Fin dalla sua comparsa, il nazionalismo non è stato altro che un mezzo utilizzato dalle classi dominanti del passato per poter omogeneizzare e conformare territori in cui coesistevano ed interagivano diverse comunità, ognuna con la propria lingua, la propria religione, i propri rituali.
Questo processo si accompagnava spesso alla distruzione delle cosiddette “frontiere interne” doganali tra le varie regioni, al fine di poter creare un mercato interno comune e centralizzato ed in buona parte sottoposto alle medesime regole.
Il gioco del nazionalismo è tutto qui: uniformare a livello culturale i territori per poter imporre il proprio dominio economico.
Una volta completato il processo di costruzione interna, il nazionalismo non è certamente stato riposto tra i ferri vecchi. Oggigiorno esso è ampliamente utilizzato per dividere l’umanità in compartimenti stagni in competizione astiosa tra di loro.
Come è stato visto con la Serbia negli anni ’80 del ventesimo secolo – e successivamente con i paesi dell’ex blocco iugoslavo-, il nazionalismo è uno dei cosiddetti “carburanti” principali dei rapporti di potere all’interno delle società odierne.
Oggi giorno questa menata del nazionalismo viene intesa o come sovranismo (tipo dai fascisti e dalla Lega in Italia o dai cosiddetti “Paesi di Visegrad”) o come innalzamento ad eroi della patria di determinati personaggi che tutto erano fuorché nazionalisti.
In quest’ultimo caso abbiamo il caso ucraino e Machno.
La dissoluzione dell’URSS e l’indipendenza dell’Ucraina nel Luglio del 1990 hanno coinciso con una rinascita dell’orgoglio nazionale locale.
Tutta una serie di personaggi bollati come traditori e infami dal regime sovietico, vennero rivalutati, come detto prima, e assunsero il ruolo di eroi della patria.
Machno, militante anarchico ucraino, fu quello che, insieme ad altri/e compagni/e e contadini, organizzò un’accanita resistenza armata contro l’esercito bianco e i nazionalisti ucraini e, successivamente, contro l’Armata rossa.
Il rifiuto di ogni nazionalismo da parte di Machno e dei/delle compagni/e che combatterono insieme a lui, si può trovare nella “Dichiarazione” del consiglio militare rivoluzionario dell’esercito: “Per quanto riguarda la indipendenza dell’Ucraina, noi la concepiamo non come autonomia nazionale, secondo le intenzioni dei petliuristi [sostenitori di Symon Petljura, capo dei nazionalisti ucraini, mia aggiunta], ma come indipendenza sociale del lavoro degli operai e contadini. Noi riconosciamo e difendiamo il diritto del popolo lavoratore ucraino (come di qualsiasi altro) a disporre di se stesso, non come nazione, ma come unione di lavoratori.” (citato anche all’interno del testo di Petr Arshinov, “Storia del movimento machnovista”).
Il presunto riconoscimento nazionalistico ucraino di un Petljura dell’epoca o di tutti i burocrati e alleati nazionalisti e/o fascisti odierni (in primis il famigerato Battaglione Azov) malcoincide con quello che Machno e compagni/e erano e, soprattutto, volevano attraverso le loro azioni e teorizzazioni esplicate all’interno della “Piattaforma dei Comunisti Anarchici”.
Far vedere una cosa nera per bianca (e viceversa) è un gioco culturale-comunicativo che va avanti da secoli. Il ragionamento scientifico che bisogna fare di fronte a simili frodi è quello di operare ricorrendo alle fonti (specie se si tratta di eventi storici) per poter disinnescare qualsiasi tentativo giustificatorio di uno o più poteri esistenti.
Per maggiori informazioni su Machno e il movimento anarchico ucraino, vedere i seguenti titoli:
–Volin, “La rivoluzione sconosciuta”
–Aršinov Pëtr Andreevič, “Storia del movimento machnovista”
–Shubin Alexander V., “Nestor Machno. Bandiera nera sull’Ucraina guerriglia libertaria e rivoluzione contadina (1917-1921)”
–Fedeli Ugo, “Dalla insurrezione dei contadini in Ucraina alla rivolta di Cronstadt”
–Makhno Nestor, “La rivoluzione russa in Ucraina. Marzo 1917-Aprile 1918”
–Cotlenko Mila, “Maria Nikiforova. La rivoluzione senza attesa. L’epopea di un’anarchica attraverso l’Ucraina 1902-1919”