La guerra

“La guerra”, scriveva Von Clausewitz nel suo Ottavo Libro “Della Guerra”,”è uno strumento della politica; essa ne deve necessariamente assumere il carattere, deve commisurarsi alla sua medesima scala; la condotta della guerra, nelle sue linee fondamentali, altro non è che la politica stessa, la quale depone la penna e impugna la spada, ma non cessa perciò dal regolarsi conformemente alle proprie leggi”.
La guerra è senza dubbio l’azione più brutale ed iniqua che esista.
I suoi morti, la sofferenza che produce, le distruzioni e le violenze (fisiche, sessuali etc) mostrano il vero volto del mondo in cui viviamo. Un mondo che non esitiamo ad additare come disumano.
I rappresentanti di questo mondo, dai loro schermi, bunker, palazzi di potere o abitazioni private, usano nelle stesse frasi parole come “pace” e “guerra” per giustificare qualsiasi atto violento contro il nemico – esterno o interno che sia ad un determinato assetto di potere che occupa un territorio geografico.
Questa perversa logica segue ciò che scriveva Publio Vegezio Renato: “Igitur qui desiderat pacem, praeparet bellum”. (trad: “Per chi desideri la pace, prepari la guerra”)
Chi possiede e/o ha dei privilegi (acquisiti e/o ereditati) allora vede ed accetta la guerra (passivamente o attivamente) come futura panacea per un mondo migliore.
In tempi di terrorismo culturale ed incapacità intellettuale e politica radicale, è necessario ribadire questi passaggi che sembrano semplici e ovvi – ma, ahinoi, non lo sono abbastanza.
Due di anni di pandemia virale hanno creato un binarismo culturale perfetto ed invasivo, dove ci si ritrova intruppati o tra i pro o i contro ad un qualcosa.
Questo binarismo creato ad arte ha spostato il discorso pubblico verso vette di deumanizzazione che raramente sono state così cristalline negli anni scorsi.
L’attuale guerra in Ucraina, a livello culturale, incarna quanto appena detto.
I discorsi al riguardo vertono o sulla difesa ad oltranza della democrazia di Zelensky contro il dispotismo di Putin, oppure sulla difesa delle ragioni della Federazione Russa nei confronti della NATO e dell’Ucraina.
Entrambi i discorsi sono funzionali a perpetuare degli assetti di potere contrapposti.
Occorre allora ricordare la posizione dei nostri compagni del secolo scorso di fronte ad una prospettiva di aperta guerra tra borghesie.
Una logica che punti all’autonomia della classe lavoratrice deve evitare di farsi intruppare nel”una e nell’altra fazione borghese che si stanno combattendo.
Quello che abbiamo di fronte è l’ennesimo conflitto interimperialistico: in alcune zone dell’Europa questo conflitto è reale e guerreggiato, e richiede il sacrificio di masse che fungano da carne da cannone per interessi economici e politici che non gli appartengono. In Italia, almeno per il momento, il conflitto rimane sul campo delle idee, ma non per questo esso è meno dannoso. Gli intossicati dalla propaganda di guerra dell’oggi saranno i morti del domani.
Per questi motivi presentiamo oggi sul blog “La guerra”, sesto capitolo del libro di Berkman, “L’ABC dell’Anarco-Comunismo”, pubblicato da Novadelphi nel 2015.
L’anarchico lituano ne traccia un quadro lucido e preciso: la guerra non è altro che uno degli strumenti che le classi dominanti utilizzano per mantenere i loro privilegi.
In nome dei privilegi, si usano parole come “Patria” e “Democrazia” o frasi come “difesa degli interessi economici nazionali”.
Qualsiasi forma di protesta, rileva Berkman, viene prontamente silenziata per mezzo mediatico e/o con la forza fisica.
In questo modo il sostegno ad una parte politica ed alla sua guerra non potrà mai coincidere con una prospettiva di emancipazione delle persone sfruttate.

Capitolo VI: La guerra

Guerra! Ti rendi conto di quello che significa? Conosci una parola più terribile nella nostra lingua? Non ti porta alla mente immagini di massacri e carneficine, di assassini, saccheggi e distruzione? Non senti il rombo del cannone, le grida dei morenti e dei feriti? Non vedi il campo di battaglia disseminato di cadaveri? Esseri umani fatti a pezzi, il loro sangue e le loro cervella sparpagliati tutto intorno, uomini pieni di vita ridotti d’un colpo a carne putrefatta. E là, a casa, migliaia di padri e di madri, di mogli e di fidanzate che vivono nell’angoscia perpetua che capiti qualche disgrazia ai loro cari e aspettano, aspettano il ritorno di coloro che non torneranno mai più.

Lo sai cosa significa la guerra. Anche se tu non sei mai stato al fronte di persona, sai che non c’è sciagura peggiore della guerra con i suoi milioni di morti e mutilati, i suoi innumerevoli sacrifici umani, le sue vite spezzate, le sue case distrutte, le sue indescrivibili tristezze e miserie.

“È terribile”, ammetti, “ma non c’è niente da fare”. Pensi che la guerra si debba fare, che in alcuni momenti sia inevitabile, che devi difendere il tuo paese quando è in pericolo.

Vediamo, dunque, se difendi veramente il tuo paese quando vai in guerra. Vediamo quali sono le cause della guerra e se è per il bene del tuo paese che sei chiamato a indossare l’uniforme e ad avviare una campagna di massacri.

Valutiamo chi e cosa difendi in guerra: chi ha interesse in essa e chi ne ricava profitto.

Dobbiamo tornare al nostro fabbricante. Non riuscendo a vendere i suoi prodotti e ricavarne un profitto nel suo paese, cerca un mercato (come fanno anche i produttori di altri beni) in qualche terra straniera. Va in Inghilterra, in Germania, in Francia o altrove e cerca di piazzarvi la propria “sovrapproduzione”, il proprio “surplus”.

Ma lì trova le stesse condizioni del suo paese. Anche lì c’è la “sovrapproduzione”; vale a dire che i lavoratori sono così sfruttati e sottopagati che non possono acquistare i beni che hanno prodotto. Quindi anche i produttori inglesi, tedeschi e degli altri paesi sono in cerca di altri mercati, proprio come gli americani.

I produttori americani di una certa industria si organizzano in una grande associazione, i magnati industriali degli altri paesi fanno lo stesso e le associazioni nazionali iniziano a competere tra loro. I capitalisti di ogni paese cercano di accaparrarsi i mercati migliori, soprattutto quelli nuovi. Trovano nuovi mercati in Cina, in Giappone, in India e in paesi simili; ovvero quelli che non hanno sviluppato le proprie industrie. Quando tutti i paesi avranno industrie proprie, non ci saranno più mercati esteri e allora qualche potente gruppo capitalista diventerà il trust internazionale del mondo intero. Ma nel frattempo gli interessi capitalistici dei vari paesi industriali combattono per i mercati esteri e competono li tra loro. Costringono qualche nazione più debole a concedere loro dei privilegi speciali, un “trattamento di favore”; suscitano l’invidia dei loro competitori, si mettono nei guai per le concessioni e le fonti di profitto e chiedono ai rispettivi governi di difenderne gli interessi.

Il capitalista americano fa appello al suo governo affinché protegga gli interessi “americani”. I capitalisti francesi, tedeschi e inglesi fanno lo stesso: chiedono ai loro governi di proteggere i loro profitti. A quel punto i vari governi chiamano il popolo a “difendere il proprio paese”.

Lo vedi come funziona il gioco? Non ti dicono che sei chiamato a proteggere i privilegi e i dividendi di qualche capitalista americano in un paese straniero. Sanno che se te lo dicessero, gli rideresti in faccia e ti rifiuteresti di farti sparare per gonfiare i profitti dei plutocrati. Ma senza di te e degli altri come te non possono fare la guerra! Così lanciano il grido di “Difendi il tuo paese! La tua bandiera è insultata!”

A volte assoldano addirittura qualche delinquente per insultare la bandiera del tuo paese in terra straniera o vi fanno distruggere qualche proprietà americana, per essere sicuri che la gente in patria si infurierà e correrà ad arruolarsi nell’esercito e nella marina.

Non credere che stia esagerando. E risaputo che i capitalisti americani hanno causato persino delle rivoluzioni nei paesi stranieri (soprattutto in Sud America) per insediarvi un governo più “amichevole” e assicurarsi così le concessioni che volevano.

Generalmente, però, non occorre arrivare a tanto. Tutto ciò che devono fare è appellarsi al tuo “patriottismo”, adularti un po’, dirti che puoi “sconfiggere il mondo intero” ed ecco che sei pronto a indossare l’uniforme da soldato e a eseguire i loro ordini.

Ecco per cosa viene usato il tuo patriottismo, il tuo amore per il paese. Aveva ragione il grande pensatore inglese Carlyle a scrivere:

“Quali sono, parlando senza eufemismi, il valore e il risultato della guerra? Che io sappia, per esempio, nel villaggio inglese di Dumdrudge solitamente abitano e sgobbano circa cinquecento anime. Tra questi, che sono certamente ‘nemici naturali’ dei francesi, in seguito sono selezionati, durante la guerra con la Francia, diciamo trenta uomini di robusta costituzione. Dumdrudge li ha allattati e nutriti a sue spese; li ha, non senza difficoltà e dolore, cresciuti fino all’età adulta, ha insegnato loro un mestiere, cosicché uno sa tessere, un altro fa’ il muratore, un altro ancora il fabbro e il più gracile può sollevare almeno cento chili. Tuttavia, tra pianti e imprecazioni, gli uomini sono selezionati; vengono tutti vestiti di rosso; e vengono trasportati in nave, a spese della collettività, a duemila miglia di distanza, o diciamo solo nel sud della Spagna; e lì vengono nutriti a volontà. Ora, in quella stessa località nel sud della Spagna sono stati portati trenta analoghi artigiani francesi, da una Dumdrudge di Francia; alla fine, dopo infinite manovre, le due parti giungono a un vero e proprio confronto; Trenta contro Trenta, ognuno con il fucile in mano. Subito viene dato il comando “Fuoco!” e loro si fanno fuori a vicenda e al posto di sessanta artigiani aitanti e produttivi, il mondo si ritrova con sessanta carcasse, che devono essere sepolte e piante. Ma questi uomini avevano qualche divergenza? Per quanto il diavolo si sia potuto impegnare, neanche una! Vivevano abbastanza lontani tra loro; erano assolutamente estranei, anzi, in un universo così grande c’era persino, inconsciamente, per via degli affari, qualcosa che li legava gli uni agli altri. Come mai allora? Semplice! I loro governanti avevano litigato; e invece di spararsi a vicenda, avevano avuto l’astuzia di farlo fare a questi poveri zucconi.”

Quando vai in guerra non combatti per il tuo paese. Lo fai per i tuoi governanti, i tuoi sovrani, i tuoi padroni capitalisti. Né il tuo paese né l’umanità né la tua classe – i lavoratori – guadagnano qualcosa dalla guerra. Sono solo i grandi finanzieri e i capitalisti a trarne profitto.

La guerra è un male per te. E un male per i lavoratori. Hanno tutto da perdere e nulla da guadagnare. Non ne ricavano neanche la gloria, che invece va ai grandi generali e ai marescialli superiori.

Che cosa ottieni tu dalla guerra? Diventi lercio, ti sparano, ti uccidono con il gas, ti mutilano, ti massacrano. Questo è tutto ciò che i lavoratori di ogni paese ottengono dalla guerra.

La guerra è un male per il tuo paese, è un male per l’umanità: significa massacro e distruzione. Tutto ciò che la guerra distrugge — ponti e porti, città e navi, campi e fabbriche – deve essere ricostruito. Ciò significa che per farlo il popolo verrà tassato, direttamente o indirettamente. Perché in ultima analisi, tutto viene dalle tasche del popolo.

La guerra, quindi, è un male dal punto di vista materiale, per non parlare dell’effetto degradante che ha sull’umanità in generale. E non dimenticare che su mille persone che vengono uccise, accecate o mutilate in guerra, novecento-novantanove appartengono alla classe operaia, sono figli di manovali e di contadini.

Nella guerra moderna non c’è vittoria, perché la parte vincitrice perde quasi quanto quella sconfitta. A volte pure di più, come la Francia nell’ultimo conflitto: oggi la Francia è più povera della Germania. I lavoratori di entrambi i paesi sono tassati fino alla fame per compensare le perdite subite in guerra. Nei paesi europei che hanno partecipato alla guerra mondiale i salari e i livelli di vita della classe operaia sono molto più bassi ora di quanto non lo fossero prima della grande catastrofe.

“Ma gli Stati Uniti si sono arricchiti grazie alla guerra”, obietti. Vuoi dire che un pugno di uomini ha guadagnato milioni e che i grandi capitalisti hanno ricavato enormi profitti. Senza dubbio: i grandi finanzieri l’hanno fatto prestando soldi all’Europa a un alto tasso di interesse e fornendo materiale da guerra e munizioni. Ma tu che c’entri?

Fermati un attimo a pensare a come l’Europa sta saldando all’America i suoi debiti finanziari o gli interessi che ci sono sopra. Lo fa spremendo gli operai per ricavarne più lavoro e più profitto. Pagando stipendi più bassi e realizzando beni a costi meno elevati i produttori europei possono vendere a prezzi più bassi rispetto ai concorrenti americani, che a loro volta sono costretti a produrre a costi minori. Qui entrano in gioco l’“economia” e la “razionalizzazione” e di conseguenza tu devi lavorare più duramente o subire una riduzione dello stipendio, oppure farti licenziare del tutto. Lo vedi come i bassi salari in Europa influiscono direttamente sulla tua condizione? Ti rendi conto che tu, lavoratore americano, stai contribuendo a pagare ai banchieri americani gli interessi sui loro prestiti europei?

Ci sono persone che affermano che la guerra è un bene perché alimenta il coraggio fisico. E un’argomentazione stupida.

La sostengono solo coloro che non sono mai stati in guerra e che hanno lasciato che fossero altri a combattere per loro. È anche disonesta, perché induce i poveri creduloni a combattere per gli interessi dei ricchi. Chi ha davvero combattuto in battaglia ti dirà che la guerra moderna non ha nulla a che vedere con il coraggio individuale: è un conflitto di massa, a grande distanza dal nemico. Gli scontri personali, in cui vince il migliore, sono estremamente rari. Nella guerra moderna non vedi i tuoi avversari: combatti alla cieca, come una macchina. Vai in battaglia spaventato a morte, temendo che in qualsiasi momento potresti essere fatto a pezzi. Ci vai solo perché non hai il coraggio di rifiutarti.

L’uomo che riesce ad affrontare la diffamazione e il disonore, a opporsi al sentimento popolare e persino ai suoi amici e al suo paese quando sa di essere nel giusto, a sfidare l’autorità, a sopportare la pena e il carcere senza vacillare – quello è un uomo coraggioso. La persona che deridi come “scansafatiche” perché si rifiuta di diventare un assassino — è coraggiosa.

Ma c’è bisogno di tanto coraggio per obbedire agli ordini, per fare quello che ti viene detto e cadere assieme a migliaia di altri accompagnato dall’approvazione generale e dalla “Star Spangled Banner”? [1]

La guerra paralizza il tuo coraggio e smorza lo spirito della vera virilità. Degrada e instupidisce dandoti la sensazione di non essere responsabile, che “non sta a te darti risposte, né domandarti il perché, ma solo combattere e morire”, come le centinaia di migliaia di altre persone condannate come te.

Guerra significa cieca obbedienza, sconsiderata stupidità, rozza insensibilità, distruzione gratuita, irresponsabile omicidio.

Ho conosciuto gente che diceva che la guerra è un bene perché uccide molte persone, cosicché c’è più lavoro per chi sopravvive.

Pensa che terribile accusa è questa contro il sistema vigente.

Immagina uno stato di cose in cui per una certa comunità sia un bene che alcune sue componenti siano eliminate, così il resto può vivere meglio! Non è questo il peggiore sistema antropofago, il peggiore cannibalismo?

Il capitalismo è proprio questo: un sistema di cannibalismo in cui l’uomo divora il suo simile o ne viene divorato. Questo vale per il capitalismo sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, solo che in guerra la sua vera natura è smascherata e più evidente.

In una società razionale e umana questo non potrebbe avvenire. Al contrario, l’aumento della popolazione di una certa comunità sarebbe un bene per tutti, perché il lavoro di ogni individuo sarebbe minore.

In questo senso una comunità non è diversa da una famiglia.

Per soddisfare i propri bisogni ogni famiglia deve portare a termine una certa quantità di lavoro. Quindi più persone ci sono in una famiglia per svolgere il lavoro necessario, più questo è facile e meno pesante per ogni membro.

Lo stesso vale per una comunità o per un paese, che non sono altro che una famiglia su larga scala. Più persone ci sono per svolgere il lavoro necessario a soddisfare i bisogni della comunità, più semplice è il compito di ogni membro. [2]

Se nella società odierna è vero il contrario, si conferma il fatto che le condizioni sono sbagliate, barbare, perverse. Anzi, di più: sono assolutamente criminali se il sistema capitalista può prosperare sul massacro dei suoi membri.

E evidente, dunque, che per il lavoratore la guerra implica solo oneri maggiori, più tasse, lavoro più duro e l’abbassamento dei livelli di vita precedenti alla guerra.

Ma c’è un elemento nella società capitalista per cui la guerra è un bene. È quell’elemento che conia denaro dalla guerra, che si arricchisce sul tuo “patriottismo” e sul tuo sacrificio personale. Sono i fabbricanti di munizioni, coloro che speculano sul cibo e su altri beni, i costruttori di navi da guerra. In breve, sono i grandi signori della finanza, dell’industria, del commercio gli unici a beneficiare della guerra.

Per loro la guerra è una benedizione. E in più di un senso. Perché la guerra serve anche a distogliere l’attenzione delle masse lavoratrici dalla loro miseria quotidiana e dirigerla verso l’“alta politica” e il massacro di esseri umani. I governi e i sovrani spesso hanno cercato di evitare sommosse popolari e rivoluzioni organizzando una guerra. La storia è piena di esempi del genere. Naturalmente la guerra è un’arma a doppio taglio. Di frequente finisce per portare essa stessa alla rivolta. Ma questa è un’altra storia cui torneremo quando arriveremo alla Rivoluzione russa.

Se mi hai seguito fino qui devi esserti reso conto che la guerra è un diretto risultato e un effetto inevitabile del sistema capitalista proprio come le crisi sistematiche del settore finanziario e industriale.

Quando si verifica una crisi, nel modo in cui l’ho descritta, con il suo carico di disoccupazione e avversità, ti dicono che non c’è un colpevole, che sono “tempi difficili”, che è il risultato della “sovrapproduzione” e fandonie del genere. E quando la competizione capitalista per il profitto causa una condizione di conflitto, i capitalisti e i loro leccapiedi — i politici e la stampa — lanciano il grido “Salva il tuo paese!” in modo da riempirti di falso patriottismo e farti combattere le battaglie al posto loro.

In nome del patriottismo ti ordinano di non essere più dignitoso e onesto, di non essere più te stesso, di sospendere il tuo giudizio, di rinunciare alla tua vita, di diventare un ingranaggio privo di volontà in una macchina omicida, obbedendo ciecamente all’ordine di uccidere, di saccheggiare e di distruggere; di abbandonare tuo padre e tua madre, tua moglie e tuo figlio e tutti coloro che ami e di procedere al massacro dei tuoi simili che non ti hanno mai fatto del male

— che sono solo vittime sfortunate e illuse dei loro padroni proprio come te.

Aveva fin troppa ragione Carlyle a dire che “il patriottismo è il rifugio delle canaglie”.

Non vedi come ti ingannano e si fanno beffe di te?

Prendi la guerra mondiale, per esempio. Pensa a come gli americani sono stati ingannati per partecipare. Non si volevano immischiare negli affari europei. Ne sapevano poco e non gli interessava farsi trascinare in risse omicide. Elessero Woodrow Wilson con lo slogan “ci ha tenuti fuori dalla guerra”.

Ma i plutocrati americani si accorsero di quali immense fortune avrebbero potuto ottenere in guerra. Non erano soddisfatti dei milioni che rastrellavano vendendo munizioni e altri approvvigionamenti ai combattenti europei; profitti incommensurabilmente maggiori potevano essere ottenuti buttando nella mischia un paese grande come gli Stati Uniti, con i suoi oltre cento milioni di abitanti. Il presidente Wilson non ha potuto resistere alla loro pressione. Dopotutto il governo non è altro che il servo dei poteri finanziari: è li per obbedire ai loro ordini.

Ma come hanno potuto trascinare l’America in guerra quando la sua popolazione era espressamente contraria? Non aveva eletto Wilson come presidente in base alla chiara promessa di tenere il paese fuori dalla guerra?

In passato, sotto le monarchie assolute, i sudditi erano semplicemente costretti a obbedire agli ordini del re. Ma questo spesso comportava il rischio di resistenze e ribellioni.

Nell’età moderna ci sono mezzi più sicuri e prudenti per asservire le persone agli interessi dei loro governanti. Non bisogna fare altro che convincerli a credere di volere ciò che in realtà vogliono i loro padroni; dirgli che è per il loro interesse, per il bene del loro paese, per il bene dell’umanità.

In questo modo i nobili e raffinati istinti dell’uomo sono indotti a fare il lavoro sporco della classe patronale capitalista, con vergogna e danno per il genere umano.

Le invenzioni moderne favoriscono questo gioco e lo rendono relativamente facile. La stampa, il telegrafo, il telefono e la radio sono tutti ausili preziosi in questa faccenda. Il genio umano, che ha prodotto tali meraviglie, è sfruttato e umiliato per gli interessi di Mammona e di Marte.

Il presidente Wilson inventò un nuovo stratagemma per incastrare il popolo americano nella guerra a beneficio del Grande Capitale. Woodrow Wilson, ex-rettore dell’università, scoprì una “guerra per la democrazia”, una “guerra per mettere fine alla guerra”. Con questo motto ipocrita venne lanciata una campagna in tutto il paese, per risvegliare le peggiori inclinazioni all’intolleranza, alla persecuzione e all’omicidio nei cuori americani; riempendoli di veleno e di odio contro chiunque avesse il coraggio di esprimere un’opinione onesta e indipendente; picchiando, incarcerando e deportando chi osava dire che si trattava di una guerra capitalista per il profitto. Chi per motivi di coscienza contestava il sacrificio della vita umana era brutalmente maltrattato come “disertore” e condannato a lunghi periodi di detenzione; gli uomini e le donne che ricordavano ai propri compatrioti il comandamento del nazareno, “Non ammazzare”, erano marchiati come codardi e rinchiusi in prigione; i radicali che dichiaravano che la guerra era solo nell’interesse del capitalismo erano trattati come “crudeli stranieri” e “spie del nemico”.

Leggi speciali vennero emanate precipitosamente per reprimere ogni libera espressione del pensiero. Dall’Atlantico al Pacifico i nazionalisti fanatici, ebbri di patriottismo omicida, seminarono il terrore. Il paese intero fu colto dalla furia dello sciovinismo. Alla fine la propaganda militarista nazionale trascinò il popolo americano sul campo della carneficina.

Wilson era “troppo orgoglioso per combattere”, ma non per mandare gli altri a guerreggiare per i suoi sostenitori finanziari. Era “troppo orgoglioso per combattere” ma non per aiutare i plutocrati del paese a coniare oro dalle vite di settantamila americani caduti sui campi di battaglia europei.

La “guerra per la democrazia” e la “guerra per mettere fine alla guerra” si dimostrarono la più grande ipocrisia della storia.

Di fatto provocarono una catena di nuove guerre che non si è ancora arrestata. In seguito è stato ammesso, persino dallo stesso Wilson, che la guerra non aveva avuto altro scopo che quello di rastrellare enormi profitti per il Grande Capitale.

Creò più complicazioni negli affari europei di quante ce ne fossero prima. Impoverì la Germania e la Francia e le portò sull’orlo della bancarotta nazionale. Caricò le popolazioni europee di enormi debiti e pose fardelli insostenibili sulle spalle delle classi operaie. Le risorse di ogni paese furono spremute al massimo. I progressi della scienza registrarono solo nuove capacità distruttive. Il precetto cristiano fu messo alla prova dalla moltiplicazione del massacro e i trattati furono siglati con il sangue umano.

La guerra mondiale produsse enormi fortune per i signori della finanza – e tombe per i lavoratori.

E oggi? Oggi siamo ancora sull’orlo di una nuova guerra, molto più grande e terribile dell’ultimo olocausto. Tutti i governi si stanno preparando e si stanno appropriando di milioni di dollari, frutto del sudore e del sangue dei lavoratori, per far fronte all’imminente carneficina.

Pensaci, amico mio, e guarda ciò che il capitale e il governo stanno facendo per te, a te.

Presto ti chiameranno di nuovo a “difendere il tuo paese!”

In tempo di pace sei schiavizzato nei campi e nelle fabbriche, in guerra servi come carne da macello — tutto per la gloria sempre maggiore dei tuoi padroni.

Eppure ti dicono che “va tutto bene”, che è “la volontà di Dio”, che “deve essere così”.

Non vedi che non si tratta affatto della volontà di Dio, ma delle azioni del capitale e del governo? Non vedi che è così e “deve essere così” solo perché tu possa consentire ai tuoi padroni industriali e politici di ingannarti e di beffarti, così che loro possano vivere negli agi e nel lusso grazie alla tua fatica e alle tue lacrime, mentre ti trattano come “gentaglia”, “di grado inferiore”, buono solo a fare loro da schiavo?
[…]

Note
[1] “La bandiera adorna di stelle”, inno nazionale degli Stati Uniti d’America [N.d.T.]
[2] Non c’è mai stato alcun pericolo di sovrappopolare la terra. La natura ha i suoi metodi per evitarlo. Ciò di cui c’è bisogno è una distribuzione più razionale della popolazione, un’agricoltura intensiva e un controllo delle nascite più intelligente.

Nota bibliografica sul libro “L’ABC dell’anarco-comunismo” curata dal Gruppo Anarchico Galatea.
“Now and After: The ABC of Communist Anarchism” di Alexander Berkman venne pubblicato nel Maggio 1929 dalla “Jewish Anarchist Federation” e “Vanguard Press” – casa editrice statunitense che pubblicò libri radicali, socialisti e sindacalisti.
La seconda edizione del libro venne pubblicata nell’Agosto del 1937 dal “Fraye arbayṭer shṭime” – settimanale anarchico in lingua yiddish pubblicato a New York City dal 1890 al 1977.
Nell’edizione di “Freedom Press” – casa editrice dell’omonimo giornale anarchico inglese – di Londra del 1942, il libro di Berkman venne pubblicato come “ ABC of Anarchism”; “per motivi di spesa”, scrivono nella “Publisher’s Note”, “la prima parte è stata omessa”. Da questa edizione e le successive ristampe (1945, 1964, 1968, 1971, 1977, 1980), “Freedom Press” non pubblicò la prima parte; solo la “Phoenix Press” di Londra pubblicò la sola prima parte come “What is Communist Anarchism?” nel 1989.
La ristampa integrale della prima edizione del 1929 (con annessa prefazione di Goldman dell’edizione del 1937) venne pubblicata dalla “Dover Publications” nel 1972 come “What is Communist Anarchism?” e rieditata nel 2005 dalla “Courier Corporation” come “The ABC of Anarchism”.
In Italiano vennero tradotti e pubblicati alcuni capitoli del libro di Berkman su “Volontà. Rivista Mensile”:
-1946: n. 1, “Principi e Pratica, capitolo XXVIII”; n. 2, “Preparazione rivoluzionaria, capitolo XXVI”; n. 5, “Consumi e Scambi, capitolo XXIX” (prima parte) ;
-1947: n. 7, “Consumi e Scambi, capitolo XXIX” (seconda ed ultima parte); n. 12 “La produzione, capitolo XXX”.
Nel 2015 Novadelphi pubblica la versione completa e tradotta in italiano del libro di Berkman, con un saggio di Roberto Carocci e la prefazione di Emma Goldman.

Fonti consultate
Volontà. Rivista Mensile.
Evelyn Shrifte Collection relativo alla Vanguard Press, depositato presso la Syracuse University
Sul “⁨⁨Fraye arbayṭer shṭime” (“⁨פרייע ארבייטער שטימע⁩⁩“):
Datenbank des deutschsprachigen Anarchismus,, DadA-Periodika, doc. n.: DA-P0001191;
The National Library of Israel

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