La comunità LGBTQIA+ ucraina durante la guerra. Tra l’incudine dell’eteropatriarcato ed il martello dell’omonazionalismo

La situazione allo scoppio della guerra

Agli uomini dai 18 ai 60 anni è stato vietato di lasciare il paese. Questo è quello che ha dichiarato la Guardia di Frontiera ucraina in relazione all’attacco russo avvenuto il 24 febbraio. Il divieto è stato emanato con la proclamazione della legge marziale voluta dal presidente ucraino Zelensky all’indomani dell’invasione delle truppe di Mosca. Il fine di tutto questo è il seguente: “garantire la difesa dell’Ucraina e l’organizzazione di una mobilitazione tempestiva“. In pratica, siamo di fronte alla leva coatta ed al sacrificio di vite umane per il bene della Patria nell’ora del pericolo, con i tribunali militari che hanno preso il posto di quelli civili e che tratteranno come nemico qualunque individuo refrattario alle sirene della difesa nazionale.

La situazione di guerra ha acuito le contraddizioni interne della società ucraina, attraversata negli ultimi trent’anni da una violentissima costruzione del mito nazionalista. Di questo ne avevamo già parlato sul trattamento riservato alle persone non ucraine, specialmente africane ed asiatiche, all’indomani dell’invasione quando l’esodo di massa è stato trattato diversamente a seconda del colore diverso della pelle. [1]
Questo processo, ovviamente, si è manifestato nelle violenze cisetero-normate contro la comunità LGBTQIA+. Del resto, la società ucraina, similare a quella europea, basata su un’identità di tipo “occidentale” e cristiana, non è estranea a questo tipo di violenze. Poco più di un mese fa, ad esempio, un centro di aggregazione LGBTQIA+ era stato danneggiato a Kharkiv e ricoperto di graffiti con minacce di morte e riferimenti al cristianesimo. Un anno prima, sempre a Kharkiv, la “Marcia per l’uguaglianza” indetta dalle realtà LGBTQIA+ cittadine era stata fisicamente attaccata da membri dell’estrema destra. In rete è possibile reperire cronache di episodi simili che vanno ancora più indietro nel tempo.[2]

Il “Transgender Europe Network” ha stilato una lista dei problemi a cui le persone trans-binary e trans-non binary potrebbero andare incontro in questo momento.
Un esempio è l’impossibilità di passare dai check-points interni a causa dei loro documenti; ciò significa che non possono fuggire dal paese.
C’è di più però: il rischio per queste persone è maggiore è se si trovano in un’età compresa tra i 18 e i 60 anni e/o vengono percepite come “uomini” o hanno la dicitura “uomo” sui loro documenti.
Inoltre, i rischi aumentano nel caso in cui queste persone debbano utilizzare un passaporto biometrico per entrare in paesi dell’Unione Europea. Questo perchè i loro documenti li identificano in un modo in cui non sono rappresentati, portando ad una quasi sicura esclusione dalle misure di difesa civile,impedendo de facto l’accesso a mense, ripari o altri servizi essenziali.

Le testimonianze
Il sito Vice News ha riportato nei giorni scorsi la testimonianza di alcune persone trans-binary e trans-non binary rimaste bloccate in Ucraina a causa della situazione in corso.

I gruppi e le ONG per i diritti umani hanno consigliato a queste persone di “perdere” i loro documenti in modo che possano uscire dall’Ucraina. Secondo queste organizzazioni, sarebbero centinaia le persone trans-binary e trans-non binary a rischio

Ad esempio,un uomo trans ha dei documenti in cui il genere riportato è femminile ed è presente il suo deadname, mentre le persone trans-non binary intervistate hanno paura di passare il confine e di andare nei paesi confinanti (come Polonia e Ungheria) perché sono note le ostilità delle dirigenze politiche e religiose verso le persone LGBTQIA+.
La Polonia è quel paese che vanta al suo interno delle zone “LGBTQIA+ free”, mentre l’Ungheria, fino allo scorso anno, si era scontrata con i vertici dell’Unione Europea a causa di una legge “anti-propaganda gay”. Entrambi i paesi, come ben sappiamo, sono governati da partiti sovranisti di destra.

Tra le persone intervistate, vi è la testimonianza di Zi Faámelu, una musicista trentunenne:

Come centinaia di persone trans in Ucraina sono una donna, ma nel mio passaporto ed in tutti i miei documenti è riportato “uomo”. Quindi questa è una guerra dentro la guerra. Le persone trans ucraine stavano già lottando per le loro vite.
Ci sono centinaia di noi bloccate in questa maniera, che stanno vivendo vite miserabili. Abbiamo bisogno di supporto dall’estero. Abbiamo bisogno che le persone scrivano ai loro politici ed alle organizzazioni umanitarie per aiutarci“.

Allo stato attuale delle cose, le persone trans-binary e trans-non binary in Ucraina possono ottenere il riconoscimento legale del proprio genere; ma questo processo è stato descritto da Faámelu come “umiliante“: “[le persone] rimangono in istituti psichiatrici per mesi [e devono sottoporsi] a test fisici e psicologi per provare il proprio genere“.

Sono completamente sola adesso. Tutte le persone nel mio quartiere se ne sono andate. È una situazione pericolosissima ma sto cercando di rimanere ottimista. Ho visto persone scappare per salvarsi, ed urlarsi di lasciare stare tutti i beni materiali e semplicemente andarsene – ma io devo rimanere dove sono. È l’unica opzione per me in questo momento. È già molto pericoloso per me essere una persona trans in Ucraina in tempi normali, quindi adesso è impossibile. Molte persone gay in Ucraina possono mescolarsi al resto della società adesso, ma per le persone trans è impossibile. Ci sono così tanti tratti fisici per cui siamo attaccate – mento grosso, spalle larghe – veniamo picchiate, veniamo uccise. Abbiamo bisogno di andare via adesso, ma non possiamo nemmeno lasciare i nostri appartamenti. Vedranno il mio passaporto e vedranno “uomo”, vedranno il mio nome alla nascita, mi chiameranno “uomo in gonnella” e mi attaccheranno“.

Faámelu ha detto che nel suo quartiere girano degli individui armati che minacciano le persone trans.

Adesso sono ancora più spaventata di essere in Ucraina perché tutti hanno un’arma. Ora chi vuole attaccarmi ha una scusa per portare avanti il proprio odio e violenza. Le persone sanno dove vivo. Ogni suono che viene da fuori fa paura. Le persone trans adesso si sentono dimenticate, trascurate, abbandonate. In realtà siamo invisibili in questo momento. Abbiamo bisogno delle Nazioni Unite, abbiamo bisogno delle organizzazioni per i diritti umani. Abbiamo bisogno che le persone ci aiutino ad essere notate.

Robert, un uomo trans di 31 anni che vive a Kharkiv, è stato intervistato da Vice News. Grazie alla terapia ormonale Robert riesce a “passare per uomo” ma i suoi documenti riportano ancora la dicitura “donna“.

I miei genitori hanno provato ad uccidermi quando ho detto loro di essere una persona trans. Qui tutti mi conoscono come “lui”, nessuno sa della mia situazione. Questo è il motivo per cui adesso sono in grande pericolo. Ho molta paura per la mia vita. Un sacco di persone si sono offerte di aiutarmi una volta che arrivo in altri paesi, ma non posso passare attraverso l’Ucraina in queste condizioni. Il problema qui è che puoi sembrare una cosa, ma i tuoi documenti dicono una cosa diversa. Non posso lavorare, non posso avere un conto in banca, non posso avere una patente di guida. Non posso continuare l’università perché questa non approva i miei documenti. Ho fatto il parrucchiere, ho pulito bagni ed appartamenti, solo per poter mangiare. Questo non è vivere ma sopravvivere.

Rain Dove, un organizzatore che ha lanciato una raccolta fondi per sostenere le persone queer in difficoltà, in un’intervista ha consigliato alle persone trans-binary e trans-non binary come poter fuggire dal paese: “se sei una donna trans con una “M” sul passaporto, o se sei di genere non conforme con una “M”, ti consigliamo di “perdere” il passaporto prima di parlare con degli ufficiali ucraini. Nascondi i documenti in una bottiglia d’acqua o nelle scarpe. Se viene fermat* puoi semplicemente dire che non sei del posto, o puoi dire che sei un* studente in Ucraina, o che eri in visita. Senza documenti, verrai mandat* ad una lunga coda per stranieri, ma dopo parlerai con ufficiali delle nazioni confinanti, e potrai presentare la tua carta d’identità senza problemi. Questa ha funzionato tutte le volte al 100%. Se sei un uomo trans con una “F” sulla tua carta d’identità, preparati al gaslighting da parte delle autorità ucraine. Ti diranno “Se sei un vero uomo allora combatti per il tuo paese”. Questa purtroppo è una cosa comune. Puoi anche nascondere la tua carta d’identità, ma sappiamo che alcune persone sono rimaste per combattere.

Un’altra testimonianza è quella di Iulia, una studentessa di legge diciottenne, che ha posto l’attenzione sulla situazione in cui le persone queer si troverebbero nell’affrontare un’occupazione russa dell’Ucraina.
Questo significherebbe una minaccia diretta per me, e specialmente per la persona che amo. In Russia, le persone LGBTQIA+ sono perseguitate. Se immaginiamo che la Russia occuperà tutta l’Ucraina o comunque una grossa porzione del paese, non ci permetteranno di esistere pacificamente e di lottare per i nostri diritti come riusciamo a fare in Ucraina adesso“.

Questa preoccupazione è aggravata dal fatto che, secondo un report degli Stati Uniti presentato all’Organizzazione delle Nazioni Unite pochi giorni prima della guerra, la Federazione Russa avesse preparato una lista di proscrizione in cui venivano inclusi una serie di nomi non graditi all’apparato statale russo. In particolare, secondo Bathsheba Crooker, ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite, la lista includerebbe “fasce di popolazione vulnerabile come minoranze religiose ed etniche e le persone LGBTQIA+. Nello specifico, abbiamo informazioni credibili che indichino come le forze russe stiano creando liste di ucraini identificati da uccidere o da mandare in campi di detenzione in seguito ad un’occupazione militare.

Una guerra, prima ancora di essere guerreggiata, è innanzitutto una guerra di informazioni e di propaganda, per cui è difficile dire quanto ci sia di vero nelle parole dell’ambasciatore statunitense. Tuttavia non è difficile credere che misure di questo tipo possano essere messe in atto dall’esercito russo. Teniamo sempre a mente che la Russia è un paese decisamente poco tenero nei confronti di qualunque individuo o gruppo interno percepito come nemico, con casi provati di torture ed assassinii di personalità più o meno scomode al regime putiniano.

Questo tipo di considerazioni hanno portato alcune organizzazioni, come “Kyiv Pride”, ad organizzarsi per sostenere direttamente l’esercito ucraino, fornendo materiale e corsi di primo soccorso a chi fosse interessat*.

Uno degli organizzatori del “Kyiv Pride”, Edward Reese, ha dichiarato quanto segue:

Abbiamo paura, perché è naturale, ma non siamo andati nel panico. Abbiamo fatto delle donazioni all’esercito. So che ieri [24 febbraio], la raccolta fondi per supportare l’esercito ucraino ha raggiunto il massimo nella sua storia di donazioni. Ed il “Kyiv Pride” ha anche pubblicato un appello per donare, e so che le persone LGBTQIA+ hanno donato. Ed anche io ho donato per il battaglione medico. In realtà crediamo che non avverrà [l’occupazione russa], ma se dovesse avvenire, sono sicuro che molte persone LGBTQIA+, ed io stesso, non scapperemo dal paese e lotteremo e li distruggeremo. L’Ucraina è un paese europeo. Abbiamo una storia di marce del Pride lunga 10 anni, e come sapete, in Russia la situazione è opposta. Abbiamo percorsi totalmente differenti…vediamo i cambiamenti nella mente delle persone riguardo i diritti umani, i diritti LGBTQIA+, il femminismo e così via…Quindi in definitiva non vogliamo e non avremo niente che sia collegato alla Russia.

Andrii Kravchuk, che lavora al “Nash Mir Gay and Lesbian Centre in Ukraine”, ha riportato al “The Daily Beast” quanto segue:

Siamo molto consapevoli delle minacce che abbiamo affrontato – sia come ucraini che come persone LGBTQIA+. Abbiamo capito che un’occupazione russa significherebbe totale illegalità e repressione – lo vediamo proprio ora nei territori ucraini occupati della Crimea e del Donbass. Ora abbiamo solo due opzioni: o difendere il nostro paese, e diventare parte del mondo libero, oppure non ci sarà più alcuna libertà per noi e non ci sarà più nemmeno l’Ucraina.”

Dichiarazioni del genere si inseriscono perfettamente nella narrazione dello scontro di civiltà che abbiamo visto negli ultimi giorni, ossia lo scontro tra mondo libero e barbarie, tra democrazia ed autocrazia.

Il nazionalismo come tomba del movimento LGBTQIA+
Fino alla fine degli anni ’90, le persone non eterosessuali erano considerate malate, anormali e abiette. Con gli inizi degli anni 2000, il prolificare di tutta una serie di leggi verso queste persone ha, da una parte, messo in discussione una chiusura culturale-legale e, dall’altra, innescato dei fenomeni integrativi di queste soggettività.
Secondo Lisa Duggan in “The Twilight of Equality?: Neoliberalism, Cultural Politics, and the Attack on Democracy” del 2003, la normalizzazione così raggiunta ha portato ad una omonormatività che “non sfida le istituzioni e i valori eterosessisti, ma piuttosto sostiene, supporta e cerca l’inclusione al loro interno”.
In sostanza, con l’omonormatività si riconoscono strutture di potere come matrimonio, esercito, famiglia, lavoro, capitale, patria, Stato etc.
Ma il principale riconoscimento è quello di aver accettato e fatta propria la normatività di genere del dominio (maschile e femminile), rendendosi così indistinguibili dalla maggioranza eterosessuale.

Prendiamo il caso degli Stati Uniti. Gli attentati alle Torri Gemelle del Settembre del 2001 e le guerre in Afghanistan e Iraq hanno portato ad un’esacerbazione del patriottismo americano in cui lo scontro di civiltà tra civilizzati e barbari era inevitabile. Con una visione ideologica-culturale del genere, lo Stato ha sostenuto la democrazia statunitense, trasformando e modellando le persone non-bianche (e aggiungiamo di fede religiosa non cristiana (come i/le musulman*)) come terroriste.

Questi casi di discriminazione culturale-statale non sono nuovi negli USA. E non saranno nemmeno gli ultimi. Il problema, però, è come i/le supporter dell’omonormatività, rigorosamente bianch* e di classe media e media alta, abbiano sostenuto il patriottismo e il nazionalismo come cardini dell’egualitarismo occidentale, rigettando qualsiasi forma di anti-patriottismo e antinazionalismo ed etichettando le persone non-bianche, specie di fede musulmana, come anti-americane.

Questo rigetto ed ostilità verso il diverso o il non-bianco, come spiega Jasbir K. Puar in “Terrorist Assemblages: Homonationalism in Queer Times” del 2007, trae origine da una visione distorta che l’omonormatività ha verso il mondo Occidentale. Tale mondo viene considerato come faro della civiltà e della difesa dei diritti LGBTQIA+; il diverso, il non-occidentale o il non bianco sono una minaccia verso questi diritti assunti come dei veri e propri privilegi di classe, di genere e di razza.

Ed ecco come il nazionalismo del mondo LGBTQIA+ assurge a paradigma progressista occidentale quando, in realtà, è marcio ed iniquo da far schifo.
Il contesto ucraino e certe testimonianze sulla difesa della propria nazione perchè più evoluta o liberale di quella russa, non sono altro che il trionfo della normatività e la tomba di qualsiasi forma di radicalismo e sovversione dello stato di cose presenti.

Il nazionalismo rimane un cancro che affligge l’umanità da diversi secoli, che divide comunità ed individui su basi artificiose, spesso creato con la violenza fisica, culturale e psicologica verso intere fasce di popolazione.
Tingerlo di rainbow non lo renderà meno mortale.

Note
[1] https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/03/04/razzismo-di-stato-e-supremazia-bianca-europea-la-gerarchia-razziale-allopera-nella-crisi-umanitaria-in-ucraina/

[2] Sul sito di ILGA-Europe è possibile trovare notizie in merito.
Link: https://www.ilga-europe.org/tags/ukraine
All’indirizzo di seguito è possibile invece leggere una breve panoramica della situazione riguardante i diritti umani per la comunità queer del paese. Link: https://www.ilga-europe.org/sites/default/files/2022/ukraine.pdf

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su La comunità LGBTQIA+ ucraina durante la guerra. Tra l’incudine dell’eteropatriarcato ed il martello dell’omonazionalismo

Antonio Ruiz

Il 4 Marzo del 1976, Antonio Ruiz, un adolescente spagnolo, fu arrestato a Valencia perché omosessuale.
Il giovane aveva da poco fatto coming out con la sua famiglia e, dopo che sua madre ne parlò al prete durante la confessione, una suora denunciò la cosa alla polizia.

Ruiz venne giudicato colpevole di aver violato la “Ley sobre peligrosidad y rehabilitación social”, una legge emanata nel 1970 da Franco.

La legge del 1970 andava molto più nello specifico rispetto alla “Ley de vagos y maleantes” del 1933 (che era stata modificata dal regime franchista nel 1954), in quanto colpiva maggiormente la comunità LGBT tramite la reclusione nelle carceri e nei manicomi.

Ruiz venne trasferito in diversi carceri: El Modelo di Valencia, Carabanchel e Badajoz.
Dai suoi ricordi in carcere, Ruiz racconta di aver vissuto in mezzo ai ladri e assassini nonostante la sua giovane età e di come le guardie lo portassero fuori tutte le sere dalla cella per spingerlo a denunciare altri omosessuali presenti in carcere. Ogni sera erano botte a non finire visto che non parlava.

Altri hanno avuto la sfortuna di finire confinati a Tefía, un campo di concentramento noto come Colonia Agricola Penitenciaria, operativo dal 1954 al 1966.

Disegni tratti da “El Violeta”

Le persone incarcerate vi rimanevano per un periodo massimo di tre anni. Costretti a lavorare i campi in condizioni molto dure, nel mezzo di un arido deserto, i prigionieri erano sottoposti a torture ed umiliazioni, a cui si aggiungeva la mancanza di cibo adeguato.

Essere omosessuali durante il regime franchista non significava solo repressione, ma era anche sinonimo di esclusione, poiché i precedenti penali impedivano loro di trovare lavoro. Nemmeno la successiva Costituzione democratica garantiva i diritti alla comunità LGTB+.

L’abrogazione totale della “Ley sobre peligrosidad y rehabilitación social” avvenne solo nel 1995.

La storia di Ruiz è stata una fonte di ispirazione per lo sceneggiatore Juan Sepúlveda – imbattutosi nella sua storia mentre guardava un documentario negli anni ’90 -, che creò, insieme ad Antonio Santos Mercero e all’illustratrice Marina Cochet, il fumetto “El Violeta”.

Il termine “violeta” indicava in modo dispregiativo le persone omosessuali in Spagna; come detto da Ruiz stesso, “parte di “El Violeta” è ispirato alla mia vita, anche se nel fumetto il protagonista sposa una donna in modo che non gli succeda nulla, cosa che non ho mai fatto perché significava distruggere due vite”.

L’opera del trio Sepúlveda-Mercero-Cochet mostra attraverso il protagonista Bruno la vita infernale che le persone omosessuali erano costrette a vivere nella Spagna franchista.

Una vita dove le violenze poliziesche e carcerarie erano la quotidianità. Chi “guariva”, era costretto a vivere una “vita normale”, rinnegando se stesso e pensando di essere malato. Chi invece era refrattario, veniva escluso e messo ai margini della società cattolica spagnola, subendo le violenze della polizia.

Di seguito, la parte del fumetto “El Violeta” in cui viene ritratto il momento della retata e dell’interrogatorio fatto da Bruno, il poliziotto e protagonista della storia, e Aguado, un omosessuale e suo ex compagno di cella.

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Antonio Ruiz

Razzismo di Stato e supremazia bianca europea: la gerarchia razziale all’opera nella crisi umanitaria in Ucraina

Lo scoppio della guerra tra Ucraina e Russia ha portato numerose persone a fuggire dal paese governato da Zelensky.
Secondo l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM), in Ucraina vi sono 470.000 cittadini stranieri, tra cui un gran numero di studenti e lavoratori.
Almeno 6.000 di loro sono arrivati in Moldavia e Slovacchia negli ultimi cinque giorni e molti altri hanno attraversato la Polonia.

Il trattamento preferenziale adottato dal governo ucraino consiste nel far andare via prima gli ucraini, chiedendo alle persone africane e asiatiche di pagare per lasciare il paese.

Di fronte alle proteste dell’Unione Africana, il vice ministro dell’Interno ucraino Anton Herashenko, ha negato che il suo paese stesse ostacolando l’uscita degli stranieri: “stiamo rilasciando per primi le donne e i bambini. Gli uomini stranieri devono aspettare che le donne e i bambini si facciano avanti. Rilasceremo tutti gli stranieri senza ostacoli.

Le testimonianze
Dalle testimonianze pervenute, però, si assiste ad un quadro molto più drammatico.
Chineye Mbagwu, una dottoressa 24enne nigeriana che viveva a Ivano-Frankivsk, ha detto di aver trascorso più di due giorni bloccata al valico di frontiera Polonia-Ucraina, mentre le guardie lasciavano passare gli ucraini: “Le guardie di frontiera ucraine non ci stavano lasciando passare. Picchiavano le persone con dei bastoni. Li schiaffeggiavano e li spingevano in fondo alla fila. È stato terribile.
La ragazza è riuscita a raggiungere Varsavia facendosi strada lungo il confine nonostante le guardie ucraine facessero passare solo le donne e i bambini ucraini: “Ogni volta che una donna nera cercava di passare, dicevano: “Prima le nostre donne””.

Grace Kass, ventiquattrenne della Repubblica Democratica del Congo, era giunta a Kharkiv, in Ucraina per studiare ingegneria, imparare le lingue ucraina e russa mantenendosi come truccatrice. Fuggita dalla città, Kass ha raggiunto la città di Leopoli al confine tra Ucraina e Polonia.
In una dichiarazione rilasciata alla rivista settimanale “Time”, Kass ha affermato come lei e altre donne africane siano state costrette ad aspettare fuori dai treni e sotto la neve, mentre le donne bianche con bambini potevano salire prima di loro.
Secondo Kass, vi sono stati pestaggi (calci, pugni e manganellate) da parte della polizia ucraina ai danni di uomini nepalesi, indiani e somali.
L’unica ragione per cui lei e altre donne non sono state picchiate è stata per il loro genere di appartenenza.

Ahmed Habboubi, uno studente di medicina franco-tunisino di 22 anni, si è recato ad un cancello al valico tra l’Ucraina e la Polonia. Gli ucraini passavano liberamente mentre il resto della folla doveva attendere per delle ore. In un’intervista, il ragazzo ha detto: “L’esercito ucraino mi ha picchiato così tanto che non riuscivo a camminare correttamente. Quando finalmente sono riuscito ad entrare in Polonia, le autorità polacche mi hanno portato direttamente in ospedale. Era il caos assoluto. Siamo stati trattati come animali. Ci sono ancora migliaia di persone bloccate lì”.

Emmanuel Nwulu, uno studente nigeriano di elettronica alla Kharkiv National University di 30 anni, ha dichiarato che quando ha cercato di salire su un treno diretto ad ovest, verso il confine, i funzionari ucraini tentavano di impedirglielo: “I neri non possono salire sul treno”. Lui, insieme al cugino, sono riusciti a farsi strada con la forza per prendere il treno.

Taha Daraa, uno studente marocchino di 25 anni al quarto anno di odontoiatria al Dnipro Medical Institute, ha iniziato il suo viaggio sabato intorno a mezzogiorno e ha attraversato il confine rumeno lunedì mattina. Tramite WhatsApp, il ragazzo ha riportato: “Siamo stati trattati malissimo. Abbiamo preso gli autobus per il confine rumeno. È stato molto spaventoso, quindi abbiamo dovuto attraversare il confine mentre sentivamo gli spari. Tutto ciò che abbiamo fatto è stato pregare. Anche i nostri genitori hanno pregato per la nostra sicurezza. Era l’unica protezione che avevamo.

Il ragazzo ha raccontato inoltre di essersi trovato all’interno di un gruppo di altre persone africane. Quando il gruppo ha chiesto ad una guardia di frontiera di lasciarli passare, quest’ultima ha iniziato a sparare in aria con la pistola per spaventarli e così sono dovuti tornare indietro.

Non ho mai provato così tanta paura in vita mia”, ha detto il ragazzo, “[la guardia] ci ha chiesto di tornare indietro. La neve stava cadendo su di noi. Quando la folla è aumentata, [le guardie di confine] si sono arrese e hanno lasciato passare tutti”.

Dennis Nana Appiah Nkansah, uno studente di medicina ghanese, ha affermato di aver visto la stessa discriminazione tra ucraini e non-ucraini (specie africani) al passaggio dall’Ucraina alla città rumena di Siret. Migliaia di stranieri, tra cui zambiani, namibiani, marocchini, indiani e pakistani, sono stati indirizzati a un cancello che era per lo più chiuso, mentre un altro riservato agli ucraini era aperto e la gente poteva fluire attraverso questo.
In circa tre ore, ha detto lo studente ghanese, quattro o cinque stranieri sono stati autorizzati a partire, mentre c’era un massiccio afflusso di ucraini che attraversavano tranquillamente.

Queste testimonianze, insieme a tante altre [1], dimostrano in sostanza la totale disumanità e ferocia del potere istituzionale e confermano l’idea che i confini sono un vero e proprio strumento di discriminazione e, spesso, di morte.

Ma se in certi casi la guardia di frontiera ucraina può essere risultata meno violenta, questa, però, ha seguito dei protocolli operativi consistenti nel dividere le persone rifugiate in base al colore della pelle.

La situazione sembra essere più o meno difficile a seconda delle varie zone di confine che le persone africane e asiatiche cercano di attraversare. Questo, lungi dall’essere frutto della bontà delle guardie di confine (ucraine e non solo), è dipeso dalla presenza di organizzazioni per l’aiuto umanitario, e soprattutto dalla presenza di rappresentanti ufficiali di diversi Stati, perlopiù africani, che si sono presentati ai confini per aiutare i loro connazionali a scappare.
Sui social media c’è stata un’intensa circolazione di materiale informativo per gli studenti africani, con nomi, numeri di telefono e luoghi di confine dove potevano trovare queste figure istituzionali del loro paese.

Il razzismo istituzionale
Il presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, in una dichiarazione sull’attuale situazione russo-ucraina, segnala il trattamento riservato alle persone africane, in particolare nigeriane, presenti in Ucraina: “Da prove video, resoconti di prima mano, e da coloro che sono in contatto con i loro assistiti e/o funzionari consolari nigeriani, ci sono state spiacevoli segnalazioni di come la polizia e il personale di sicurezza ucraino si siano rifiutati di permettere ai nigeriani di salire su autobus e treni diretti verso il confine tra Ucraina e Polonia. In un video che circola ampiamente sui social media, una madre nigeriana con il suo bambino piccolo, è stata filmata mentre veniva fisicamente costretta a cedere il suo posto ad un’altra persona. Ci sono anche rapporti separati di funzionari polacchi che, semplicemente, rifiutano di far entrare i cittadini nigeriani in Polonia dall’Ucraina. Ad un gruppo di studenti nigeriani è stato ripetutamente rifiutato l’ingresso in Polonia; hanno concluso di non avere scelta se non attraversare di nuovo l’Ucraina e tentare di uscire dal paese attraverso il confine con l’Ungheria.”

Piotr Mueller, il portavoce del primo ministro polacco, ha negato le parole di Buhari dicendo: “[…]la Polonia sta facendo entrare tutti quelli che arrivano dall’Ucraina, indipendentemente dalla loro nazionalità.
Le parole di Mueller mal coincidono con ciò che avviene nel paese governato dal partito “Diritto e Giustizia”.

La giornalista Anna Mikulska di “OKO press”, un sito giornalistico che si occupa di diritti umani e valori democratici, riporta il video dell’attacco effettuato da gruppi polacchi di estrema destra alla stazione ferroviaria di Przemyśl contro “Humanity First Germany”, una ONG che si occupa di supporto umanitario, e contro un gruppo di persone africane in transito.

Jan Moss, un volontario dell’organizzazione umanitaria polacca “Grupa Zagranica”, ha detto che mentre i rifugiati sono stati accolti in molti varchi fuori dall’Ucraina senza alcuna forma di discriminazione, l’accoglienza vicino al piccolo paese di Medyka del Distretto di Przemyśl (Polonia), è stata più problematica perché le persone arrivate sono state divise in base ad un “profiling razziale”.
Il volontario ha aggiunto che gli ucraini e i polacchi sono stati autorizzati a passare attraverso la corsia dei veicoli, mentre gli stranieri possono transitare su quella pedonale – processo che si divide in tre fasi e può durare dalle 14 alle 50 ore.

Queste forme di violenze razziali in Polonia non sono nuove e rappresentano in pieno lo schema politico dell’attuale governo polacco e dei loro lacché contro le persone che richiedono asilo. Situazioni del genere fanno il paio con quel che avviene al confine con la Bielorussia dove l’esercito polacco respinge continuamente i richiedenti asilo (provenienti dall’Afghanistan, Iraq o Iran) nei boschi, condannandoli ad una sicura morte per ipotermia, annegamento o di fame.[2]
Tutto questo perchè tali persone non appartengono alla pura razza bianca tanto decantata dai gruppi e partiti fascisti presenti in Polonia.

Tornando alla crisi umanitaria in corso, la solidarietà e l’umanità mostrata verso il popolo ucraino rivelano, secondo il politologo Ziad Majed, una “scioccante distinzione tra i cittadini ucraini e i rifugiati del Medio Oriente. Quando senti certi commenti che parlano di “gente come noi”, si suggerisce che quelli che vengono dalla Siria, dall’Iraq, dall’Afghanistan o dall’Africa non lo sono”.
Questo concetto”, continua Majed, “è stato accennato negli ultimi giorni da alti politici europei – molti dei quali hanno tracciato una divisione intenzionale tra i rifugiati bianchi e le loro controparti non bianche”.

Tra le tante dichiarazioni in tal senso, ci sono state quelle di giornalisti di tv europee e statunitensi che hanno fatto una netta distinzione, ad esempio, tra i rifugiati siriani arrivati negli scorsi anni e gli ucraini in fuga adesso, quest’ultime persone “relativamente civilizzate e relativamente europee” e “persone come noi“.

Sul versante politico, sono rivelatorie del doppio standard le parole di Kiril Petkov, attuale primo ministro bulgaro e co-fondatore del partito “Continuiamo il Cambiamento”: “Questi [in riferimento agli ucraini] non sono i rifugiati a cui siamo abituati. Queste persone sono intelligenti, sono persone istruite. Questa non è l’ondata di rifugiati a cui siamo stati abituati: persone di cui non siamo sicuri dell’identità, persone con un passato poco chiaro, persone che potrebbero essere state terroristi.”

Così come non devono passare inosservate le parole dell’ex procuratore generale ucraino David Sakvarelidze che, intervistato dalla BBC due giorni dopo l’invasione, ha detto: “E’ stato commovente per me vedere europei con capelli biondi e occhi azzurri uccisi ogni giorno dai missili di Putin”.

La discriminazione razziale messa in atto da una serie di media, partiti e personalità istituzionali europei, è un megafono che, in tempi di sindemia e di crisi economica globale, può sempre tornare utile per chi vuol dominare.

Le basi di questa discriminazione razziale vanno ricercate da una supposta posizione dominante di una razza (quella bianca) su una o più razze subordinate (asiatiche, africane etc).
Nonostante siano passati secoli, le giustificazioni che troviamo non si discostano poi tanto da sonore idiozie come, ad esempio, la “Maledizione di Cam“, “l’ebreo errante” o la teoria della schiavitù naturale aristotelica. Tali teorie, tutte di matrici europee, sono state le basi per dominare culturalmente, legislativamente ed economicamente una massa di individui che stanno al di fuori dei canoni della razza bianca.

Benché i media mainstream e il mondo politico cerchino di ammaestrarci a pensare che il razzismo istituzionale in Europa non esista e il suprematismo bianco sia una prerogativa prettamente statunitense (ricordiamoci di come tutti i media europei erano pro-afroamericani all’indomani della rivolta del 2020), i fatti a cui stiamo assistendo oggi giorno ci dimostrano la più totale ipocrisia di questi personaggi, delle istituzioni che rappresentano e dei mezzi di informazione.

Costoro, che fino a ieri si spendevano, a parole, nel condannare il razzismo oltre oceano, oggi mettono in atto gli stessi meccanismi di protezione razziale tipici della whiteness statunitense.

Aggiornamento (10 Aprile)

Caso Polacco
Da una testimonianza di uno studente nigeriano, si è scoperto che le persone africane provenienti dall’Ucraina sono state rinchiuse all’interno di strutture note come “centri chiusi per gli stranieri”.
Questo comportamento discriminatorio contro le persone africane in fuga dalla guerra in Ucraina è stato riportato dal “The Indipendent” e da “Lighthouse Reports”, un’organizzazione giornalistica investigativa senza scopo di lucro.
Le strutture in questione sono simili a delle prigioni perché le persone lì rinchiuse non possono uscire, non hanno a disposizione assistenza legale ed i loro telefonini sono stati sequestrati.
Ciò avviene in barba alla direttiva di protezione del 4 Marzo emessa dall’Unione Europea che permette alle persone rifugiate di vivere e lavorare in un paese per almeno un anno e si applica anche ai “cittadini di paesi terzi diversi dall’Ucraina che risiedono legalmente in Ucraina e che non sono in grado di tornare in condizioni sicure e durevoli nel loro paese o regione di origine”.
Aya Chebbi, una femminista panafricana e diplomatica che risiede in Tunisia e ha lavorato con donne e giovani, ha definito tali modalità discriminanti tipici da “mentalità coloniale” e guerresca.
Quel che accade in Polonia, dice Chebbi, non è sorprendente ed è una situazione simile accaduta in Libia: “Questo è orribile, ma è previsto. Non è una novità il modo in cui l’Europa bianca tratta i neri africani. Non è niente di nuovo. È la storia dell’Europa. Ma potremmo prevenirlo”, ha detto.

“Penso che questa situazione abbia bisogno di attenzione adesso, e dobbiamo fare rumore perché potremmo prevenirlo. Se quel campo viene chiuso, se la Polonia viene ritenuta responsabile, allora non può diffondersi da una parte all’altra. E tutti gli studenti africani dovrebbero essere in grado di avere un passaggio sicuro per i loro paesi o per andare in altri paesi quando non possono tornare indietro”.

Caso di migranti presenti nelle strutture detentive ucraine
Diverse decine di persone migranti sono rimaste intrappolate nel centro di accoglienza per migranti di Zhuravychi, un paese che si trova nell’Oblast’ di Volinia, regione dell’Ucraina che si trova al confine con la Polonia e la Bielorussia e fatta oggetto di bombardamenti.
La struttura in questione, più che per l’accoglienza, ha una funzione detentiva. L’Unione Europea ha finanziato questa struttura (e altre due presenti in Ucraina) con lo scopo di confinare i richiedenti asilo – alcuni dei quali respinti dall’Unione Europea stessa.
Tra i finanziamenti dell’UE verso il centro detentivo di Zhuravychi vi è quello di 1,7 milioni di euro per le serrature elettroniche delle porte ed elementi di protezione alle finestre.
Human Rights Watch (HRW) ha denunciato la continua detenzione di persone migranti nella struttura durante la guerra. In un rapporto pubblicato lunedì 4 aprile, HRW ha detto che il suo staff ha intervistato per telefono quattro uomini che sono detenuti a Zhuravychi dall’inizio di marzo. Secondo HRW, tutti e quattro gli uomini hanno detto di essere stati detenuti nei mesi precedenti l’invasione russa per aver cercato di attraversare irregolarmente il confine con la Polonia.
“I migranti e i richiedenti asilo sono attualmente rinchiusi nel mezzo di una zona di guerra e giustamente terrorizzati”, ha detto Nadia Hardman, una ricercatrice dei diritti dei rifugiati e dei migranti con HRW, “non ci sono scuse, a più di un mese da questo conflitto, per tenere i civili in detenzione per immigrazione. Dovrebbero essere immediatamente rilasciati e autorizzati a cercare rifugio e sicurezza come tutti gli altri civili”.

Note
[1] Collage di video di prima mano del canale Al Jazeera e First Coast News.
Negli spezzoni ripresi dai social media si possono vedere delle persone africane bloccate ai binari dei treni da una catena umana delle forze di sicurezza ucraina; in altri è possibile vedere l’esercito ucraino sparare colpi d’avvertimento nei confronti di studenti indiani che cercano di passare il confine.
Link: https://twitter.com/i/status/1498281490718810116
https://www.youtube.com/watch?v=sAxnqbdhQ0c

Video di Channel 4 News. Alcuni studenti africani riferiscono di essere passati attraverso il confine ungherese per evitare di entrare in Polonia a causa del razzismo delle autorità locali. Uno studente intervistato riferisce come al confine ucraino-polacco, la guardia di frontiera ucraina segue un protocollo che prevede di far passare uno straniero ogni dieci ucraini. In generale le persone intervistate raccontano di come sia in corso un’attività di profilazione razziale
Link: https://www.youtube.com/watch?v=Up_V7VCsQII

Un ragazzo intervistato ha raccontato di una sua discussione con un soldato ucraino,dove quest’ultimo gli ha detto che gli uomini africani verranno fatti combattere in guerra e non potranno lasciare il paese. Altre persone intervistate riportano come gli sia stato impedito di prendere i treni per lasciare il paese.
Link: https://www.euronews.com/2022/03/02/ukrainians-go-first-how-black-and-brown-people-are-struggling-to-escape-the-russian-invasi

[2] Riguardo la crisi migratoria al confine bielorusso-polacco, essa va inquadrata come un primo atto all’interno della guerra in corso. Tale crisi migratoria è stata creata ad arte dal regime di Lukashenko tramite la creazione di agenzie turistiche durante l’estate del 2021, per poter fungere da pungolo politico nei confronti dell’Unione Europea, e della Polonia in particolare. Lukashenko ha tentato, e tenta tutt’ora, di raccogliere migliaia di persone sul territorio bielorusso, al modico prezzo di €1000 tra viaggio e alloggio, per poi accompagnarle al confine ed utilizzare queste persone come massa critica nei confronti delle autorità polacche. Inutile dire che le persone migranti vengano “rimbalzate” da una parte all’altra del confine,e vengono lasciate in una sorta di “limbo” dove la morte è sempre dietro l’angolo, con i polacchi che le respingono da una parte ed i bielorussi che impediscono loro di tornare indietro.
Nel gennaio 2022, il governo polacco ha annunciato la costruzione di un muro di frontiera ipertecnologico, il cui termine è previsto all’inizio dell’estate.

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Razzismo di Stato e supremazia bianca europea: la gerarchia razziale all’opera nella crisi umanitaria in Ucraina

Contro la frode del nazionalismo. Machno e l’Ucraina

Fin dalla sua comparsa, il nazionalismo non è stato altro che un mezzo utilizzato dalle classi dominanti del passato per poter omogeneizzare e conformare territori in cui coesistevano ed interagivano diverse comunità, ognuna con la propria lingua, la propria religione, i propri rituali.
Questo processo si accompagnava spesso alla distruzione delle cosiddette “frontiere interne” doganali tra le varie regioni, al fine di poter creare un mercato interno comune e centralizzato ed in buona parte sottoposto alle medesime regole.
Il gioco del nazionalismo è tutto qui: uniformare a livello culturale i territori per poter imporre il proprio dominio economico.
Una volta completato il processo di costruzione interna, il nazionalismo non è certamente stato riposto tra i ferri vecchi. Oggigiorno esso è ampliamente utilizzato per dividere l’umanità in compartimenti stagni in competizione astiosa tra di loro.

Come è stato visto con la Serbia negli anni ’80 del ventesimo secolo – e successivamente con i paesi dell’ex blocco iugoslavo-, il nazionalismo è uno dei cosiddetti “carburanti” principali dei rapporti di potere all’interno delle società odierne.
Oggi giorno questa menata del nazionalismo viene intesa o come sovranismo (tipo dai fascisti e dalla Lega in Italia o dai cosiddetti “Paesi di Visegrad”) o come innalzamento ad eroi della patria di determinati personaggi che tutto erano fuorché nazionalisti.

In quest’ultimo caso abbiamo il caso ucraino e Machno.
La dissoluzione dell’URSS e l’indipendenza dell’Ucraina nel Luglio del 1990 hanno coinciso con una rinascita dell’orgoglio nazionale locale.
Tutta una serie di personaggi bollati come traditori e infami dal regime sovietico, vennero rivalutati, come detto prima, e assunsero il ruolo di eroi della patria.
Machno, militante anarchico ucraino, fu quello che, insieme ad altri/e compagni/e e contadini, organizzò un’accanita resistenza armata contro l’esercito bianco e i nazionalisti ucraini e, successivamente, contro l’Armata rossa.
Il rifiuto di ogni nazionalismo da parte di Machno e dei/delle compagni/e che combatterono insieme a lui, si può trovare nella “Dichiarazione” del consiglio militare rivoluzionario dell’esercito: “Per quanto riguarda la indipendenza dell’Ucraina, noi la concepiamo non come autonomia nazionale, se­condo le intenzioni dei petliuristi [sostenitori di Symon Petljura, capo dei nazionalisti ucraini, mia aggiunta], ma come indipenden­za sociale del lavoro degli operai e contadini. Noi riconosciamo e difendiamo il diritto del popolo lavoratore ucraino (come di qualsiasi altro) a disporre di se stes­so, non come nazione, ma come unione di lavoratori.” (citato anche all’interno del testo di Petr Arshinov, “Storia del movimento machnovista”).
Il presunto riconoscimento nazionalistico ucraino di un Petljura dell’epoca o di tutti i burocrati e alleati nazionalisti e/o fascisti odierni (in primis il famigerato Battaglione Azov) malcoincide con quello che Machno e compagni/e erano e, soprattutto, volevano attraverso le loro azioni e teorizzazioni esplicate all’interno della “Piattaforma dei Comunisti Anarchici”.
Far vedere una cosa nera per bianca (e viceversa) è un gioco culturale-comunicativo che va avanti da secoli. Il ragionamento scientifico che bisogna fare di fronte a simili frodi è quello di operare ricorrendo alle fonti (specie se si tratta di eventi storici) per poter disinnescare qualsiasi tentativo giustificatorio di uno o più poteri esistenti.

Per maggiori informazioni su Machno e il movimento anarchico ucraino, vedere i seguenti titoli:
Volin, “La rivoluzione sconosciuta”
Aršinov Pëtr Andreevič, “Storia del movimento machnovista”
Shubin Alexander V., “Nestor Machno. Bandiera nera sull’Ucraina guerriglia libertaria e rivoluzione contadina (1917-1921)”
Fedeli Ugo, “Dalla insurrezione dei contadini in Ucraina alla rivolta di Cronstadt”
Makhno Nestor, “La rivoluzione russa in Ucraina. Marzo 1917-Aprile 1918”
Cotlenko Mila, “Maria Nikiforova. La rivoluzione senza attesa. L’epopea di un’anarchica attraverso l’Ucraina 1902-1919”

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su Contro la frode del nazionalismo. Machno e l’Ucraina

Salvador Puig Antich

Durante una retata poliziesca della Brigada Político-Social a Barcellona, avviene una sparatoria tra i poliziotti e gli anarchici in cui muore un ufficiale di polizia. Salvador Puig Antich, membro del Movimiento Ibérico de Liberación, e coinvolto in questa azione, viene accusato dell’omicidio.
Puig Antich si era reso responsabile, prima di questo fatto, di diverse azioni contro lo Stato e il Capitale spagnolo. Il fatto che fosse ritenuto responsabile dell’omicidio dell’ufficiale di polizia, giocò a favore della propaganda franchista dei tempi nell’accusare di violenza barbara gli anarchici e gli oppositori anti-franchisti.
Incarcerato presso il carcere Modelo di Barcellona, l’anarchico catalano venne giudicato da un Consiglio di Guerra nel Gennaio 1974 e condannato a morte per garrotamento il 2 Marzo dello stesso anno.
Nonostante le proteste internazionali e le richieste di clemenza, per il morente Franco, il suo vice Navarro e tutto il resto dell’establishment fascista spagnolo, la garrota rappresentava il simbolo dell’ordine contro la ribellione.

Una settimana dopo l’omicidio di Puig Antich, “Umanità Nova” pubblicava un comunicato della Commissione Relazioni dell’Internazionale delle Federazioni Anarchiche:

“Ancora una volta il franchismo spagnolo ha mostrato il ghigno feroce della vendetta fascista legalizzata. Salvador Puig Antich, nella fredda mattinata del 2 marzo 1974, è stato garrotato nel carcere di Barcellona, colpevole di non essersi lasciato uccidere da un poliziotto che venne da lui involontariamente ucciso. Non sono valsi a nulla i messaggi che dall’interno della Spagna e da ogni parte del mondo sono affluiti all’indirizzo del dittatore Franco perché commutando la pena la giovane vita venisse risparmiata. Franco continua a sfidare l’universo perché sa comunque che tutti i governi, nessuno escluso, non lo abbandoneranno al suo triste destino. Ma i popoli potrebbero, volendo, imporre al regime franchista pratiche più umane e civili se manifestassero un fermo e potente rifiuto di relazioni di ogni natura, di carico e scarico nei porti di merci da e per la Spagna e spingessero le istituzioni internazionali ad espellere dal loro seno lo Stato franchista la cui connivenza li rende complici di efferati delitti che distruggono ogni valore morale ed umano e conculcano il diritto dei popoli di liberarsi dai propri tiranni.

Mentre saluta commossa questa ennesima vita di giovane anarchico stroncata dalla crudeltà vendicativa di un regime aborrito ed è solidale con le centinaia di perseguitati politici che affollano le carceri di Spagna sottoposti ad ignobili torture fisiche e morali, la C.R.I.F.A. invita gli anarchici del mondo ad unirsi alla protesta concretizzandola con l’esercitare pressioni nei loro rispettivi paesi affinché il regime franchista sia messo al bando dell’umanità o comunque con il concorso dei lavoratori sia resa difficile la vita al governo Franco.” (“Umanità Nova”, A.LIV, n.9, 9 marzo 1974)

La morte di Antich spinse all’azione determinati gruppi politici di opposizione al franchismo.

Tra questi vanno ricordati i Grupos de Acciòn Revolucionaria Internacionalista (GARI) che, in una dichiarazione pubblicata nel “CNT Informa” del Giugno 1974, scrivevano:

“Dopo l’esecuzione di Salvador Puig Antich, che mostrò l’inefficacia delle proteste pacifiche nazionali e internazionali […] i gruppi firmatari della presente dichiarazione hanno deciso di passare all’azione per rispondere e combattere il franchismo e tutti i governi complici. […] La nostra azione si inserisce nel processo di sviluppo di una lotta rivoluzionaria continua – oltre a qualsiasi considerazione di ordine nazionalista – ,contro tutte le forme di oppressione e di sfruttamento.
Convinti che, di fronte al terrorismo del potere, un’efficace forma di lotta è l’azione diretta rivoluzionaria, manifestiamo le nostre più ferme decisioni di estendere il nostro combattimento per la libertà in Spagna, in Europa e nel Mondo.”

La brutale repressione adottata da Navarro e soci contro l’opposizione antifranchista (specie contro i gruppi anarchici) dimostrò come il tentativo di “democraticità” di costoro – tanto sbandierata all’opinione pubblica internazionale -,fosse solo una maschera; essi si confermarono come continuatori della politica franchista – risultata vittoriosa all’indomani della fine della guerra civile spagnola – e delle logiche neoliberiste.

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Salvador Puig Antich

Schiavi nel paese più libero del mondo


In una lunga intervista a Radio InBlu2000, l’ex Ministro degli Interni Marco Minniti ha espresso le sue opinioni sull’invasione russa in Ucraina (avvenuta il 24 febbraio), un fenomeno che è stato il culmine di tensioni militari e diplomatiche pregresse.

Tra il plauso della speaker radiofonica, il nostro non ha trovato di meglio che rispolverare i vecchi orpelli dell’interventismo democratico stile Prima Guerra Mondiale, al fine di giustificare un’eventuale movimento dello Stato italiano in senso bellico. Movimento che, beninteso, è già avvenuto al momento sotto forma di forniture militari all’Ucraina e di schieramento di truppe nei paesi NATO confinanti.

Nel corso del lungo intervento, va segnalata in primis la strana dimenticanza che porta l’ex deputato democratico ad affermare che “Questo è il momento più tragico dell’Europa dopo quasi 80 anni. Non si è compresa la lezione del 2014, quando si sono ridisegnati i confini dell’Europa con un’operazione militare.” L’evento storico a cui fa riferimento Minniti è relativo a quando emersero le sacche di rivolta e di fazioni separatiste all’interno del territorio ucraino dopo i moti di Piazza Maidan.

Questa amnesia, d’altronde, la si può rintracciare anche nelle dichiarazioni recenti del Presidente della Repubblica Mattarella in merito agli attuali fatti russo-ucraini.

A quanto pare questi signori dimenticano come ventitre anni fa l’operazione Allied Force della NATO si accaniva sulla popolazione civile serba partendo dalle basi militari situate in Italia.
Per i democratici ed i relitti democristiani nostrani ci sono vite umane degne di essere buttate via: ieri erano le popolazioni civili dei Balcani; oggi quelle che stanno nel continente africano.

Di fronte ad una catastrofe umanitaria su larga scala, in questa intervista a Minniti ci si aspettava almeno una presa di posizione riguardante la popolazione civile ucraina coinvolta. Niente di tutto ciò. L’ex ministro degli Interni ha parlato di sanzioni nei confronti della Federazione Russa, evitando ovviamente di rivelare il segreto di Pulcinella, ovvero che queste misure andranno a colpire soprattutto la classe media e medio bassa, nonché la classe lavoratrice. In un contesto come quello russo, in cui spesso le tensioni interne esplodono sotto forma di pura e cieca opposizione, non è difficile immaginare come andranno le cose, specie se si considera che sta sorgendo spontaneamente un’opposizione diffusa ad una guerra giudicata inutile.

Minniti riprende in pieno il tema della guerra della civiltà contro la barbarie, dei regimi democratici che fanno fronte alle autocrazie: “Noi siamo arrivati al nodo di una tensione che era nell’aria da un po’ di tempo. La tensione tra le grandi democrazie da una parte […] e le autocrazie dall’altra.[…] Ciascuno di noi sarà costretto a pagare un piccolo prezzo. Abbiamo di fronte una sfida che riguarda valori, principi e libertà[…] in queste ore stiamo riscoprendo che democrazia, diritti fondamentali e libertà non sono scontati.”

Sono parole che potrebbero essere state pronunciate un secolo fa, per giustificare la presa di posizione contro gli Imperi Centrali da parte dei paesi democratici.
Ma a sentirle a distanza di un secolo da un simile personaggio, queste risultano vomitevoli.
Rappresenta, questa dichiarazione, una chiara visione distorta della realtà da parte di Minniti e rivela, al tempo stesso, un certo stato d’animo della classe borghese italiana.

Si è visto bene cosa intendesse e cosa intendono tutt’oggi, in tempi di guerra, signori di tale risma.
Sicurezza significa non far sbarcare le persone migranti provenienti dall’Africa, facendo accordi sottobanco con i capoccia degli scafisti libici e, al contempo, finanziare campi di concentramento sul suolo libico per frenare e contenere i flussi migratori. Tutto ciò in un’apparente (ma solo apparente) antitesi rispetto a quanto affermavano le controparti sovraniste italiane riguardo l’affondare i barconi.
Di tutto questo Minniti è responsabile con tanto di prove.

Abbiamo visto anche cosa significhino le parole libertà e democrazia per la borghesia italiana.
La libertà è libertà di essere schedati dalla polizia, di essere allontanati od espulsi da determinate zone della città perché indesiderabili o indecorosi. Non dimentichiamo che Minniti è l’autore del DASPO urbano introdotto nel 2017 con il decreto che porta il suo nome. Una misura talmente progressista che venne ripresa ed adattata nei successivi Decreti Sicurezza a firma Salvini prima e Lamorgese dopo.

Eccolo svelato il paravento della democrazia e delle libertà borghesi: una realtà fatta di segregazione, esclusione, sfruttamento, fino alla morte per la patria se necessario. Una libertà fatta su misura per chi se la può comprare, schiavitù per il resto della popolazione.

Questi signori ci stanno ammorbando e tutto il loro progetto si sta svelando per quello che è: un sistema basato sul culto della morte. È ora di ribaltare il tavolo e opporsi a questa follia collettiva.

[…]
Certo: meglio la democrazia che il fascismo.
Meglio la libertà relativa che la schiavitù assoluta.
Meglio l’influenza che la polmonite.
Meglio non avere un occhio che non averli entrambi.
Meglio un accidente secco dell’agonia atroce dell’idrofobia.
Tra due mali, il minore è sempre preferibile al peggiore.
Ma perché limitare la scelta tra due mali? Non sarebbe meglio evitare l’uno e l’altro? Non è, in ogni modo, insegnamento costante dell’esperienza e monito della ragione, che si cerchi di curare e guarire il male minore onde prevenire ed evitare il maggiore?
[…]
La scelta che l’umanità contemporanea deve fare, se vuole assicurarsi per l’avvenire la salute della libertà e della giustizia, le gioie del benessere, non è perciò scelta fra un male maggiore ed un male minore – poichè questo contiene le cause di quello -; ma tra il bene e il male, tra la giustizia e l’iniquità, tra la libertà e l’oppressione, tra la civiltà e la barbarie, tra la vita e la morte: La guerra per tenere i popoli oppressi e sfruttati dal monopolio dei privilegi privati o statali, o la Rivoluzione sociale che emancipi il produttore da ogni sfruttamento, il cittadino da ogni forma di oppressione.

(da L’Adunata dei Refrattari – Meglio la democrazia!, 25 dicembre 1943)

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Schiavi nel paese più libero del mondo

Il problema dell’autonomia siciliana

Foto dello Statuto della Regione Sicilia firmato il 15 Maggio 1946 da Re Umberto II di Savoia

Premessa
Tra il 1946 e il 1949 il gruppo “Terra e Libertà” di Siracusa pubblicò, senza l’autorizzazione ministeriale, una serie di numeri unici con titoli diversi.
Tra i gestori e i collaboratori a questi numeri unici troviamo compagni come Umberto Consiglio, Alfonso Failla ed altri. Abbiamo deciso di prendere un articolo del numero unico“Terra e Libertà. Voce del Movimento Anarchico in Sicilia” del Primo Maggio 1947.
L’analisi fatta dai compagni dell’epoca riguardava la situazione siciliana dopo il secondo conflitto mondiale, con la critica alle velleità borghesi latifondiste presenti all’interno della dirigenza del fu Movimento Indipendentista Siciliano e, soprattutto, contro i futuri “onorevoli” deputati dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Ciò che viene riportato in questo scritto è più che mai attuale in questa regione: la borghesia locale (agricola, turistica, edilizia in particolare), in combutta con i politici locali seduti sugli scranni dei consigli comunali e dell’ARS, piange miseria economica ed invoca una purezza “siciliana” – o, in certi casi, simil-indipendentista – per difendere i propri interessi; lo sfruttamento umano ed animale che vi sta dietro continua imperterrito ed è accettato supinamente.
Per tali motivi, e riprendendo quel che dicevano i compagni ai tempi, è necessario uscire da tutta una serie di retoriche indipendentiste e nazionaliste che tendono a giustificare una serie di macro e, soprattutto, micro poteri o relazioni verticistiche e tossiche.

Nota
Nel seguente articolo vi è segnata una parte omessa ( “[…]” ) in quanto l’originale presentava uno strappo e, quindi, rendeva la frase illeggibile.

da “Terra e Libertà. Voce del Movimento Anarchico in Sicilia”, 1 Maggio 1947, Numero Unico.

Noi anarchici propugniamo una società che realizzerà il massimo di autonomia possibile nella convivenza umana.
“L’anarchia è una società basata sul libero accordo delle libere volontà dei singoli.”
Libertà – e quindi autonomia – dell’individuo nel comune, di questo nella regione e della regione nella più grande famiglia che abbraccerà tutta l’umanità.
Ma tutte queste autonomie presuppongono, come prima realizzazione indispensabile, la liberazione da ogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo e perciò il libero comune noi lo intendiamo formato di uomini e donne non più divisi in proprietari e nullatenenti ma affratellati nel godimento in comune di tutti i prodotti del lavoro, manuale ed intellettuale, che garantirà ad ogni essere umano la libera espansione della propria individualità in armonia con quelle degli altri.
Conseguentemente, protesi con il pensiero e la volontà verso l’Anarchia, partecipiamo alla lotta per la conquista di ogni effettiva libertà.
La richiesta di autonomia per la Sicilia, nella federazione dei popoli, ci trova perciò consenzienti.
Con questi intendimenti critichiamo il MIS [Movimento Indipendentista Siciliano], il movimento, ufficiale, per l’indipendenza siciliana.
A prima vista, osservando l’entusiasmo che anima ancora molti giovani nello agitarsi per l’autonomia siciliana, saremmo attratti anche noi a simpatizzare per tale movimento, tanta è la loro fede.
Ma appena riflettiamo sulle intenzioni dei capi del MIS ci accorgiamo che l’autonomia reclamata da essi, feudatari nobili e latifondisti borghesi, è maggior potere per sfruttare con più libertà i già sfruttati al massimo, contadini loro dipendenti. Vi sono dei precedenti, nella storia siciliana recente, che ammaestrano, al riguardo. Quando nel 1893-94 i contadini, i zolfatari, i lavoratori tutti di Sicilia si organizzarono in quei fasci gloriosi che seguirono l’inizio della lotta dei proletari anche per il resto d’Italia, furono i latifondisti nostrani, che ora reclamano l’autonomia, a sollecitare l’intervento dello Stato unitario contro i lavoratori che chiedevano non ancora la liberazione totale dallo sfruttamento padronale ma la riduzione delle ore lavorative (allora si lavorava nei campi e nelle miniere dall’alba al tramonto) dei patti di lavoro per i salariati e dei contratti d’affitto per i mezzadri e coloni che non ne avevano avuto fino ad allora.
Furono proprio nobili e borghesi siciliani, proprietari terrieri, che accusarono di separatismo presso il governo di Roma i lavoratori isolani. Vi fu persino un delegato di pubblica sicurezza, quello di Bisacquino, che produsse un documento artefatto per provare un accordo tra il movimento dei fasci operai ed il governo francese per l’annessione della Sicilia alla Francia, esistente solo nella fantasia malvagia dei reazionari latifondisti.
Si arrivò perfino ad affermare che esisteva un accordo per consegnare la Sicilia allo zar di Russia!
A tanto arrivarono i feudatari di Sicilia, per opporsi ai lavoratori che chiedevano dei miglioramenti inferiori a quelli già ottenuti dai loro fratelli dell’Italia centrale e settentrionale. Il risultato di quell’opera delittuosa fu quello di screditare presso l’opinione pubblica d’Italia il movimento dei fasci ed il governo di Roma per ordine di re Umberto l’assassino (“buono” per la storia ufficiale) inviò in Sicilia il generale Morra di Lavriano con pieni poteri. Lo stato maggiore del corpo di spedizione prese alloggio nei palazzi dei nobili a Palermo, e di là passarono gli ordini crudeli. Centinaia furono i morti tra i lavoratori, migliaia i carcerati ed i confinati nelle isole del bell’italo regno.
Così i fasci furono sciolti, tra il lutto di migliaia di famiglie ed i lavoratori furono costretti con la forza bruta a subire di nuovo lo sfruttamento dei feudatari.

La preoccupazione dei latifondisti
Ma ogni volta che in Italia le classi lavoratrici erano prossime a realizzare una vita migliore ed i nostri proprietari sentivano avvicinarsi il tuono di collera del popolo stanco di oppressioni quei mezzi, che avrebbero potuto migliorare la vita dei lavoratori, furono impiegati dai padroni per creare movimenti tendenti a separare la Sicilia dal resto d’Italia nella speranza di perpetuare il loro dominio di classe.
La controprova di questa affermazione l’abbiamo nell’indifferenza assoluta dei latifondisti siciliani nei confronti dell’avvocato Canepa di Palermo e di un gruppo di giovani arrestati nel 1930, sotto il fascismo, perché reclamavano l’autonomia. Allora non c’era pericolo dalla parte del popolo lavoratore, Mussolini faceva buona guardia ai privilegiati che gli avevano dato il potere. Dopo la liberazione dal fascismo il movimento separatista è stato la prima barricata della reazione in Italia. Il ragioniere Emanuele Campisi, già militante nel MIS, rivelò prima del 2 Giugno che la cassa del movimento separatista era tenuta dal feudatario don Lucio Tasca e che la massa degli aderenti non pagava quota alcuna all’organizzazione. Ciò prova, anche a chi non vuol vedere, la natura reazionaria e feudale del movimento separatista, nei suoi dirigenti.
Con questo non intendiamo affermare che tutti i separatisti siano animati da spirito reazionario. Coloro che presero le armi furono in gran parte degli amanti sinceri della libertà come Turri (Canepa) antifascista di vecchia data e tanti altri giovani.
Essi non combattevano certamente per rafforzare i privilegi dei nobili anzi venuti a contatto con i dirigenti del movimento separatista e conosciuti i loro scopi effettivi molti tra loro passarono dalla parte del popolo. Nei gruppi anarchici delle varie località di Sicilia contiamo parecchi valorosi ex militanti e combattenti del MIS. Costoro si sono convinti che l’autonomia del popolo siciliano è in contrasto stridente con quella reclamata dai vari principi, marchesi, conti, baroni e borghesi latifondisti, nostalgici di quei tempi in cui assoggettavano ed angariavano senza limitazione il popolo lavoratore delle nostre campagne e delle nostre città. Sanno che lo Stato unitario (come tutti gli Stati) per i suoi scopi imperialistici, ha favorito la grande industria del Nord a detrimento delle regioni agricole del Sud ma sono pure convinti che il popolo siciliano soffre ancorpiù perché la terra che è la fonte principale di vita in Sicilia, è in grandissima parte nelle mani di poche centinaia di famiglie che sperperano nei ritrovi mondani di lusso, fuori dalla Sicilia, il frutto del lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori siciliani dannati a vivere ammucchiati in catapecchie, spesso in compagnia di animali; che vedrebbero migliorato il loro livello di vita se i ricchi rinunciassero al superfluo soltanto.

Come estirpare il male
Ma i privilegiati, l’esperienza è lì ad insegnarcelo, non hanno mai rinunciato pacificamente ai loro privilegi. Il popolo siciliano ha già capito chiaramente che uno Stato a Palermo ribadirebbe le sue catene già strette abbastanza dallo Stato di Roma. I recenti entusiasmi per la sconfitta elettorale dei monarchici petulanti che avevano minacciato il ritorno dell’ultimo rampollo di Savoia al trono d’Italia passando per quello di Sicilia, non devono creare nuove illusioni.
Il parlamento che siederà nel salone di Ercole a Palermo non potrà fare nulla per liberare i lavoratori dallo sfruttamento e dalla miseria, come tutti i parlamenti. Non è di là che potrà venire l’espropriazione del latifondo che è il primo rimedio ai mali che affliggono il popolo lavoratore di Sicilia. Quando i contadini siciliani non porteranno più i frutti del loro sudore ai feudatari allora, ed allora soltanto, liberati da quelle mignatte, cominceranno a prendere respiro.
Il lavoro collettivo della terra (attenzione, non limitandola di canne od altro in tanti pezzetti!) metterà i suoi frutti a disposizione della società. Alla coltura estensiva del latifondo sarà sostituita la coltivazione intensiva e varia della terra che porterà verso l’interno dell’isola, oggi uniforme e squallido, la bellezza e la maggiore utilità della coltura granaria accompagnata con quella viticola, agrumaria e frutticola come si pratica nelle zone che guardano a mare. I prodotti della terra non più commerciati a vantaggio dei ricchi raggiungeranno copiosamente la mensa dell’operaio manuale e di quello intellettuale della città. I muratori costruiranno allora case arieggiate e comode per tutti degne di uomini, in sostituzione delle stamberghe in cui vegeta il popolo lavoratore in tutte le città della Sicilia. I lavoratori del legno lavoreranno ad arredarle con la stessa abilità che impiegano attualmente per abbellire le case dei ricchi insieme ad imbianchini e decoratori. Sarti e calzolai copriranno degnamente i corpi dei lavoratori oggi deturpati dai cenci. La vita ora soffocata nei limiti della proprietà privata, si svilupperà liberamente in tutte le direzioni. La figlia dell’operaio, del contadino non si sentirà più minacciata sotto lo sguardo del nobilastro, del borghese, che irridono sprezzanti le naturali aspirazioni all’eleganza ed al buon gusto delle nostre donne.
I figli dei nostri lavoratori che hanno in media più intelligenza dei rampolli degenerati di classi rammollite dall’opulenza, potranno ascendere liberamente le vette […] sapere e diventare buoni insegnanti, medici, ingegneri, agronomi, architetti etc; perché non saranno più soffocati dalla miseria che li danna all’ignoranza.
La Sicilia, allora, non subirà più la vergogna dei zolfatari dannati a vivere come bruti e le nostre miniere di asfalto non serviranno soltanto per gli scambi con le altre regioni del mondo ma ci permetteranno di pavimentare le strade, nelle città e nelle campagne che saranno allora percorse da moderni autobus a disposizione di tutti. Ed i nostri pescatori ed i nostri portuali lavoreranno con gioia ed i nostri marinai non saranno più costretti a rischiare la vita per vedersi defraudare dalla rapacità dei doganieri dello Stato.
I nostri vecchi lavoratori passeranno lietamente gli anni della loro vecchiaia, circondati da cure amorose e cesserà lo spettacolo indegno di ospizi come quelli attuali dove i vecchi ricoverati sono dannati a morte lenta per insufficiente alimentazione. Allora la Sicilia sarà veramente la terra decantata da poeti, non per una minoranza di privilegiati ma per tutto il suo popolo e per i lavoratori degli altri paesi che verranno tra noi a riposarsi.
I canti tristi, che tramando tradizioni di miserie e di oppressioni che gravano su tutta la nostra vita sociale fissando, con la suggestione dell’Arte, i sentimenti al passatismo, cederanno il posto a canti liberi e giocondi che glorificheranno una vita di benessere e di pace, di fratellanza e libertà. Avremo raggiunto allora l’autonomia, tutte le autonomie. Solo il libero comune, sulle rovine della proprietà privata dando a tutti il godimento egualitario delle ricchezze sociali effettuerà l’autonomia del popolo siciliano nella grande federazione universale. Per la realizzazione di questo grande ideale chiamiamo a raccolta i giovani siciliani assetati di libertà e di giustizia.
Ad essi, a tutti i lavoratori del braccio e della mente, diciamo che è vano sperare l’attuazione delle comuni aspirazioni dell’opera dello Stato e dei padroni. I deputati ed i governati non potranno mai costruire la società di benessere e di libertà che avrà vita soltanto grazie all’azione diretta, di noi tutti uomini e donne, se “vorremo” veramente seppellire per sempre il sistema economico-sociale attuale, basato sulla proprietà privata e sullo Stato, che per dare privilegi ai pochi condanna i più alla miseria, all’ignoranza ed al massacro periodico delle guerre.

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Il problema dell’autonomia siciliana

Per spezzare bellicismo ed ipocrisia: solidarietà rivoluzionaria!

In una conferenza stampa tenuta da Nello Musumeci e Leoluca Orlando, l’attuale presidente della regione Sicilia si preoccupa delle attuali sorti dell’ #Ucraina e di come egli auspichi che la guerra si tenga lontano dal Mediterraneo.
Fanno quanto meno specie dichiarazioni del genere se consideriamo che questo personaggio, insieme ai suoi alleati, è tra quelli che avvallano l’attuale presenza militare sul territorio.

Non ci siamo dimenticat* come egli, a Dicembre, lodava le attività umanitarie dei Marines di stanza alla Stazione Aeronavale di Sigonella e di come tale struttura fosse una fonte di ricchezza pari a 250 milioni di dollari annui (circa 220 milioni di euro) perchè, citiamo, i lavori sono affidati “ad aziende italiane e siciliane e l’impiego di lavoratori locali nei cantieri di lavoro aperti nella base militare, al cui interno sono direttamente occupati circa mille siciliani.”

Il militarismo, così come il capitalismo e tutte le forme di esclusivismo derivanti da un corollario di poteri, passa come rassicurazione sociale ed economica all’interno di un territorio impoverito e controllato da modalità clientelari politiche e mafiose.
I governanti regionali e locali siciliani ci costruiscono programmi politici e accordi economici sia con gli apparati militari che con le borghesie locali ed internazionali (dai cinesi ai maltesi, passando per quelli arabi) per avere una fetta della torta o, per dirla ancora più bassa, una rendita, cioè una sorta di pensione assicurata.

È ora di ribaltare modalità dialettiche tossiche del genere. E per poterlo fare è necessario sia supportare le popolazioni che si trovano sotto il fuoco di questi biechi giochi di potere che riportare notizie corrette e prive di retorica falsamente umanitaria.

Attualmente questi sono i gruppi che hanno chiamato una raccolta fondi per chi si oppone alla guerra in Russia e chi sta vivendo sulla propria pelle i bombardamenti russi sul territorio ucraino:
-ABC (Anarchist Black Cross) di Mosca:
Raccolta fondi per il sostegno legale alle persone arrestate durante le proteste contro la guerra in Russia. Link: https://wiki.avtonom.org/en/index.php/Donate
-ABC di Dresda:
Raccolta di fondi per sostenere i/le compagn* in Ucraina
Link: www.abcdd.org/en/2022/02/24/support-anarchist-community-in-ukrain-during-war

Pubblicato in Comunicati | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Per spezzare bellicismo ed ipocrisia: solidarietà rivoluzionaria!

Contro la guerra. Guerra alla guerra!

Alle ore 4 di stamattina in Italia, la Russia inizia l’operazione militare che dovrebbe, secondo le dichiarazioni di Putin, denazificare e demilitarizzare l’Ucraina e proteggere l’indipendenza delle repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk.
La guerra vera e propria diventa inevitabile tra i due paesi del fu blocco sovietico.
Zelensky, attuale presidente dell’Ucraina, cerca di mantenere la calma nel paese tramite legge marziale e messaggi televisivi dove dichiara come “l’intero settore della sicurezza e della difesa dell’Ucraina sta lavorando. Io, il Consiglio nazionale di sicurezza e difesa, il Il Gabinetto dei Ministri dell’Ucraina sarà in costante contatto con voi. Presto mi metterò in contatto di nuovo. Niente panico.”
L’Unione Europea e la NATO non si sono fatte trovare impreparate: dal sorrisetto di Biden in diretta televisiva che preannunciava le durissime sanzioni economiche all’entourage borghese ed istituzionale russo, passando alla condanna dell’aggressione russa da parte del segretario generale della NATO Stoltenberg, fino alle dichiarazioni dei vari leader europei contro questa violazione russa nei confronti dell’Ucraina.
Le rassicurazioni di Putin sui bombardamenti chirurgici in territorio ucraino ci rimanda agli scopi teorizzati dai Douhet, Fuller e Mitchell: demoralizzare e distruggere psicologicamente la popolazione colpita.
Gli intenti europei e statunitensi, così come quelli russi, sono quelli di mantenere il ruolo strategico economico-militare dell’Ucraina; non a caso, fin dai tempi dell’EuroMaiden nel 2013 e 2014, si sono creati e mantenuti due schieramenti fortemente polarizzati. La NATO ha, al momento, paventato una protezione e difesa dei suoi alleati (nonostante l’Ucraina non faccia parte dell’organizzazione atlantica).
L’ “Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva” (OTSC), un’alleanza militare al cui interno vi sono Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, al momento non è intervenuta in quanto l’Ucraina non fa parte di tale struttura.
L’OTSC, come la NATO, ha una forte influenza politica e di controllo militare nei territori in cui è presente. La funzione di questa organizzazione è quella di mantenere il ruolo dominante della Russia in tali zone (Caucaso e Asia Centrale soprattutto), in modo da poter egemonizzare e contrastare possibili influenze americane ed europee.
La Cina, invece, sta a guardare facendo dichiarazioni pubbliche tiepide sulla fine del conflitto e di richiesta di interventi diplomatici. L’intento cinese è abbastanza chiaro: l’Ucraina è un hub importante e fondamentale per l’ambizioso progetto noto come “Belt and Road Initiative”. Quindi per la borghesia cinese non importa se vi è un europeista o un pro-russo come presidente del paese ucraino: l’importante è mantenere in vita tale progetto.
Di fronte a tutta questa serie di cose, l’Italia all’interno dello spazio geo-strategico mediterraneo è vitale per la movenza di truppe e mezzi militari della NATO. La regione italiana che gioca un ruolo fondamentale in tutto questo è la Sicilia con la base Aereo-Navale di Sigonella, il MUOS di Niscemi e i radar e poligoni di tiro sparsi per tutto il suo territorio.
Le strette collaborazioni tra le varie amministrazioni regionali siciliane, le aziende (per esempio SIRTI e Selex Es) e l’entourage militare americano, dimostrano che la pace per questi signori passa dalla canna di un fucile e sopra migliaia di morti e distruzioni di edifici.
Contro tali visioni di morte e giochi speculativi borghesi, noi ci opponiamo.
Chiamiamo ad una solidarietà tra le persone sfruttate per poter uscire fuori da logiche guerresche e tossiche.
Contro la guerra, contro il tanfo di morte che ci opprime, per la vita!

Gruppo Anarchico Galatea-FAI Catania

Pubblicato in Comunicati | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Contro la guerra. Guerra alla guerra!

Presentazione

Galatea: sovvertire il mito
Nella mitologia greca, Galatea era una ninfa marina figlia di Nereo e dell’oceanina Doride. Come le sue sorelle, ella proteggeva i marinai dal pericolo delle acque marine. Le fonti su questo personaggio mitologico ci arrivano dai poeti bucolici (come Teocrito) e, soprattutto, da Ovidio ne “Le metamorfosi”.
In queste versioni, Galatea è vista come la candida fanciulla (o divinità) innamorata del pastorello Aci. Polifemo, ciclope figlio di Nettuno e futura vittima di Ulisse e dei suoi compagni nell’opera di Omero, innamorato della ninfa e geloso di Aci, scagliò contro quest’ultimo un macigno uccidendolo sul colpo; dal sangue del giovane, per volere della ninfa, si creò il fiume omonimo dal caratteristico colore rosso.
L’arte figurativa di vario tipo ci ha restituito molteplici rappresentazioni del mito appena esposto: quadri, statue, affreschi hanno ritratto la ninfa come una donna devota e sofferente a causa delle pene amorose.
Queste immagini romantiche e stucchevoli non sono altro che volgari stereotipi volti a rappresentare il femminile come sottomesso e sommesso a logiche puramente emozionali e relazionali di stampo patriarcale.
Per questo motivo vogliamo sovvertire queste visioni su Galatea, presentandola come simbolo attivo e resistente alla violenza maschilista di Polifemo e solidale verso le persone in difficoltà.

Il territorio
I luoghi dove ella visse sono, al giorno d’oggi, oggetto di inquinamento e speculazione a tutti i livelli (sociali, culturali ed economici).
La società locale è pesantemente avvelenata da una cappa patriarcale che nulla ha da invidiare alla violenza mitologica e maschilista di Polifemo, che tende all’annientamento di tutto ciò che gli è alieno.
Una violenza che risponde, oggi come allora, ad una serie di logiche per cui le relazioni sono gestite come proprietà e possessi e non come liberi rapporti tra esseri umani.
Il patriarcato non è l’unico problema del territorio in cui viviamo. Esso, insieme al capitalismo, all’autoritarismo e al razzismo, è una delle radici da cui si sono originati altri problemi quali cementificazione, turistificazione ed industrializzazione. Tali fenomeni hanno violato (e continuano a farlo) questa parte dell’isola, trasformandola in uno scenario che sta a metà tra landa inquinata e Luna Park per i turisti di tutto il mondo.
Questi problemi, nel loro complesso, costituiscono i fattori imperanti nel creare e supportare il divario socio-economico e di divisione e lotta interna tra le categorie sfruttate e marginalizzate.

Che cosa vogliamo
Per come è impostata la società odierna, crediamo e vogliamo cambiare lo stato di cose presenti.
Siamo solidali con tutt* coloro che, quotidianamente, vivono sulla propria pelle le violenze normalizzate di una società capitalistica ed etero-patriarcale, fondata sulla privazione economica (a cui fa da contraltare la sacca ristretta dei privilegiati) e sulla mercificazione totalitaria degli esseri viventi.
Tramite l’aiuto reciproco vogliamo intraprendere insieme la via verso un mondo di individui e comunità che vivono tra loro in armonia e libertà.
Sappiamo che nulla ci verrà regalato dai tanti grandi e piccoli padroni che affollano questo mondo; quello che ci prenderemo sarà solamente frutto dei nostri sforzi e delle azioni portate a termine, senza delegare a terzi la nostra volontà.
Vogliamo costruire dei percorsi di autodifesa contro le violenze multiforme (sociali, culturali, economiche etc) e di responsabilizzazione individuali e comunitari.

Pubblicato in General | Contrassegnato | Commenti disabilitati su Presentazione