienda cercherà di rispettare l’impegno di ridurre i costi e migliorare l’efficienza entro la fine dell’anno fiscale 25 e ci darà l’opportunità di influenzare qualsiasi potenziale impatto sugli iscritti alla CWU.
Il risultato di questo accordo sulla retribuzione equivale a un aumento permanente di £ 3000 (incluse le £ 1500 ricevute dal 1° aprile 2022) con un’ulteriore revisione il 1° settembre 2023. Ad esempio in termini percentuali all’anno, che si traduce in oltre il 10% per gli ingegneri di erogazione del servizio Openreach classificati TMNE2 e poco meno del 10% per i B2. I dipendenti meno pagati, ad esempio: TMSV2 e TMSV1, avranno ricevuto rispettivamente oltre il 13% e il 15%.
Il Comitato esecutivo della CWU ha deciso di raccomandare l’accordo, ritenendo che sia il massimo che si possa ottenere attraverso la negoziazione e la vostra azione sindacale. Il voto consultivo sarà condotto elettronicamente via e-mail e si concluderà prima di Natale. Il calendario esatto sarà comunicato nel corso della settimana. È di vitale importanza che esprimiate il vostro voto perché, se l’accordo proposto dovesse essere respinto, non ci sarà altra opzione che convocare un altro scrutinio legale per intraprendere ulteriori azioni sindacali nel nuovo anno.
Non fraintendeteci, il vostro significativo sacrificio nell’intraprendere un’azione di sciopero, nel prendere posizione contro BT e nell’opporvi all’aumento salariale originariamente imposto in aprile ha costretto BT a tornare al tavolo delle trattative. Senza di ciò, non ci sarebbe stato alcun ulteriore aumento salariale. Nel migliore dei casi, alcuni dipendenti con salari più bassi avrebbero potuto ricevere un pagamento una tantum del costo della vita a dicembre. È stata avanzata e vinta la richiesta di un aumento salariale consolidato; il consolidamento è estremamente importante perché significa che viene pagato ancora e ancora, a differenza di un pagamento una tantum che non aumenta la retribuzione effettiva.
Infine, avete tutte le ragioni per essere orgogliosi dei risultati ottenuti con la vostra perseveranza e determinazione. Il vostro continuo sostegno alle campagne e la vostra solidarietà sono di vitale importanza. Assicuratevi di votare al prossimo scrutinio consultivo, in modo da avere l’ultima parola sull’accordo proposto.

In realtà, nonostante il sindacato CWU sventoli questo accordo come una grande vittoria, si stima che i lavoratori e lavoratrici di BT riceveranno un aumento salariale reale di circa il 6% (l’aumento nominale annunciato da BT è del 15%) e che comunque tutto verrà rimesso in discussione dopo settembre 2023. Inoltre l’offerta di una somma di denaro forfettaria è stata una mossa padronale atta a spaccare la forza lavoro

3 Il sindacato GMB (General Municipal Boilermakers) è una delle più longeve e maggiori centrali sindacali insieme al sindacato Unite. Sul sito del sindacato sono apparsi diversi articoli che annunciavano lo sciopero dei lavoratori del settore sanitario.

30 Novembre – Più di 10.000 lavoratori delle ambulanze votano per scioperare in nove trust in Inghilterra e Galles
[…] I lavoratori dei servizi di ambulanza e di alcuni NHS Trusts hanno votato per lo sciopero a causa del premio salariale del 4% imposto dal governo, un’altra massiccia riduzione dei salari in termini reali.
Nei prossimi giorni il GMB incontrerà i rappresentanti per discutere le possibili date dello sciopero prima di Natale.
Rachel Harrison, segretario nazionale della GMB, ha dichiarato:
“I lavoratori delle ambulanze – come gli altri lavoratori del Servizio sanitario nazionale – sono in ginocchio.
“Demoralizzati e abbattuti, hanno affrontato dodici anni di tagli [da parte dei conservatori al servizio e alle loro buste paga, hanno combattuto in prima linea contro una pandemia globale e ora si trovano ad affrontare la peggiore crisi del costo della vita in una generazione.
“Nessuno nel servizio sanitario nazionale prende alla leggera le azioni di sciopero e la giornata di oggi dimostra quanto siano disperati.
“La questione riguarda tanto i livelli di personale insicuri e la sicurezza dei pazienti quanto la retribuzione. Un terzo dei lavoratori delle ambulanze della GMB ritiene che i ritardi in cui sono stati coinvolti abbiano causato la morte di un paziente.
Qualcosa deve cambiare o il servizio, così come lo conosciamo, crollerà”.
“Il GMB chiede al Governo di evitare un inverno di scioperi nel servizio sanitario nazionale negoziando un premio salariale che questi lavoratori meritano”.

9 Dicembre – Annunciate le date dello sciopero delle ambulanze
Il sindacato GMB ha annunciato le date dello sciopero per più di 10.000 lavoratori delle ambulanze in nove centri in Inghilterra e Galles.
Paramedici, assistenti di emergenza, operatori di chiamata e altro personale sciopereranno il 21 e il 28 dicembre […]
I lavoratori dei servizi di ambulanza e di alcune fiduciarie del Servizio Sanitario Nazionale hanno votato per lo sciopero a causa del premio salariale del 4% imposto dal governo, un’altra massiccia riduzione dei salari in termini reali.
I rappresentanti del GMB si incontreranno ora con le singole fiduciarie per discutere i requisiti per la copertura della vita e della salute.
Rachel Harrison, segretario nazionale della GMB, ha dichiarato:
“Dopo dodici anni di tagli dei conservatori al servizio e alle loro buste paga, il personale del servizio sanitario nazionale ne ha abbastanza.
“L’ultima cosa che vorrebbero fare è scioperare, ma il governo non ha lasciato loro altra scelta.
“Steve Barclay [membro dei Tories e Segretario di Stato per la salute e gli affari sociali del Regno Unito] deve ascoltarci e confrontarsi con noi sulle retribentale della forza lavoro, perché mai è Segretario alla Sanità?

“Il Governo potrebbe fermare questo sciopero in un attimo, ma deve svegliarsi e iniziare a negoziare sulle retribuzioni”.

13 Dicembre – Quasi 300 lavoratori del Mersey Care in sciopero per le retribuzioni
Quasi 300 operatori sanitari del Mersey Care intraprenderanno un’azione di sciopero per la questione salariale.
Il personale, tra cui infermieri, assistenti sanitari, personale di supporto, addetti alle pulizie e personale amministrativo, sciopererà per 24 ore a partire dalle 00:01 del 28 Dicembre 2022.
Si uniranno a più di 10.000 lavoratori delle ambulanze della GMB che sciopereranno lo stesso giorno in tutta l’Inghilterra e il Galles.
I lavoratori di Mersey Care hanno votato per lo sciopero a causa del premio salariale del 4% imposto dal governo, un’altra massiccia riduzione dei salari in termini reali.
I rappresentanti della GMB si incontreranno ora con i trust per discutere le esigenze di copertura delle emergenze.
Mike Buoey, organizzatore GMB, ha dichiarato:
“Dopo oltre un decennio di tagli dei conservatori al servizio e alle loro buste paga, il personale di Mersey Care ne ha abbastanza
“I lavoratori della sanità non vorrebbero mai intraprendere azioni di sciopero, ma questo governo ha lasciato loro poca scelta.
“Steve Barclay deve ascoltare i lavoratori. Deve parlare con la GMB dei salari, altrimenti non ha alcuna possibilità di evitare questi scioperi.
“Il servizio sanitario nazionale è in fase di supporto vitale; il signor Barclay e il suo governo hanno la cura, ma si rifiutano di usarla.
“Devono iniziare a negoziare sulle retribuzioni prima che sia troppo tardi”.

21 Dicembre – Il personale delle ambulanze e il pubblico sono uniti mentre il linguaggio del governo diventa sempre più estremo
Secondo il sindacato GMB, i commenti offensivi di Steve Barclay sul personale del servizio sanitario nazionale sono totalmente fuori dalla realtà e dai cittadini del nostro Paese.
Questa controversia potrebbe essere risolta se il governo facesse la cosa più sensata e adulta e cominciasse a parlare di stipendi ora, invece di diffamare deliberatamente i lavoratori delle ambulanze che si prendono cura dei cittadini.
Rachel Harrison, segretario nazionale della GMB, ha dichiarato:
“I lavoratori delle ambulanze sono entusiasti del sostegno ricevuto oggi dall’opinione pubblica.
“Cercando di infangare il personale delle ambulanze, che lavora sodo, il governo dimostra quanto sia fuori dalla realtà e dalla gente del nostro Paese.
“In tutta la nazione, anche quando gli operatori delle ambulanze erano in sciopero, sono accorsi alle chiamate di emergenza per aiutare chi ne aveva bisogno.
“Invece di rilasciare dichiarazioni sempre più estreme che offendono sia il personale del servizio sanitario nazionale che l’opinione pubblica, il governo deve crescere e mettersi attorno a un tavolo. È ora di parlare di retribuzioni”.

Il 23 Dicembre il sindacato GMB annuncia di aver sospeso lo sciopero pianificato per il 28 Dicembre, con la motivazione che “Il Servizio Sanitario Nazionale è in ginocchio e i cittadini soffrono ogni giorno perché il governo non è riuscito a pianificare e a destinare risorse adeguate al nostro servizio sanitario. In nessun altro luogo questo è più chiaro che negli spaventosi ritardi che si registrano per ricevere un’ambulanza e poi per entrare al Pronto Soccorso.”
“La soluzione a questi problemi inizia con l’assunzione di un numero sufficiente di persone nel servizio sanitario nazionale. Se il governo non inizia subito a parlare di retribuzioni, i problemi peggioreranno di giorno in giorno”.
Rachel Harrison, segretario nazionale della GMB, ha aggiunto: “Siamo sopraffatti dall’incredibile sostegno pubblico di mercoledì [21 dicembre] ai nostri paramedici e al personale delle ambulanze. La gente di tutto il Paese è stata meravigliosa nel sostenerci e anche noi teniamo molto a loro.
“Per questo motivo stiamo sospendendo l’azione sindacale proposta dalla GMB per il 28 dicembre. Sappiamo che i cittadini apprezzeranno il fatto di potersi godere il Natale senza ulteriori ansie. Loro ci sostengono e noi sosteniamo loro”.
Tuttavia, ha aggiunto [Harrison]: “La crisi della forza lavoro nel nostro Servizio sanitario nazionale è così grave, e il nostro impegno per ottenere per il personale delle ambulanze la giusta retribuzione che meritano è più forte che mai, quindi stiamo programmando un’altra data per l’azione l’11 gennaio 2023.
[fonte Ambulance workers suspend planned strike on 28 December – The Guardian]

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Una causa mineraria in Guatemala mostra come i tribunali del commercio mettano le grandi imprese al primo posto

di Ana Sandoval (*) 5 Dicembre 2022

Tradotto da Federica per il Gruppo Anarchico Galatea

I resistenti locali chiedono un modello economico diverso, che dia priorità all’acqua e al suolo pulito, alle comunità sane, alla pace, alla dignità e all’autodeterminazione.

Una compagnia mineraria con sede in Nevada ha citato in giudizio il Guatemala per oltre 400 milioni di dollari, la prima causa di questo genere in un paese impoverito del Centro America.

La società si lamenta del fatto che il governo guatemalteco non abbia fatto abbastanza per proteggere i suoi investimenti nel paese. Ma questa è una novità per la mia comunità e per altru che hanno affrontato la violenta repressione della polizia quando abbiamo manifestato in modo non violento contro operazioni minerarie – volte ad avvelenare la nostra salute e l’acqua.

L’azienda, “Kappes, Cassiday & Associates” (KCA), ha presentato la sua causa presso una filiale poco conosciuta della Banca mondiale chiamata “Centro internazionale per la risoluzione delle controversie sugli investimenti” (ICSID).

L’accordo di libero scambio tra America Centrale e Repubblica Dominicana, che il Guatemala ha firmato con gli Stati Uniti nel 2006, consente alle società statunitensi di citare in giudizio i governi in questo foro non solo per la presunta perdita di investimenti della società, ma anche per la presunta perdita di guadagni futuri. Circa l’80 percento dei 400 milioni di dollari che KCA afferma di aver perso si basa su stime di guadagni futuri derivanti da attività di esplorazione che non ha mai condotto.

Il murale recita “Sì alla vita, no alle miniere”. Credits: Iximche Media.

Le cause legali per gli investimenti minano lo stato di diritto.

La mia analisi di questo caso – pubblicata di recente- mostra come i casi di arbitrato sovranazionale come questo, che sono disponibili esclusivamente per le società transnazionali attraverso accordi commerciali e di investimento, ignorino la resistenza e la violenza che le comunità devono affrontare.

L’opzione di citare semplicemente in giudizio i governi fornisce un perverso disincentivo per le aziende nel rispettare la legge e incoraggiare le speculazioni selvagge sulla futura perdita di profitti, anche quando gli investimenti falliscono. Se la causa avrà successo, priverà la popolazione guatemalteca di milioni di dollari in fondi già scarsi e che potrebbero essere utilizzati molto meglio per soddisfare i bisogni primari della popolazione – come i disastri indotti dalla crisi climatica e frenare il flusso dell’emigrazione forzata.

Queste cause non mostrano alcun riguardo per le preoccupazioni delle persone più direttamente colpite dalle operazioni dell’azienda.

Conoscere i fatti

Il nostro movimento “La Puya” ha presentato negli anni ampie prove di come il progetto aurifero di KCA porterebbe all’esaurimento dell’acqua e all’inquinamento, mettendo a rischio la nostra salute. Fin dall’inizio, la miniera ha incontrato una dura opposizione da parte delle nostre comunità che vivono vicino al progetto, appena a nord di Città del Guatemala. Da allora, le nostre comunità hanno mantenuto per oltre 10 anni un accampamento di protesta 24 ore su 24 sulla strada che porta alla miniera.

Le conseguenze sono state minacce, violenze mirate, persecuzioni legali, repressione della polizia e atti di intimidazione. Il progetto, infatti, ha potuto funzionare solo dopo che la dura repressione della polizia nei confronti del movimento ha sgomberato a più riprese il blocco, permettendo il passaggio delle attrezzature, arrivando anche a ferire le persone. Tuttavia, la miniera d’oro ha funzionato solo per due anni, fino a quando i tribunali hanno sospeso il progetto alla fine del 2015 senza averci consultato adeguatamente.

In risposta ai reclami di KCA, il governo guatemalteco ha sostenuto che la società ha fatto affidamento sui favori del governo nell’ottenere la licenza ambientale. Cita le comunicazioni tra il presidente della KCA Daniel Kappes e l’allora direttore generale delle miniere Selvyn Morales nel 2011, in cui Kappes ha scritto: “Mi sentirei molto più a mio agio se lei partecipasse e potesse aiutarci nel processo di acquisizione dei permessi in modo da poterli ottenere prima che la politica si intrometta troppo pesantemente.” Poco dopo questo scambio, Morales ha lasciato il governo per lavorare per una società di servizi minerari, che KCA ha subito contrattato.

Il Guatemala ha costruito gran parte della sua difesa legale sulla documentazione, gli argomenti e gli studi che abbiamo sviluppato durante anni di lotta con il supporto di tecnici, avvocati e organizzazioni alleate. Ad esempio, la difesa legale del Guatemala indica lo studio di impatto ambientale svolto da KCA come incompleto e viziato e persino il governo riconosce che non si doveva approvare. Inoltre, sottolinea la violazione delle norme ambientali da parte dell’azienda e il mancato ottenimento della licenza edilizia per la costruzione della miniera.

Gli avvocati del governo hanno persino invitato i membri della comunità a testimoniare davanti al tribunale arbitrale.

L’industria mineraria pensava di poter schiacciare l’opposizione locale. Ma il governo non è molto meglio.

La difesa del governo legittima effettivamente le ragioni della nostra lotta decennale. Tuttavia, sebbene utilizzi le nostre argomentazioni e prove per cercare di evitare di pagare l’azienda, non si è ancora mostrato disposto a rispettare il nostro diritto di decidere su un progetto che tocca così profondamente la nostra terra e le nostre vite.

Nel Giugno di quest’anno è iniziato il processo di consultazione ordinato dalla Corte Costituzionale sotto la direzione del Ministero dell’Energia e delle Miniere (MEM). Finora il governo ha mostrato scarso interesse nel coinvolgere le comunità più direttamente colpite e che vivono nelle immediate vicinanze della miniera.

Le azioni del ministero sono in contrasto con le stesse argomentazioni del governo presentate al tribunale arbitrale – in cui sottolinea il malcontento locale per il progetto. Critica KCA per aver raggiunto solo il 6% di credibilità tra la popolazione a partire dal 2014, quando è entrato in funzione, secondo un sondaggio commissionato da KCA.

Il governo guatemalteco sostiene nel procedimento arbitrale che, invece di cercare di consultare le nostre comunità, la società ha tentato di corrompere le persone chiave per ottenere un punto d’appoggio a livello locale: “Hanno effettuato pagamenti diretti ai leader municipali e comunitari” e “hanno pagato delle persone per partecipare a sessioni di rafforzamento delle capacità”, dice il governo.

Inoltre, le autorità guatemalteche criticano l’affermazione di KCA nell’aver “consultato” le comunità attraverso dei colloqui con i consigli pubblici a livello comunale e di villaggio e che non possono essere considerati rappresentativi delle popolazioni indigene.

Tuttavia, il Ministero dell’Energia e delle Miniere sta ora ripetendo alcune tattiche simili per escludere dalla consultazione le popolazioni indigene più vicine alla miniera, concentrandosi sulle comunità situate più lontano dal sito. Così come ha fatto KCA in precedenza, il governo sta favorendo la partecipazione delle agenzie pubbliche e dei consigli municipali, [escludendo] le persone direttamente interessate.


Striscioni che celebrano il decimo anniversario, nel Marzo 2022, della Resistenza pacifica di La Puya. Credito: Iximche Media.

L’arbitrato incoraggia sia gli Stati che le aziende nel mettere da parte l’opposizione. Abbiamo bisogno di un nuovo modello.

Ciò dimostra ulteriormente l’assurdità del sistema arbitrale sovranazionale: aziende e governi possono discutere di ciò che vogliono nelle procedure arbitrali, indipendentemente dai fatti sul campo.

KCA ha agito impunemente per ottenere i permessi e non ha mai dimostrato alcuna intenzione di rispettare la legge guatemalteca. Il governo, da parte sua, ha fatto affidamento sulle argomentazioni delle comunità per costruire la propria difesa e ora sembra voltare nuovamente le spalle ai residenti locali.

Nel frattempo, sono le nostre comunità e il popolo guatemalteco in generale che pagheranno un prezzo enorme se il tribunale arbitrale ordina al Guatemala di pagare a KCA anche solo una parte della sua richiesta o se la consultazione viene manipolata per riavviare il suo progetto.

Il Guatemala non ha bisogno di progetti minerari o accordi internazionali che difendano l’impunità e l’avidità delle multinazionali. Piuttosto, dobbiamo combattere la falsa idea che il Guatemala si svilupperà attraverso l’estrazione di risorse naturali, influendo negativamente sul tessuto sociale delle comunità e contribuendo al nostro maggiore impoverimento.

La “Resistenza Pacifica La Puya”, insieme ad altre comunità organizzate in Guatemala, ha ribadito per più di 10 anni che ciò di cui c’è bisogno è un modello economico diverso, che dia priorità all’acqua e al suolo pulito, a comunità sane, alla pace, dignità e autodeterminazione.

(*) Ana Sandoval è un membro della “Resistenza Pacifica La Puya” in Guatemala.

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“Decine di migliaia di persone potrebbero seguirci”. Adolescenti di Čita rischiano 5 anni di carcere per dei graffiti contro la guerra

Traduzione dall’originale “За нами могут пойти десятки тысяч”. В Чите подросткам грозит 5 лет тюрьмы за антивоенные граффити

Nota
Per rendere scorrevoli determinate frasi e termini, abbiamo fatto qualche lieve modifica, aggiungendo, dove ritenevamo opportuno, delle parentesi quadre.
Pur non essendo madrelingua e tanto meno dei russist*, abbiamo utilizzato come materiali di studio:
-“Dizionario essenziale Russo-Italiano Italiano-Russo a cura di Edigeo”, Zanichelli, 1990; “Dizionario Russo-Italiano, Italiano-Russo”, edizioni “Perun”, 2002.
-“Grammatica russa. Manuale di teoria” di Claudia Cevese e Julia Dobrovolskaja del 2018
-Wiktionary versioni inglese e russa

Aleksandr Snezhkov e Lyubov Lizunova

Due adolescenti di Čita, Lyubov Lizunova e Aleksandr Snezhkov, sono statu arrestatu da agenti della FSB alla fine di Ottobre mentre scrivevano, come graffiti, “Morte al regime”. Ora Aleksandr Snezhkov, 19 anni, e Lyubov Lizunova, 16 anni, sono accusatu di tre articoli penali: inviti pubblici a compiere attività terroristiche (articolo 205.2 del Codice penale), Appelli pubblici per l’attuazione di azioni volte a violare l’integrità territoriale della Federazione Russa (articolo 280.1 del Codice penale) 1 e vandalismo (articolo 214.2 del Codice penale). Due di queste accuse prevedono fino a 3 anni di carcere, la terza fino a 5 anni in una colonia penale. Il 9 Dicembre, Lyubov e Aleksandr sono statu inseritu nel registro dei terroristi del Rosfinmonitoring.

Hanno detto che capivano le mie opinioni, ma io ho infranto la legge”.

Il 31 Ottobre, gli agenti della FSB hanno fermato Sasha e Lyubov tra i garage mentre scrivevano “Morte al regime” su uno di essi.

C’erano già delle prove contro di noi”, dice Lubov Lizunova, “ne abbiamo discusso per corrispondenza. Inoltre, abbiamo i nostri canali telegram, nei quali ci siamo espressi contro l’attuale regime. I garage dipinti sono di fronte alla scuola Gymnasium n. 12 di Čita. La FSB ha persino sequestrato il video dalle telecamere di sorveglianza della casa accanto.”

Spesso disegniamo sui muri”, dice Aleksandr Snezhkov. “Di solito non si tratta di politica, ma di dipingere la propria arte sulle facciate delle case abbandonate. E questi garage erano abbandonati, così abbiamo deciso di dipingerli. Abbiamo dipinto, poi abbiamo acceso il fuoco, volevamo riscaldarci. In quel momento sono arrivati due uomini, ci hanno mostrato i loro documenti e ci hanno portato dentro la scuola. Hanno portato via le bombolette di vernice spray e i pennarelli. Uno di loro mi disse che capiva le mie idee, ma che avevo violato la legge.”

Nonostante il motivo per cui Snezhkov e Lizunova siano statu perseguitu per i graffiti, la FSB ha citato nel suo rapporto i canali telegram “Sugan-25” e “75zlo” – che, a loro avviso, sono stati gestiti da persone sospette.

In particolare, le forze dell’ordine erano interessate ad un post che riassumeva le attività partigiane dall’inizio della guerra alla mobilitazione, in cui venivano menzionate positivamente l’incendio degli uffici di reclutamento militare, il sabotaggio della ferrovia e le azioni dell’ “Organizzazione combattente anarco-comunista”.

Il tribunale ha ordinato che lu adolescentu siano detenutu sotto forma di un ordine restrittivo. Le case di Snezhkov e Lizunova sono state perquisite. Le attrezzature e le registrazioni di proprietà delle loro famiglie sono state confiscate. Ecco perché non possono nemmeno mostrare le foto dei graffiti contro la guerra.

La FSB è arrivata al mattino, io stavo ancora dormendo”, racconta Lyubov, “I miei genitori hanno aperto la porta. Non c’è stata nessuna pressione, nessuna minaccia. Con calma sono andata in cucina e mi sono versata del caffè. È stato spiacevole quando hanno iniziato a leggere le mie note personali e a ridere. Mi hanno preso il telefono, i volantini con scritto “Libertà, uguaglianza, fratellanza”, le spillette antifasciste e quelle con il nome del canale telegram.”

Gli agenti della FSB non sapevano dove vivesse Snezhkov; quindi si sono recati all’indirizzo in cui viveva la madre.

Dopo che gli agenti se ne sono andati, mia madre mi ha chiamato ed era scioccata. Mi ha detto che sono venuti e hanno perquisito tutto. Alla fine hanno preso il suo portatile e il mio vecchio telefono. Non è chiaro cosa vogliano trovarci”, dice Sasha.

Cattiva influenza sui miei coetanei”

Non hanno proibito di muoverci in città”, ha detto Lyubov, “ma ora la FSB sta parlando con i miei genitori. Per ora hanno deciso di farmi studiare a casa, con la motivazione che “ho una cattiva influenza sui miei coetanei e potrei inculcare loro le mie idee.”

Lu ragazzu affermano che i loro casi sono ora gestiti dal Centro E (l’unità anti-estremismo del Ministero degli Affari Interni).

Su richiesta della redazione, il Ministero degli Affari Interni non ha risposto sul caso di Snezhkov e Lizunova,; al telefono un agente in servizio si è rifiutato di commentare i dettagli del caso dellu giovani antifascistu.

Lyubov Lizunova ha 16 anni. Si descrive come un’attivista esperta. Dice di “combattere il regime da quando aveva 14 anni”. Lyubov è tornata di recente da Vladivostok, dove per sei mesi ha partecipato alle azioni contro la guerra, affiggendo volantini contro la guerra e disegnando graffiti sui muri.

Personalmente, sono guidata da semplici valori umani, elevati all’assoluto: libertà, uguaglianza, fratellanza. E credo che se ho una mia posizione, posso esprimerla. È da molto tempo che partecipo ad azioni pubbliche. Non solo nel campo politico ma anche, per esempio, in quello ecologico”, dice Lyubov.

La prima volta che la polizia l’ha interrogata aveva 14 anni. Le forze dell’ordine erano interessate ai suoi post online, in particolare quello in cui bruciava il tricolore russo. “Avevo una bandiera russa a casa e ho deciso di bruciarla in segno di protesta contro l’attuale regime. L’unica cosa che non avrei dovuto fare in quel momento era scattare delle foto e metterle su Internet. Sono riuscita a farla franca, ma da allora sono sotto sorveglianza attiva.”

Cosa pensano i suoi genitori delle tue opinioni?”

Come tutti i genitori temevano quello che in fondo sta accadendo adesso: [l’arrivo della] polizia, della FSB. Ma capiscono da soli che è impossibile vivere sotto l’attuale regime. Sono adulti, possono vedere da soli in che tipo di Paese viviamo. Sono d’accordo che io possa parlare e argomentare la mia posizione. E che posso esprimere apertamente il mio disaccordo. Si sono calmati perché non influisce sulla mia vita. O meglio, non lo era, fino ai recenti avvenimenti. È vero, erano tranquilli su quanto accaduto. Se lo aspettavano”, spiega Lyubov.

Aleksandr Snezhkov, 19 anni, è diventato antifascista quattro anni fa, dopo aver partecipato alle azioni degli attivisti liberali.

Anche i miei genitori erano diffidenti nei confronti della mia partecipazione alle proteste e alle manifestazioni”, racconta il diciannovenne Aleksandr. “Io e mio padre non viviamo insieme, ma ci teniamo in contatto. All’inizio non ha preso sul serio le mie opinioni, pensando che fosse a causa della mia età. Ma poi, quando ha capito che per me era una cosa seria, ha preteso che smettessi. Soprattutto dopo l’arrivo della polizia.”

Secondo Aleksandr, due anni fa è stato arrestato durante un picchetto a sostegno della “Rete” (un’organizzazione anarchica e antifascista che è diventata molto nota quando i suoi membri sono stati accusati di aver creato un’associazione terroristica; nel Febbraio 2020 sette imputati sono stati condannati a pene che vanno dai 6 ai 18 anni di carcere). All’epoca Snezhkov aveva appena compiuto 17 anni e da sei mesi era iscritto nel registro della commissione per i minori, ma non ha rinunciato alle sue opinioni.

Che cos’è l’antifascismo? È soprattutto una lotta contro la violenza. Inizialmente ero contro il rafforzamento e l’impunità delle autorità, come la polizia, e contro i vari partiti di destra. Poi sono arrivato alle opinioni della sinistra extraparlamentare. Ho letto di tutto, dai socialisti, Marx, Lenin agli anarchici.”

Snezhkov spiega, in termini semplici, il suo disaccordo con l’attuale regime: la repressione e la povertà.

Viviamo in un’epoca di repressione. Ora c’è una lotta contro i dissidenti e la distruzione del nostro popolo in guerra e nella vita civile – l‘aumento dei prezzi nei negozi, causata dalla distruzione dell’economia, è stato percepito da molti. Molti miei amici di altre città hanno sofferto e ogni mese scopro che alcuni di loro sono stati arrestati. Compresi i musicisti che conosco e che sono stati arrestati per le loro posizioni contro la guerra”, dice Aleksandr. “La situazione non potrà che peggiorare.”

Siamo impegnati in una macellazione insensata sul territorio ucraino”

Non siamo d’accordo con la politica odierna”, afferma Aleksandr. “Nel nostro Stato c’è una costante repressione, siamo considerati aggressori da tutto il mondo. Più precisamente, il nostro Stato è considerato un aggressore. Siamo impegnati in una macellazione assolutamente insensata sul territorio ucraino. Che senso ha? È portato avanti dai nostri governanti, che persegue interessi personali definiti nel 2014, quando tutto era appena iniziato.”

A Febbraio e Marzo pensavo che sarebbe finita in fretta”, ricorda Snezhkov. “Naturalmente l’atteggiamento verso la guerra è stato subito negativo. In qualsiasi caso, comunque, le azioni militari sono di natura negativa. Ma in primavera sembra che il problema sia scomparso rapidamente. Non pensavo che sarebbe durato così a lungo. Come possiamo vedere, tutto questo ha portato a cambiamenti irreversibili: morti continue, mobilitazione, aumento dei prezzi.”

Prima della guerra, Aleksandr era in contatto con antifascistu di vari Paesi, tra cui l’Ucraina. Adesso la loro comunicazione si è interrotta.

Ora i ragazzi ucraini sono diventati più radicali. Prima, quando tutto andava bene, nessuno faceva caso al fatto che venissi dalla Russia. C’è stato il nazismo in Ucraina? Certo che c’era. E nominatemi un paese che non ce l’abbia! La Russia non è da meno. Guardate lo stesso “Rusič”: questi sono neonazisti russi. È una posizione molto strana per le autorità russe combattere il nazismo in un altro Paese mentre sul proprio territorio vi sono gruppi del genere.”

Lyubov e Sasha non hanno ancora unu avvocatu. Lu anarchicu e lu antifascistu russu stanno raccogliendo fondi per assumerne unu. Secondo lu ragazzu, il processo dovrebbe svolgersi il prossimo Febbraio.

Nella migliore delle ipotesi, riceveremo una sospensione della pena. Questo è il massimo,” dice Lyubov, “ma Sasha è maggiorenne, potrebbe essere condannato. Non portiamo benefici a questo Stato. Soprattutto adesso. Le persone non capiscono cosa sta succedendo: credono alle autorità. E queste azioni, le proteste pubbliche, possono dare il giusto messaggio. E decine di migliaia di persone possono seguirci. [I governanti] hanno paura di queste [azioni].”

Snezhkov è sicuro che nel suo caso ci sarà una condanna. Ma non è la prigionia a preoccuparlo.

Mi preoccupo che adesso tutti i prigionieri vengano portati al Gruppo Wagner e, comprensibilmente, non voglio andarci. Non combatterò lo stesso, non ucciderò. Spero che la “politica” non constringa ad unirci a loro”, dice Aleksandr.

Da quando le autorità russe hanno istituito la censura militare – introducendo sanzioni penali per le “notizie false” sulla guerra in Ucraina e per il discredito verso l’esercito russo -, in Russia sono stati aperti più di 300 procedimenti penali per azioni e dichiarazioni contro la guerra.

Queste sono le statistiche citate dalla pubblicazione “Verstka”2 insieme al progetto OVD-Info.

Note del Gruppo Anarchico Galatea

1 La città di Čita è il capoluogo del Territorio della Transbajkalia (ai confini con la Mongolia). Da decenni vi sono delle tensioni etniche tra la popolazione locale e l’amministrazione centrale russa. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, Putin e il suo entourage hanno varato delle norme atte a preservare i diritti delle popolazioni native e, al tempo stesso, reprimere qualsiasi forma di dissenso che possa far scaturire dei tentativi separatisti. Nel caso dei due compagnu, il reato di separatismo a loro contestato serve per incidere maggiormente sul processo penale.

2 Pubblicazione socio-politica online fondata il 26 Aprile 2022 da giornalisti indipendenti e parte del team del progetto di alfabetizzazione di genere, esplora e descrive come funziona la società russa. Link: https://verstka.media/

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Le richieste degli scioperanti delle carceri dell’Alabama spingono verso la de-carcerizzazione

Traduzione dall’originale Alabama prison strikers’ demands push for decarceration

Basandosi sui precedenti scioperi e movimenti organizzati, le persone all’interno delle prigioni dell’Alabama si stanno raggruppando per continuare la lotta per l’abolizione.

Prima che arrivasse l’alba del 26 Settembre, i lavoratori detenuti che gestiscono le cucine delle carceri dell’Alabama stavano per iniziare il turno quando si sono rifiutati di prendere le loro posizioni, dando il via a uno dei più grandi scioperi carcerari nella storia degli Stati Uniti.

Da quel momento in poi tutto era elettrizzante; la gente era eccitata e ansiosa di agire”, ha dichiarato Antoine Lipscomb, membro fondatore del Free Alabama Movement (FAM), che ha parlato con “Prism Reports” dal Limestone Correctional Facility, una delle prigioni più grandi e letali dello Stato, che attualmente ospita quasi 2.300 persone.

Il Dipartimento di Correzione dell’Alabama (ADOC) classifica 14 prigioni all’interno dello Stato come “strutture principali”, e in esse sono rinchiuse quasi 17.000 persone. Con una mossa del tutto inusuale, l’ADOC ha confermato pubblicamente lo sciopero in “tutte le principali strutture dello Stato” fin dal primo giorno di mobilitazione. Riconoscere uno sciopero carcerario e la sua portata va contro la prevalente prudenza dell’amministrazione penitenziaria. Nel 2018, prima dello sciopero nazionale dei detenuti, le associazioni penitenziarie nazionali hanno sostenuto l’uso di campagne di disinformazione per gestire l’interruzione [causata] dalla resistenza dei detenuti e, al tempo stesso, scoraggiare ulteriori partecipazioni.

Pur riconoscendo lo sciopero, un portavoce del governatore ha dichiarato che le richieste degli scioperanti erano “irragionevoli e non sarebbero state accolte in Alabama”.
Le richieste dello sciopero comprendevano:
– abrogazione della legge sui delinquenti abituali
– rendere retroattiva la sentenza presuntiva
– abrogazione della legge “drive-by shooting” 1
– creazione di un’unità per l’integrità delle condanne a livello statale
– sviluppare criteri coerenti per la libertà condizionata obbligatoria
– snellire i processi per i permessi per motivi medici e per il rilascio degli anziani
– riduzione delle pene minime per i delinquenti minorenni
– eliminare le condanne all’ergastolo senza condizionale

Secondo i sostenitori, questi cambiamenti, lungi dall’essere “irragionevoli”, costituirebbero un programma di de-carcerizzazione sostanziale. Inoltre si affronterebbe il sovraffollamento incostituzionale delle carceri dell’Alabama e aumenterebbero le opportunità per i detenuti di tornare nelle loro comunità.

Lo sciopero dei lavoratori è proseguito per tre settimane in almeno cinque carceri, prima che i detenuti di tutte le strutture tornassero al lavoro. Sebbene le richieste degli scioperanti rimangono insoddisfatte, gli organizzatori – sia all’interno che all’esterno delle carceri – sono incoraggiati dall’organizzazione dello sciopero e dal sostegno di massa ricevuto. Contrariamente a quanto affermato dall’ADOC, secondo cui lo sciopero è “finito”, gli organizzatori dicono che lo sciopero sia semplicemente in pausa.

“Riprenderà”, ha detto Lipscomb, aggiungendo che gli organizzatori e i sostenitori dei detenuti si stanno riposando, riorganizzando e discutendo la strategia [da utilizzare]. Per molti di coloro che hanno partecipato agli scioperi, i futuri scioperi o le proteste non sono solo veicoli per la de-carcerizzazione: è una questione di sopravvivenza e avere la possibilità di una vita oltre la detenzione.

Sciopero contro la disperazione

Molto prima che le “Three-strikes laws” diventassero popolari durante l’era Clinton degli anni ’90, la “Habitual Offender Law” dell’Alabama (istituita nel 1977) aveva attirato le ire degli accademici e del personale delle strutture correzionali nel 1985; essi sostenevano che l’ergastolo senza condizionale rimuoveva “tutti gli incentivi alla buona condotta” e alimentava “frustrazione e rabbia, che a sua volta produceva rivolte carcerarie e minacce al personale”. Attualmente il 75% dei detenuti condannati a morte, in base alla “Habitual Offender Law”, nelle carceri dell’Alabama appartengono alla popolazione afro-americana, nonostante questi rappresentino meno del 27% della popolazione dello Stato.

In relazione a ciò, una delle motivazioni principali sulle diffuse partecipazioni allo sciopero è la draconiana commissione per la libertà vigilata dello Stato. A Luglio, nelle carceri dell’Alabama, sono morte più persone di quelle a cui è stata concessa la libertà vigilata. Quest’anno, la commissione per la libertà vigilata dell’Alabama ha revocato la libertà vigilata nel 67% delle udienze, un tasso di oltre sei volte superiore rispetto alle concessioni date. Secondo i dati dell’ADOC, il tasso di concessione della libertà vigilata è sceso dal 54% per i detenuti idonei nel 2017 al 6% dello scorso Agosto. In una recente intervista con il Montgomery Advisor, l’organizzatrice Diyawn Caldwell ha dichiarato: “Ci sono più persone che escono in sacchi per cadaveri che in libertà vigilata”.

I sostenitori ritengono che seppur i cambiamenti richiesti dallo sciopero a livello individuale possa avere un impatto minimo sul tasso di incarcerazione dello Stato, nel loro insieme offrirebbero a migliaia di detenuti maggiori possibilità di rilascio. In particolare, lo sciopero è un tentativo di combattere la disperazione che deriva da un’incarcerazione a tempo indeterminato e senza un percorso prevedibile verso la libertà.

Secondo i detenuti, questa disperazione è un ingrediente essenziale per la violenza e l’uso di droghe che rendono le carceri dell’Alabama le più letali della nazione. Dopo sei anni di controlli, il Dipartimento di Giustizia descrive le carceri dell’ADOC come “costituzionalmente carenti”. Questo controllo, tuttavia, non ha prodotto miglioramenti tangibili. Il tasso di mortalità nelle carceri dell’Alabama è più che quintuplicato dal 2005, passando da 33 morti nel 2005 a 173 nel 2021.

I metodi utilizzati dai funzionari dello Stato dell’Alabama per reprimere lo sciopero mostrano come le persone incarcerate soffrano per i capricci del sistema carcerario: le visite dei familiari sono state cancellate; le carceri hanno implementato nuove “misure di sicurezza”; è stata dispiegata la “Corrections Emergency Response Team” (nota all’interno delle carceri come “riot squad” o “goon squad”); l’attivista detenuto Robert Earl Council, alias Kinetik Justice, è stato nuovamente messo in isolamento; l’ADOC ha usato lo sciopero come pretesto per ridurre il numero dei pasti.

I funzionari hanno sostenuto che il passaggio a due pasti freddi al giorno nelle principali strutture maschili era un fatto logistico, sostenendo che senza la forza lavoro dei detenuti mancavano i lavoratori per cucinare tre pasti al giorno per quasi 23.500 persone. I prigionieri hanno definito questa pratica bird feeding” – un tentativo di sottomettere i prigionieri alla fame. I detenuti sostengono che questi pasti non soddisfano le esigenze di coloro che hanno restrizioni dietetiche e condizioni mediche – mettendo a rischio molte vite. L’ADOC ha anche rilasciato una dichiarazione sulla salute di un detenuto di nome Kastello Demarcus Vaughan per confutare le accuse di negligenza medica.

In queste circostanze, gli organizzatori incarcerati affermano che uno sciopero generalizzato – con annesse richieste- non dovrebbe essere una sorpresa.

Ci troviamo di fronte a persone che finalmente si rendono conto che “Ehi, io morirò qui dentro””, ha detto K. Shaun Traywick, alias Swift Justice, attualmente detenuto presso il penitenziario di Fountain. “Una volta che [i detenuti] lo sentono abbastanza, una volta che lo vedono nelle azioni dell’ADOC, della commissione per la libertà vigilata e della società, finalmente capiscono che forse è meglio [scioperare]. Forse farà la differenza.”

Nuovi sviluppi nell’era dello sciopero carcerario

I notiziari locali dell’Alabama hanno definito lo sciopero “una mossa senza precedenti” da parte delle persone incarcerate. Sebbene la durata, la disciplina e la portata dello sciopero siano sviluppi monumentali all’interno del movimento dei detenuti, lo sciopero è, in realtà, un’estensione di molte azioni simili fatte negli ultimi anni. La resistenza dei detenuti, che comprende gli scioperi dei lavoratori e della fame, boicottaggi e altre forme di disobbedienza organizzata (come i sit-down), ha una storia lunga quanto la stessa incarcerazione. Negli Stati Uniti, la storia più interessante e tragica è quella della ribellione di Attica e del massacro che l’ha conclusa.

Lo sciopero dei detenuti della Georgia nel 2010 viene spesso citato dagli organizzatori di oggi come punto di origine e fonte di ispirazione per una nuova fase di resistenza dei detenuti. Gli scioperanti hanno presentato le loro richieste ai funzionari delle carceri statali e alla stampa, tra cui la richiesta di pagare ai lavoratori un salario di sussistenza, facendo notare che i prigionieri in Georgia non ricevevano alcun salario, violando così il divieto di schiavitù e servitù involontaria previsto dal 13° Emendamento. Questa richiesta sarebbe poi stata adattata dal movimento per abolire le clausole di eccezione agli statuti antischiavisti. Questa spinta è stata abbracciata da molti sostenitori della legislazione, ma non ha ancora portato alla de-carcerizzazione o ai cambiamenti nelle pratiche di lavoro.

Come ha osservato il New York Times, i telefoni cellulari erano già presenti nelle carceri da tempo, ma questo è stato il primo esempio conosciuto di persone incarcerate che li hanno usati per coordinare la resistenza in strutture diverse. Sono diventati anche uno strumento fondamentale sia per aggirare la capacità di monitorare e impedire le comunicazione da parte del sistema carcerario, [che per comunicare] tra loro e il pubblico e la stampa – spesso attraverso i social media.

L’anno successivo, i detenuti del carcere di massima sicurezza di “Pelican Bay” della California hanno dato vita a massicci scioperi della fame, che alla fine sono arrivati a coinvolgere più di 30.000 detenuti nello Stato in più fasi e nell’arco di tre anni. Gli organizzatori incarcerati hanno facilitato un accordo per porre fine alle ostilità all’interno delle carceri e hanno mobilitato un ampio gruppo esterno di famiglie e sostenitori in solidarietà. Gli scioperanti hanno sollevato molteplici questioni tra cui la pratica dell’isolamento a tempo indefinito dello Stato della California. [Questa pratica colpisce] in particolare coloro che sono classificati come “membri di gang”; per ottenere il rilascio dall’isolamento, devono fornire informazioni sulle “attività delle gang” durante il loro processo di “de-briefing”. Le Nazioni Unite hanno definito come tortura la detenzione in isolamento per 15 o più giorni e i prigionieri sostenevano che questa tortura venisse applicata con pretesti inadeguati verso un giusto processo o vie di ricorso.

Sebbene i risultati di questi scioperi e della relativa causa legale siano stati vari, complessi e parziali, gli scioperi forniscono un potente esempio di come un’azione dinamica dall’interno all’esterno possa modificare la politica e la pratica, aprendo potenzialmente delle nuove contraddizioni e arene di lotta contro il sistema carcerario. Ad esempio, il FAM ha adottato molte tattiche e lezioni apprese dagli scioperi dei lavoratori in Georgia. Nel 2014, gli organizzatori incarcerati si sono mobilitati per due scioperi in Alabama, il più grande dei quali ha portato alla chiusura di due strutture, St. Clair e Holman, che all’epoca incarceravano circa 2.400 persone. Inoltre, il FAM ha pubblicato “Let The Crops Rot In The Fields”, un manifesto che avrebbe ispirato il coordinamento degli scioperi nazionali dei detenuti, il primo dei quali è stato guidato dal FAM nel 2016 e sostenuto dalla nascente organizzazione di solidarietà interna ed esterna, l’ “Incarcerated Workers Organizing Committee of the Industrial Workers of the World” (IWOC-IWW).

Secondo Brian Nam-Sonenstein di Shadow Proof, lo sciopero nazionale delle carceri del 2016 ha visto “blocchi, sospensioni di detenuti e scioperi di intere unità della durata di almeno 24 ore in 31 strutture” che ospitavano circa 57.000 detenuti in 24 Stati. La repressione contro lo sciopero è stata diffusa. L’anno successivo “Jailhouse Lawyers Speak”, un gruppo di paralegali incarcerati e sostenitori dei diritti umani che si organizzano a livello nazionale, ha lanciato la marcia “Millions for Prisoners Human Rights” con il sostegno delle organizzazioni esterne. I funzionari delle carceri della Florida erano così preoccupati per le azioni di solidarietà all’interno [delle strutture] che hanno chiuso a chiave i quasi 100.000 detenuti dell’intero Stato. La marcia è stata seguita dall’Operazione PUSH nel 2018.

Dal 2018, le organizzazioni esterne hanno preso direzioni diverse, alcune più focalizzate sulla politicizzazione e sulla costruzione di infrastrutture. Gli atti di resistenza più frequenti da parte delle persone incarcerate hanno avuto luogo su scala più locale e regionale a fronte delle condizioni che le autorità locali possano affrontare direttamente. Mentre questi sforzi hanno visto alcune vittorie, negli ultimi quattro anni non c’è stata una campagna diffusa a livello statale o nazionale guidata dai detenuti.

Tattiche di repressione dello sciopero

Sulla scia dello sciopero nazionale del 2016, le organizzazioni dei detenuti come “Jailhouse Lawyers Speak” hanno sollevato dubbi sull’efficacia dello sciopero dei lavoratori come unica tattica per galvanizzare l’azione collettiva dei detenuti. Avere un lavoro può influenzare in modo significativo le condizioni di una persona durante la detenzione. Gli accordi di lavoro all’interno delle carceri variano da Stato a Stato e in alcuni Stati è piuttosto raro che i detenuti abbiano un lavoro. Gli organizzatori incarcerati hanno notato casi in cui gli amministratori delle carceri scambiano alcuni privilegi con il lavoro, come una migliore situazione abitativa, una maggiore libertà di movimento, un maggiore accesso allo spaccio o al telefono e forse più tempo all’esterno.

Stevie Wilson, attualmente detenuto in Pennsylvania, e l’ex prigioniero politico James Kilgore sottolineano come la precarietà dei posti di lavoro all’interno delle carceri e l’allettamento di privilegi speciali non riescano a convincere completamente i detenuti nel sacrificare quei posti di lavoro e ad agire in solidarietà con gli scioperi.

Inoltre, i detenuti in isolamento non hanno un lavoro, il che significa che non possono partecipare materialmente ad uno sciopero dei lavoratori. Lo sciopero nazionale del 2018 ha affrontato questo problema ampliando il repertorio tattico della resistenza, includendo: i boicottaggi verso gli spacci, gli atti di protesta come il “sit-down”, gli scioperi della fame e gli scioperi dei lavoratori. Se da un lato questo può aver permesso ad un maggior numero di detenuti di partecipare, dall’altro la partecipazione può potenzialmente rendere lo sciopero meno leggibile per i media e può essere più facile per i funzionari pubblici negare e reprimere gli scioperanti.

Dal 2018, gli organizzatori hanno discusso sulla possibilità di altri grandi scioperi carcerari; ma tra le preoccupazioni che non ci siano abbastanza supporti per un’azione collettiva, non si sono realizzati. Swift Justice ha dichiarato di essersi inizialmente allontanato dall’organizzazione dell’ultimo sciopero in Alabama, citando la definizione di follia spesso erroneamente attribuita ad Albert Einstein: “[La follia] sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.”

Nonostante il pessimismo sulla partecipazione e il sostegno allo sciopero, lo sciopero dei lavoratori incarcerati dell’Alabama ha sfidato le aspettative e ha avuto un forte riscontro sui social media e nei notiziari locali nell’ultimo mese, spesso con l’hashtag #ShutdownADOC2022.

Swift Justice lavora in un cosiddetto “honor dorm” 2 dell’ADOC, uno spazio carcerario che alcuni hanno definito inospitale per l’organizzazione di proteste collettive; è rimasto scioccato dal livello di solidarietà e di impegno degli altri detenuti – la maggior parte dei quali, ha detto, “non ce l’avrebbe fatta [a stare in mezzo] alla popolazione in generale”.

Sfidando la saggezza convenzionale, ha detto che il maggiore impatto si è avuto [grazie] alla partecipazione di quei lavoratori che avevano più da perdere [in questo sciopero].

Molti di questi lavoratori controllavano i compiti essenziali della riproduzione sociale all’interno delle carceri – cucina, pulizie, rimozione della spazzatura, lavanderia – il che ha permesso loro di bloccare l’intero sistema carcerario dell’Alabama.

“L’anello più debole è diventato l’anello più forte”, ha detto Swift Justice.

L’istruzione politica paga a lungo termine

Sia il New York Times che l’ADOC hanno lasciato intendere che gli organizzatori esterni hanno avuto un’influenza significativa sulle attività di sciopero all’interno delle carceri dell’Alabama; ma sia la portata di massa dello sciopero che le risposte dei detenuti smentiscono questa idea.

Un detenuto che ha parlato con “Prism Reports” – e che ha voluto mantenere l’anonimato – ha riconosciuto come i detenuti abbiano apprezzato il sostegno esterno e l’organizzazione di proteste di solidarietà, ma ha respinto l’idea che le persone all’esterno guidino o coordinino l’azione di quelle all’interno.

“Sapete che le cose non funzionano così”, ha detto.

Lipscomb attribuisce l’impegno sostenuto del recente sciopero alle frustrazioni dei detenuti per il sistema di libertà vigilata e ai timori per la probabilità di morire prima di poter essere rilasciati.

Lui crede che la cosa più importante siano i frutti ottenuti dall’investimento a lungo termine [profuso] dagli organizzatori – come il FAM – in termini di istruzione politica verso i propri coetanei incarcerati.

I detenuti dell’Alabama hanno studiato l’organizzazione del Black Panther Party e il pensiero di figure come Kwame Ture, precedentemente noto come Stokely Carmichael.

Secondo Lipscomb, il sostegno delle organizzazioni di strada, che hanno una notevole influenza all’interno, è stato fondamentale.

Ci permettono di insegnare e di fare rete in una pace e in una solidarietà che non ho mai visto prima”, ha detto Lipscomb. “Mi congratulo con i giovani per il loro coraggio, il loro rispetto per il pensiero rivoluzionario e il cambiamento.”

Gli organizzatori incarcerati si raggruppano e discutono quando e come riconvocare lo sciopero; e lo fanno con la comprovata capacità di portare avanti uno sciopero potente e diffuso contro le operazioni carcerarie in Alabama.

Sono uno studente di storia e la lotta ha sempre fatto parte della vita”, ha detto Lipscomb. “Quindi sto studiando da coloro che sono venuti prima di me come guida [per farci] arrivare dove vogliamo essere, e cioè [alla libertà].

Note del Gruppo Anarchico Galatea

1 All’inizio degli anni ’90 ci fu una massiccia protesta pubblica contro le “gang”. Così, il governo dello Stato nel 1992 approvò l’ “Act no. 92-601” che puniva l’omicidio commesso con un’arma letale da o contro un veicolo con la sentenza di morte o l’ergastolo senza libertà condizionale.
I commi – 16, 17 e 18 – sono stati inseriti nella sezione 13A-5-40 dell’articolo 2 “Pena di morte ed ergastolo senza condizionale”, Capitolo 5 “Punizioni e Sentenze”, “Codice Penale dello Stato dell’Alabama”.
Questi commi, nel corso degli ultimi 30 anni, sono stati interpretati a secondo delle circostanze e, soprattutto, pplicati ai danni della popolazione afro-americana.
Fonti
https://freealabamamovement.wordpress.com/2015/02/07/race-based-justice-alabamas-enduring-legacy-to-keep-african-americans-in-servitude/
https://law.justia.com/codes/alabama/2021/title-13a/chapter-5/article-2/section-13a-5-40/

2 Detto anche “Honor block”. È un’area all’interno di un carcere di massima sicurezza che consente ad alcuni detenuti di vivere in un ambiente con restrizioni minime.

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Polonia: support No Border Team

No Borders Team è un collettivo polacco che aiuta i rifugiati al confine tra Polonia e Bielorussia.
Da più di un anno, migliaia di donne, uomini e bambinu sono statu trattatu come pedine in una lotta di potere tra il governo bielorusso e l’Unione Europea. Queste persone sono state ripetutamente costrette, sotto la minaccia delle armi, ad entrare nell’UE ed essere immediatamente respinte in Bielorussia dalle guardie di frontiera dei Paesi confinanti. [Alle persone migranti] viene negato l’accesso a un alloggio, al cibo, alle cure mediche e ai servizi legali.
Fin dai primi giorni di questa crisi, una rete del collettivo anarchico polacco No Borders Team (NBT) si è unita ai residenti locali della zona di confine per fornire a questi migranti cibo, acqua, coperte, cure mediche e altri beni di prima necessità attraverso il mutuo soccorso di base.
Fin dall’inizio il nostro attivismo si basa su donazioni e crowfunding.
Non riceviamo alcun sostegno dal governo o dalle istituzioni pubbliche.
Stiamo spendendo i nostri fondi per:
⚡️Infrastrutture grazie alle quali possiamo essere presenti nella zona di confine
⚡️Riparazioni di auto e carburante (percorriamo molti chilometri ogni giorno)
⚡️Powerbank
⚡Telefoni funzionanti
⚡ Schede SIM
⚡ Sacchi a pelo (sintetici)
⚡ Vestiti impermeabili
⚡ Cucine da camping a gas + bombole
⚡ Coperte termiche
⚡ Lampade frontali
⚡ Tende termiche
⚡ Kit di pronto soccorso
⚡ Cibo
Il vostro aiuto è assolutamente necessario. Pertanto, dobbiamo mobilitarci e fornire l’aiuto che le autorità negano.

Potete trovarci su:
https://nobordersteam.noblogs.org/
Telegram: No_Borders_Team
Fb: @nobordersteam

Per donare cliccare qui

Per approfondimenti vedere Vedi Minsk e muori. Come le imprese bielorusse vendono i rifugiati

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bell hooks a Catania. Di imprese sociali e riqualificazione

Scritto da Osservatorio repressione e riqualificazione di Catania. Pubblicato su “Lo Stato delle città”, n. 9, Novembre 2022, pagg. 59-63

Presentazione del Gruppo Anarchico Galatea
Fin dalla seconda metà dell’Ottocento, il quartiere di San Berillo è sempre stato sotto la lente della borghesia e delle istituzioni locali. Trovandosi nel centro cittadino, il quartiere venne interessato a vari progetti di risanamento in quanto considerato degradato, popolato da prostitute e focolaio di epidemie.
Questa fama così negativa era da ricercarsi nella ricostruzione della città di Catania avvenuta dopo il terremoto della Val di Noto del 1693. L’ostentazione dell’architettura dei tempi (il barocco) e i nuovi assi viari voluti dal Duca di Camastra, relegarono ai margini il suddetto quartiere. Con la costruzione della stazione centrale e l’espansione edilizia verso nord e nella zona costiera, San Berillo divenne una sorta di ostacolo per la borghesia catanese desiderosa di collegare e velocizzare i trasporti di merci che arrivavano via mare e via ferrovia col centro cittadino.
È in questa fase storica (la seconda metà dell’Ottocento) che nascono le considerazioni negative dette poc’anzi – nonostante il quartiere avesse un suo micro-mondo fatto di piccole attività artigianali e di persone che lavoravano a livello sessuale. Il risanamento urbano (o sventramento) non riuscì a trovare applicazione a causa delle crisi economiche di fine Ottocento, della Prima Guerra Mondiale e del disinteresse, a livello di investimento, nel demolire e costruire nel centro catanese durante il regime fascista.
La fine del secondo conflitto mondiale cambia tutto questo stato di cose: le distruzioni e le morti patite nell’intero territorio siciliano, così come in quello italiano, furono innumerevoli. Occorreva, quindi, ricostruire e ridare “lavoro, speranza e dignità a milioni di italiani che avevano perso le proprie case.” Fanfani, all’epoca ministro del lavoro, insieme ai suoi compagni di partito (la Democrazia Cristiana) idearono un piano ad hoc con cui assorbire la disoccupazione e investire nell’edilizia.
Il “Piano Fanfani” ebbe inizio nel 1949 e si concluse nel 1963. In questo lasso di tempo vennero costruiti numerosi edifici popolari e, al contempo, si costituirono una serie di società miste pubblico-privato i cui obiettivi erano l’edilizia popolare e lo sgombero degli edifici abbattuti (il “risanamento urbanistico”). La speculazione edilizia così creatasi si sviluppò in varie zone d’Italia, Catania compresa.
Ed è proprio nel caso catanese che il quartiere di San Berillo subì la furia speculativa e distruttiva. Con la scusa di abbattere gli edifici pericolanti e renderlo più salubre (e quindi non più un focolaio di malattie come la fu influenza spagnola, il colera o la tubercolosi che imperversavano in quel periodo), le operazioni di sventramento e ricostruzione da parte del Comune di Catania (a guida democristiana) e della Società Generale Immobiliare dei Rebecchini di Roma (anche loro democristiani) portarono ad una deportazione di ben 30mila persone dal centro alla nuova periferia cittadina.
Nel quartiere del centro così distrutto vennero costruiti una serie di edifici rivolti alla classe medio-alta e ai servizi finanziari e bancari e la strada creata (Corso Sicilia e Corso dei Martiri della Libertà) collegava direttamente la Stazione Centrale col centro cittadino – facendo diventare realtà il sogno della borghesia locale di inizio Novecento.
La speculazione edilizia in questa parte di città si bloccò a causa delle prime denunce fatte da Giuseppe Mignemi – un ingegnere e tecnico del Comune di Catania che trovò dei dati economici alterati sulle espropriazioni delle case e la successiva ricostruzione -, e dal successivo processo giudiziario contro l’amministrazione comunale.
Le costruzioni si bloccarono e il pezzo di quartiere che era rimasto in piedi non venne interessato ad ulteriori pratiche distruttive.
A partire dagli inizi degli anni Novanta, la città di Catania ha il suo boom economico. Sono gli anni della giunta Bianco e della sua stretta collaborazione col presidente della provincia Nello Musumesi. Ma soprattutto gli anni delle Universiadi e del potenziamento della Zona Industriale cittadina.
Con questa rinascita, l’establishment economico e politico cittadino inizia ad investire sul mercato turistico: dalle spiagge della Plaia e la scogliera di Ognina ci si sposta verso il centro cittadino ricco di costruzioni architettoniche baroccali.
L’espansione turistica del centro catanese avanza inesorabile, arrivando in quel pezzo di San Berillo che non venne interessato alla furia distruttiva degli anni ‘50.
Ed è in tal modo che i vari gruppi di poteri economici e culturali come Confindustria Catania, “ANCE”, le banche (Intesa e Unicredit), le società immobiliari (Re/Max) e le associazioni cooperativistiche (Trame di Quartiere) entrano in un quartiere considerato, a livello mediatico e culturale, degradato e lugubre. L’arrivo di questi attori ha comportato ad una crescita smisurata del controllo poliziesco e, allo stesso tempo, a proporre progetti legati al recupero urbanistico del quartiere.
In tutta questa situazione chi ne ha fatto le spese sono stati gli abitanti trasformati, da queste logiche borghesi, o in “animali da zoo” (in particolare i lavoratori e le lavoratrici sessuali) o in “spacciatori da salvare e redimere grazie allo spazzamento del quartiere”. Il degrado, per questi attori economici e culturali, non è soltanto un’attività di lucro e di visibilità mediatica: è una fase intermedia o di penetrazione e stabilizzazione.
L’obiettivo finale di costoro è l’utilizzo dei fondi sulla “rigenerazione urbana” che renderà San Berillo un luogo di locali e accoglienza turistica similare ad altre zone del centro catanese (Piazza Teatro, Castello Ursino, la Pescheria e le vie Gemellaro e Santa Filomena) – e vedrà la cacciata degli abitanti a causa dei costi dei servizi da sostenere.
Per resistere a questo stato di cose, l’ “Osservatorio repressione e riqualificazione di Catania” ha scritto un articolo dal titolo “bell hooks a Catania di imprese sociali e riqualificazione a Catania”; in esso si delineano la situazione attuale del quartiere tra razzializzazione, gentrificazione e pietas umana ipocrita e borghese di quelle associazioni economiche e culturali lì presenti. Ma cosa assai importante, si sottolinea una volontà di applicare delle misure di mutuo aiuto scevre dalle logiche burocratiche, borghesi e di aiuto ipocrita di matrice cristiana.

Essere nel margine significa appartenere, pur essendo esterni, al corpo principale. […] Al di là di quei binari c’erano strade asfaltate, negozi in cui non potevamo entrare, ristoranti in cui non potevamo mangiare e persone che non potevamo guardare dritto in faccia. Al di là di quei binari c’era un mondo in cui potevamo lavorare come domestiche, custodi, prostitute, fintanto che eravamo in grado di servire. Ci era concesso di accedere a quel mondo,ma non di viverci”.
Con queste parole, nel 1984, bell hooks rievocava ricordi della sua infanzia razzializzata e impoverita, per introdurre il concetto di margine come spazio di resistenza. Sono queste stesse parole, e altre ancora dell’autrice afroamericana, che nella tarda primavera di quest’anno alcune e alcuni attivisti hanno deciso di stampare e incollare sui muri del quartiere di San Berillo, nel centro di Catania. A differenza della strada di casa di bell hooks, a San Berillo non vi sono binari da superare, ma la frontiera resta lo stesso ben visibile: da un lato il rigenerato “San Berillo art district”, dall’altro la parte “pericolosa”,quella che fa di San Berillo il quartiere che la destra al governo della città intende radere al suolo e di cui la classe media e agiata catanese ha paura, educando i propri figli a non attraversarla. Da una parte vi è un luogo reso sempre più attrattivo, in cui sono stati aperti ristoranti e negozi che corteggiano turisti e giovani benestanti dalle velleità anticonformiste,con quella tipica estetica dell’auto-recupero che ha snaturato la radicalità conflittuale delle auto-produzioni. Quindi colori sgargianti, piante grasse e fioriere fatte in pallet,murales e citazioni di De Andrè: un paradiso hipster che non ha nulla da invidiare ad altri quartieri delle città mediterranee “rigenerate”. Questa tendenza è stata inaugurata dal First, locale che, da quanto emerso dalle nostre inchieste, non ha lesinato sullo sfruttamento del lavoro in nero per poter aprire e il cui proprietario è noto in città per le sue passioni neofasciste. Questi locali si stanno espandendo, in particolare verso uno slargo che, in assenza di bagni pubblici, veniva usato come pisciatoio e parcheggio. Un imprecisato gruppo di abitanti questa estate vi ha piantato due alberi nel cemento e appeso lucine. Si è discusso sull’intenzione di questa iniziativa, in apparenza innocua. Ma a fugare ogni dubbio sull’intento di questo abbellimento stanno la pronta aggiunta di telecamere private a quelle pubbliche e il fatto chele uniche sedie presenti sono state appese in alto, direttamente inchiodate al muro. Dall’altro lato, c’è quel che resta della storica zona crocevia e riparo per le persone marginalizzate, nota lungo tutto il secolo scorso per ospitare prostitute e contrabbandieri. È qui che per decenni le proprietà immobiliari non hanno investito in lavori di ristrutturazione, lasciando interi edifici in evidente stato di disfacimento, seppur beneficiando degli affitti delle persone che in alcuni di questi edifici abitano. Le migrazioni globali hanno trasformato la composizione sociale di questa “classe pericolosa” che, a differenza della precedente, tutta “italiana”,è resa ancora più vulnerabile perché esposta alla violenza del regime di frontiera europeo.

È in questa San Berillo che si sono insediate dagli anni Ottanta più o meno giovani sex workers, latinoamericane e sud europee, e, più recentemente, hanno trovato rifugio giovani uomini subsahariani quando il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo ha chiuso. Nei bassi inumiditi e in casotti auto-costruiti con materiale di recupero questi due gruppi hanno trovato il luogo dove portare avanti le loro attività di sussistenza, criminalizzate perché legate allo spaccio e a quell’infame reato che trasforma la solidarietà tra sex workers in “favoreggiamento”.

La ragione civilizzatrice
Sul crinale di questa frattura si trova un attore che da anni abita ambiguamente il processo di “messa a decoro e a profitto” di questa parte di Catania. Si tratta di Trame di quartiere, una cooperativa sociale animata da urbanisti e antropologi, che ritiene di poter governare in chiave democratica il processo speculativo, promuovendo, come si legge sul loro sito, “la partecipazione nei processi di rigenerazione urbana attraverso l’uso di metodologie e strumenti creativi, performativi e artistici”; e, al contempo, difendere e proteggere la popolazione che rischia di venirne cacciata. Quest’ultima viene ricompresa nella categoria dei “soggetti vulnerabili”, ovvero possibili beneficiari di progetti socio-assistenziali con cui attrarre fondi per l’impresa sociale. Trame di quartiere è nata un decennio fa come associazione e oggi può essere considerata un pilastro del terzo settore e della sinistra democratica in città. Il suo percorso è andato consolidandosi a partire dal 2015, quando ha iniziato a vincere bandi economicamente importanti (come i 120mila euro ricevuti con il concorso siciliano “Boom-Polmoni Urbani”). Nel 2018 Trame è poi entrata in possesso di tutti e tre i piani di palazzo de Gaetani, che il proprietario ha concesso in comodato d’uso gratuito in cambio dell’effettuazione di lavori di ristrutturazione. Questo ha comportato la cacciata di sei persone di San Berillo che, senza fissa dimora, da un decennio abitavano ai piani superiori dell’edificio: la promessa di poter rientrare dopo i lavori non è mai stata mantenuta, trasformandosi nell’offerta di un appartamento in affitto calmierato, distante dal quartiere. Nel 2021 la cooperativa ha poi aperto una caffetteria in cui vengono vendute bevande e pranzi “etnici” a prezzi che non sono accessibili per chi vive in quartiere e che ne mercificano l’immaginario interculturale. Infine, al termine dei lavori di ristrutturazione del palazzo, finanziati anche col supporto della Fondazione per il Sud, la cooperativa ha dato avvio, in partenariato con Oxfam Italia, al progetto “Sottosopra: abitare partecipativo”. Anche grazie a una significativa, seppur economicamente non determinante, donazione di Ikea, il primo piano di Trame è così diventato uno spazio di co-housing volto a “contrastare la povertà abitativa e relazionale” e a “rendere le persone consapevoli e attive nella creazione del proprio contesto abitativo”. Sottosopra ha però a lungo faticato per trovare i propri inquilini, viste le condizioni di accesso che non rispondono ai bisogni esistenti in quartiere: un permesso di soggiorno, un contratto di lavoro, certificati medici di buona salute fisica e mentale e cento euro al mese da devolvere per una stanza in condivisione. Questi requisiti hanno comportato il reiterato rifiuto di dare ospitalità a persone che vivono in strada, tra cui anche le molte che passano le giornate sotto le finestre del co-housing.

Così, quella mattina di maggio, non erano solo le parole di bell hooks che parlavano sui muri di San Berillo; altre frasi erano state aggiunte in interlocuzione, che ricordavano fatti successi in quartiere; spesso facendo riferimento alla presenza di Trame, ne evidenziavano la problematicità e ponevano domande sul futuro di questi isolati, interpellando un noi collettivo chiamato all’au-torganizzazione.

Il quartiere è stato risvegliato da questa sollecitazione e chi ci vive ha espresso reazioni diverse. La più evidente è stata quella della stessa cooperativa sociale che, pur in ultimo decidendo di non togliere gli A3 affissi intorno alle sue vetrine, ha rilasciato dichiarazioni scomposte sui social network e a mezzo stampa. Per Trame, infatti, l’attacchinaggio sarebbe stato un vile attacco terroristico che “rischia di stimolare azioni violente”. Da qui la richiesta alle altre realtà del terzo settore che operano in quartiere di prendere pubblicamente parola esprimendo solidarietà. Nella loro analisi, la minaccia sarebbe stata aggravata dal fatto che tutti i testi erano stati anche tradotti in inglese, rendendoli comprensibili agli africani anglofoni che vivono in quartiere e che, per Trame, sono soggetti ingovernabili che mettono in pericolo il progetto della cooperativa di rendere partecipativa la rigenerazione urbana. L’attore che promuove l’interculturalità e le differenze, da una prospettiva socio-imprenditoriale, si è così palesato ostile e impaurito dalla possibilità che le persone da proteggere possano farsi un’opinione autonoma. Eppure, era stata proprio Trame, quello stesso giorno, ad avere organizzato all’interno della sua sede una lettura collettiva per i suoi frequentatori del libro di bell hooks “Insegnare a trasgredire”, senza coinvolgere chi, proprio oltre la soglia del suo cancello, razzismo e povertà li esperisce ogni giorno.

Le parole della scrittrice afroamericana non hanno però innescato solo un dialogo conflittuale tra bianchi, ma anche all’interno delle altre collettività che vivono in quartiere ci si è divisi sull’interpretazione da dare a quelle frasi e ai messaggi (in esse) racchiusi. Chi per lavoro deve frequentare Trame ha difeso la cooperativa e condannato l’attacchinaggio; altri invece hanno colto l’occasione per poter dire per la prima volta che quel posto è un luogo che esclude, non aiuta e non dà lavoro. Anzi, facilita l’operato della polizia in quartiere, anche aprendogli le porte quando è alla ricerca di chi è costretto a commettere piccoli reati per poter sopravvivere.

Grazie a bell hooks si è dunque avviato un confronto sulla situazione coloniale che struttura i rapporti in questo quadrante urbano. A differenza di analoghe situazioni di “rigenerazione urbana” nel Mediterraneo, le mani speculative su San Berillo incontrano l’intreccio di razzismo, informalità e criminalizzazione, nonché livelli di povertà e violenza continuamente acutizzati. È questa congiuntura che i discorsi securitari di amministratori e comitati in difesa del decoro sfruttano, facilitando la militarizzazione e l’installazione di telecamere di ultima generazione, utili non solo alle forze dell’ordine per minimizzare i propri sforzi, ma anche alle agenzie immobiliari per rassicurare i possibili acquirenti sulla sicurezza dei propri investimenti in quartiere.

Da un lato, anche San Berillo viene trasformato dalla diffusione di Airbnb, che sta aumentando il costo degli affitti e renderà a breve impossibile alla comunità senegalese di Catania, una delle più numerose e da più lunga durata presenti in Italia, continuare a coabitare beneficiando della solidarietà del vicinato.

Dall’altro, i processi che si dispiegano in questo angolo di Mediterraneo sono ancora più violenti. Nonostante la mobilitazione di associazioni, cittadini e militanti, nell’estate del 2021 il comune di Catania ha infine approvato un nuovo piano di dettaglio per il centro storico, in cui gli “edifici diruti o in grave stato di degrado” in San Berillo sono passati dal numero di due a quarantuno, rendendoli di fatto tutti abbattibili. L’iniziativa dell’amministrazione locale è andata così a sostenere questa nuova fase di gentrificazione che sta investendo tutto il centro storico.

Non una sorpresa, considerando l’operato del sindaco Pogliese e della sua giunta, che ha portato al commissariamento del Comune e a non poche inchieste giudiziarie per corruzione, l’ultima ai danni dell’assessora alla cultura e pubblica istruzione (in quota Fratelli d’Italia). Nel frattempo Trame tesse relazioni con l’Associazione nazionale costruttori edili di Catania, che ringrazia per il supporto dato al progetto Sottosopra e contribuisce a far eleggere una sua socia fondatrice come presidente di Confcooperative Habitat per la Sicilia. Da un anno in quartiere si assiste al proliferare di annunci immobiliari del franchising statunitense Re/Max e all’apertura di grandi cantieri da parte di noti imprenditori edili, impegnati nel costruire nuove strutture ricettive turistiche. In questo contesto si innesta il prossimo arrivo dei soldi del Pnrr (settantaquattro milioni), ottenuti dal comune di Catania anche per riqualificare San Berillo e dintorni, in primis col progetto di demolire l’edificio intorno a cui si sono installati gli esercizi auto-costruiti degli africani per fare spazio a una piazza (antistante la caffetteria di Trame) e a una pista ciclabile.

Si tratta dell’ennesimo tentativo di ripulire via Carro, come già aveva provato a fare il museo ReBa, inaugurato nel 2009. Ideato da un architetto locale di cui portava il nome, Renato Basile, il museo intendeva costituirsi come “incubatore culturale” per rendere anche quest’angolo di Catania una meta turistica al pari di Ortigia a Siracusa e di Ragusa Ibla, luoghi noti per essere ormai diventati colonie per turisti nordeuropei. Nonostante il supporto ricevuto negli ultimi anni anche dall’assessorato al decoro, nel 2018 il ReBa è fallito; secondo i suoi promotori, il motivo sarebbe stato l’invincibile stato di degrado del quartiere. ReBa per promuoversi aveva puntato sull’immaginario esotizzante, giocando sulla nomea “a luci rosse” di San Berillo e organizzando visite e iniziative per promuovere un’“architettura proibita”.

L’attuale operato di Trame costituisce uno scarto pericoloso rispetto a questo approccio, perché si ammanta della retorica della valorizzazione dell’interculturalità e si avvale della ragione umanitaria. Mentre un attore meramente interessato alla promozione culturale, come ReBa, si presentava come un’alternativa incompatibile con l’umanità esistente, la cooperativa sociale si promuove come agente super partes, mosso da una missione civilizzatrice sia verso i gentrificatori che verso i dannati della terra che vivono in quartiere.

Sicurezza e autogestione
Palazzo de Gaetani è stato narrato da Trame come un “contenitore” da recuperare perché potesse “ospitare spazi per l’abitare insieme ad attività di aggregazione, di lavoro e di produzione culturale fortemente intrecciate con il quartiere in cui si collocano”. Ma in realtà queste attività si sviluppano autonomamente a San Berillo. Vi sono associazioni migranti che sono nate a partire dalle esigenze concrete di chi vive in quartiere, mai prese in carico dai servizi comunali, come la Gambian Youth Association, che da anni organizza momenti di pulizia del quartiere, oltre che cene e feste in strada. Vi sono i concerti e le autoproduzioni musicali e di podcast radio, grazie a cui giovani rapper senegalesi e gambiani promuovono dal basso sincretismi musicali e disarticolazione dell’immaginario razzista. La rete di solidarietà tra chi, nella consapevolezza delle asimmetrie di privilegio, si conosce e supporta da anni ha poi permesso di sopravvivere al lockdown imposto dalla gestione della sindemia da Covid. Ben prima che le associazioni cattoliche e del terziario sociale tentassero di mettere la loro etichetta sugli aiuti, le e gli abitanti si erano già autorganizzate per provvedere ai pasti secondo i propri bisogni. Nell’ultimo anno poi, anche grazie al consolidarsi di uno spazio fisico, queste reti di mutualismo hanno permesso di dare casa, supporto legale e tregua dalla strada a molti che sono transitati in quartiere o che vi erano rimasti bloccati.

Un insieme di relazioni nutrito dalle forme di autorganizzazione di chi in queste strade vive e lavora e tra cui vi è la volontà di mantenere sotto controllo il consumo di droghe pesanti nonché le dinamiche di violenza che si innestano in questo tentativo. Di fronte alla complessità di queste interazioni sociali in stato d’assedio risultano deleteri tanto i raid delle forze dell’ordine, che di recente hanno minacciato l’uso del taser nei confronti di una persona con forti fragilità psichiche, quanto chi, come la cooperativa, dichiara che “noi […] non riusciamo ad accogliere le diversità di punti di vista espressi da un territorio complesso quale quello di San Berillo”. È evidente come sia difficile costruire percorsi di autodifesa da processi politico-economici così soverchianti. Le vite di chi ci prova senza farne una professione sono sempre più indebolite dall’impoverimento generale, che porta attivisti e attiviste – e in modo particolare chi è razzializzato – a sottostare a impieghi a nero e mal pagati nella ristorazione o a dover migrare per mantenersi. Il processo di turistificazione e l’uso repressivo della retorica del degrado, in una città sommersa dalla spazzatura e sotto commissariamento, sono uno dei principali terreni di lotta, mentre il Pnrr sta ridefinendo anche i destini di quartieri popolari periferici e mettendo in pericolo spazi sociali come il Laboratorio urbano popolare occupato (LUPo) che, non a caso, espone striscioni come “No alla riqualificazione di San Berillo” e “Il vero decoro sono spazi e comunità autogestite”.

Eppure quest’estate a San Berillo, da quando bell hooks ha inaugurato un’inaspettata stagione di lotta, si sono tenute assemblee e ci si è data la possibilità di condividere le proprie esperienze di violenza istituzionale: è così che quelli che vengono vissuti come problemi individuali possono diventare rivendicazioni collettive. Come detto durante una partecipata assemblea di quartiere, convocata dalla Gambian Youth Association, “per le persone non bianche San Berillo è l’unico luogo sicuro, perché qui c’è comunità”. Durante l’assemblea questa comunità ha criticato il modello portato avanti da Trame.

La risposta, un po’ goffa, della cooperativa è stata che sì, forse qualche errore è stato commesso, ma solo perché i soci non sono competenti in questioni migratorie. L’assemblea però ha parlato anche di altro, a partire dalle pratiche illegittime di Questura e Comune che richiedono un certificato di ospitalità per poter rinnovare i permessi di soggiorno; un certificato che nessuna associazione del privato sociale in quartiere si impegna a offrire. C’è chi ha proposto di aprire un dormitorio senza condizioni di accesso. Altri ancora hanno sottolineato che per molte persone il rinnovo dei documenti non è più una possibilità, a causa delle leggi sull’immigrazione e della criminalizzazione di chi vive e lavora in quartiere. “Quando arriverà la polizia a distruggere tutto questo, è su di noi che si accaniranno”: oltre alla questione abitativa, bisogna allora difendere la possibilità di autodeterminarsi con le attività di ristorazione e i piccoli commerci, che al momento si fanno all’aperto e che si vorrebbe poter tenere in luoghi più protetti. È ribaltando insieme il concetto di sicurezza associato a San Berillo che si possono rafforzare, almeno parzialmente, le pratiche di difesa e mutuo aiuto in quartiere, impedendo a tutti gli imprenditori della rigenerazione urbana – comprese le cooperative sociali – di dispossessare le persone non solo della possibilità di abitare un luogo, ma anche del diritto di parola e di organizzazione. È così che bell hooks a San Berillo è riuscita ad aprire spazi di politicizzazione delle frontiere di razza, genere e classe, laddove prima era impedito poterle nominare.

Spazi necessari, da alimentare e mettere in connessione creando una rete di città che non hanno paura del margine.

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Perché la gente crede nei giocattoli esplosivi, negli aghi avvelenati e nei sabotatori ucraini?

Trascrizione del video “Почему люди верят в заминированные игрушки, отравленные иглы и украинских диверсантов?

Nota
Per rendere scorrevoli determinate frasi e termini, abbiamo fatto qualche lieve modifica, aggiungendo, dove ritenevamo opportuno, delle parentesi quadre.
La trascrizione del testo è stata fatta attraverso il sito di downsub.com.
Pur non essendo madrelingua e tanto meno dei russist*, abbiamo utilizzato come materiali di studio:
-“Dizionario essenziale Russo-Italiano Italiano-Russo a cura di Edigeo”, Zanichelli, 1990; “Dizionario Russo-Italiano, Italiano-Russo”, edizioni “Perun”, 2002.
-“Grammatica russa. Manuale di teoria” di Claudia Cevese e Julia Dobrovolskaja del 2018
-Wiktionary versioni inglese e russa

Con l’invasione russa dell’Ucraina, sono stati diffusi su internet delle notizie inventate e false sui sabotaggi in Russia. I russi inviano dei messaggi in cui i sabotatori ucraini avvelenano l’acqua con i bacilli della tubercolosi e del colera e che nelle strade appaiono giocattoli per bambini e passaporti esplosivi. Abbiamo deciso di capire come nascono [le notizie inventate e false] sulla guerra e chi c’è dietro di esse.

Lenochka ciao! Ieri è arrivato il medico-epidemiologo da Mosca per l’acqua. Hanno trovato nell’acqua il bacillo del colera e della tubercolosi. Non si deve assolutamente bere l’acqua. Siate tutti vigili e attenti. Ditelo a tutti quelli che conoscete. Sabotaggio.

A Marzo di quest’anno, gli utenti di WhatsApp hanno iniziato ad inviarsi dei messaggi di questo tipo.

Sono apparsi per la prima volta nella regione di Bryansk. Poi il panico si è diffuso ulteriormente in altre regioni confinanti con l’Ucraina. Poi i messaggi si sono spinti in Russia e quindi in Kazakistan. Tutte queste storie, ovviamente, si sono rivelate false.

“Le autorità per il controllo sanitario ed epidemiologico hanno detto che si trattava di una notizia falsa.”

Da metà Marzo i russi si scambiano dei messaggi su ogni sorta di minaccia proveniente dall’Ucraina e più la guerra va avanti, più aumentano le storie di sabotatori ucraini che avvelenano il cibo e diffondono giocattoli e passaporti esplosivi per le città russe.

Gli antropologi chiamano queste storie “leggende metropolitane.”

Il termine “leggende urbane” compare per la prima volta in un articolo del folklorista americano Richard Dorson, “Legends and Tall Tales”, pubblicato nel 1968. Egli usa questo termine per dimostrare che le società moderne e urbanizzate hanno i loro miti e leggende e il loro folklore.

Ma da dove vengono queste leggende? Il mito dell’acqua avvelenata è presente nella letteratura fin dal XIV secolo. Nel 1321, l’inquisitore Bernardo Gui raccontò di aver torturato i lebbrosi durante i suoi interrogatori e di aver fatto loro confessare che avevano progettato di avvelenare tutte le persone sane in Francia mettendo del veleno nei pozzi e nei fiumi. 1 Cominciarono i primi massacri. Poco dopo, uno dei lebbrosi indicò i cospiratori: si scoprì che gli ebrei locali stavano presumibilmente pagando i lebbrosi per infettare tutti i cristiani in Francia. Alla fine, tutto ciò si rivelò un’occasione per confiscare le proprietà degli ebrei arrestati. Voci simili sono circolate ripetutamente in diversi Paesi nel corso dei secoli; e ogni volta si sono verificati gravi disastri sociali come guerre, carestie ed epidemie.

Durante la Prima Guerra Mondiale, ad esempio, a Mosca girava voce che i tedeschi avvelenassero l’acqua potabile dei pozzi con i virus del colera.

 

Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, storie simili si sono diffuse in Russia. Già a metà Marzo è apparsa la prima leggenda metropolitana, lontanamente legata alla guerra: quella di un bambino avvelenato dal tarkhuna prodotto in Ucraina. Alla base di questo mito c’è la morte reale di un ragazzo di 13 anni della regione di Krasnoyarsk nel 2012. Pochi giorni prima della sua morte, aveva effettivamente bevuto una bibita, ma alla fine non è stato trovato alcun collegamento con l’avvelenamento.

La leggenda del ragazzo avvelenato con la tarkhuna

[Secondo l’antropologa Alexandra Arkhipova] “Questa storia del tarkhuna gira sui social media da diversi anni. L’ho visto nel 2015, nel 2014 e così via – cioè, è abbastanza vecchio e, come leggenda urbana, percorre ben tre Stati: Ucraina, Russia, Kazakistan. Ma in questa storia dell’orrore, il primo di questa serie, non c’è ancora un’immagine specifica del nemico. Solo prodotti ucraini avvelenati. Il passo successivo è rappresentato dai sabotatori ucraini, che di proposito, in primo luogo, contaminano l’acqua con il colera; in secondo luogo, lasciano per le strade esplosivi camuffati da iPhone, iPad e passaporti; in terzo luogo, cercano di nutrire i nostri bambini con torte Roshen 2 ripiene di ogni genere di sostanze nocive.”

La storia dei giocattoli esplosivi risale alle leggende metropolitane dell’Unione Sovietica. All’inizio degli anni ’80, nell’URSS cominciarono a diffondersi voci su giocattoli esplosivi che sarebbero stati portati nel Paese da stranieri. Poi la televisione ha iniziato a mostrare storie di “sabotaggi statunitensi” contro i sovietici in Afghanistan. Nelle storie, gli americani lasciavano sulle strade mine camuffate da giocattoli per distruggere i soldati sovietici. Alla fine queste voci cominciarono a diffondersi su tutti gli stranieri che arrivavano in URSS.

Come per altre storie dell’orrore, è difficile risalire a chi le ha inventate e a quale scopo. Ma spesso queste leggende riflettono eventi reali, che nell’immaginazione delle persone vengono modificati in modo irriconoscibile. La leggenda metropolitana dei giocattoli e dei passaporti esplosivi è apparsa a metà Maggio [di quest’anno]. Solo una settimana prima, lu attivistu contro la guerra avevano iniziato a diffondere la propaganda contro la guerra attraverso oggetti apparentemente dimenticati.

Questo potrebbe essere stato un ulteriore impulso per la rinascita di questo mito.

Dall’inizio della guerra, in tutta la Russia è circolata la leggenda di adesivi con lo stemma ucraino che, se staccati, provocavano tagli sulle dite [a causa delle lamette da barba sotto i fogli]. Ha avuto un grande impulso solo a Giugno, quando i media filo-governativi ne hanno parlato.

La storia degli adesivi è stata pubblicata dalla testata “Politika Segodnya”, [ ” dice Alexandra Arkhipova,] “che, a quanto mi risulta, è di proprietà di Prigozhin. 3 [Successivamente] queste informazioni vengono pubblicate ed indicate dai grandi media quali Interfax, TASS e tutti gli altri. Poi arriva agli utenti Telegram favorevoli alla guerra, e da lì si riversa nelle chat dei genitori, nelle chat di casa, nelle mani delicate e tremanti di una “Maria Ivanovna” – che prende queste notizie e le invia nella chat di famiglia.

Lu antropologu chiamano queste storie “leggenda da agitazione” (agit-legendas)4. Le “leggende da agitazione” non si diffondono da sole, ma vengono trasmesse dall’alto e con l’aiuto delle istituzioni di potere. Per ottenere la fiducia delle persone, gli e le “agit-legendas” sfruttano le paure preesistenti, confermando ciò che le persone temono. Così facendo, i creatori e le creatrici di “agit-legendas” spesso condividono convinzioni comuni sul pericolo e sono spaventati/e da queste storie tanto quanto le persone a cui le diffondono.

Il libro “Cose sovietiche pericolose” di Alexandra Arkhipova e Anna Kirzyuk racconta la storia degli insegnanti incaricati di spiegare ai bambini, prima delle Olimpiadi del 1980, che non dovevano mai accettare regali dagli stranieri perché avrebbero potuto dare a loro dei dolci avvelenati o della gomme da masticare con aghi avvelenati. Molti insegnanti credevano sinceramente a queste storie dell’orrore.

Allora perché la gente inventa e diffonde queste voci?

A tutti i miei iscritti che hanno iniziato a ricevere [tali voci]”, [dice Alexandra Arkhipova,] “ho chiesto alla persona che l’ha inviata alla chat “perché la stai diffondendo?” E la risposta è [sempre] la stessa: “Perché non importa quanto possa essere falsa; è meglio cercare un controllo [dal basso] che non mostrarlo”. Questo fattore sociale è chiamata controllo di base. Che cos’è il controllo di base? In una situazione in cui le persone non si fidano dei poteri istituzionali – non necessariamente il governo, ma la polizia, i tribunali, la medicina ufficiale – tendono a cooperare con i loro vicini per salvarsi a vicenda dal “pericolo”.

È diffusa la convinzione che la maggior parte dei russi creda ciecamente nella propaganda televisiva e quindi sostenga l’attuale governo – o la guerra in Ucraina. Ma spesso è vero il contrario. I ricercatori del “Public Sociology Laboratory” (PS-Lab) 5 sostengono che nei regimi autoritari la gente comune è generalmente più propensa a non fidarsi delle istituzioni e dei media al potere.

Pensavamo che la gente fosse così odiosa da farsi fare il lavaggio del cervello con la propaganda,” [dice il sociologo Maxim Alyukov], “ma in realtà, molte persone in fondo capiscono che non ci si può fidare della propaganda russa. Anche tra i sostenitori del regime, se si avvicina qualcuno per strada e gli si chiede: “Si fida dei media?” vi guarderanno come se foste uno stupido. Perché viene addirittura percepito come una sorta di colpo all’autostima. “Sono così stupido/a da fidarmi di un’autorità?” Di recente ho avuto dei dati dal “Levada Center”6 che mostravano che solo un terzo dei russi dice di fidarsi pienamente delle informazioni ufficiali sulla guerra.

Tutto questo porta le persone a vedere la propaganda ovunque. L’unica fonte di informazioni che ascoltano in un ambiente del genere sono le persone che conoscono e di cui si fidano. Così, con la guerra in corso, sono le chat room su WhatsApp e altre app di messaggistica a diventare il principale canale di diffusione delle notizie.

La domanda può sorgere spontanea: perché inventare altre leggende sui sabotatori ucraini quando esistono già dei falsi diffusi dalla propaganda televisiva?

Ad esempio, la storia dello sviluppo di armi biologiche in Ucraina – che Sergey Lavrov ha descritto come orientata etnicamente contro la Russia. Ma queste minacce globali non aiutano a spiegare alle persone perché dovrebbero sostenere la guerra: dopo tutto, un tale nemico è molto lontano dalla loro realtà e non li minaccia direttamente. La gente pensa ad un altro nemico: il sabotatore ucraino che si sta avvicinando e minaccia la sicurezza dei propri figli [e delle proprie case].

In autunno, la frequenza delle leggende metropolitane è aumentata a tal punto che, in media, ogni settimana compaiono due nuove storie dell’orrore.

E più la guerra andrà avanti, più avrà senso raccontare queste storie dell’orrore,” [dice Alexandra Arkhipova,] “perché serviranno a sollevare il morale della gente e a spiegare perché tutta questa storia sia necessaria.

Note del Gruppo Anarchico Galatea

1 Nel libro “Vitae paparum avenionensium : hoc est Historia pontificum romanorum qui in Gallia sederunt ab anno Christi MCCCV usque ad annum MCCCXCIV” – curato dallo storico e prelato Etienne Baluze nel 1693 e ri-editato da un altro prelato, Guillaume Mollat, nel 1914 -, vengono riportate le parole dell’inquisitore francese nel capitolo “Vita Joannis XXII”: “Anno Domini 1321 – fu scoperto e impedito un piano diabolico dei lebbrosi contro le persone sane nel regno di Francia. Infatti, tramando contro la sicurezza del popolo, queste persone, malsane di corpo e folli di mente, avevano organizzato di infettare le acque dei fiumi, delle fontane e dei pozzi dappertutto, mettendovi veleno e materia infetta e mescolando (nell’acqua) polveri preparate, in modo che gli uomini sani che ne bevevano o usavano l’acqua così infetta, diventassero lebbrosi, o morissero, o quasi morissero, e così il numero dei lebbrosi sarebbe aumentato e i sani diminuiti. E, cosa che sembra incredibile a dirsi, aspiravano alla signoria di città e castelli, e avevano già diviso tra di loro la signoria dei luoghi, e si erano dati il nome di potentato, conte o barone in varie terre, se ciò che avevano progettato si fosse realizzato.” (pagine 164-165)

2 Ci si riferisce alla Torta Kyivskiy (o di Kiev), famosa in Unione Sovietica e prodotta attualmente dalla società dolciaria ucraina Roshen.

3 Un imprenditore e oligarca russo con stretti legami con il presidente russo Vladimir Putin

 4 In russo “Агитлегенда”; è l’unione delle parole “Агит” (agit-) e “легенды” (leggenda). Il termine viene utilizzato dalle autrici Anna Kirzyuk e Alexandra Arkhipova nel loro libro “Cose sovietiche pericolose: leggende metropolitane e paure in URSS”, New Literary Review, Mosca, 2020, Capitolo 3 “Come la leggenda divenne un’arma ideologica”, pagg. 163-164

5 Fondato nel 2011 in seguito alle proteste di massa in Russia di quell’anno, il PS-Lab è un gruppo di ricerca autonomo che si occupa di politica e società in Russia e nelle regioni post-sovietiche in una prospettiva di coniugare lo studio accademico con l’impegno politico.

6 È un’organizzazione russa indipendente e non governativa, che compie sondaggi e ricerche sociologiche, riconosciuta dalla Federazione Russa come agente straniero ai sensi della legge sugli agenti stranieri del 2012.

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