Guerra in Ucraina… dove sono i fascisti?

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Abbiamo deciso di tradurre questa presentazione redatta dal gruppo Atlanta Antifascists, che riporta una spiegazione della situazione in corso dal punto di vista de* compagn* statunitensi.
Riteniamo importante presentare questa traduzione per due motivi.
In primis, questo documento permette di capire quale sia il punto di vista radicale sulla situazione in corso all’interno degli Stati Uniti. In tal senso, a nostro avviso si ha un quadro più completo della situazione in corso.
In secundis, la presentazione contiene una serie di informazioni utili su gruppi e personalità legate al mondo del neonazismo e neofascismo internazionale che si trovano in questo momento da una parte o dall’altra della barricata.
Le informazioni utili di questo documento, quindi, sono un smascheramento della sofisticata opera di brainwashing architettata da media ed apparati statali russi, svelando come il termine “denazificazione” usato dal presidente russo non sia altro che una menzogna.
La presenza di milizie neofasciste e neonaziste è trasversale agli schieramenti. Come l’esperienza storica in Italia ci insegna, i fascisti sono strumenti nelle mani dello Stato e del Capitale, ed anche in questo caso non fanno eccezione. Essi vengono tollerati e nutriti all’ombra delle istituzioni, per poi essere utilizzati quando la situazione lo permette.

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“Gli eroi guerreschi come grandi criminali”. Due estratti da Camillo Berneri. Contro la retorica bellicista odierna

Tra ruberie, distruzioni e stupri, il soldato o il militare che agisce in guerra diventa il salvatore, il santo protettore delle popolazioni.
La creazione di questo eroe indefesso non è che una prassi atta a far accettare le azioni guerreggiate; una giustificazione, oseremmo dire, per qualsiasi nefandezza che in cosiddetti tempi di pace sarebbe stata etichettata come un vero e proprio crimine.
La classe dominante, costruito questo personaggio eroico, non fa altro che rinfocolare uno strumento come il militarismo che domina “i popoli ed affoga nel sangue gli aneliti d’indipendenza, libertà ed emancipazione” (cit. Comitato contro la guerra, “Disonoriamo la guerra”, 25 Ottobre 1914)
In tal senso, il giornalismo, insieme ai governi internazionali, ci regala esempi attuali di questi eroi che si battono o contro gli invasori o per liberare un territorio, lodando qualsiasi azione che, in tempi di pace, non si esiterebbe ad additare come omicidio di massa.
Allo stesso tempo, tutti questi soggetti governativi e massmediatici vomitano parole di odio verso chi si schiera dalla parte sbagliata della barricata o verso chi ha capito il gioco e denuncia a chiare lettere come due Stati e altrettante borghesie siano pronte a sacrificare migliaia di individui per salvare un’economia iniqua come quella capitalista.
Vogliamo allora presentare due scritti di Camillo Berneri, un compagno anarchico vissuto nel secolo scorso. Berneri fu attivo dapprima come militante del socialismo italiano, per poi rompere con i suoi ex compagni e passare alle fila dell’anarchismo. Partecipò alla costituzione dell’Unione Anarchica Italiana e fu un personaggio di spicco della lotta politica italiana. Con l’avvento del fascismo, andò in esilio in Francia, raggiunto poco dopo dalla moglie e dalle due figlie. La moglie, Giovanna Caleffi, sarà un’importante figura anarchica e femminista nel dopoguerra, fondando il periodico anarchico Volontà ed introducendo per la prima volta nel dibattito pubblico il tema dell’autodeterminazione facendo ricorso agli anticoncezionali con l’opuscolo Il controllo delle nascite del 1948(cosa che le costerà un processo per “propaganda contro la procreazione”).
Tornando a Berneri, questi in Francia continuò ad intessere rapporti con una serie di personaggi politici, anarchici e non, e lavorò politicamente in senso antifascista all’interno della comunità del fuoriuscitismo italiano in Francia.
Con lo scoppio della guerra civile spagnola nel ’36, Berneri si recò nel paese iberico e fondò il giornale Guerra di classe, in cui propose un’analisi del conflitto in corso in senso anarchico ed internazionalista. Il suo impegno in tal senso gli costerà caro.
Durante la resa dei conti passata alla storia come “Giornate di Maggio”, il 5 maggio 1937 verrà trovato morto a Barcellona, per mano di sicari stalinisti, insieme all’amico e compagno Francesco Barbieri.
I due articoli in questione sono “L’eroismo degli eserciti odierni” e “La delinquenza collettiva della guerra”, contenuti all’interno della pubblicazione “Gli eroi guerreschi come grandi criminali”, edita dal compagno Aurelio Chessa assemblando vari articoli che Berneri scrisse nel corso degli anni.
In tempi come quelli che stiamo vivendo, dove determinate figure (Zelensky, il battaglione Azov, Putin e gli eserciti cosiddetti popolari del Donbass, il gruppo di contractors Wagner), vengono considerate, a seconda della propaganda che le pompa, come figure sante o criminali, gli scritti di Berneri tracciano un quadro ancor oggi valido che smonta la finzione dell’eroismo militare, arma discorsiva fondamentale per tenere in vita lo sfruttamento di Stato e Capitale.
Una finzione che serve a nascondere quello che la guerra realmente è: massacri, distruzioni e stupri.

 

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“L’eroismo degli eserciti odierni”
da « Germinal », Chicago, a. III, n. 13, 1-7-1928

Nella guerra europea i decorati per meriti di guerra sono stati moltissimi. Quale miglior segno che l’eroismo guerresco è in decadenza? Nelle guerre odierne, eroi non mancano, ma il concetto dell’eroismo bellico è diventato elastico fino a comprendere colui che non scappa.
La guerra odierna, nel complesso, non è eroica. Perché è subita. Perché il soldato non si sente patriota al confine o in territorio nemico, quanto si sentiva cittadino il milite comunale sulle mura della città assediata.
Il patriottismo ardente fu possibile nei piccoli stati della Grecia, nelle repubbliche italiane del Medio Evo. Non nell’impero Romano del V Secolo.
Gli episodi di eroismo collettivo risalgono ai periodi repubblicani, non a quelli imperiali. La battaglia navale della Meloria (1284) fu disastrosa per la repubblica di Pisa. I Genovesi fecero prigionieri molti pisani. L’ambasciatore pisano offrì ai Genovesi il castello di Castro in Sardegna per il riscatto dei prigionieri. Narra il Sismondi, nella sua Histoire des rèpubliques italiennes che quando questi seppero della cosa, ottenuta l’autorizzazione di mandare a Pisa un legato, fecero sapere al Comune loro che piuttosto che consentire ad una capitolazione tanto vergognosa preferivano morire in prigione. Episodi di questo genere se ne potrebbero citare parecchi. Ma nelle guerre odierne quanti se ne troverebbero?
L’eroismo guerresco differisce dall’eroismo civile in quanto il primo è frutto di esaltazione, è facilmente soggetto ad oscillazioni; è in gran parte incosciente; è, in molti casi, totalmente inconscio. Nei casi singoli di vero eroismo bellico la differenza non c’è od è minima. Tra chi ponderatamente si dispone al sacrificio per affondare una nave, per far scoppiare un deposito di munizioni, ecc. e chi si dispone al sacrificio per esperimentare un ritrovato medico non c è alcuna differenza, rispetto al processo sentimentale e volitivo. Ma, nel loro complesso, l’eroismo bellico e l’eroismo civile hanno caratteri tipici che chiaramente li contraddistinguono e li differenziano nettamente.
Durante la guerra il frate Agostino Gemelli, psicologo e fisiologo, che fu capitano medico al fronte, pubblicò nella rivista « Vita e Pensiero » uno studio psicologico sull’eroismo guerresco, che credo utile riassumere e citare, sia perché acuto e coraggioso, sia perché autorevole, per la personalità scientifica e la posizione sociale dell’autore.
Le signorine sentimentali sono servite!
Lo psicologo osserva che lo stato d’animo eroico del combattente non è definitivo. Non sono rari i casi di decorati per atti di valore che, giorni dopo, si sono dati alla fuga. In molti casi, poi, quello che pare eroismo non è che fatalismo. Scrive il Gemelli: « In molti casi l’eroismo è figlio della superstizione: di una specie di convinzione fatalistica che si forma dopo aver corso parecchi pericoli: « Per me la palla non è ancor fusa » — dicono. « Se io debbo morire, la palla mi colpirà ugualmente; è inutile che mi ponga ad un riparo », « è vano che cerchi di sottrarmi al pericolo fuggendo: tanto la palla mi raggiungerebbe » (1).
I deboli, gli isterici, i nevrastenici subiscono una grave depressione morale, congiunta con la confusione mentale, come mostrano il loro mutismo, l’espressione atona del viso e i movimenti da automi (2). Nell’uomo normale, fisicamente, e medio, intellettualmente e moralmente, la guerra produce un’eccitazione incosciente. « Se parlate ad un soldato nella trincea – prosegue il Gemelli — sentite tosto che egli trovasi come in uno stato di difesa psichica: lo vedete tutt’occhi, tutt’orecchi; i muscoli sono tesi; ogni minimo rumore determina una reazione vivace; la mimica del volto, della mano è colorita; la parola concitata. A lungo andare, la vita della trincea rende stabile questa eccitazione nervosa… Non è da meravigliarsi se, quando un allarme si propaga in trincea… trova gli uomini singolarmente preparati a compiere le azioni più ardimentose ». E queste azioni sono compiute, il più delle volte in uno stato di esaltata incoscienza. A questo proposito, ecco come un ufficiale della « Brigata Sassari » descrive l’occupazione di una trincea austriaca da parte di trenta volontari:
« Ad una dato momento gridai loro che l’ora era giunta, bisognava sfidare la mitraglia nemica e il fuoco, senza sparare scagliarci all’assalto del trincerone. — Ragazzi, forza, all’assalto, in nome di Dio non abbiate paura, via… « Savoia! » —
Eruppe il grido come un boato, e con la baionetta fummo sulla trincea. Il nemico parte fuggì, parte rimase a terra attorno ad una mitragliatrice che avemmo in nostre mani. Non si può descrivere l’assalto, è impossibile. Il nemico vomitò fuoco e fiamme sul trinceramento da noi mirabilmente occupato e i miei uomini rimasti, sorridevano, l’occhio rosso, le baionette intrise di sangue, non domi ancora, non sazi.. Fu così che arrivammo sopra un altro trinceramento; l’occupammo e facemmo un centinaio di prigionieri. Vorrei si chiedesse a questi prigionieri cosa è stato l’assalto. Con l’occhio vitreo, con la bocca aperta, essi ci hanno guardati senza proferir parola, spaventati, meravigliati. Uno di loro ha esclamato « belve », ed era la vera parola ».
Automa e belva; è proprio così il soldato all’attacco.
Osserva il Gemelli: « Ho più volte assistito alle congratulazioni che ufficiali e soldati presentavano a qualche loro collega dopo un’ardita impresa, ed ho trovato che il primo ad essere sorpreso da quelle lodi era colui al quale venivano rivolte. Chi pensa teoricamente ad un atto di valore, immagina colui che lo compie nell’atto di valutare serenamente: di qui la morte probabile, di là l’azione generosa di qui il sacrifìcio, di là il servigio reso alla patria.
Niente di ciò. Il cosiddetto eroismo è dovuto a ben altri fattori, i quali non sono per nulla sentimenti elevati, altruistici, generosi, ma piuttosto personali, umani, capaci quindi di lottare efficacemente contro l’istinto di conservazione ».
Nell’atto eroico — seguita il Gemelli — l’amore alla patria interviene solo in assai piccola misura, ed ha scarsa influenza. Lo stesso sentimento religioso non vi interviene come sentimento elevato. Alcune volte è il desiderio di pace, della pace del Paradiso che sottragga alle pene, alle torture del cannone rombante con insistenza, alla vista dei feriti, alla visione tragica della guerra; e il contrasto della pace del Paradiso colle tristezze attuali fa desiderare la morte. Altre volte è il pensiero che la morte dev’essere incontrata presto, e che vai meglio incontrarla in battaglia, ove la preparazione spirituale garantisce meglio della vita dell’al di là. Altre volte invece è una specie di orgoglio: « Tutti sanno che io sono cristiano praticante; debbo quindi mostrare di saper morire ». Altre volte è la certezza che la preghiera d’una persona cara od una speciale pratica religiosa conferisce una certa immunità ».
Queste osservazioni coincidono con quelle che S. M. Levy, fece sui combattimenti dell’esercito interalleato dopo i combattimenti nel Belgio, durante la ritirata della Mosa e durante la battaglia della Marna.
In quella relazione, pubblicata nella Grande Revue si afferma che il soldato non pensa alla patria, al dovere, ecc. tanto se la paura lo domina quanto se riesce a battersi vigorosamente. Riassumo.
Un giovane sergente fu mandato in ricognizione verso una trincea tedesca che sembrava abbandonata. Credendo agevole l’incarico, vi si diresse senza paura. A dieci metri dalla trincea si sentì intorno una gragnuola di proiettili. Preso da terrore, strisciando sul suolo, giunse sotto il parapetto della trincea francese; ma il nemico colpiva quel parapetto con tanta precisione che al sergente era impossibile scavalcarlo. Per tre ore rimase là sotto, esposto alla morte: non pensò mai « nè alla sua famiglia, nè ai suoi amici, nè a Dio, nè al suo dovere di soldato ». Un solo pensiero lo teneva: raggiungere il ricovero protettore.
Sopra ogni altra ragione, vale, a tenere il soldato al suo posto, l’istinto della personale conservazione. Il principale ragionamento di chi si trova impegnato in un combattimento è, press’a poco, questo: « Le palle cadono a caso sul terreno che io debbo percorrere. Ne cadono da una parte e dall’altra nella schiena, così come, se resisto, posso essere ucciso da una palla nel petto. Combattendo, posso contribuire a domare lo sforzo degli assalitori. Ho quindi interesse a lasciarmi guidare dal mio dovere ». Perciò il soldato vuole ammazzare nemici quanti più gli è possibile. Ogni nemico ucciso diminuisce la probabilità di morte per il combattente. Della natura del… coraggio guerresco si sono resi conto gli ufficiali, con il metodo: porre il soldato fra due fuochi.
Il generale francese Maistre, presiedendo un Consiglio di Guerra, il 20 aprile 1920, diceva: « La polizia del campo di battaglia deve essere assicurata energicamente impiegando tutti i mezzi; occorrendo, anche le mitragliatrici. E’, infatti, indispensabile di provare a coloro che sarebbero tentati di fuggire che il pericolo loro è più grande dietro che davanti » (3).
L’ufficiale tedesco Albert Klein, professore dell’Oberrealschule di Giesen e luogotenente della Landwehr, pubblicò dei Feldpostbriefe (Lettere dal campo) in cui scriveva: « Siccome nessuno muore volentieri nessuno è veramente coraggioso, nel senso abituale della parola; se il coraggio non fosse così rado, non ci sarebbe bisogno di tanto sfoggio di religione, di poesia, di pensiero fino dai primi anni della vita nelle scuole per convincersi della bellezza della morte per la patria. Quando leggo nei giornali gli eroismi descritti da quelli che stanno tranquillamente al tavolo sento del disgusto. Ah ciarlatani, chi è nelle trincee non parla con tanta compiacenza di morire, di sacrificarsi, come lo fanno quelli che, al sicuro squillano le trombe marziali, declamano paroloni e fanno della retorica sui giornali. Chi è qui pensa e parla molto diversamente ».
I pretesi atteggiamenti eroici dei combattenti sono stati studiati da vari scienziati americani che hanno concluso, concordemente (4), che i soldati si battono per difendersi e muoiono con la paura di morire. Le memorie (5), del pittore Vereschagin, il grande pittore di battaglie, dimostrano che il coraggio militare è più immaginario che reale.
Anche nei romanzi contemporanei si va facendo strada la verità sull’eroismo guerresco. Pierre Mille, il Kipling francese, che fu al Madagascar, nel 1895, come giornalista, e fu presente a spedizioni militari, nel suo romanzo Barnavaux, pone in bocca al protagonista, volontario della Legione Straniera, queste definizioni ed osservazioni.
« Sì, io sono sicuro che, in fondo, ai primi colpi di fucile, il soldato in battaglia ha paura. Non è possibile impedirglielo. E allora egli… si mette a fuggire davanti a sè. Questo è ciò che si chiama il coraggio: una fuga davanti a sè: un istinto di conservazione ragionato. Vi è minor pericolo dinanzi a noi, che dietro di noi ».
Così, parlando d’un attacco proditorio degli indigeni ad Ain Souf, e del valore dimostratovi nella difesa dal sergente Chavarot, apache parigino divenuto legionario, si esprime senza peli sulla lingua:
« Non bisogna pensare la patrimonio di Chavarot, nè a quello de’ suoi camerati, i cinquantanove ladruncoli, barabba e souteneurs che l’accompagnavano; nè al loro spirito militare, nè a tutto ciò che di virtuoso si scrive poi, su tali fatti, nelle gazzette. Ma essi non perdettero un istante la testai non pensarono che ad uccidere coloro che stavano per ucciderli; e questa, infine, è la verità della guerra!…».
Gli scrittori che hanno scritto le pagine più vere sull’ultima guerra, come Barbusse e Latzko, la pensano come Pierre Mille. L’eroe guerresco è sempre più ridotto al tipo militare.
Il Gemelli afferma risultargli dalla sua inchiesta che i volontari sono quelli i quali danno il minimo numero di atti eroici. Questo perché, in generale, sono colti e se sanno maneggiare il fucile hanno una scarsa preparazione spirituale. La quale preparazione non è tale, poiché i soldati più ignoranti, più rozzi, meno coscienti, in una parola più primitivi, sono i più valorosi.
I meno affettivi sono più facilmente valorosi. Il Gemelli ci narra che « tutti i soldati » da lui interrogati, gli hanno detto: « lo ho bisogno di non pensare a casa mia »; “ Se leggo una ‘ettera di casa, mi tremano le gambe » e simili, e conclude: « La preparazione del soldato ad atti di valore consiste in un distacco completo dagli affetti famigliari, dai suoi interessi, da tutto ciò che lo tiene legato alla vita. Non già che tutto questo sia da lui dimenticato, ma giace tanto profondo nella coscienza, da non costituire una inibizione al sacrificio ».
Per essere eroi guerreschi bisogna svestirsi della propria personalità. E’ naturale, quindi, che riescano ad essere bravi combattenti coloro che hanno una personalità non formata. Il Gemelli conclude che « coloro che hanno compiuto atti eroici non sono per nulla tempre eccezionali »
Sono dei disciplinati.
« Il soldato eroico è il soldato molto disciplinato, al quale riesce indifferente compiere piuttosto questo che quell’altro atto. Tali atti lo interessano tutti al medesimo grado; li compie perché ordinati, in forza d’un medesimo principio: la disciplina militare. Il valore di questi atti non è un valore intrinseco: essi sono comandati. Il soldato cessa di essere lui; il suo io è un altro; la vita che conduce come soldato è una parentesi nella sua vita; essa non è la sua vita, ma un’altra vita alla quale annette scarsa importanza ».
Insomma, se il bravo soldato in caserma è un automa, il bravo soldato sul campo di battaglia è automa due volte.

Note
(1) Quest’osservazione del Gemelli ha particolare valore per gli Italiani del Sud, che somigliano agli Arabi, nella rassegnazione fatalista
(2) Lo psichiatra Leonardo Bianchi, dell’Università di Napoli, osserva« I cretinoidi generalmente appaiono coraggiosi; perché si rendono conto del pericolo quando esso è scomparso da un pezzo ».
(3) Le Journal – 21 Aprile – Le Temps 22 Aprile 1920.
(4) Revue des Revues, sett. 1893.
(5) Revue de Revues, ott. 1893.

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“La delinquenza collettiva della guerra”

da « Germinal », Chicago n. 16, del 1-9-1928 e da « L’Adunata dei Refrattari », New York, a. XVIII, n. 47, 9-12-1939

A. Hamon, nella sua “Psychologie du militaire professionel” dichiara: « lo non pretendo affatto che il militarismo non sia una scuola di coraggio, ma che il coraggio che egli sviluppa è contaminato dalla violenza, dalla brutalità ».
Quello che Hamon afferma è assiomatico.
Ne convengono anche i non pacifisti.
Il principe Giorgio di Sassonia ed il Kronprinz Federico-Carlo di Prussia, parlando con Vereschagin, gli dicevano che la morale guerresca predica: « Prendi, saccheggia tutto quel che puoi; inganna, prepara imboscate e più tu ucciderai, più grande sarà il tuo merito » (1).
Quel garzone di fattoria, francese, che, avendo ucciso per questioni di interesse, tre persone ed essendo stato condannato a morte, esclamava: « E’ curioso, al Tonkino ne ho ammazzati chissà quanti e mi si voleva decorare. Qui ne ho uccisi tre e mi si vuole raccorciare » (2).
Sintetizzava nella sua cinica boutade la… morale guerresca.
Quel criminale era un ottimo soldato.
Quasi sempre i criminali sono buoni soldati, in guerra.
C’è da scannare? Sono pronti.
Sono feriti? le loro ferite, anche gravi, si rimarginano rapidamente.
C’è da fare strapazzi enormi? Sono resistenti agli sforzi e alle privazioni.
La guerra si prolunga? Non hanno grandi nostalgie affettive
Ci sono gli amateurs della guerra, per ambizione, per bassi istinti, per gusti pervertiti.
Lo si vede specialmente nelle imprese coloniali.
Vehlan, il capo della spedizione di Bakoko, faceva incendiare i villaggi, battere e suppliziare i prigionieri, i vecchi, le donne, i bambini.
« I soldati — dice Vehlan a tavola — e sopratutto uno di essi hanno un modo meraviglioso di levare la pelle ai nemici; si fa un taglio con un coltello alla mandibola inferiore; segue un buon strappo coi denti ed ecco la pelle staccata dalla faccia… » (3).
Dopo la presa di Bossè, al ritorno Djenne, dei soldati francesi impiegarono come esca vivente per le belve, una bambina di dieci anni, e la legarono, per farla gridare, su un nido di formiche, sul quale morì, rosicchiata da quelle.
Dopo la presa di Bossè i soldati, tra l’altro, compravano e vendevano bambini, se li giuocavano a carte. Il senatore Gaudio de Villaire denunciava alla tribuna, il 18 febbraio 1909, il massacro di 2.500 indigeni senza difesa ordinato dal comandante Gerard ad Ambike, in condizioni così mostruose da sollevare vive esclamazioni di indignazione.
Nel 1860 per 5 soldati dell’armata anglo-francese uccisi a Pekino, Pekino fu in preda di uno dei saccheggi più vandalici che ricordi la storia, e 3.000 cinesi vennero uccisi. Nel 1901, a Blagonstchensk ben 5.000 Cinesi inermi furono spinti nel fiume Amour dalle truppe del generale Cribsky; a Tien-Tsin, i Russi si divertivano a lanciare in aria i lattanti e ad infilarli nelle baionette. Verso la fine del 1912 a Grimari (Cubagni-Chari) un capitano francese pagava ai tiratori senegalesi 1. fr. 50 per ogni paio di testicoli: prova dell’uccisione di un ribelle.
Le imprese coloniali italiane non sono meno barbare. L’impresa libica fu condotta nel modo più feroce. I corrispondenti esteri rimasero disgustati. Mac Cullagh, del New York World, rimandò la sua tessera di corrispondente al generale Caneva. Alle smentite di Giolitti, l’Agenzia Reuter rispose con le testimonianze di giornalisti inglesi, tedeschi ed americani. Il Grant, del Daily Miror rispose: « Per quattro giorni gruppi di soldati hanno epurata ogni parte dell’oasi uccidendo gli arabi senza distinzione. L’ordine del generale Caneva era di sterminare ».
Le pubblicazioni estere trovavano la più ampia conferma in quelle italiane. L’Eco di Bergamo (13-14 novembre 1911) pubblica, intitolandola: A caccia, la lettera di un soldato, inviata da Tripoli il 5 novembre in cui si leggeva. « Il vedere gli arabi-turchi saltare in aria, sotto i nostri colpi di cannone, ci si prova una vera soddisfazione qui ci PARE DI ESSERE A CÀCCIA E NON IN GUERRA ed uccidendo un nemico ci pare di schiacciare una mosca ».
Gli istinti bestiali degli autori di queste lettere trovavano il maggiore incitamento negli ordini che venivano dall’alto. Ecco infatti quanto narrava la lettera di un soldato pubblicata dal “Giornale”, (altro quotidiano di Bergamo), l’11 novembre 1911:
« Ieri è venuto L’ORDINE DEL GENERALE di far saltare per aria le case sospette, che si dubita abbiano sotterranei. E infatti abbiamo fatto saltare parecchie case e in una trovammo un sotterraneo vastoso, nel quale vi trovammo quindici ufficiali Turchi vestiti in borghese. Perlustrando le case, abbiamo trovato dei fucili, rivoltelle, cartucce e pugnali.
« Dal 23 al 30 abbiamo ammazzato 500 arabi e più CI LEGAMMO LE MANI E I PIEDI, TUTTI IN UN MUCCHIO E UNA COMPAGNIA A COLPI DI FUCILE LI AMMAZZAVA. Certi che non venivano fuori dalla casa, LI AMMAZZAVAMO SUL POSTO.
« lo ne ho ammazzato uno CHE STAVA A RACCOGLIERE I DATTERI SULLA PIANTA; ed io ci ho tirato un colpo,
I ho preso nello stomaco. E’ CASCATO GIU’ COME UN UCCELLO ».
Altre lettere parlavano dì fucilazioni di feriti compiute sotto gli occhi, anzi per ordine degli ufficiali.
Caratteristica delle lettere militari nelle quali vi sono espressioni di ferocia, di cupidigia, ecc. è il plurale.
Il soldato in guerra ritorna primitivo.
Come l’uomo che non ha mai tirato il collo ad un pollo giunge a scannare il prigioniero inerme, così l’uomo che restituisce al bottegaio, nella vita civile i due soldi avuti in più nel resto, saccheggia fattorie, chiese, magazzini. Chi è stato militare sa quanto sia vera l’affermazione di Voltaire « ladri e soldati sono sinonimi ».
Le storie militari sono piene di saccheggi. Dall’esercito romano agli ultimi eserciti mercenari il bottino fu sempre il compenso ed il maggiore stimolo delle milizie. Nelle guerre coloniali contemporanee il sistema del bottino si riaffaccia. Così nel gennaio 1892 il Ministero della Marina francese procedette a una distribuzione nella campagna del Tonkino dall’aprile 1882 all’ottobre 1884.
Inutile documentare sui saccheggi militari. Ci sarebbe da scriverne cento volumi. Il saccheggio del Palazzo d’Estate a Pekino (4).
I saccheggi della guerra balcanica, quelli della guerra europea dimostrano che tutti gli eserciti invasori hanno le unghie lunghe. I tedeschi, con l’invasione del 1870 sul suolo francese e con quella del 1914 sul suolo belga si sono fatti la fama di saccheggiatori. In realtà i Russi non si sono comportati diversamente nella Prussia orientale, e gli Italiani nei paesi tedeschi e sloveni, e nei paesi italiani stessi, durante la ritirata di Caporetto.
Quando un esercito invade la maggior parte di territorio nemico si macchia più di ogni altro di delitti. Questo bisogna tenerlo presente specialmente per quei delitti che più destano orrore e generano odio: le violenze alle donne. Durante la guerra i giornali intesisti presentano i « boches » come una massa di mandrilli, mentre in tutte le guerre ove vi fu occupazione militare di territorio nemico avvennero stupri e violenze.
Il soldato in guerra soggiace a condizioni speciali d’orgasmo che attivano ed eccitano il desiderio sessuale, nel tempo stesso che abbassano e smorzano il senso morale e il potere inibitorio.
Dal crociato che viola le donne di Gerusalemme al soldato inglese che viola le donne del Transwall, da quello tedesco che viola le donne francesi e belghe a quello russo che viola le donne prussiane e polacche, e così via, è sempre la foga erotica del combattente che la vince sul sentimento di pietà, sul senso di cavalleria. Se un certo numero di questi delitti, specie nelle forme più mostruose, si spiega con la presenza, nelle truppe, di criminali e di degenerati, e con la loro piena libertà d’azione, la maggior parte dei casi rivela una delinquenza collettiva.
La castità prolungata porta il bisogno sessuale ad uno stato di organismo che riporta l’uomo civile all’impulsività del primitivo. Anni or sono in un’isola del Pacifico abitata esclusivamente da maschi il governatore fece giungere un bastimento carico di donne. Allo sbarco si ripetè la scena del rapimento delle Sabine: le donne furono prese d’assalto dagli uomini imbestialiti, sì che alcune rimasero malconce, ferite e perfino uccise.
Negli episodi di stupro, che sono fra i più gravi oltre che per il carattere terrificante per la quasi sempre giovanissima età delle vittime, sarebbe lecito supporre che vi fosse un solo autore. Invece questi delitti presentano quasi sempre carattere collettivo. Nell’Ukraina, parecchi ufficiali e cosacchi dell’esercito di Denikine, andavano la sera fra la popolazione ebrea a scegliervi le fanciulle e perfino le bambine, che stupravano davanti agli occhi delle madri!
A Jroskouroff, nel 1918, l’ebrea Brila Beirerhs di 18 anni fu violata da ben 15 soldati di Petlura, in 15 volte!
A Britchany (Bessarabia), nel gennaio 1919, la bambina Reizen, di 14 anni, fu stuprata da un ufficiale rumeno, e nella stessa notte ne abusarono vari altri sotto-ufficiali, sì che la vittima morì il giorno dopo. Il poeta pangermanista Hureman così canta nel canto dei vincitori:
« La città vostra,
coll’oro, la porpora, i vasi
di vino, i bei letti e le donne,
alla nostra fame è promessa ».
***
« Le vostre vergini molli
le soffocheremo nel nostro
amplesso robusto. Sul marmo
dei ginecei violati
sbatteremo i pargoli vostri
come cuccioli. Il grembo
delle madri noi scruteremo
col fuoco, e non rimarranno
germi nelle piaghe fumanti
».
Stragi, saccheggi, stupri: ecco la guerra! Per sfogare le proprie voglie, il bruto trova il coraggio che gli mancherebbe per salvare un suo simile dal pericolo, per compiere un esperimento doloroso o pericoloso. E l’uomo medio nella fumosa e rossigna atmosfera guerresca ritorna barbaro, e talvolta ritorna selvaggio.

Note dell’articolo
(1) Revues de Revues, ott. 1893.
(2) HERMITTE, La guerre, Bordeaux, 1893.
(3) HAMON, Psychologie du militaire, pag. XXXI.
(4) Vedi: P. BRANDA, Mers de Chine, Paris, 1872.

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Nota bibliografica e storica a cura del Gruppo Anarchico Galatea.
Gli articoli estratti si trovano nell’opuscolo “Gli eroi guerreschi come grandi criminali”, pubblicato dalle “Edizioni Archivio Famiglia Berneri” nel 1987
Il curatore, Aurelio Chessa, aveva raccolto diversi articoli di Berneri pubblicati tra il 1925 e il 1939 nei vari giornali anarchici (“Germinal”, “L’Adunata dei Refrattari”, “Il Monito” e “Fede!”).
L’anarchico lodigiano, in essi, attaccava sia quegli eroi guerreschi innalzati da certa storiografia romantica e culturale come figure positive – quando in realtà non rappresentano il volto disumano del potere costituito –, che la guerra come giustificazione ai massacri e alla distruzione.
Gli articoli di Berneri, come scrisse Chessa nella sua “Introduzione” all’opuscolo, “doveva sbocciare in un libro dal titolo « Gli eroi ». Lo stava preparando con dei capitoli che io riunisco perché tutti sono leggibili singolarmente ed unificandoli, sono conseguenti come fossero stati scritti tutti di un fiato. Non avendoli pubblicati lui in libro, lo faccio io.

Su Aurelio Chessa rimandiamo le informazioni al seguente sito: Archivio Famiglia Berneri – Aurelio Chessa: http://panizzi.comune.re.it/Sezione.jsp?idSezione=238
Si ringrazia Gianpiero Landi della Biblioteca “Armando Borghi” di Castelbolognese (Ra) per la digitalizzazione dell’opuscolo.

Sul giornale “Germinal”
Pubblicato a Chicago il Primo Aprile del 1926, era diretto inizialmente da Erasmo Abate (anarchico nato a Formia ed emigrato negli USA nel 1912; usò lo pseudonimo Hugo Rolland) per poi passare a Armando Tiberi e Carlo Pagella e, infine, a Silvestro Spada.
Da mensile passò a quindicinale il 15 Marzo 1927. Tornò mensile dal 1 Aprile 1929 fino al 1 Maggio 1930 (anno in cui chiuse).
Il giornale pubblicava articoli teorici sul fascismo, sull’anarchismo etc. e seguiva la linea anarchica malatestiana.
Fonti consultate
-Bettini Leonardo, “Bibliografia dell’anarchismo : periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana, 1872-1971”
-Harzig Christiane, “The Immigrant Labor Press in North America, 1840s-1970s: Migrants from southern and western Europe”, Pennsylvania State University, 1987
-Interviste a Guy Liberti e a Erasmo Abate in Avrich Paul, “Anarchist Voices: An Oral History of Anarchism in America”, Princeton University Press, 1995

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Tra saccheggiatori e disertori: il volto feroce dello Stato democratico Ucraino

Fin da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, le autorità ucraine si sono prodigate nel mantenere la situazione sotto controllo.
Abbiamo visto fin da subito come sia stata applicata la legge marziale, richiamando tutti gli uomini di età compresa tra i 18 ed i 60 anni a combattere.
Abbiamo anche visto cosa questo abbia significato per tutte quelle persone trans-binary e trans-non binary che hanno cercato di uscire dal paese [1].
Tramite il ricorso alla legge marziale, è stato possibile punire chi saccheggia i negozi, facendo ricorso alla pena capitale senza fare troppi complimenti.

In una situazione di guerra come quella vissuta sul territorio ucraino, le persone sono comprensibilmente entrate nel panico, lanciandosi in una corsa all’acquisto all’ingrosso [come riportato dalla stampa internazionale, “bulk buying”] dei beni di prima necessità per paura che le catene di approvvigionamento potessero interrompersi a causa degli attacchi russi alle infrastrutture.
Le autorità ucraine, a questo punto, per mantenere l’ordine hanno fatto ricorso alla minaccia delle armi e della violenza.

Il saccheggio come ignonimia

A fine febbraio, il sindaco di Kiyv, Vitali Klitscho, ha dato ordine all’esercito ucraino di “sparare a vista” ad eventuali saccheggiatori, nonché di considerare chiunque fosse stato trovato per strada dopo il coprifuoco come “un sabotatore russo (o a servizio dei russi)”. [2]

Nella città è stato anche ridotto il tempo di attività dei trasporti urbani ed è stata vietata la vendita di alcolici. Il primo coprifuoco nella capitale è stato imposto nel periodo che va da sabato 26 febbraio a lunedì 28 febbraio. Con le altre ondate di attacchi del mese di marzo, il coprifuoco è stato di volta in volta rinnovato.

Secondo le immagini ed i video che sono circolati sui social media, i saccheggi dei supermercati sono iniziati fin dai primissimi giorni successivi all’attacco russo. [3]

Riguardo la situazione della popolazione civile ucraina, vi è un’interessante intervista di Bob Seely, parlamentare del Partito Conservatore inglese, fatta all’ambasciatore ucraino a Londra, Vadym Prystaiko, il 1 Marzo presso il Foreign Affairs Committee dell’House of Commons. [4]

Bob Seely: “Ho due domande, se posso. In primo luogo, per sviluppare alcuni dei punti che sono stati visti poco fa, può dirci che non ci sarà una crisi alimentare quando i negozi finiranno il cibo, con potenzialmente un po’ di pressione dei saccheggi? Se le principali città cominciano a rimanere senza cibo, questa è sia una crisi umanitaria, ma anche potenzialmente una via militare per la vittoria – intorno all’idea che la Russia monti quelli che sono effettivamente degli assedi disordinati dei maggiori centri abitati, finché la gente disperata e affamata o esce per le strade per cercare di combatterli, o si arrende in qualche forma, perché non ci sono più provviste. Qual è la sua opinione su questi scenari?”

Ambasciatore Prystaiko: “Ho alcuni numeri, che potrò condividere con voi solo in conversazioni chiuse, purtroppo, perché questo è esattamente lo scopo della Russia – avete capito bene che cercheranno di schiacciare la volontà di resistenza del popolo ucraino. Finora, sto chiedendo ai privati cittadini di mandarmi foto dei supermercati e di come stanno andando gli scaffali e come viene fornita l’acqua. Abbiamo problemi con i contanti, per esempio, e la gente rimane senza contanti; se abbiamo un’interruzione dei servizi, i terminali delle banche non funzioneranno e dovremo avere qualche, non so, soluzione militare per la distribuzione di cibo.
Sto già lavorando con il vostro governo e le nostre ambasciate nel mondo stanno lavorando per mettersi in contatto con le organizzazioni umanitarie. Dobbiamo pompare, se posso usare questo termine, quanto più cibo possibile prima che tutte le vie siano bloccate. Finora, stiamo tenendo tutte le rotte verso l’ovest dell’Ucraina, quindi abbiamo un’ancora di salvezza, ma c’è un collo di bottiglia, uno molto serio. Sto solo pensando se le navi umanitarie saranno fatte passare nel Mar Nero e nel Mar d’Azov, ma dobbiamo ancora esplorare questa opzione.”

Bob Seely: “Lei pensa che la strategia russa sia quella di sconfiggere militarmente l’Ucraina, o di affamare e fare pressione sulle sue principali città fino a che non ci sia effettivamente una forma di resa?”

Ambasciatore Prystaiko: “Avevano sperato di poter mostrare la loro superiorità ovunque e che gli ucraini li avrebbero accolti con dei fiori, ma non c’è stato alcun progresso. Questa sarebbe l’immagine che Putin mette in TV, spiegando che in realtà non sono gli ucraini ma alcuni mitici nazisti che stanno combattendo, mentre il resto degli ucraini li saluta con dei fiori. Questo non sta accadendo. La gente sta lanciando molotov dalle loro auto mentre passano accanto ai carri armati russi. Tutto questo – tutte le mani in sostegno e la nostra resilienza – sta andando contro i suoi piani, e la gente in Russia sta iniziando a chiedere, “Cosa stiamo facendo lì, e perché?”
Credo che potrebbero usare le tattiche che lei ha descritto nella seconda parte: cercare di bloccare le nostre città, cercare di ammorbidire la posizione politica, forse provare qualche rivolta in Ucraina, a causa della mancanza di gruppi contro il governo. In alcune città, abbiamo introdotto la legge marziale. In alcune città, è stato ordinato di fucilare sul posto i saccheggiatori. Ci sono persone che hanno approfittato di situazioni molto difficili, e le stiamo affrontando in modo militare.”

Bob Seely: “Quando si tratta di un collasso civile, non è una scelta tra armi e cibo. È un “e”. Avete bisogno di armi e avete bisogno di cibo”.”

Per giustificare ulteriormente posizioni del genere, sui social sono cominciate a circolare notizie ed immagini riguardanti uomini armati nei centri ucraini che si dedicavano a saccheggi, stupri ed omicidi. [5] Tuttavia, nessuno dei video sembra essere stato verificato, e tolto un caso dell’arresto di un gruppo che ha provato a bloccare un tir, nei video si vedono le persone più disparate e nessuna arma in vista.

Secondo un report apparso sul sito anarco-comunista Libcom, nella città di Mariupol, occupata dalle truppe russe, si sarebbero verificati dei disordini durante una manifestazione anti-occupazione proprio a causa della mancanza di cibo.

La popolazione si è riversata per le strade ed ha preso d’assalto negozi e centri commerciali. Secondo quanto riportato, almeno 10 persone sono state successivamente fermate e legate con del nastro adesivo ai lampioni e i pantaloni abbassati in segno di umiliazione. [6]

Queste immagini e video di saccheggiatori legati ai lampioni sono circolate fin dall’inizio dell’invasione. Sono state fatte le ipotesi più disparate riguardo la veridicità ed il contesto in cui le foto sono state scattate. Alcuni video mostrano come le persone legate siano oggetto di derisione ed abusi e violenze fisiche [7]. Ad altre persone vengono attaccati cartelli con su scritto la parola “мародер” (saccheggiatore). In alcuni casi, si vedono questi “saccheggiatori” con il viso colorato di una sostanza verde – che secondo alcuni sarebbe un disinfettante utilizzato per provocare ustioni e può anche rendere cieche le persone. In particolare, sembrerebbe che il disinfettante venga usato perlopiù per “marcare” le persone romaní.

Secondo l’account telegram di Juan Simiedo (un utente che ha postato questi video), “centinaia di civili sono stati puniti per diverse ragioni in Ucraina da gruppi paramilitari e dalla Guardia Nazionale. I video sono forti. Torture, abusi ed umiliazioni persino di bambini e ragazze. Non ci sono motivi chiari per questi abusi illegali. Queste persone sono etichettate come “predoni”[marauders in originale]. Questo può includere uomini che non voglio combattere, persone sospettate di simpatie russe, saccheggiatori o persone in cerca di cibo. Non sappiamo le ragioni reali o per quanto tempo siano stati puniti. Questo va chiaramente contro qualunque convezione per i diritti umani. Non ci sono scuse“.

Si è pensato inizialmente che le persone nelle immagini fossero singoli soldati russi che si davano al saccheggio dei negozi e che sarebbero stati fermati dalla popolazione locale. Questa ipotesi tuttavia sembra essere stata smentita, o comunque fortemente ridimensionata[8]. È vero però che su internet circolano dei video di soldati russi che si sono dati al saccheggio. Secondo quanto affermato da un gruppo di soldati russi caduti prigionieri, le razioni che hanno ricevuto riportano come data di scadenza il 2015, e molti, soprattutto tra i più giovani, affermano di essere stati letteralmente catapultati sullo scenario di guerra a loro insaputa. Ovviamente, anche qui non c’è modo di verificare quanto la notizia corrisponda al vero, sebbene la confusa strategia di attacco russa renda abbastanza verosimili notizie del genere.

Per quel poco che è possibile sapere dalle informazioni su internet, a volte contraddittorie, si potrebbe ipotizzare che in realtà il livello di paranoia è molto alto e che si sia approfittato della situazione caotica per regolare vecchi rancori tra vari individui. Inoltre, bisogna sempre ricordare che in tempo di guerra le informazioni pubblicate non sono mai neutre. Mai come ora abbiamo visto quanto la disinformazione e la retorica degli Stati ed altri attori interessati sia così massiccia e capillare nel causare un senso di confusione ed impotenza tra le popolazioni.

I toni che accompagnano queste notizie online ritraggono sempre dei bravi, coraggiosi ed orgogliosi cittadini che fanno le veci della polizia e dell’esercito, impegnati a combattere i russi, mentre dei criminali senza scrupoli approfittano della situazione di caos per saccheggiare i negozi. È chiaro a chiunque non sia imbevuto da questa retorica governativa che in una situazione di guerra i comportamenti individuali e collettivi vengono esasperati; in contesti di sopravvivenza le persone cercano di reperire beni di prima necessità senza farsi troppi scrupoli sul fatto che la merce in questione venga pagata al proprietario. Giustamente, aggiungiamo noi.

Un’altra ipotesi, ben più inquietante, che è circolata sui social network, specialmente nelle sezioni commenti su Instagram e Facebook, è come in realtà le foto ritraggono, almeno in parte, persone appartenenti alla popolazione romaní in Ucraina, prese di mira da squadroni di estrema destra e forze dell’ordine.

Bisogna innanzitutto ricordare che gli attacchi alla popolazione romaní non sono nuovi. Come ogni regime democratico che si rispetti, l’Ucraina di Zelensky ha adottato delle tendenze persecutorie verso la persona razzialmente diversa.

Uno degli ultimi attacchi di cui si ha notizia risale al 17 ottobre 2021, quando un gruppo composto da una cinquantina di persone appartenenti alla formazione neonazista “C-14” è andato di casa in casa nella città di Irpin, vicino Kyiv, marcando le case dei residenti. Tutto questo è avvenuto con la silente complicità delle forze di polizia e delle autorità locali.[9] Alle violenze per le strade vanno aggiunte anche quelle virtuali nei confronti di persone romaní – in particolare verso gli/le attivist* per i diritti della popolazione romaní.

Il sito “European Roma Right Centre” (ERRC), nel novembre 2018 scriveva un articolo dal titolo significativo “Roma in Ucraina: 20 anni di terrore poliziesco”.[10]
Nell’articolo si fa menzione esplicita di pogrom, violenze fisiche e sessuali, torture fisiche e psicologiche,omicidi, tentativi di dare fuoco alle abitazioni, raid notturni dell’antisommossa negli insediamenti romaní, profilazione etnica, estorsione ed intimidazione.
Il tutto portato avanti dalla polizia ucraina spesso in combutta con formazioni di estrema destra. Tutta questa serie di violenze, secondo ERRC, sarebbe avvenuta ininterrottamente a partire dalla seconda metà degli anni 90.
L’articolo all’epoca uscì per festeggiare la vittoria, ottenuta in sede giudiziale presso la Corte Europea, su una denuncia effettuata da 16 persone romaní.

Riguardo le immagini dei saccheggiatori, secondo il sito Romea.cz, queste sono state usate dai propagandisti russi allo scopo di trovare ulteriori giustificazioni per i loro attacchi. Il sito riporta come le persone ritratte siano effettivamente romanì; la Russia sta usando queste immagini per affermare che sono gruppi di neonazisti a portare avanti queste azioni punitive e quindi dare legittimità al proprio operato con la retorica della “denazificazione”[11]. Secondo Julian Kondur, giovane attivista romaní intervistato dal sito in questione:
“le persone nelle foto sono state prese a Kyiv per borseggio diverse volte.
Sono state fatte loro delle foto – poi condivise in diversi gruppi che pubblicizzano casi del genere. A Lviv c’è un gruppo che si autodefinisce “The Hunters” (i cacciatori), che perseguita le persone romanì coinvolte in casi di borseggio in posti pubblici. La Russia sta sfruttando queste notizie per accusare l’Ucraina di essere gestita da neonazisti. Queste immagini sono state distribuite sul social media Telegram da un account gestito da agenti della Russia”

Al di là della guerra di propaganda tra i due Stati, le immagini quindi sembrano essere vere e mostrano la brutalità a cui viene sottoposta la minoranza romanì all’interno della società ucraina.

A ciò si deve aggiungere che la discriminazione nei confronti della popolazione romaní è endemica in tutta Europa, specialmente nei paesi dell’Est. Questo ha fatto sorgere nuovi timori verso i rifugiati romaní che hanno attraversato il confine con l’Ungheria. Le ultime cifre parlano di 100.000 rifugiati su un totale di circa 300-400 mila persone romaní residenti in Ucraina prima dell’inizio della guerra. [12]

Le misure messe in atto dallo Stato ucraino nei confronti della popolazione sono un riflesso del nazionalismo più spinto che funge da collante in quella società.

La diserzione come destabilizzazione

La diserzione, in questa guerra, è stata trattata in modo sbilanciato; per essere più precisi, la costruzione mediatica messa in atto è andata a favorire le notizie riguardanti i disertori dell’esercito russo, mentre è molto più difficile trovare notizie su quelli ucraini.

Notizie che, tra parentesi, ricordano scene da prima guerra mondiale, come ad esempio quella di soldati che si auto-infliggono ferite per evitare di combattere senza ricorrere alla diserzione (che verrebbe punita duramente)[13].

Non crediamo sia casuale; in un momento come questo, le notizie sulle diserzioni ucraine vengono fatte passare in sordina, tanto più che pochi giorni fa la borghesia ucraina ha imposto una stretta sulle libertà dei media, scelta uguale e speculare a quella dell’omologa borghesia russa.

Al discorso massmediatico e borghese sulla reprimenda della diserzione e dell’auto-mutilazione, vi è anche quello dato dall’ordinamento statale.

Nella sezione XIX del Codice Penale Ucraino, “Reati contro la procedura stabilita per il servizio militare (reati militari)” [14] vengono riportati questi due articoli:

Articolo 408. Diserzione
1. La diserzione, cioè l’assenza senza permesso da un’unità militare o da un luogo di servizio con lo scopo di evitare il servizio militare, o la mancata presentazione in servizio al momento della nomina o della riassegnazione, dopo un servizio distaccato, una vacanza o un trattamento in una struttura medica per lo stesso scopo, è punibile con la reclusione da due a cinque anni.
2. La diserzione con armi o di un gruppo di persone con precedenti cospirativi, è punibile con la reclusione da cinque a dieci anni.
3. Qualsiasi atto come previsto dal paragrafo 1 o 2 del presente articolo, se commesso in stato di legge marziale o in una battaglia, è punibile con la reclusione da cinque a dodici anni.
Articolo 409. Evasione del servizio militare a titolo di auto-mutilazione o altro
1. L’evasione del servizio militare da parte di un militare per mezzo dell’auto-mutilazione o falsificazione di documenti o qualsiasi altro inganno, è punibile con la detenzione in un battaglione penale per un periodo fino a due anni o con la reclusione per lo stesso periodo.
2. Il rifiuto di adempiere ai doveri del servizio militare, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
3. Tutti gli atti dei paragrafi 1 o 2, se commessi in stato di legge marziale o in una battaglia, sono punibili con la reclusione da cinque a dieci anni.

Il discorso militare è fondamentale e vitale in Ucraina. Nella stessa Costituzione (modificata in conformità alla legge № 27-IX del 3 Settembre 2019) vi è l’articolo 17 che recita quanto segue: “la difesa dell’Ucraina, la protezione della sua sovranità, indivisibilità territoriale e inviolabilità, sono affidate alle Forze Armate dell’Ucraina. La garanzia della sicurezza dello Stato e la protezione del confine statale dell’Ucraina sono affidate alle rispettive unità militari e agli organi di polizia dello Stato […] Lo Stato assicura la protezione sociale dei cittadini dell’Ucraina che servono nelle Forze Armate dell’Ucraina e in altre unità militari, così come dei membri delle loro famiglie. […]” [15]

Per il sistema governativo ucraino, quindi, il servizio militare non è un qualcosa di scollegato dalla società. Anzi, è una vera e propria relazione sociale e di difesa dello Stato in cui il cittadino, rigorosamente maschio ed eterosessuale, è tenuto all’estremo sacrificio. Persino evitare la coscrizione è un reato.

Basti vedere questi altri due articoli del citato Codice Penale:
Articolo 335. “Evitare la coscrizione per il servizio militare attivo”
La sottrazione al servizio militare attivo, è punibile con la limitazione della libertà per un periodo fino a tre anni.
Articolo 336. “Evitare la mobilitazione”
La sottrazione alla mobilitazione, è punibile con la reclusione da due a cinque anni.

Un simile intossicamento statale, a cui si aggiunge quello massmediatico ucraino ed internazionale, non può essere accettabile. L’individuo viene plasmato secondo i dettami di una classe dirigente istituzionale ed economica dove il sacrificio per la patria è tutto.
Di fronte a tutto ciò, non possiamo che ribadire il nostro sostegno ai disertori di ambo le parti, che vengono gettati sui campi di battaglia per massacrarsi a vicenda in difesa degli interessi dello Stato e del Capitale.
Non ci stancheremo di ripetere che da questa guerra le persone sfruttate non hanno nulla da guadagnare ma solo da perdere. La scelta di difendere uno Stato più benevolo perché “democratico” è illusoria. Lo Stato ucraino è uno Stato violento, classista e nazionalista tanto quanto gli altri.

Note

[1] La comunità LGBTQIA+ ucraina durante la guerra. Tra l’incudine dell’eteropatriarcato ed il martello dell’omonazionalismo. Link:https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/03/09/la-comunita-lgbtqia-ucraina-durante-la-guerra-tra-lincudine-delleteropatriarcato-ed-il-martello-dellomonazionalismo/
[2] Kyiv Mayor Issues ‘Shoot at Sight’ Orders for Looters To Retain Control Amid Russian Attack. Link:https://www.youtube.com/watch?v=XkJRMyjCoHE
[3] “Looting Results In Shooting On The Spot,” Two Ukrainian Mayors Warn. Link:https://zububrothers.com/2022/03/01/looting-results-in-shooting-on-the-spot-two-ukrainian-mayors-warn/
[4] House of Commons, Foreign Affairs CommitteeOral evidence: Ukraine – 01 03 22, HC 1089. Link:https://committees.parliament.uk/oralevidence/9789/html/
[5] ‘Criminals armed by Zelenskyy govt are indulging in rapes, murders, and looting in Ukraine’, claims man in Kyiv. Link:https://www.opindia.com/2022/03/criminals-armed-by-ukraine-govt-doing-rapes-murders-loots-man-in-kyiv/
[6] Humanitarian Catastrophe in Ukraine: Food Riot in Melitopol. Link:https://libcom.org/article/humanitarian-catastrophe-ukraine-food-riot-melitopol
[7] Ukrainian civilians stripped, tied up and beaten by vigilantes in shocking videos. Link: https://www.news.com.au/world/europe/ukrainian-civilians-stripped-tied-up-and-beaten-by-vigilantes-in-shocking-videos/news-story/3a2abcc0a87815925dce0db9cee1c09a
[8] ‘Ukraine Looters Taped to Poles’. Link: https://www.truthorfiction.com/ukraine-looters-taped-to-poles/
[9] Radicals Target Roma People in Ukraine. Link:https://www.hrw.org/news/2021/11/29/radicals-target-roma-people-ukraine
[10] Roma in Ukraine: 20 years of police terror. Link:http://www.errc.org/news/roma-in-ukraine-20-years-of-police-terror
[11] Russia distorting photos for propaganda purposes, Roma nonprofits alert Ukrainian authorities. Link: https://www.romea.cz/en/news/world/russia-distorting-photos-for-propaganda-purposes-roma-nonprofits-alert-ukrainian-authorities
[12] “Ukraine’s Roma refugees face uncertain future under threat of discrimination in Hungary”. Link: https://archive.ph/Vnqkw
[13] Demoralised? Russian troops shoot selves with Ukrainian ammo in legs to avoid fighting, say reports. Link: https://www.wionews.com/world/demoralised-russian-troops-shoot-selves-with-ukrainian-ammo-in-legs-to-avoid-fighting-say-reports-463966
[14] Кримінальний кодекс України (Codice Penale dell’Ucraina). Link: https://zakon.rada.gov.ua/laws/show/2341-14
[15] Конституція України (Costituzione dell’Ucraina). Link: https://zakon.rada.gov.ua/laws/show/254%D0%BA/96-%D0%B2%D1%80#Text

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Catania: ristrutturazioni e investimenti borghesi

 

L’approvazione dello “Studio di dettaglio del centro storico. L.R. 13/2015” da parte del Consiglio Comunale apre nuovi scenari di investimenti sul territorio cittadino catanese.

Nel dibattimento che ne è corso in Consiglio Comunale – prima dell’approvazione –, l’assessore all’urbanistica Enrico Trantino, ha spiegato ai consiglieri presenti che “con tale strumento di pianificazione, verranno individuate le costruzioni, potenzialmente oggetto di interventi di demolizione; queste ultime potranno essere ristrutturate incoraggiando eventuali richieste in tal senso. I progetti presentati, verranno sottoposti al vaglio della Conferenza dei Servizi, con la partecipazione del Comune, del Genio Civile e della Soprintendenza, al fine di approvare il relativo studio di dettaglio.

A supporto di Trantino vi è il consigliere comunale Manfredi Zammataro, attuale presidente della X commissione consiliare permanente “urbanistica, gestione del territorio e decoro urbano”: “[l’atto in votazione] è fondamentale per delineare il nuovo assetto della città […] è un ulteriore tassello per attuare la rigenerazione e riqualificazione degli spazi, mediante gli strumenti offerti dalla legge regionale 13/2015.

Lo studio approvato non fa che modificare ulteriormente ciò che era stato redatto ed adottato come Piano Regolatore Generale Urbanistico da Piccinato nel 1964 – e successivamente approvato dal “Decreto Presidente della Regione Siciliana n. 166/A” del 28 Giugno 1969.

La “Zona Omogenea A” presente nello “Studio di dettaglio” è grande circa 3,24 kmq, suddivisa in quattro sotto-zone:

– “A”: costituisce la parte del centro cittadino ricostruito dopo il terremoto del 1693, con riferimento al rilievo di S. Ittar nel 1832, comprendendo anche la zona del viale Regina Margherita, caratterizzata dalla presenza di ville nobiliari realizzate tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900;

– “A1”: costituisce il centro storico di San Giovanni Galermo, quartiere posto a nord-ovest della città, prima comune autonomo e, successivamente, accorpato a Catania nel 1926;

– “B”: costituisce prevalentemente l’espansione del secondo ottocento e primo novecento, ad est della via Etnea.

‒ “San Cristoforo-Sud”: rientra nel piano di riqualificazione cittadino a seguito del Decreto del Presidente della Regione Sicilia del Novembre 2002 e del Decreto 9 ottobre 2008, “Approvazione di una variante urbanistica al piano regolatore generale del comune di Catania.”

Approvato tale studio, quindi, il pensiero condiviso da Rosario Fresta, presidente Ance Catania, Sebastian Carlo Greco, presidente Ordine Architetti di Catania, Mauro Scaccianoce, presidente Ordine Ingegneri di Catania, e Agatino Spoto, presidente Collegio dei Geometri di Catania, è stato il seguente: “L’approvazione dello Studio di dettaglio del Centro Storico, avvenuta mercoledì 23 marzo all’unanimità, rappresenta un primo passo per intervenire in modo puntuale sul tessuto edilizio e garantirne la tutela e la riqualificazione”.

I personaggi citati hanno rilasciato queste dichiarazioni:

Fresta: “Lo Studio di dettaglio del Centro Storico certamente consentirà di intervenire, ponendo regole e certezze a chi deve operare attraverso singoli interventi, rendendo il patrimonio edilizio più sicuro anche sotto il profilo del rischio sismico. Ma solo attraverso il PUG si potrà definire un disegno urbano, gli ambiti di recupero, di riqualificazione e rigenerazione, che andrebbero estesi anche al resto della città, che va ridisegnata e ricucita. Pensiamo a quanto costruito dagli anni ’60 in poi nelle sue periferie: meritano di essere riqualificate e trasformate, cancellando gli errori del passato che le hanno rese solo dei contenitori urbani senza anima e prospettiva di sviluppo. E il tempo a disposizione è poco

Greco: “Individuare e catalogare le diverse tipologie edilizie del centro storico per definire su quali è possibile intervenire e in che modo, è certamente un primo importante passo verso l’obiettivo di rigenerare il patrimonio edilizio della nostra città ma lo studio di dettaglio non può rimanere un evento isolato, deve costituire la base di una necessaria evoluzione verso il Piano Urbanistico Generale e la conseguente pianificazione attuativa: solo tramite questi strumenti si potrà realmente riqualificare la città in cui, il tessuto urbano del centro storico, assume valore non soltanto nelle singole unità che lo costituiscono, ma nella sua complessità e interezza. Per conseguire questo importante obiettivo occorre operare con strumenti di pianificazione efficaci e regole certe, nell’ottica di una chiara visione d’insieme”

Scaccianoce: “L’approvazione dello Studio di dettaglio del centro storico è una tappa fondamentale nella direzione della rigenerazione e riqualificazione della nostra città, in particolare del centro storico, dove si concentrano i valori culturali e identitari di Catania. Un risultato atteso da tanti anni, per avviare un percorso sinergico che porti a un equilibrio sul piano ambientale, sociale ed economico, specie nei quartieri degradati. Uno strumento fondamentale anche nel processo di efficientamento energetico, indispensabile per contenere l’inquinamento e garantire il consumo zero del territorio». Altro aspetto sottolineato dal presidente degli Ingegneri etnei sul Piano è il suo «essere imprescindibile per mettere in sicurezza i nostri edifici, in un contesto di grande fragilità dal punto di vista sismico. Inoltre, aggiunge certezza sugli interventi, consentendo ai tecnici e agli operatori di muoversi entro ambiti giuridicamente definiti, che garantiscono un incremento degli investimenti e la crescita di attrattività per la nostra città”

Spoto: “Un’attenzione alla nostra parte identitaria, qual è il Centro Storico non significa non intervenire, ma intervenire con regole che lo tutelino e lo riqualifichino, rendendolo parte viva e attrattiva della Città. Questo, deve rappresentare lo Studio di Dettaglio: un primo passo alla pianificazione”

Lo “Studio” e le dichiarazione dei personaggi istituzionali e imprenditoriali citati, rappresentano quella precisa volontà di voler riprendere il discorso degli investimenti e, quindi, di una futura speculazione edilizia atta a sviluppare l’industria dei servizi turistici.

Restaurazione come Investimento

Secondo l’articolo 31, comma 1, lettera C della Legge 5 agosto 1978, n. 457 “Norme per l’edilizia residenziale”, gli interventi di restauro e di risanamento conservativo sono “rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio”.

In una logica di gentrificazione e turistificazione, la restaurazione o conservazione degli edifici serve come forma di appropriazione di una storia recente del tessuto urbano.

Ciò segna una presa di distanza dalle fu velleità “demolitrici-e-ricostruzione” degli anni ‘50 e ‘60, rivalutando a livello architettonico la parte antica o vecchia della città.

Questa rivalutazione, però, non deve essere vista come un mero atto “umanitario” per salvaguardare il patrimonio storico.

Il capitalismo – di cui la gentrificazione è uno dei meccanismi -, porta a considerare qualsiasi oggetto vivente o meno che sia come una merce da cui estrarre del valore monetario.

In questo senso la salvaguardia del patrimonio storico o, per dirla in termini generali, di recupero di palazzi “antichi”, diventa fondamentale per i fini dei mercati.

L’accettazione di una simile visione mercatale passa da una serie di operazioni pubblicitarie dove determinati gruppi culturali ed economici cercano di fare “massa critica” usando, a mo’ di mantra, parole come “recupero, riqualificazione e rigenerazione.”

A queste operazioni se ne aggiungono altre due: gli interventi istituzionali e finanziari privati. I primi intervengono con agevolazioni fiscali; i secondi attraverso elargizioni di mutui e prestiti atti ad un ritorno finanziario.

Grazie a questi investimenti politici e finanziari, il processo di turistificazione riesce a prendere corpo.

Nel caso catanese, il discorso sulla restaurazione e conservazione come fattore di speculazione si era già visto in passato.

Nel libro “La città e i piani urbanistici. Catania 1930-1980”, l’architetto e professore universitario di Urbanistica Giuseppe Dato riportava come in una conferenza economica e per l’occupazione organizzata dal Comune di Catania nel febbraio del 1977, si prospettava l’opportunità di intervenire, a livello di risanamento e ristrutturazione, “nel “Centro Storico” e nei quartieri marginali e degradati di S. Cristoforo, Angeli Custodi e Consolazione “sotto il duplice profilo dell’edilizia pubblica e di quella residenziale” utilizzando la legge per la casa n. 865.”

La mossa dell’epoca, che si inseriva sull’ampia questione del quartiere di Librino, avvantaggiava quei ceti medi, i piccoli proprietari e i piccoli imprenditori edili nel “ristrutturare aree ed edifici nel centro storico per residenza privata”, aiutati “dalle leggi regionali n. 19/1972 e 21/1973 che consentono il rilascio di singole licenze edilizie nelle zone territoriali omogenee A e B”.

L’intervento istituzionale dell’epoca in una zona cittadina che già aveva visto sorgere i palazzoni nati dallo sventramento di San Berillo, era da inserirsi in un ampio discorso di accettazione politica istituzionale e di attrattiva di capitali.

Oggi, come ieri, si continua in tal senso: dallo stanziamento di miliardi delle vecchie lire per l’edilizia e le connivenze con la Democrazia Cristiana, si è passati al superbonus 110% prorogato fino a Giugno 2022.

Il mondo borghese edile respira una boccata d’ossigeno dopo anni di crisi, allacciando dei buoni rapporti con i partiti istituzionali e gli istituti finanziari.

Non stupisce se l’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) di Catania, per bocca del suo presidente Fresta, sottolinea come l’edilizia rappresenti “un elemento trainante nel rilancio dell’economia” e “con la nuova Legge di Bilancio e con il Superbonus abbiamo un’ulteriore opportunità da sfruttare appieno, ma è necessario agire in termini di semplificazione, allungando la durata di efficacia delle disposizioni e stabilizzando la norma. I cantieri, oggi più che mai, significano opportunità di lavoro e “investimenti” per tutta la filiera edile.

L’aver stretto i rapporti (sotto forma di convenzione) con le banche quali Unicredit, Monte dei Paschi, Banca Intesa Sanpaolo, Crédit Agricole e Banco BPM, permette all’ANCE di poter ricevere tutta una serie di forme di credito.

Allo stesso tempo, l’associazione potrà intavolare una serie discussioni con i proprietari di quegli immobili da ristrutturare, proponendo a costoro l’utilizzo del Superbonus 110%.

Non a caso, la zona A e le sue sotto-zone, rappresentano quel centro storico dove “i prezzi medi degli appartamenti […] in vendita sono di 1200 euro/m², mentre quelli per l’affitto mensile sono di 8,5/m². Per i locali commerciali della citata zona, invece, la vendita si aggira intorno ai 1300 euro/m², l’affitto mensile a 11,8 euro/m².”[1]

Una situazione del genere è troppo ghiotta da far sfuggire a gruppi economici come l’ANCE. E nonostante la loro preoccupazione odierna sia l’aumento dei prezzi delle materie prime [2], questa non li fermerà dalle loro intenzioni sull’investire in una parte della città che, dai tempi dello sventramento di San Berillo, è considerata la vetrina della medesima.

Note
[1] “Catania: il degrado e il decoro della civiltà”. Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/03/19/catania-il-degrado-e-il-decoro-della-civilta/
[2] A tal merito si leggano le seguenti dichiarazioni:
Marco Dettori, vice presidente dell’ANCE aveva chiesto al governo di intervenire “con misure che permettano di fare fronte al “caro materiali”, la principale emergenza che sta affrontando il settore delle costruzioni in questi mesi. Una fiammata insostenibile dei costi che a mettendo in ginocchio le imprese. Senza un rapido intervento del governo e del parlamento è forte il rischio di conseguenze gravissime in termini di occupazione e investimento”.
Santo Cutrone, presidente dell’ANCE Sicilia, chiedeva al governo regionale e nazionale di adottare “tutte le necessarie misure per calmierare i prezzi e per compensare adeguatamente gli aumenti intervenuti in fase di avanzamento dei lavori. Non ci bastano le misure varate finora in modo surrettizio e figurativo.”

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La guerra

“La guerra”, scriveva Von Clausewitz nel suo Ottavo Libro “Della Guerra”,”è uno strumento della politica; essa ne deve necessariamente assumere il carattere, deve commisurarsi alla sua medesima scala; la condotta della guerra, nelle sue linee fondamentali, altro non è che la politica stessa, la quale depone la penna e impugna la spada, ma non cessa perciò dal regolarsi conformemente alle proprie leggi”.
La guerra è senza dubbio l’azione più brutale ed iniqua che esista.
I suoi morti, la sofferenza che produce, le distruzioni e le violenze (fisiche, sessuali etc) mostrano il vero volto del mondo in cui viviamo. Un mondo che non esitiamo ad additare come disumano.
I rappresentanti di questo mondo, dai loro schermi, bunker, palazzi di potere o abitazioni private, usano nelle stesse frasi parole come “pace” e “guerra” per giustificare qualsiasi atto violento contro il nemico – esterno o interno che sia ad un determinato assetto di potere che occupa un territorio geografico.
Questa perversa logica segue ciò che scriveva Publio Vegezio Renato: “Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum”. (trad: “Per chi desideri la pace, prepari la guerra”)
Chi possiede e/o ha dei privilegi (acquisiti e/o ereditati) allora vede ed accetta la guerra (passivamente o attivamente) come futura panacea per un mondo migliore.
In tempi di terrorismo culturale ed incapacità intellettuale e politica radicale, è necessario ribadire questi passaggi che sembrano semplici e ovvi – ma, ahinoi, non lo sono abbastanza.
Due di anni di pandemia virale hanno creato un binarismo culturale perfetto ed invasivo, dove ci si ritrova intruppati o tra i pro o i contro ad un qualcosa.
Questo binarismo creato ad arte ha spostato il discorso pubblico verso vette di deumanizzazione che raramente sono state così cristalline negli anni scorsi.
L’attuale guerra in Ucraina, a livello culturale, incarna quanto appena detto.
I discorsi al riguardo vertono o sulla difesa ad oltranza della democrazia di Zelensky contro il dispotismo di Putin, oppure sulla difesa delle ragioni della Federazione Russa nei confronti della NATO e dell’Ucraina.
Entrambi i discorsi sono funzionali a perpetuare degli assetti di potere contrapposti.
Occorre allora ricordare la posizione dei nostri compagni del secolo scorso di fronte ad una prospettiva di aperta guerra tra borghesie.
Una logica che punti all’autonomia della classe lavoratrice deve evitare di farsi intruppare nel”una e nell’altra fazione borghese che si stanno combattendo.
Quello che abbiamo di fronte è l’ennesimo conflitto interimperialistico: in alcune zone dell’Europa questo conflitto è reale e guerreggiato, e richiede il sacrificio di masse che fungano da carne da cannone per interessi economici e politici che non gli appartengono. In Italia, almeno per il momento, il conflitto rimane sul campo delle idee, ma non per questo esso è meno dannoso. Gli intossicati dalla propaganda di guerra dell’oggi saranno i morti del domani.
Per questi motivi presentiamo oggi sul blog “La guerra”, sesto capitolo del libro di Berkman, “L’ABC dell’Anarco-Comunismo”, pubblicato da Novadelphi nel 2015.
L’anarchico lituano ne traccia un quadro lucido e preciso: la guerra non è altro che uno degli strumenti che le classi dominanti utilizzano per mantenere i loro privilegi.
In nome dei privilegi, si usano parole come “Patria” e “Democrazia” o frasi come “difesa degli interessi economici nazionali”.
Qualsiasi forma di protesta, rileva Berkman, viene prontamente silenziata per mezzo mediatico e/o con la forza fisica.
In questo modo il sostegno ad una parte politica ed alla sua guerra non potrà mai coincidere con una prospettiva di emancipazione delle persone sfruttate.

Capitolo VI: La guerra

Guerra! Ti rendi conto di quello che significa? Conosci una parola più terribile nella nostra lingua? Non ti porta alla mente immagini di massacri e carneficine, di assassini, saccheggi e distruzione? Non senti il rombo del cannone, le grida dei morenti e dei feriti? Non vedi il campo di battaglia disseminato di cadaveri? Esseri umani fatti a pezzi, il loro sangue e le loro cervella sparpagliati tutto intorno, uomini pieni di vita ridotti d’un colpo a carne putrefatta. E là, a casa, migliaia di padri e di madri, di mogli e di fidanzate che vivono nell’angoscia perpetua che capiti qualche disgrazia ai loro cari e aspettano, aspettano il ritorno di coloro che non torneranno mai più.

Lo sai cosa significa la guerra. Anche se tu non sei mai stato al fronte di persona, sai che non c’è sciagura peggiore della guerra con i suoi milioni di morti e mutilati, i suoi innumerevoli sacrifici umani, le sue vite spezzate, le sue case distrutte, le sue indescrivibili tristezze e miserie.

“È terribile”, ammetti, “ma non c’è niente da fare”. Pensi che la guerra si debba fare, che in alcuni momenti sia inevitabile, che devi difendere il tuo paese quando è in pericolo.

Vediamo, dunque, se difendi veramente il tuo paese quando vai in guerra. Vediamo quali sono le cause della guerra e se è per il bene del tuo paese che sei chiamato a indossare l’uniforme e ad avviare una campagna di massacri.

Valutiamo chi e cosa difendi in guerra: chi ha interesse in essa e chi ne ricava profitto.

Dobbiamo tornare al nostro fabbricante. Non riuscendo a vendere i suoi prodotti e ricavarne un profitto nel suo paese, cerca un mercato (come fanno anche i produttori di altri beni) in qualche terra straniera. Va in Inghilterra, in Germania, in Francia o altrove e cerca di piazzarvi la propria “sovrapproduzione”, il proprio “surplus”.

Ma lì trova le stesse condizioni del suo paese. Anche lì c’è la “sovrapproduzione”; vale a dire che i lavoratori sono così sfruttati e sottopagati che non possono acquistare i beni che hanno prodotto. Quindi anche i produttori inglesi, tedeschi e degli altri paesi sono in cerca di altri mercati, proprio come gli americani.

I produttori americani di una certa industria si organizzano in una grande associazione, i magnati industriali degli altri paesi fanno lo stesso e le associazioni nazionali iniziano a competere tra loro. I capitalisti di ogni paese cercano di accaparrarsi i mercati migliori, soprattutto quelli nuovi. Trovano nuovi mercati in Cina, in Giappone, in India e in paesi simili; ovvero quelli che non hanno sviluppato le proprie industrie. Quando tutti i paesi avranno industrie proprie, non ci saranno più mercati esteri e allora qualche potente gruppo capitalista diventerà il trust internazionale del mondo intero. Ma nel frattempo gli interessi capitalistici dei vari paesi industriali combattono per i mercati esteri e competono li tra loro. Costringono qualche nazione più debole a concedere loro dei privilegi speciali, un “trattamento di favore”; suscitano l’invidia dei loro competitori, si mettono nei guai per le concessioni e le fonti di profitto e chiedono ai rispettivi governi di difenderne gli interessi.

Il capitalista americano fa appello al suo governo affinché protegga gli interessi “americani”. I capitalisti francesi, tedeschi e inglesi fanno lo stesso: chiedono ai loro governi di proteggere i loro profitti. A quel punto i vari governi chiamano il popolo a “difendere il proprio paese”.

Lo vedi come funziona il gioco? Non ti dicono che sei chiamato a proteggere i privilegi e i dividendi di qualche capitalista americano in un paese straniero. Sanno che se te lo dicessero, gli rideresti in faccia e ti rifiuteresti di farti sparare per gonfiare i profitti dei plutocrati. Ma senza di te e degli altri come te non possono fare la guerra! Così lanciano il grido di “Difendi il tuo paese! La tua bandiera è insultata!”

A volte assoldano addirittura qualche delinquente per insultare la bandiera del tuo paese in terra straniera o vi fanno distruggere qualche proprietà americana, per essere sicuri che la gente in patria si infurierà e correrà ad arruolarsi nell’esercito e nella marina.

Non credere che stia esagerando. E risaputo che i capitalisti americani hanno causato persino delle rivoluzioni nei paesi stranieri (soprattutto in Sud America) per insediarvi un governo più “amichevole” e assicurarsi così le concessioni che volevano.

Generalmente, però, non occorre arrivare a tanto. Tutto ciò che devono fare è appellarsi al tuo “patriottismo”, adularti un po’, dirti che puoi “sconfiggere il mondo intero” ed ecco che sei pronto a indossare l’uniforme da soldato e a eseguire i loro ordini.

Ecco per cosa viene usato il tuo patriottismo, il tuo amore per il paese. Aveva ragione il grande pensatore inglese Carlyle a scrivere:

“Quali sono, parlando senza eufemismi, il valore e il risultato della guerra? Che io sappia, per esempio, nel villaggio inglese di Dumdrudge solitamente abitano e sgobbano circa cinquecento anime. Tra questi, che sono certamente ‘nemici naturali’ dei francesi, in seguito sono selezionati, durante la guerra con la Francia, diciamo trenta uomini di robusta costituzione. Dumdrudge li ha allattati e nutriti a sue spese; li ha, non senza difficoltà e dolore, cresciuti fino all’età adulta, ha insegnato loro un mestiere, cosicché uno sa tessere, un altro fa’ il muratore, un altro ancora il fabbro e il più gracile può sollevare almeno cento chili. Tuttavia, tra pianti e imprecazioni, gli uomini sono selezionati; vengono tutti vestiti di rosso; e vengono trasportati in nave, a spese della collettività, a duemila miglia di distanza, o diciamo solo nel sud della Spagna; e lì vengono nutriti a volontà. Ora, in quella stessa località nel sud della Spagna sono stati portati trenta analoghi artigiani francesi, da una Dumdrudge di Francia; alla fine, dopo infinite manovre, le due parti giungono a un vero e proprio confronto; Trenta contro Trenta, ognuno con il fucile in mano. Subito viene dato il comando “Fuoco!” e loro si fanno fuori a vicenda e al posto di sessanta artigiani aitanti e produttivi, il mondo si ritrova con sessanta carcasse, che devono essere sepolte e piante. Ma questi uomini avevano qualche divergenza? Per quanto il diavolo si sia potuto impegnare, neanche una! Vivevano abbastanza lontani tra loro; erano assolutamente estranei, anzi, in un universo così grande c’era persino, inconsciamente, per via degli affari, qualcosa che li legava gli uni agli altri. Come mai allora? Semplice! I loro governanti avevano litigato; e invece di spararsi a vicenda, avevano avuto l’astuzia di farlo fare a questi poveri zucconi.”

Quando vai in guerra non combatti per il tuo paese. Lo fai per i tuoi governanti, i tuoi sovrani, i tuoi padroni capitalisti. Né il tuo paese né l’umanità né la tua classe – i lavoratori – guadagnano qualcosa dalla guerra. Sono solo i grandi finanzieri e i capitalisti a trarne profitto.

La guerra è un male per te. E un male per i lavoratori. Hanno tutto da perdere e nulla da guadagnare. Non ne ricavano neanche la gloria, che invece va ai grandi generali e ai marescialli superiori.

Che cosa ottieni tu dalla guerra? Diventi lercio, ti sparano, ti uccidono con il gas, ti mutilano, ti massacrano. Questo è tutto ciò che i lavoratori di ogni paese ottengono dalla guerra.

La guerra è un male per il tuo paese, è un male per l’umanità: significa massacro e distruzione. Tutto ciò che la guerra distrugge — ponti e porti, città e navi, campi e fabbriche – deve essere ricostruito. Ciò significa che per farlo il popolo verrà tassato, direttamente o indirettamente. Perché in ultima analisi, tutto viene dalle tasche del popolo.

La guerra, quindi, è un male dal punto di vista materiale, per non parlare dell’effetto degradante che ha sull’umanità in generale. E non dimenticare che su mille persone che vengono uccise, accecate o mutilate in guerra, novecento-novantanove appartengono alla classe operaia, sono figli di manovali e di contadini.

Nella guerra moderna non c’è vittoria, perché la parte vincitrice perde quasi quanto quella sconfitta. A volte pure di più, come la Francia nell’ultimo conflitto: oggi la Francia è più povera della Germania. I lavoratori di entrambi i paesi sono tassati fino alla fame per compensare le perdite subite in guerra. Nei paesi europei che hanno partecipato alla guerra mondiale i salari e i livelli di vita della classe operaia sono molto più bassi ora di quanto non lo fossero prima della grande catastrofe.

“Ma gli Stati Uniti si sono arricchiti grazie alla guerra”, obietti. Vuoi dire che un pugno di uomini ha guadagnato milioni e che i grandi capitalisti hanno ricavato enormi profitti. Senza dubbio: i grandi finanzieri l’hanno fatto prestando soldi all’Europa a un alto tasso di interesse e fornendo materiale da guerra e munizioni. Ma tu che c’entri?

Fermati un attimo a pensare a come l’Europa sta saldando all’America i suoi debiti finanziari o gli interessi che ci sono sopra. Lo fa spremendo gli operai per ricavarne più lavoro e più profitto. Pagando stipendi più bassi e realizzando beni a costi meno elevati i produttori europei possono vendere a prezzi più bassi rispetto ai concorrenti americani, che a loro volta sono costretti a produrre a costi minori. Qui entrano in gioco l’“economia” e la “razionalizzazione” e di conseguenza tu devi lavorare più duramente o subire una riduzione dello stipendio, oppure farti licenziare del tutto. Lo vedi come i bassi salari in Europa influiscono direttamente sulla tua condizione? Ti rendi conto che tu, lavoratore americano, stai contribuendo a pagare ai banchieri americani gli interessi sui loro prestiti europei?

Ci sono persone che affermano che la guerra è un bene perché alimenta il coraggio fisico. E un’argomentazione stupida.

La sostengono solo coloro che non sono mai stati in guerra e che hanno lasciato che fossero altri a combattere per loro. È anche disonesta, perché induce i poveri creduloni a combattere per gli interessi dei ricchi. Chi ha davvero combattuto in battaglia ti dirà che la guerra moderna non ha nulla a che vedere con il coraggio individuale: è un conflitto di massa, a grande distanza dal nemico. Gli scontri personali, in cui vince il migliore, sono estremamente rari. Nella guerra moderna non vedi i tuoi avversari: combatti alla cieca, come una macchina. Vai in battaglia spaventato a morte, temendo che in qualsiasi momento potresti essere fatto a pezzi. Ci vai solo perché non hai il coraggio di rifiutarti.

L’uomo che riesce ad affrontare la diffamazione e il disonore, a opporsi al sentimento popolare e persino ai suoi amici e al suo paese quando sa di essere nel giusto, a sfidare l’autorità, a sopportare la pena e il carcere senza vacillare – quello è un uomo coraggioso. La persona che deridi come “scansafatiche” perché si rifiuta di diventare un assassino — è coraggiosa.

Ma c’è bisogno di tanto coraggio per obbedire agli ordini, per fare quello che ti viene detto e cadere assieme a migliaia di altri accompagnato dall’approvazione generale e dalla “Star Spangled Banner”? [1]

La guerra paralizza il tuo coraggio e smorza lo spirito della vera virilità. Degrada e instupidisce dandoti la sensazione di non essere responsabile, che “non sta a te darti risposte, né domandarti il perché, ma solo combattere e morire”, come le centinaia di migliaia di altre persone condannate come te.

Guerra significa cieca obbedienza, sconsiderata stupidità, rozza insensibilità, distruzione gratuita, irresponsabile omicidio.

Ho conosciuto gente che diceva che la guerra è un bene perché uccide molte persone, cosicché c’è più lavoro per chi sopravvive.

Pensa che terribile accusa è questa contro il sistema vigente.

Immagina uno stato di cose in cui per una certa comunità sia un bene che alcune sue componenti siano eliminate, così il resto può vivere meglio! Non è questo il peggiore sistema antropofago, il peggiore cannibalismo?

Il capitalismo è proprio questo: un sistema di cannibalismo in cui l’uomo divora il suo simile o ne viene divorato. Questo vale per il capitalismo sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, solo che in guerra la sua vera natura è smascherata e più evidente.

In una società razionale e umana questo non potrebbe avvenire. Al contrario, l’aumento della popolazione di una certa comunità sarebbe un bene per tutti, perché il lavoro di ogni individuo sarebbe minore.

In questo senso una comunità non è diversa da una famiglia.

Per soddisfare i propri bisogni ogni famiglia deve portare a termine una certa quantità di lavoro. Quindi più persone ci sono in una famiglia per svolgere il lavoro necessario, più questo è facile e meno pesante per ogni membro.

Lo stesso vale per una comunità o per un paese, che non sono altro che una famiglia su larga scala. Più persone ci sono per svolgere il lavoro necessario a soddisfare i bisogni della comunità, più semplice è il compito di ogni membro. [2]

Se nella società odierna è vero il contrario, si conferma il fatto che le condizioni sono sbagliate, barbare, perverse. Anzi, di più: sono assolutamente criminali se il sistema capitalista può prosperare sul massacro dei suoi membri.

E evidente, dunque, che per il lavoratore la guerra implica solo oneri maggiori, più tasse, lavoro più duro e l’abbassamento dei livelli di vita precedenti alla guerra.

Ma c’è un elemento nella società capitalista per cui la guerra è un bene. È quell’elemento che conia denaro dalla guerra, che si arricchisce sul tuo “patriottismo” e sul tuo sacrificio personale. Sono i fabbricanti di munizioni, coloro che speculano sul cibo e su altri beni, i costruttori di navi da guerra. In breve, sono i grandi signori della finanza, dell’industria, del commercio gli unici a beneficiare della guerra.

Per loro la guerra è una benedizione. E in più di un senso. Perché la guerra serve anche a distogliere l’attenzione delle masse lavoratrici dalla loro miseria quotidiana e dirigerla verso l’“alta politica” e il massacro di esseri umani. I governi e i sovrani spesso hanno cercato di evitare sommosse popolari e rivoluzioni organizzando una guerra. La storia è piena di esempi del genere. Naturalmente la guerra è un’arma a doppio taglio. Di frequente finisce per portare essa stessa alla rivolta. Ma questa è un’altra storia cui torneremo quando arriveremo alla Rivoluzione russa.

Se mi hai seguito fino qui devi esserti reso conto che la guerra è un diretto risultato e un effetto inevitabile del sistema capitalista proprio come le crisi sistematiche del settore finanziario e industriale.

Quando si verifica una crisi, nel modo in cui l’ho descritta, con il suo carico di disoccupazione e avversità, ti dicono che non c’è un colpevole, che sono “tempi difficili”, che è il risultato della “sovrapproduzione” e fandonie del genere. E quando la competizione capitalista per il profitto causa una condizione di conflitto, i capitalisti e i loro leccapiedi — i politici e la stampa — lanciano il grido “Salva il tuo paese!” in modo da riempirti di falso patriottismo e farti combattere le battaglie al posto loro.

In nome del patriottismo ti ordinano di non essere più dignitoso e onesto, di non essere più te stesso, di sospendere il tuo giudizio, di rinunciare alla tua vita, di diventare un ingranaggio privo di volontà in una macchina omicida, obbedendo ciecamente all’ordine di uccidere, di saccheggiare e di distruggere; di abbandonare tuo padre e tua madre, tua moglie e tuo figlio e tutti coloro che ami e di procedere al massacro dei tuoi simili che non ti hanno mai fatto del male

— che sono solo vittime sfortunate e illuse dei loro padroni proprio come te.

Aveva fin troppa ragione Carlyle a dire che “il patriottismo è il rifugio delle canaglie”.

Non vedi come ti ingannano e si fanno beffe di te?

Prendi la guerra mondiale, per esempio. Pensa a come gli americani sono stati ingannati per partecipare. Non si volevano immischiare negli affari europei. Ne sapevano poco e non gli interessava farsi trascinare in risse omicide. Elessero Woodrow Wilson con lo slogan “ci ha tenuti fuori dalla guerra”.

Ma i plutocrati americani si accorsero di quali immense fortune avrebbero potuto ottenere in guerra. Non erano soddisfatti dei milioni che rastrellavano vendendo munizioni e altri approvvigionamenti ai combattenti europei; profitti incommensurabilmente maggiori potevano essere ottenuti buttando nella mischia un paese grande come gli Stati Uniti, con i suoi oltre cento milioni di abitanti. Il presidente Wilson non ha potuto resistere alla loro pressione. Dopotutto il governo non è altro che il servo dei poteri finanziari: è li per obbedire ai loro ordini.

Ma come hanno potuto trascinare l’America in guerra quando la sua popolazione era espressamente contraria? Non aveva eletto Wilson come presidente in base alla chiara promessa di tenere il paese fuori dalla guerra?

In passato, sotto le monarchie assolute, i sudditi erano semplicemente costretti a obbedire agli ordini del re. Ma questo spesso comportava il rischio di resistenze e ribellioni.

Nell’età moderna ci sono mezzi più sicuri e prudenti per asservire le persone agli interessi dei loro governanti. Non bisogna fare altro che convincerli a credere di volere ciò che in realtà vogliono i loro padroni; dirgli che è per il loro interesse, per il bene del loro paese, per il bene dell’umanità.

In questo modo i nobili e raffinati istinti dell’uomo sono indotti a fare il lavoro sporco della classe patronale capitalista, con vergogna e danno per il genere umano.

Le invenzioni moderne favoriscono questo gioco e lo rendono relativamente facile. La stampa, il telegrafo, il telefono e la radio sono tutti ausili preziosi in questa faccenda. Il genio umano, che ha prodotto tali meraviglie, è sfruttato e umiliato per gli interessi di Mammona e di Marte.

Il presidente Wilson inventò un nuovo stratagemma per incastrare il popolo americano nella guerra a beneficio del Grande Capitale. Woodrow Wilson, ex-rettore dell’università, scoprì una “guerra per la democrazia”, una “guerra per mettere fine alla guerra”. Con questo motto ipocrita venne lanciata una campagna in tutto il paese, per risvegliare le peggiori inclinazioni all’intolleranza, alla persecuzione e all’omicidio nei cuori americani; riempendoli di veleno e di odio contro chiunque avesse il coraggio di esprimere un’opinione onesta e indipendente; picchiando, incarcerando e deportando chi osava dire che si trattava di una guerra capitalista per il profitto. Chi per motivi di coscienza contestava il sacrificio della vita umana era brutalmente maltrattato come “disertore” e condannato a lunghi periodi di detenzione; gli uomini e le donne che ricordavano ai propri compatrioti il comandamento del nazareno, “Non ammazzare”, erano marchiati come codardi e rinchiusi in prigione; i radicali che dichiaravano che la guerra era solo nell’interesse del capitalismo erano trattati come “crudeli stranieri” e “spie del nemico”.

Leggi speciali vennero emanate precipitosamente per reprimere ogni libera espressione del pensiero. Dall’Atlantico al Pacifico i nazionalisti fanatici, ebbri di patriottismo omicida, seminarono il terrore. Il paese intero fu colto dalla furia dello sciovinismo. Alla fine la propaganda militarista nazionale trascinò il popolo americano sul campo della carneficina.

Wilson era “troppo orgoglioso per combattere”, ma non per mandare gli altri a guerreggiare per i suoi sostenitori finanziari. Era “troppo orgoglioso per combattere” ma non per aiutare i plutocrati del paese a coniare oro dalle vite di settantamila americani caduti sui campi di battaglia europei.

La “guerra per la democrazia” e la “guerra per mettere fine alla guerra” si dimostrarono la più grande ipocrisia della storia.

Di fatto provocarono una catena di nuove guerre che non si è ancora arrestata. In seguito è stato ammesso, persino dallo stesso Wilson, che la guerra non aveva avuto altro scopo che quello di rastrellare enormi profitti per il Grande Capitale.

Creò più complicazioni negli affari europei di quante ce ne fossero prima. Impoverì la Germania e la Francia e le portò sull’orlo della bancarotta nazionale. Caricò le popolazioni europee di enormi debiti e pose fardelli insostenibili sulle spalle delle classi operaie. Le risorse di ogni paese furono spremute al massimo. I progressi della scienza registrarono solo nuove capacità distruttive. Il precetto cristiano fu messo alla prova dalla moltiplicazione del massacro e i trattati furono siglati con il sangue umano.

La guerra mondiale produsse enormi fortune per i signori della finanza – e tombe per i lavoratori.

E oggi? Oggi siamo ancora sull’orlo di una nuova guerra, molto più grande e terribile dell’ultimo olocausto. Tutti i governi si stanno preparando e si stanno appropriando di milioni di dollari, frutto del sudore e del sangue dei lavoratori, per far fronte all’imminente carneficina.

Pensaci, amico mio, e guarda ciò che il capitale e il governo stanno facendo per te, a te.

Presto ti chiameranno di nuovo a “difendere il tuo paese!”

In tempo di pace sei schiavizzato nei campi e nelle fabbriche, in guerra servi come carne da macello — tutto per la gloria sempre maggiore dei tuoi padroni.

Eppure ti dicono che “va tutto bene”, che è “la volontà di Dio”, che “deve essere così”.

Non vedi che non si tratta affatto della volontà di Dio, ma delle azioni del capitale e del governo? Non vedi che è così e “deve essere così” solo perché tu possa consentire ai tuoi padroni industriali e politici di ingannarti e di beffarti, così che loro possano vivere negli agi e nel lusso grazie alla tua fatica e alle tue lacrime, mentre ti trattano come “gentaglia”, “di grado inferiore”, buono solo a fare loro da schiavo?
[…]

Note
[1] “La bandiera adorna di stelle”, inno nazionale degli Stati Uniti d’America [N.d.T.]
[2] Non c’è mai stato alcun pericolo di sovrappopolare la terra. La natura ha i suoi metodi per evitarlo. Ciò di cui c’è bisogno è una distribuzione più razionale della popolazione, un’agricoltura intensiva e un controllo delle nascite più intelligente.

Nota bibliografica sul libro “L’ABC dell’anarco-comunismo” curata dal Gruppo Anarchico Galatea.
“Now and After: The ABC of Communist Anarchism” di Alexander Berkman venne pubblicato nel Maggio 1929 dalla “Jewish Anarchist Federation” e “Vanguard Press” – casa editrice statunitense che pubblicò libri radicali, socialisti e sindacalisti.
La seconda edizione del libro venne pubblicata nell’Agosto del 1937 dal “Fraye arbayṭer shṭime” – settimanale anarchico in lingua yiddish pubblicato a New York City dal 1890 al 1977.
Nell’edizione di “Freedom Press” – casa editrice dell’omonimo giornale anarchico inglese – di Londra del 1942, il libro di Berkman venne pubblicato come “ ABC of Anarchism”; “per motivi di spesa”, scrivono nella “Publisher’s Note”, “la prima parte è stata omessa”. Da questa edizione e le successive ristampe (1945, 1964, 1968, 1971, 1977, 1980), “Freedom Press” non pubblicò la prima parte; solo la “Phoenix Press” di Londra pubblicò la sola prima parte come “What is Communist Anarchism?” nel 1989.
La ristampa integrale della prima edizione del 1929 (con annessa prefazione di Goldman dell’edizione del 1937) venne pubblicata dalla “Dover Publications” nel 1972 come “What is Communist Anarchism?” e rieditata nel 2005 dalla “Courier Corporation” come “The ABC of Anarchism”.
In Italiano vennero tradotti e pubblicati alcuni capitoli del libro di Berkman su “Volontà. Rivista Mensile”:
-1946: n. 1, “Principi e Pratica, capitolo XXVIII”; n. 2, “Preparazione rivoluzionaria, capitolo XXVI”; n. 5, “Consumi e Scambi, capitolo XXIX” (prima parte) ;
-1947: n. 7, “Consumi e Scambi, capitolo XXIX” (seconda ed ultima parte); n. 12 “La produzione, capitolo XXX”.
Nel 2015 Novadelphi pubblica la versione completa e tradotta in italiano del libro di Berkman, con un saggio di Roberto Carocci e la prefazione di Emma Goldman.

Fonti consultate
Volontà. Rivista Mensile.
Evelyn Shrifte Collection relativo alla Vanguard Press, depositato presso la Syracuse University
Sul “⁨⁨Fraye arbayṭer shṭime” (“⁨פרייע ארבייטער שטימע⁩⁩“):
Datenbank des deutschsprachigen Anarchismus,, DadA-Periodika, doc. n.: DA-P0001191;
The National Library of Israel

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Catania: il degrado e il decoro della civiltà

Il 17 Marzo, la polizia locale e i servizi sociali del Comune di Catania, supportati dall’azienda di raccolta dei rifiuti solidi urbani “Dusty”, fanno un “blitz” contro le persone senza tetto di Corso Sicilia e Piazza della Repubblica.

L’azione perpetrata, si legge in certi articoli del mainstream locale, è stata per “riportare a condizioni di vivibilità accettabili” le zone fatte oggetto della pulizia.
Per Andrea Barresi, assessore all’Ambiente, Servizi Demografici e Polizia Locale e presente durante questo “blitz”, “non possiamo permettere tutto ciò e abbiamo ripristinato il decoro della zona. Abbiamo trovato di tutto: da materassi a ingombranti e stiamo bonificando le aree occupate. Interverremmo ogni volta che vedremo occupazioni del genere perché non saranno permesse né tollerate e abbiamo risposto alle esigenze dei cittadini che chiedevano sicurezza e di poter fruire della piazza.

Le parole di Barresi trovano il plauso di Pietro Ivan Maravigna che, oltre a riportare nel gruppo facebook pubblico “La vergogna di Corso Sicilia” le foto dello sgombero e della pulizia dell’area, immortala, con tanto di video, il ritrovamento di una cassaforte all’interno di una tenda di una persona senzatetto.

Il centro cittadino catanese è, da più di settant’anni anni, oggetto di mire borghesi: prima edilizie con lo sventramento di San Berillo e, successivamente, di espletamento dei servizi (immobiliare, finanziario e ristorativo-turistico).
A differenza di ciò che è successo il 12 Febbraio di quest’anno [1], l’atto legale e di “pulizia” fatto da Barresi conferma un tipo di pensiero comune e collettivo che gravita tra il perbenismo e la voglia di riprendere gli affari della zona.

Immobile ti amo…
Secondo i dati del Secondo Semestre del 2021 dell’“Osservatorio del Mercato Immobiliare” (OMI) dell’Agenzia delle Entrate, nella zona in cui ricadono le abitazioni civili di Corso Sicilia e Piazza della Repubblica [2], il valore di vendita è tra un minimo di 1200 ed un massimo di 1800 euro/m²; di locazione mensile, invece, tra un minimo di 4 ed un massimo di 6 euro/m².

Se questi che abbiamo visto sono i dati delle abitazioni civili, per gli immobili a destinazione commerciale dello stesso periodo trattato dall’Agenzia delle Entrate troviamo:
1) per la vendita
-conservazione ottimale: minimo 2400 euro/m²; massimo 4200 euro/m²;
-conservazione normale: minimo 1200 euro/m²; massimo 2400 euro/m².
2) per la locazione mensile
-conservazione ottimale: minimo 15,7 euro/m²; massimo 27,8 euro/m²;
-conservazione normale: minimo 8euro/m²; massimo 16euro/m².

I dati esposti dall’OMI sono indicativi e servono come supporto (e non sostitutivo) nello stimare il valore dell’immobile.
In tal modo i proprietari e le agenzie che seguono le contrattazioni, riescono a fare dei calcoli dei prezzi medi – derivanti dall’andamento del mercato specifico, dalla zona in cui sorge la struttura e dalla destinazione ad uso finale -, rendendole così appetibili all’acquirente o all’affittuario.

Guardando i dati dell’aggregatore di annunci immobiliari “Caasa” – in cui si trovano quasi tutti i principali portali immobiliari italiani -, i prezzi medi degli appartamenti del centro storico cittadino catanese in vendita sono di 1200 euro/m², mentre quelli per l’affitto mensile sono di 8,5/m². Per i locali commerciali della citata zona, invece, la vendita si aggira intorno ai 1300 euro/m², l’affitto mensile a 11,8 euro/m².

Dal sito di Immobiliare.it, i prezzi di locazione mensile per i soli appartamenti delle zone di Corso Sicilia e Piazza della Repubblica sono stati altalenanti negli ultimi mesi, raggiungendo un punto basso nel periodo di Dicembre 2021-Gennaio 2022. Solo a partire da Febbraio vi è stato un rialzo a 8,11 euro/m² al mese. [3]

Vedendo i dati esposti,ci si accorge indicativamente del tentativo di speculazione al rialzo sugli immobili da affittare.
Una speculazione del genere è comprensibile se, oltre ad uffici e istituti finanziari presenti in Corso Sicilia e Piazza della Repubblica, vi sono supermercati della Grande Distribuzione Organizzata (Lidl, Decò e Penny).
La presenza di persone povere e senza un tetto equivale ad un abbassamento del valore di mercato. E per evitare tale danno, i proprietari di immobili spingono per allontanarli in qualsiasi modo.

…morto di fame ti odio!

A partire dagli anni sessanta del ventesimo secolo, alcuni quartieri delle grosse città mondiali divennero delle zone o territori in cui investire attraverso la trasformazione e l’abitabilità di una determinata classe sociale.
In particolare, le zone centrali delle città avevano una popolazione più povera, spesso disoccupata o sottoccupata, a cui si aggiungeva una pesante ghettizzazione (specie razziale, nei casi statunitensi, inglesi e francesi).

Il centro cittadino catanese, in particolare le due arterie prese in considerazione dallo sgombero, ha vissuto un momento tragico negli anni ‘50 quando, in nome di un risanamento da macerie e malattie (come la tubercolosi), venne costituito l’ “Istituto Immobiliare di Catania” al cui interno vi erano personaggi legati alla Democrazia Cristiana, la Società Generale Immobiliare della famiglia romana dei Rebecchini e il Banco di Sicilia.

L’investimento speculativo edilizio venne fatto passare in sordina da giornali locali come “La Sicilia” e, anzi, presentato come un’opportunità di modernizzazione della città.

I vecchi abitanti del quartiere vennero letteralmente deportati in quel che era la periferia della città (San Leone), sostituiti da una classe sociale medio-borghese quando vennero costruiti i palazzi di Corso Sicilia, Piazza della Repubblica, (parte del) Corso dei Martiri, Via Sturzo e Via Teocrito.

La sostituzione e, contemporaneamente, la creazione di un nuovo assetto economico e politico cittadino-regionale, ha fatto sì che quelle persone povere, magari nullatenenti e senza fissa dimora, venissero viste come elementi di disturbo agli affari e agli interessi della piccola e grande borghesia.

Lo sgombero della baraccopoli di Corso dei Martiri del 2013 [4] avvenne in un momento in cui vi era un interesse particolare per la riqualificazione di quei “buchi” risalenti allo sventramento di 60 anni prima. Gli abitanti vennero intercettati da quelle associazioni di assistenza col patrocinio del Comune.

Nonostante i progetti presentati negli ultimi dieci anni si siano arenati di fronte a problemi politici o giudiziari-amministrativi, i “buchi” di Corso dei Martiri sono rimasti. Parte delle persone che vennero sfollate da quella situazione sono rimasti lì nelle vicinanze in quanto il centro cittadino offre una serie di servizi (strutture di assistenza, supermercati e il mercato giornaliero, per esempio) che la periferia non dà.

Le strutture per ospitare queste persone latitano. Pur essendoci numerose case sequestrate ai clan mafiosi, la gestione di queste non è ottimale e, anzi, va molto a rilento.

In un simile contesto, chi vive in tali condizioni può avere fiducia verso un’istituzione comunale che sgombera e sanziona attraverso la Polizia Locale e, contemporaneamente, dà un misero aiuto e scarica il tutto ad enti assistenziali, palesando tra l’altro la propria incapacità gestionale del patrimonio immobiliare?
Una logica del genere applicata a queste soggettività che vivono senza un tetto è una cosa tipicamente e squisitamente repressiva e borghese: dimostra un preciso disegno criminoso e odioso che è quello di avvantaggiare dei gruppi di potere politico-economico.

Note
[1] L’associazione Arbor-Unione per gli Invisibili di Catania ha riportato, con un post su facebook, l’azione incendiaria fatta da un proprietario di un locale vicino Piazza della Repubblica su un materasso appartenuto ad una persona senzatetto.
Link: https://web.archive.org/web/20220317153433/https://newsicilia.it/catania/cronaca/avrebbe-dato-fuoco-agli-oggetti-dei-senza-tetto-incendio-nel-centro-storico-di-catania/753447
[2] Zona B6 “Centrale/C.so Sicilia, P.zza Repubblica, C.so Martiri, Sturzo, Teocrito, Di Prima, P.zza Giovanni XXIII, Stazione Centrale”
[3] Vedasi il grafico del prezzo medio d’affitto.
Link: https://www.immobiliare.it/mercato-immobiliare/sicilia/catania/liberta-stazione-fiera/
[4] “La baraccopoli di |Corso Martiri della Libertà”, LiveSicilia, 7 Febbraio 2013
Link: https://web.archive.org/web/20220318025402/https://livesicilia.it/la-baraccolpoli-di-corso-martiri-della-liberta/“Catania – Corso dei Martiri, i primi passi e l’ostacolo della baraccopoli”, QdS, 9 Febbraio 2013
Link: https://web.archive.org/web/20220318025427/https://qds.it/11902-catania-corso-dei-martiri-i-primi-passi-e-l-ostacolo-della-baraccopoli-htm/

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Ogni tempesta inizia con una singola goccia. Due persone cadute in Rojava

Testo originale: Every Storm Begins with a Single Raindrop.In Memory of Two Who Fell in Rojava

Lorenzo Orsetti e Ahmed Hebeb nei pressi di Baghuz nel marzo 2019

Questo elogio onora le vite di Lorenzo Orsetti e Ahmed Hebeb, uccisi durante gli ultimi giorni dei combattimenti contro lo Stato Islamico nel marzo 2019.

Lorenzo Orsetti
Tre anni fa, il mio amico Lorenzo Orsetti è stato ucciso in azione durante la battaglia di Baghuz Fawqani, mentre lottava con le Forze Democratiche Siriane contro l’ultimo bastione dello Stato Islamico in Siria. Prima che passi altro tempo, vorrei dire poche parole in sua memoria.
Lorenzo era un anarchico proveniente da Firenze, in Italia. Al momento della sua morte, lui ed io eravamo membri del Tekoşîna Anarşîst, un gruppo di anarchici internazionali che partecipavano alla rivoluzione in corso nel nord-est della Siria, altrimenti noto come Rojava.
Ho incontrato Lorenzo durante il mio primo giorno in Siria, e sono stato con lui per quasi ogni giorno nei suoi ultimi sei mesi di vita. Finché non è morto, non ho mai saputo il suo vero nome, né da dove venisse esattamente. Per me lui era Tekoşer Piling— quello era il suo nome da battaglia, che in Kurdo Kurmanji significa “Tigre che lotta”.
In un certo senso, Lorenzo ed io ci conoscevamo molto poco. Durante tutto il tempo che abbiamo passato insieme, raramente abbiamo discusso dei nostri sentimenti, del futuro, o delle nostre vite passate. Nonostante ciò, eravamo compagni d’armi. Abbiamo servito nella stessa unità, dormito nella stessa stanza, ci siamo addestrati ed allenati insieme ogni mattina, ci siamo alternati nei turni di guardia ogni notte, condiviso centinaia di pasti e migliaia di tazze di te, ci siamo alternati nelle mansioni, [cleaned up after each other], e schierati in prima linea insieme due volte, dove siamo sopravvissuti a diversi scontri a fuoco e a vari incontri ravvicinati con la morte. Ho affidato la mia vita a Lorenzo e lui non mi ha mai deluso.

Cosa posso dire per rendere giustizia a Heval Tekoşer?
Prima di tutto, dirò che Lorenzo era un rivoluzionario per le sue azioni e per le sue convizioni, e che era molto coraggioso. Non è venuto in Rojava per fare soldi, per vivere della generosità del movimento, o per diventare famoso su internet. Ha preso seriamente il suo dovere come internazionalista. Per l’anno e mezzo che ha servito in Siria, si è reso volontario per ogni singolo incarico possibile, da Afrin a Deir Ezzor, da una parte all’altra dei territori liberati. In diversi tempi e luoghi, ha combattuto con le Unità di Protezione Popolari (YPG), prevalentemente curde, con l’organizzazione comunista turca TIKKO, con le unità arabe delle Forze Democratiche Siriane, con le forze antifasciste ad Afrina, e con Tekoşîna Anarşîst. Non stava scherzando. Al tempo in cui è morto, era un veterano navigato ed ampliamente rispettato, ben conosciuto come il primo nelle linee di fuoco e l’ultimo ad andarsene. Avevo cominciato a credere che Lorenzo fosse a prova di proiettile, finché non lo fu più.
Detto ciò, Lorenzo non era affatto un soldato di ventura ad una dimensione. Non amava la guerra per se stessa. Leggeva e scriveva costantemente. Ha studiato storia, politica, lingue, teoria, tattiche e strategia. La sua conoscenza del Kurmanji era decente e stava imparando l’arabo. Sapeva per cosa stava lottando e credeva veramente ai principi dell’autonomia, dell’ecologia e della liberazione delle donne che abbiamo visto mettere in pratica in Rojava, per quanto in maniera imperfetta. Ha vissuto secondo I suoi principi, ed è morto per essi.

Oltre alla sua notevole abilità come combattente per la libertà, Lorenzo era un essere umano notevole in tutti i sensi. Cuoco di professione, preparava regolarmente pasti deliziosi con razioni di base. Per i compleanni e le occasioni speciali, rintracciava ingredienti migliori e passava ore a preparare gnocchi e salse deliziose partendo da zero. Parlava bene l’inglese, anche se non proprio fluentemente, condendolo con favolosi malapropismi, idiomi italiani e particolari giri di parole. Riusciva a comunicare il suo punto di vista in una riunione con una precisione brutale, usando la metà delle parole che userebbe un madrelingua inglese. Era veloce ad arrabbiarsi e veloce a perdonare, capace di sparare una raffica di insulti da far rizzare i capelli quando veniva provocato e di dimenticare completamente l’incidente in pochi minuti. Lorenzo amava i cani ed era particolarmente gentile con i cuccioli. Aveva un debole per la techno strana, i nasheed jihadisti e la canzone “Live By The Gun” di Waka Flocka Flame. Era basso e tarchiato, coperto di tatuaggi e un maestro di livello mondiale del videogioco “Warhammer 40.000: Dawn of War III”. Se c’era un momento in cui non c’era niente di più importante da fare, si accontentava di avvolgersi in una coperta, stendersi sul pavimento, tirare fuori il suo telefono e combattere contro gli orchi del Tartaro, una pratica che – per ragioni che mi sfuggono – chiamava “pompare il mio cannone”. Era uno vero.

Molti dei miei ricordi più vividi di Lorenzo, e del Rojava in generale, ruotano intorno al sonno e alla sua mancanza [1]. Nella mia mente, lui è il piccolo tizzone incandescente di una sigaretta che emerge dall’oscurità, a lungo atteso, che viene a sollevarmi dalla mia posizione e a dirmi che finalmente posso riposare. Şev baş, heval.
Lorenzo è stato ucciso il 18 marzo 2019, nell’ultimo giorno dell’ultima battaglia dell’ultimo grande impegno della guerra territoriale contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria. Ero appena tornato dal fronte di Baghuz Fawqani. Lui è partito per quel fronte la notte in cui sono tornato da lì. Ci siamo detti serkeftin, ci siamo abbracciati, e così è stato. In pochi giorni, Baghuz era caduta e Lorenzo era una leggenda e un martire.

Adesso sono passati tre anni. Proseguo la mia vita nell’oscurità, circondato dai miei cari. Vorrei che Lorenzo fosse tornato a casa dalla Siria, come me. Vorrei avere il suo numero nel mio telefono e poter sentire di nuovo la sua voce. Tuttavia, credo che ci sono cose in questa vita per cui vale la pena morire. Dal punto di vista della società civile del Rojava, non credo che ci fosse nulla da fare contro l’ISIS se non sconfiggerlo con mezzi militari. Qualcuno doveva farlo. Lorenzo ha fatto la sua parte. [2]

Ai suoi cari di Firenze, vorrei dire che anch’io tenevo a Lorenzo a modo mio. Come io e i miei amici abbiamo detto nella nostra prima dichiarazione dopo la sua morte: “una parte di noi è morta con lui, e una parte di lui vive con noi”. Speriamo che siate orgogliosi di lui e che possiate capire le scelte che ha fatto. Lascio al lettore le ultime parole di Lorenzo, tradotte per i posteri dai suoi amici riuniti intorno a un tavolo spoglio da qualche parte nel nord della Siria il 18 marzo 2019. Riposa bene, heval.

Ciao.
se state leggendo questo messaggio è segno che non sono più a questo mondo. Beh, non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così; non ho rimpianti, sono morto facendo quello che ritenevo più giusto, difendendo i più deboli e rimanendo fedele ai miei ideali di giustizia, eguaglianza e libertà.
Quindi nonostante questa prematura dipartita, la mia vita resta comunque un successo e sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Vi auguro tutto il bene possibile e spero che anche voi un giorno (se non l’avete già fatto) decidiate di dare la vita per il prossimo, perché solo così si cambia il mondo.
Solo sconfiggendo l’individualismo e l’egoismo in ciascuno di noi si può fare la differenza. Sono tempi difficili lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo.
Anche quando tutto sembra perduto e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni.
È proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve.
ricordate sempre che “ogni tempesta comincia con una singola goccia”. Cercate di essere voi quella goccia.
Vi amo tutti, spero farete tesoro di queste parole.
Serkeftin!
Ⓐ︎ Orso, Tekoşer, Lorenzo.


Ahmed Hebeb

Lorenzo Orsetti cadde in battaglia fianco a fianco con un combattente arabo di nome Ahmed Hebeb. Quelli di noi della Tekoşîna Anarşîst lo conoscevano come Rafiq Şamî. Non era una coincidenza che fossero insieme quel giorno. Lorenzo e Ahmed si conoscevano bene dalle precedenti quattro rotazioni di Lorenzo a Deir Ezzor. Durante una di queste occasioni, Ahmed si è spogliato fino ai boxer, contando per noi dalla testa ai piedi ventisette diverse ferite che aveva ricevuto combattendo l’ISIS nel corso degli anni. Lorenzo voleva essere dove c’era l’azione, e Ahmed sapeva sempre dove trovarla. Sono morti insieme, in una pioggia di proiettili con entrambe le pistole che sparavano, fornendo fuoco di copertura a un gruppo di loro compagni che si stavano ritirando di fronte a un disperato contrattacco dell’ISIS. Ahmed è stato decapitato. Per qualche motivo, Lorenzo non lo fu.
Alla cerimonia şehid di Ahmed, io e i miei amici abbiamo aiutato a portare il suo feretro. I suoi amici e la sua famiglia erano inizialmente confusi sul perché un gruppo di stranieri si fosse materializzato al memoriale del loro caro. Il mio arabo è atroce, ma ho tirato fuori le foto sul mio telefono di Ahmed, Lorenzo ed io insieme nel deserto di Deir Ezzor. “Şamî!” ho detto. “Tekoşer! Heval! Rafiq! Şehid!”.
La rivoluzione in Rojava e la guerra contro l’ISIS in quella parte del mondo sono state spesso ritratte in Occidente in termini orientalisti e islamofobici – specialmente dai reazionari, ma anche da alcuni esponenti della sinistra e anarchici. I curdi sono stati feticizzati e romanticizzati – sono ritratti come un blocco, come “l’unica gente sana laggiù”, mentre gli arabi sono disumanizzati e ritratti come pazzi simpatizzanti del terrorismo. [3] Questo è particolarmente irritante per me perché – mentre non posso parlare per altri tempi e luoghi durante la guerra – la realtà di ciò che ho visto a Deir Ezzor nell’inverno del 2018 e 2019 è che la stragrande maggioranza dei soldati che hanno sofferto di più e sono morti per cancellare l’ISIS dalla mappa erano arabi sunniti come Ahmed. I bigotti e gli sciocchi possono dire quello che vogliono sugli arabi e sulle persone provenienti dalle società islamiche in generale, ma quello che ho visto è che quando alcuni dei jihadisti più malvagi di tutto il mondo convergevano nel nord-est della Siria per perseguire un programma di stupro e genocidio, moltissimi arabi sunniti, compreso Ahmed Hebeb, hanno preso le armi per fermarli.

Ahmed ha dato la sua vita impegnandosi a combattere con persone che la guerra aveva reso folli, persone che avevano scelto di farsi nemici dell’umanità in generale. Molte di queste persone erano connazionali di Ahmed, persone che parlavano la stessa lingua e adoravano lo stesso Dio. Oggi, le condizioni che hanno mandato la Siria in guerra sembrano generalizzarsi al mondo intero. I difensori dello status quo neoliberale si stanno dimostrando privi di visione e di risposte. Mentre quelli di noi nel cosiddetto Occidente fanno i conti con le nostre versioni dell’ISIS in quest’epoca di etno-nazionalismo ascendente, solo il tempo dirà quante persone di buona coscienza nelle società cristiane saranno pronte a fare come Rafiq Şamî.
A nome di Tekoşîna Anarşîst, vorrei dire ad Ahmed e agli innumerevoli uomini e donne mediorientali come lui: non abbiamo dimenticato voi né le lezioni che ci avete dato.
Nello spirito di Ahmed e Lorenzo,
Un anarchico.

Note
[1] Lorenzo doveva essere svegliato in un modo molto particolare, un processo che alla fine sono arrivato a padroneggiare. Vedete, alcuni compagni vi ingannano quando arriva il momento di svegliarli per il turno di guardia, soprattutto quando hanno dovuto affrontare per mes la privazione cronica del sonno. Si siederanno in piedi e avranno un’intera conversazione con voi. Ma non sono veramente svegli. Non appena li lascerete, si sdraieranno di nuovo e si addormenteranno, prolungando la vostra guardia all’infinito e mangiandosi il vostro inestimabile tempo di sonno. Quindi dovete insistere, dovete pungolarli fino a che non siano in piedi, fino a che non siano completamente equipaggiati, fino a che non stiano effettivamente camminando con voi in direzione della loro postazione. Guai a chi tentasse di svegliare Lorenzo in questo modo.
Al contrario, non appena pronunciavate una sola parola a Lorenzo, egli si svegliava completamente. Non muoveva un muscolo, ma grugniva una volta. Con questo grugnito, potevi essere certo che sarebbe stato al suo posto esattamente dieci minuti dopo, senza sbagliare. Tuttavia, era di vitale importanza per lui avere questi dieci minuti per stare perfettamente immobile, fumare una sigaretta in silenzio e acclimatare la sua mente all’orribile fatto che non solo era sveglio, ma che doveva alzarsi. Come avrei imparato, se si commetteva l’errore di pungolarlo ulteriormente durante questo periodo, ci si trovava presto faccia a faccia con un italiano furioso e spaventosamente profano.
Eppure, a qualsiasi ora del giorno o della notte, ogni volta che accadeva qualcosa di legittimamente allarmante, come fuoco in arrivo, strane luci, il ronzio di un drone o esplosioni inaudite, lui poteva svegliarsi da un sonno morto e mettersi in posizione con la velocità di un ghepardo. Ci si poteva contare.
[2] Questo non significa che la sconfitta militare dell’ISIS in Iraq e Siria abbia risolto nessuna delle questioni che hanno dato vita all’ISIS in primo luogo. Non lo ha fatto. Abdullah Öcalan stesso una volta ha scritto che “le vittorie militari non possono portare la libertà; portano la schiavitù”. Secondo la mia osservazione, aveva ragione.
[3] Di fatto, la rivoluzione in Rojava non è un progetto etno-nazionalista, ma ideologico, come concordano praticamente tutti coloro che sono coinvolti nel movimento di liberazione curdo che conosco personalmente. Nessuno dei gruppi etnici o religiosi è monolitico. Ci sono curdi che si oppongono aspramente al movimento e arabi, assiri, armeni, turchi e altri che vi partecipano.

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Parole al vento

Sono passati 106 anni da quando venne pubblicato “Parole al vento” su “L’Appello” di Cleveland. All’epoca il primo conflitto mondiale era in pieno svolgimento da quasi due anni.
Le carneficine sui fronti europei erano la quotidianità. In campo anarchico si era assistito, il 26 Febbraio 1916, ad una profonda frattura con il famoso “Manifesto dei Sedici” in cui si prendevano le parti di uno dei due schieramenti belligeranti contrapposti.
Una delle critiche più conosciute verso questo Manifesto fu “Anarchici pro-governo” di Errico Malatesta. Ma ve ne furono altre, come “Parole al vento” firmato da “Ateo Rivolta” che presentiamo oggi sul nostro blog.
La lezione appresa durante e dopo il primo conflitto mondiale doveva essere un monito per qualsiasi persona anarchica nel non fare una scelta del meno peggio.
Specie se questo meno peggio rappresenta un potere capitalistico e statale pronto a passare alle armi la persona considerata “sovversiva”.
Eppure, in una fase guerreggiante come quella russo-ucraina si assiste per l’ennesima volta a questo errore di prassi e di strategia in cui ci si schiera con una delle due parti in causa.
Questi due schieramenti rappresentano quegli stessi poteri che reprimono i dominati e favoriscono una classe dominante e che banchettano sugli sfollati, sui feriti, sui morti e sulla distruzione degli edifici.
La Storia si ripete nuovamente.
Occorre ribadire, una volta per tutte, una posizione contraria verso i due schieramenti,opponendoci ad una guerra voluta da gruppi di potere.

L’Appello. Periodico mensile di Propaganda Anarchica”, Cleveland, Ohio, 15 Marzo 1916, A. 1, n. 1

Al principio della sanguinosissima conflagrazione europea – la più triste, feroce ed inumana che la storia di tutte le epoche ricordi – noi sperammo che i sovversivi intellettuali tutti – dai socialisti ai sindacalisti agli anarchici – fossero almeno rimasti coerenti ai loro principi demolitori e rivoluzionari, ed avessero predicato alle moltitudini lavoratrici scagliate le une contro le altre, per una causa a loro estranea, in una lotta fratricida e orrenda – la necessità di ribellarsi con tutti i mezzi contro la guerra e contro i governanti; e d’insorgere – ora che il momento della lotta era venuto – per l’affermazione delle nostre comuni idee di libertà, di eguaglianza e di benessere.

Invece non fu così.
Sorsero disgraziatamente degli individui, che alla propaganda delle nostre idee dedicarono con entusiasmo e sincerità impareggiabili la loro gioventù e che attraverso le galere di tutte le patrie e mille persecuzioni poliziesche e sofferenze innumerevoli e senza nome non piegarono mai la cervice, ammonire severamente i lavoratori ribelli e organizzati nelle grandi unioni di mestieri che alla guerra contro la Germania e l’Austria necessitava dare la gioventù e la vita.

Viva la guerra! gridarono allegramente parecchi sovversivi, se dopo la guerra rimarranno distrutti l’imperialismo e il militarismo teutonico.
Viva la guerra! continuarono ancora, se la Francia repubblicana democratica e semi-socialista potrà sconfiggere gl’imperi centrali, medioevali e barbari. E non si accorgevano che, così dicendo, quei nostri buoni compagni mettevano a soqquadro la logica e il buonsenso sovversivi.

E rinnegavano disgraziatamente, – in un periodo fosco e folle di reazione – il loro superbo passato rivoluzionario.
Noi lo diciamo apertamente, rudemente il nostro pensiero in proposito ché non teniamo peli sulla lingua e non abbiamo altarini di sorta da tutelare o venerare. Molte vittime nobili e generose ha mietuto fra le nostre fila la sciagurata propaganda guerrafondaia, incominciata da pochi compagni illustri e rispettabili per la loro sincerità insospettata ed insospettabile, fin dal principio della guerra europea.
Molti compagni giovani ed inesperti hanno passato il Rubicone della legalità ed indossato l’uniforme odiata del soldato volontariamente; ed hanno ucciso e sono stati uccisi sui campi sanguinosi di battaglia, maledicendo probabilmente il nome – negli ultimi fugaci momenti di vita fra le torture inenarrabili dell’agonia – di quei scrittori socialisti, anarchici e rivoluzionari che con sofismi obliqui, oscuri e problematici li spinsero al macello per la tutela degl’interessi capitalistici di una data terra.
Perchè è inutile negarlo e farci illusioni: La guerra che da diciannove mesi continua implacabile e che nella sua corsa sfrenata e irresponsabile stritola, divora e inghiotte quotidianamente milioni di vite e di energie preziosissime, non accenna ancora a finire; ed ha distrutto le poche libertà che si godevano prima della guerra in tutti i paesi della vecchia Europa. La libertà di stampa è latitante dappertutto; i plotoni d’esecuzione fanno giustizia sommaria dei militari ribelli che alla guerra orrenda non vogliono in alcun modo contribuire; la Francia repubblicana e l’Italia monarchica liberale di Gennariello racchiudono nelle loro mude tenebrose (così come del resto la Germania, l’Austria, la Turchia e…l’America baldraccamente ed ipocritamente neutrale fanno tutti i giorni dell’anno) i rivoluzionari e gli araldi impenitenti e sbarazzini; e l’Inghilterra democraticissima con la legge ultima della coscrizione militare obbligatoria ha fatto – complice mansueto e responsabile il proletariato sovversivo britannico – un salto allegro nel medioevo.

Viva la guerra!…..
Il grido osceno e disgraziato è stato purtroppo ripetuto e fatto proprio da gente senza cuore e dalla coscienza elastica che, sotto il manto del sovversismo rivoluzionario equivoco, qui in America, ha creato nuovi giornali allo scopo proficuo, inconfessato, di mandare al macello oltre l’Atlantico i lavoratori emigrati a cui la terra antica negò tutto.
E intanto chi ricorda in questa crisi immensa di uomini e di…idee le vittime nostre sconosciute, dimenticate e senza nome che il nemico tiene in ostaggio da lunga pezza?
Chi, in Italia, per esempio (tanto per nominare uno dei paesi belligeranti) ricorda più gli atti di D’Alba e di Masetti?
Chi pensa più ai martiri nostri audacemente caduti con la fronte alta e radiosa in faccia al nemico feroce e tracotante?
La grande guerra fascinatrice li ha cacciato tutti al letamajo e nel dimenticatoio i nostri uomini migliori d’azione e di pensiero, i nostri puri combattenti dei tempi migliori…

Viva la guerra!…
L’ora è a Rabagas…
Ma non per sempre.
Noi, malgrado tutto, non disperiamo ancora. Abbiamo troppa, immensa fede nei destini ultimi del proletariato per dubitarne. La guerra odierna dimostrerà ai nostri buoni vecchi sinceri compagni di fede il loro ultimo errore madornale e li condurrà ancora una volta a noi per combattere, come nei tempi migliori della loro giovinezza eroica, titanica e gloriosa, contro tutti i governi di tutto il mondo per il trionfo dell’anarchia e della rivoluzione sociale.

Sì! Noi ci auguriamo dal profondo del cuore che Cipriani, Tucker e Kropotkin ritornino a noi; e non vorremmo, no! che il nostro augurio lo disperdesse il vento.
Ma nell’attesa angosciosa intanto noi proseguiamo per la nostra strada, propagando fra le falangi lavoratrici che tutti i governi si equivalgono e che alle guerre di loro signori non bisogna dare mai – sotto qualunque pretesto – né un uomo né un soldo.
Alla nostra guerra soltanto – alla guerra cioè degli sfruttati contro gli sfruttatori – daremo tutto: anche la vita, con gioia, se occorre.
Noi non disperiamo. Il tempo è galantuomo e ci darà immancabilmente ragione.
Ateo Rivolta

Note storiche curate dal Gruppo Anarchico Galatea
Sul giornale “L’Appello”
Stando a ciò che riporta Bettini nella sua bibliografia, “L’Appello” era un mensile diretto da Calogero Speziale che durò dal 15 Marzo 1916 fino all’Agosto del 1917. La struttura del giornale era di quattro pagine a quattro colonne con un formato di 29,5 × 39,5 cm (tranne il n. 5, a. II (Agosto 1917) che era di 30,5 × 45,5 cm)
L’unica copia in nostro possesso de “L’Appello” è il n. 1, A. 1.
La prima pagina si apre con “Incominciando. Ai compagni d’America” di “Basheva” e “Parole al vento” di Ateo Rivolta (probabile pseudonimo di Calogero Speziale, il cui articolo occupa con una colonna pag. 2).
Nelle pagine due e tre vi sono gli articoli “Compagno di lavoro e di miseria!” di Chalinko, “Prosperità assassina [dialogo fra due operai]” di Sonia e “Gli anarchici e la Patria” di Pietro Gori (quest’ultimo occupa con una colonna pag. 4)
Nell’ultima pagina vi è un ricordo su “Giordano Bruno” di A. Pistillo, “Viva Crones!” di Ateo Rivolta, “Buffoni!” e “Lavoratori, in guardia!”
Fonti consultate
-Leonardo Bettini, “Bibliografia dell’anarchismo. Volume 1, tomo 2. Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati all’estero. 1872-1971”, 1976
-Christiane Harzig, “The Immigrant Labor Press in North America, 1840s-1970s: Migrants from southern and western Europe”, 1987

Su Calogero Speziale
Calogero Speziale è stato un anarchico siciliano originario di Santa Caterina Villarmosa (Caltanissetta). Nato nel 1889, Speziale emigra negli Stati Uniti nei primi anni 10 del Novecento. Fin da subito Speziale si lega al gruppo redazionale di “Cronaca Sovversiva” – in particolare con Umberto Postiglione -, per poi iniziare un giro di propaganda verso l’Ovest degli Stati Uniti dove dirige giornali come “La Campana” (1917) e il citato “L’Appello” (1916-1917).
Bettini segnala un articolo di Di Gaetano, “Tra i siciliani di Detroit” (in «La Parola del Popolo» (Chicago), Dicembre 1960 – Gennaio 1961, p. 74) in cui si menziona Speziale come animatore del gruppo anarchico di Detroit.
Per via di questa sua intensa propaganda a favore dei lavoratori e contro il conflitto mondiale, Speziale viene segnalato e controllato dal FBI.
Nel 1919 Speziale va in Messico dove un anno dopo, nel 1920, diventa cancelliere dell’Ambasciata Italiana in Messico. Speziale, durante questo periodo, interrompe qualsiasi attività politica tanto che nel 1936 viene “radiato” dalla “Rubrica di frontiera”. Nel Dicembre del 1939 si dimette da cancelliere come forma di protesta sugli intenti bellicosi di Mussolini – nonostante Speziale non battè ciglio sulle varie guerre in cui il regime partecipò (Spagna ed Etiopia).
Dopo questa data, non abbiamo altro materiale su Speziale.
Fonti consultate
-Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, Casellario politico centrale, busta 4909, fascicolo 044646, 1911-1936
-Ambasciate, legazioni e consolati del regno d’Italia all’estero, 1927
-Annuario ufficiale della Regia Aeronautica, 1928
-Annuario generale d’Italia guida generale del Regno, 1935
-Leonardo Bettini, “Bibliografia dell’anarchismo. Volume 1, tomo 2. Periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana pubblicati all’estero. 1872-1971”, 1976
-June Drenning Holmquist, “They Chose Minnesota. A Survey of the State’s Ethnic Groups”, 1981
-Department of Justice. Investigative Files Part II: The Communist Party, 1989, Bobine 20 e 25
-Philip V. Cannistraro e Gerald Meyer, “The Lost World of Italian American RadicalismPolitics, Labor, and Culture”, 2003
-Aurora Monica Alcayaga Sasso, “Librado Rivera y los hermanos Rojos en el movimiento social y cultural anarquista en Villa Cecilia y Tampico, Tamaulipas, 1915-1931”, 2006
-Franco Savarino Roggero, “Nacionalismo en la distancia: los italianos emigradosy el fascismo en México (1922-1945)”, “Pasado y Memoria. Revista de Historia Contemporánea”, n. 11, 2012, pp. 41-70

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Mangimi, speculazioni e animali allevati – Prima Parte

Secondo un report di fine anno della “Federation of European Compound Feed Manufacturers” (FEFAC) [1], la produzione di mangimi per animali da allevamento nell’Unione Europea del 2021 è stata stimata in 149,9 milioni di tonnellate. [2]
La flessione rispetto al 2020 – di cui la FEFAC riporta nel suo report -, è stata dello -0,16%; ciò è da imputarsi ai costi elevati dei prodotti cerealicoli ed alle varie malattie che hanno colpito gli allevamenti (quali peste suina e aviaria).

Nonostante questo dato, la FEFAC si dimostra comunque soddisfatta della situazione in generale perché la domanda è aumentata dopo la fase iniziale della pandemia e, soprattutto, i vari associati chiedono fonti proteiche certificate e verificate.

Prima dello scoppio della guerra russo-ucraina, le prospettive erano quelle di limitare le malattie presenti negli allevamenti e, al tempo stesso, tenere sotto controllo l’aumento dei prezzi cerealicoli e disposizioni di contenimento dell’attuale pandemia da Sars-Covid-20.

La regione del Mar Nero, inoltre, è un importante approvvigionamento di cereali e prodotti a base di semi oleosi per il mercato mondiale dell’alimentazione umana e non.
La sola Ucraina rappresenta il 16% delle esportazioni globali di mais e il 12% del grano. La produzione di mais, stando ai dati del 2021, si aggira intorno ai 42 milioni di tonnellate raccolti su 5,3 milioni di ettari. [3]

Come riportato in un comunicato congiunto tra FEFAC, COCERAL [4] e FEDIOL [5], l’Unione Europea importava, mediamente, fino al 2021 circa 11 milioni di tonnellate di mais dall’Ucraina; con la guerra in corso e l’annessa speculazione al rialzo, le tre sigle vogliono spingere le istituzioni europee a mantenere le catene di approvvigionamento attraverso misure di emergenza. [6]

L’attuale conflitto, però, ha fatto saltare il tappo a tutta una serie di accordi interni all’Unione Europea che si ripercuote sulla cosiddetta “ultima ruota del carro”: l’animale non umano allevato.

Prima di accingerci a parlare di questo, facciamo un piccolo quadro su ciò che sta accadendo.

Lamenti e speculazioni
L’aumento dei prezzi dei mangimi per gli animali d’allevamento ha spinto l’Ungheria a porre un blocco dell’export di cereali, soia e girasole verso i paesi dell’Unione Europea – Italia compresa.

Questa modalità dell’Ungheria sembra aver trovato un’emulazione in Bulgaria dove, al momento, ci si sta limitando al raccogliere e stoccare i cereali e prodotti vegetali.

Le associazioni di categoria italiane, di fronte alla spinta inflazionistica e alla mossa del paese governato da Orban e soci, si lamentano di questa situazione per bocca dei loro principali esponenti.

Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, oltre a lagnarsi del comportamento dell’Ungheria, traccia un quadro preoccupante, dove gli animali d’allevamento possono morire per denutrizione: “Siamo di fronte ad una nuova fase della crisi, dopo l’impennata dei prezzi arriva il rischio concreto di non riuscire a garantire l’alimentazione del bestiame. Da salvare ci sono tra l’altro 8,5 milioni di maiali, 6,4 milioni di bovini e oltre 6 milioni di pecore, oltre a centinaia di milioni di polli e tacchini. È a rischio il futuro della fattoria italiana se non vengono riconosciuti i giusto compensi che tengano conto dei costi di produzione sempre più alti, dalla bolletta energetica ai mangimi. Una crisi che colpisce un sistema che ogni giorno lavora per garantire un settore che complessivamente tra latte, carne e uova genera un giro d’affari di circa 40 miliardi di euro ed è ai primi posti nel mondo per qualità e sostenibilità. La stabilità della rete zootecnica italiana ha un’importanza che non riguarda solo l’economia nazionale ma ha una rilevanza sociale e ambientale. Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado dei territori soprattutto in zone svantaggiate, dall’interno alla montagna.

Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, invoca l’intervento della Commissione Europea affinché si respinga qualsiasi tentativo di protezionismo alimentare tra gli Stati membri dell’Unione: “a seguito dei drammatici avvenimenti in corso in Ucraina, i mercati internazionali delle principali materie prime agricole sono sotto pressione. Ma vanno respinte le iniziative nazionali unilaterali all’interno della UE. La capacità produttiva di cereali dell’Unione è tale da poter gestire anche questa difficilissima situazione. Serve però un coordinamento della Commissione, alla quale abbiamo già chiesto di rimuovere, in vista dei nuovi raccolti, i limiti all’utilizzo dei terreni agricoli. L’auspicio è che la crisi in Ucraina si risolva il più rapidamente possibile al tavolo negoziale. Dagli eventi in atto emerge comunque la necessità di verificare se le scelte fatte sulla nuova PAC siano idonee a salvaguardare la capacità produttiva europea e l’efficienza delle imprese che producono per il mercato. C’è anche un altro elemento a destare forte preoccupazione: nei giorni scorsi il ministero dell’Industria e del Commercio della Russia ha raccomandato agli operatori di sospendere le esportazioni di fertilizzanti. Le vendite all’estero di nitrato di ammonio sono già state bloccate fino ad aprile. Le conseguenze possono essere particolarmente pesanti sul piano della disponibilità e dei prezzi. Rischiamo una contrazione dei raccolti. La situazione va attentamente monitorata. Potrebbe rendersi indispensabile una reazione concertata in sede multilaterale per garantire al massimo le operazioni colturali in vista dei nuovi raccolti.

Michele Liverini, Presidente reggente dell’Associazione Nazionale tra i Produttori di Alimenti Zootecnici (ASSALZOO), spinge per un approvvigionamento delle materie prime agricole utili alla produzione mangimistica. Secondo Liverini, la situazione attuale consente di poter soddisfare la domanda per 20-30 giorni, dopodiché “sarà inevitabile il blocco della produzione mangimistica, con conseguenze devastanti per gli allevamenti, con la necessità di abbattimento degli animali presenti nelle stalle e il crollo delle produzioni alimentari di origine animale, come carni bovine, suine e avicole, latte, burro e formaggi, uova e pesce”.
Per tal motivo ASSALZOO ha proposto di incentivare la coltivazione di mais in Italia così da poter soddisfare la domanda di circa 9 milioni di tonnellate di prodotto destinato ad uso animale.

La Confederazione Italiana Agricoltori (CIA) con in testa il suo presidente, Dino Scanavino, è preoccupata in quanto senza mais ucraino e ungherese, le aziende che producono mangimi hanno scorte solo per 8 settimane. E a risentirne sarebbe tutto il comparto agro-alimentare di origine animale con conseguente aumento del prezzo di vendita al consumatore. Per la CIA il governo deve incentivare la coltivazione di prodotti vegetali destinati ad uso animale e, al tempo stesso, l’Unione Europea deve evitare qualsiasi forma di speculazione.

Secondo i dati dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo-Alimentare (ISMEA), il mercato delle carni (specie bovine e suine [7]) del 2021 è stato positivo nonostante la pandemia da Sars-Covid-20 (che ha causato, nel 2020, un calo delle vendite) e le malattie che imperversano, tuttora, nei vari allevamenti (quali peste suina, aviaria e blue tongue).

La ripresa di questa domanda a seguito delle vaccinazioni e allentamento delle restrizioni, però, si scontra sia con l’aumento delle richieste da parte degli allevatori di materie prime ed energetiche che con un problema strutturale italiano nella produzione di materie prime per i mangimi.

Non a caso, dai dati del 2020 di ASSALZOO, in Italia la sola produzione di mangimi ammontava a oltre 15 milioni di tonnellate, con un fatturato di 8 miliardi di euro (di cui 5,4 miliardi di euro per i soli mangimi). [8]
L’impennata della produzione e fatturazione rispetto al 2019, fa capire come il problema per i settori specifici sia quello di mantenere integra la filiera con tutti i suoi passaggi e di ottenere anche una sorta di indipendenza dall’importazione straniera.

Ciò non toglie, tuttavia, il problema che sta a monte: la speculazione sull’aumento dei prezzi dovuto a questo blocco dell’export di mais e altri prodotti vegetali.

Alla Borsa Merci di Bologna, principale punto di riferimento in Italia per le contrattazioni dei prodotti agricoli, il mais è passato nell’ultima settimana da 330 euro/tonnellata (3 Marzo) ai 405 euro/tonnellata (10 Marzo); idem altri prodotti destinati agli allevamenti. [9]

La questione ungherese è da inserirsi in un quadro molto più ampio: nel corso dei mesi scorsi, le materie prime vegetali sono aumentate costantemente e l’Italia, deficitaria da un punto di vista di produzione di materie prime per i mangimi, si ritrova in balia di questi giochi speculativi al rialzo – di cui l’Ungheria e, a stretto giro, la Bulgaria approfittano a piene mani.

Operazioni di questo tipo, in un momento in cui le domande di materie prime ed energetiche sono in aumento in campo agro-alimentare, favoriscono tutti quegli operatori che acquistano e rivendono al maggior prezzo le commodities agricole [10], guadagnando sulla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto.

La mossa di Orban e soci rientra, nella fattispecie, in questo gioco di rivendere al prezzo più alto la fonte primaria dei mangimi, ottenendo il massimo guadagno possibile.

ASSALZOO e Coldiretti propongono di fermare questa speculazione al rialzo attraverso incentivi statali per le coltivazioni vegetali da destinare ad uso animale, lo sblocco di 1,2 miliardi per i contratti di filiera stanziati nel Pnrr e “operazioni di ristrutturazione e rinegoziazione del debito delle imprese agricole a 25 anni attraverso l’Ismea”, fermando “le speculazioni sui prezzi pagati degli agricoltori con un’efficace applicazione del decreto sulle pratiche sleali.” (parte finale del discorso di Prandini, presidente di Coldiretti)

(Continua)

Note

[1] La FEFAC, la Federazione Europea dei Produttori di Mangimi Composti, rappresenta 28 Associazioni nazionali in 27 paesi europei e impiega, stando ai dati del 2020, oltre 100mila persone su 4mila siti produttivi.

[2] “Compound feed production 2021 is expected to slightly decrease by 0.16%”
Link: https://web.archive.org/web/20211103094942/https://fefac.eu/newsroom/news/compound-feed-production-2021-is-expected-to-slightly-decrease-by-0-16/

[3] “Column: Ukraine’s unmatched corn crop gains encroach on rival exporters”, Reuters del 17 Febbraio 2022.
Link: https://web.archive.org/web/20220313110559/https://www.reuters.com/markets/commodities/ukraines-unmatched-corn-crop-gains-encroach-rival-exporters-2022-02-17/

[4] La COCERAL, acronimo per “Comité du Commerce des céréales, aliments du bétail, oléagineux, huile d’olive, huiles et graisses et agrofournitures”, è composta da 21 associazioni di categoria di 15 paesi europei che commercializzano materie prime agricole destinate all’approvvigionamento delle filiere alimentari e mangimistiche, nonché per utilizzi tecnici ed energetici.

[5] La FEDIOL è una federazione che rappresenta l’industria europea degli oli vegetali e delle farine proteiche in Europa. Gli obiettivi di questo comparto sono lo stoccaggio, la lavorazione e la vendita di mangimi per animali, farine e prodotti oleosi vegetali.

[6] “The Russian invasion of Ukraine and the impact on grains and oilseeds markets”
Link: https://web.archive.org/web/20220314194615/https://fefac.eu/newsroom/news/the-russian-invasion-of-ukraine-and-the-impact-on-grains-and-oilseeds-markets/

[7] Tendenze: bovini da carne, Dicembre 2021.
Link: https://web.archive.org/web/20220314204157/https://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/1%252Fd%252F9%252FD.e7dde1fe3ebc4f1536d1/P/BLOB%3AID%3D11920/E/pdf
Suini: tendenze del settore, Novembre 2021.
Link: https://web.archive.org/web/20220314204402/https://www.ismeamercati.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/1%252Ff%252F0%252FD.013e0de4ecd9a989d13d/P/BLOB%3AID%3D11836/E/pdf

[8] “Assalzoo, 2020 da record: produzione di mangimi sfonda quota 15 milioni di tonnellate”
Link: https://web.archive.org/web/20220314210145/https://www.assalzoo.it/comunicati/assalzoo-2020-record-produzione-mangimi-sfonda-quota-15-milioni-tonnellate/

[9] In particolare il frumento per uso zootecnico passato dai 355 euro/tonnellata del 3 Marzo a 415 euro/tonnellata del 10 Marzo.
Link: https://www.agerborsamerci.it/listino-borsa/

[10] Di base, per commodities si intendono quelle materie prime facilmente conservabili e stoccabili nel tempo e commercializzate. Tra le commodities troviamo, oltre quelle agricole, il petrolio ed altri materiali energetici, minerali ferrosi e legnami.

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L’orrendo pericolo delle armi atomiche

Sulla vicenda russo-ucraina, da qualche settimana a questa parte, circolano delle notizie inquietanti su eventuali problemi con le centrali atomiche in Ucraina (in particolare Chernobyl), paventando allo stesso tempo un possibile utilizzo di armi nucleari durante queste fasi guerresche.
L’uranio, fonte principale dell’industria atomica, viene estratto nelle miniere russe, kazake, canadesi e australiane, distruggendo non solo gli ecosistemi locali ma il fisico e la mente di chi vi viene sfruttato. I passaggi successivi quali lavorazione (tramite purificazione) del minerale e l’utilizzo di questo come combustibile all’interno delle centrali “nucleari”, completa l’opera di profitto del Capitale attraverso la vendita di energia e/o di armi.
Fin dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki e l’utilizzo “per scopi civili”, l’energia atomica è stata ampiamente criticata dal movimento anarchico sotto ogni punto di vista: sfruttamento, inquinamento e lotta antimilitarista.
Umberto Marzocchi, combattente in Spagna e nel “maquis” francese, esponente della Federazione Anarchica Italiana, dirigente nazionale di associazioni antifasciste e della CGIL e promotore, insieme a Carlo Cassola, della Lega per il Disarmo Unilaterale, scrisse “L’orrendo pericolo delle armi atomiche” per Umanità Nova nel lontano 1957.
All’epoca i due blocchi di potere (USA e URSS) erano impegnati nella corsa agli armamenti – specie nucleari -, giustificando il tutto come forma di difesa da un’eventuale attacco.
Per Marzocchi le mistificazioni del potere istituzionale e culturale (che sia statunitense o sovietico), era un qualcosa di raccapricciante e riprovevole: in nome della difesa del profitto e dei privilegi dei potenti che siedono al governo, in parlamento o in qualche CEO aziendale, si passa letteralmente sulla pelle della gente.
Una simile visione criminale e schifosa mascherata con parole quali difesa, sicurezza e via dicendo, poteva essere smontata solo attraverso il raziocinio e la liberazione dalla paura; solo allora si arrivava ad una libertà sia da questi strumenti di morte e distruzione che dall’obbedienza cieca ad un sistema verticista.
In tempi come quelli odierni dove la guerra russo-ucraina ha sostituito de facto l’allarme pandemico, vi sono innumerevoli notizie mass-mediatiche e governative falsate da una retorica pietistica, ansiogena e “guerrafondaia-pacifista” (ovvero: “portiamo la pace con la vendita di armi”).
Per questo crediamo che le parole di Marzocchi siano più che mai attuali: smontare questo linguaggio falso ed inopportuno (e anche terrorista, aggiungiamo) significa puntare ad una serie di ragionamenti e pratiche che siano totalmente avulse da logiche di potere ed egemonie varie.

Pubblicato su “Umanità Nova”, 10 Marzo 1957

Negli ultimi giorni di febbraio si è riunito a Londra il Consiglio dell’Unione Europea Occidentale (UEO) e sette ministri hanno discusso del Continente e del Mondo; un argomento però ha dominato su tutti gli altri: l’organizzazione difensiva dei paesi “liberi” d’Europa. Il governo inglese di Mac Millan avrebbe deciso di aumentare gli stanziamenti per l’adozione di armi termonucleari, destinando un primo fondo di 700 milioni di sterline per la costruzione di venti centrali atomiche, sperimentando nel prossimo giugno la prima bomba H di costruzione inglese, di accordarsi con gli Stati Uniti di America per disporre di missili (razzi telecomandati) oggi in possesso solo della Russia e dell’America. L’attuazione di questo piano, per la realizzazione del quale il governo inglese intende concentrare tutte le sue energie sulle super-armi, comporta l’esigenza di una riduzione massiccia delle spese militari tradizionali e, pertanto, al Consiglio dell’UEO, affrontando l’opposizion risentita degli altri governi alleati, l’Inghilterra ha chiesto di ritirare due divisioni militari inglesi attualmente dislocate in Germania. Più che i risultati della conferenza di Londra, dove gli uomini di Stato finirono col mettersi d’accordo, a noi interessa l’orrenda minaccia che pesa sull’umanità con questa corsa pazza alla ricerca di armi sempre più potenti, più micidiali, più vigliaccamente assassine.

Dura nel mondo l’incubo della bomba atomica. È un pensiero allucinante che si ripresenta periodicamente in termini che dovrebbero scuotere l’opinione pubblica mondiale nel più profondo. Non è purtroppo così. Molti pensano che se ci dovesse essere guerra, essa non sarà inevitabilmente combattuta con le armi atomiche; che potrebbero intervenire delle convenzioni speciali — come è avvenuto nelle guerre recenti con l’interdizione dell’impiego dei gas e della guerra batterio- logica che gli uomini in guerra morranno come per il passato di un colpo di fucile, di una scheggia di obice o sotto le macerie di un edificio bombardato. Illusi!

Continua, intanto, l’offensiva pubblicitaria sulla priorità nucleare.

La stampa in genere ce ne elenca i progressi, fornendoci notizie insolitamente dettagliate sui vari tipi di missili, di aerei teleguidati, capaci di portare bombe atomiche a velocità supersoniche, di bombe a scissione e a idrogeno, di atomiche tattiche e di cannoni atomici, di sottomarini a propulsione nucleare e di razzi intercontinentali non intercettabili. Si apprende che la potenza esplosiva di una bomba a idrogeno, che prima veniva misurata in kiloton (migliaia di tonnellate) ora viene misurata in megaton (milioni di tonnellate) di dinamite. Se si pensa che la prima bomba a idrogeno, collaudata nel marzo 1954, era dotata di una potenza equivalente a venti milioni di tonnellate di esplosivo, non possiamo giungere ad altra conclusione di quella cui nessuno è ancora preparato: che basterebbe una o due di queste bombe, lanciate sul territorio di una nazione come l’Italia, per paralizzarne la vita, uccidere tutti gli abitanti di vaste zone colpite da pioggia radioattiva – come avvenne a Hiroshima e ultimamente ai pescatori giapponesi vaganti nelle acque prossime a Bikini – , deprimere moralmente le popolazioni superstiti. Sarebbe demenza! Ma i potenti non sono immuni da follie del genere.

Nei due blocchi di Oriente e di Occidente si possiedono ricchezze, potenza, enormi disponibilità di armi e di armati, e si giunge allo stesso risultato: ad una saturazione dei mezzi distruttivi per la quale non c’è un limite fisico che ne impedisca l’accrescimento. Poiché non si costruiscono armi per non servirsene o farne oggetti di ornamento per musei provinciali, prima o poi saranno impiegate dagli uomini che non avranno più idee né possibilità di difesa perché a tutte le teste sarà stato imposto lo stesso berretto. C’è ancora tempo per decidersi a vivere?

Molta gente spera che prima o poi le classi dirigenti, le piccole o grandi oligarchie politiche, i dittatori, come gli uomini di Stato “democratici”, i generali e i principi della Chiesa proveranno, coi fatti e non a parole soltanto, che vogliono la pace; che metteranno a riposo le quinte colonne spionistiche, che si dichiareranno pronti ad accettare un vicendevole controllo di tutte le armi; che smobiliteranno i fanatismi, le intolleranze, gli odi; che rimpiazzeranno gli egoistici interessi e la sete di predominio con sentimenti di solidarietà, di appoggio mutuo e un po’ del tanto decantato amore cristiano; che agiranno di concerto perché un disarmo generale, sincero, leale avvenga in sostituzione delle conferenze internazionali, ove la diplomazia tesse le fila ipocrite dei suoi compromessi e i rappresentanti gli Stati del mondo si guardano in faccia sapendo di mentirsi a vicenda.

Speranza vana! Da quella parte, dalla parte degli Stati, non c’è salvezza. Sarebbe una stupida utopia l’affidarsi ad un sistema che a passi di gigante corre alla propria distruzione, poiché questo e non altro è il fine che ci è dato intravedere dallo stato convulso e caotico in cui vive l’umanità, incatenata ad un ordinamento il quale, colpevole di tremende contraddizioni e di mostruose iniquità, per sussistere, è giunto agli estremi di una frenesia pazza, da non trovare altra risorsa che quella della forza nucleare per continuare a dominare il mondo, ne costasse il suo completo annichilimento. Nel caso migliore, se i potentati tentassero questa ultima esperienza, il risultato sarebbe il sorgere di una situazione complicatamente inestricabile, nella quale il genere umano si troverebbe avviluppato da tali tenebrosità del potere che non trovano riscontro nella storia delle tirannie.
Di fronte all’orrida previsione che il mondo statalista ci offre, noi anarchici siamo più che mai convinti che la ragione ci assista.

Le possibilità di sviluppo di una diffusa mentalità libertaria, foriera di una società più luminosa, non solo esistono sicure ed innegabili, ma si consolidano in necessità imminente e universale nella ricerca di un modo migliore di vita, risorta nella solidarietà umana e nella giustizia. Per raggiungere questa meta, che è speranza rinchiusa nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, anche se non espressa con la veemenza della rivolta morale, non necessita quella preparazione di massa così cara a preti e marxisti. Sono sempre le minoranze che illuminano col loro esempio le moltitudini e i popoli, i quali, a loro volta, dimostrarono, nel percorso della loro storia, e dimostrano (la Spagna è paese che può dar esempio) di essere, in maniera incontestabile e costante, all’altezza delle circostanze.

Esistono, nel mondo, degli uomini e delle donne di tutte le razze e di tutte le nazioni che conservano, malgrado le disillusioni, una fede profonda nella capacità volitiva dell’umanità tesa nello sforzo di comprendere che la battaglia per la sua pace e tranquillità avrà successo se le menti sapranno liberarsi dall’ubbidienza cieca a particolari configurazioni politiche di partiti e di governi, per incamminarsi dritte e sicure verso il solo scopo che tutti accomuna. Dobbiamo saper ridare, a questi uomini ed a queste donne, fiducia in un avvenire che potrebbe essere radioso se l’angoscia cessasse di regnare, che diverrà spaventoso se ai potenti sarà ancora concesso di perseguire una politica di rovina e di suicidio collettivo.

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