L’orrendo pericolo delle armi atomiche

Sulla vicenda russo-ucraina, da qualche settimana a questa parte, circolano delle notizie inquietanti su eventuali problemi con le centrali atomiche in Ucraina (in particolare Chernobyl), paventando allo stesso tempo un possibile utilizzo di armi nucleari durante queste fasi guerresche.
L’uranio, fonte principale dell’industria atomica, viene estratto nelle miniere russe, kazake, canadesi e australiane, distruggendo non solo gli ecosistemi locali ma il fisico e la mente di chi vi viene sfruttato. I passaggi successivi quali lavorazione (tramite purificazione) del minerale e l’utilizzo di questo come combustibile all’interno delle centrali “nucleari”, completa l’opera di profitto del Capitale attraverso la vendita di energia e/o di armi.
Fin dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki e l’utilizzo “per scopi civili”, l’energia atomica è stata ampiamente criticata dal movimento anarchico sotto ogni punto di vista: sfruttamento, inquinamento e lotta antimilitarista.
Umberto Marzocchi, combattente in Spagna e nel “maquis” francese, esponente della Federazione Anarchica Italiana, dirigente nazionale di associazioni antifasciste e della CGIL e promotore, insieme a Carlo Cassola, della Lega per il Disarmo Unilaterale, scrisse “L’orrendo pericolo delle armi atomiche” per Umanità Nova nel lontano 1957.
All’epoca i due blocchi di potere (USA e URSS) erano impegnati nella corsa agli armamenti – specie nucleari -, giustificando il tutto come forma di difesa da un’eventuale attacco.
Per Marzocchi le mistificazioni del potere istituzionale e culturale (che sia statunitense o sovietico), era un qualcosa di raccapricciante e riprovevole: in nome della difesa del profitto e dei privilegi dei potenti che siedono al governo, in parlamento o in qualche CEO aziendale, si passa letteralmente sulla pelle della gente.
Una simile visione criminale e schifosa mascherata con parole quali difesa, sicurezza e via dicendo, poteva essere smontata solo attraverso il raziocinio e la liberazione dalla paura; solo allora si arrivava ad una libertà sia da questi strumenti di morte e distruzione che dall’obbedienza cieca ad un sistema verticista.
In tempi come quelli odierni dove la guerra russo-ucraina ha sostituito de facto l’allarme pandemico, vi sono innumerevoli notizie mass-mediatiche e governative falsate da una retorica pietistica, ansiogena e “guerrafondaia-pacifista” (ovvero: “portiamo la pace con la vendita di armi”).
Per questo crediamo che le parole di Marzocchi siano più che mai attuali: smontare questo linguaggio falso ed inopportuno (e anche terrorista, aggiungiamo) significa puntare ad una serie di ragionamenti e pratiche che siano totalmente avulse da logiche di potere ed egemonie varie.

Pubblicato su “Umanità Nova”, 10 Marzo 1957

Negli ultimi giorni di febbraio si è riunito a Londra il Consiglio dell’Unione Europea Occidentale (UEO) e sette ministri hanno discusso del Continente e del Mondo; un argomento però ha dominato su tutti gli altri: l’organizzazione difensiva dei paesi “liberi” d’Europa. Il governo inglese di Mac Millan avrebbe deciso di aumentare gli stanziamenti per l’adozione di armi termonucleari, destinando un primo fondo di 700 milioni di sterline per la costruzione di venti centrali atomiche, sperimentando nel prossimo giugno la prima bomba H di costruzione inglese, di accordarsi con gli Stati Uniti di America per disporre di missili (razzi telecomandati) oggi in possesso solo della Russia e dell’America. L’attuazione di questo piano, per la realizzazione del quale il governo inglese intende concentrare tutte le sue energie sulle super-armi, comporta l’esigenza di una riduzione massiccia delle spese militari tradizionali e, pertanto, al Consiglio dell’UEO, affrontando l’opposizion risentita degli altri governi alleati, l’Inghilterra ha chiesto di ritirare due divisioni militari inglesi attualmente dislocate in Germania. Più che i risultati della conferenza di Londra, dove gli uomini di Stato finirono col mettersi d’accordo, a noi interessa l’orrenda minaccia che pesa sull’umanità con questa corsa pazza alla ricerca di armi sempre più potenti, più micidiali, più vigliaccamente assassine.

Dura nel mondo l’incubo della bomba atomica. È un pensiero allucinante che si ripresenta periodicamente in termini che dovrebbero scuotere l’opinione pubblica mondiale nel più profondo. Non è purtroppo così. Molti pensano che se ci dovesse essere guerra, essa non sarà inevitabilmente combattuta con le armi atomiche; che potrebbero intervenire delle convenzioni speciali — come è avvenuto nelle guerre recenti con l’interdizione dell’impiego dei gas e della guerra batterio- logica che gli uomini in guerra morranno come per il passato di un colpo di fucile, di una scheggia di obice o sotto le macerie di un edificio bombardato. Illusi!

Continua, intanto, l’offensiva pubblicitaria sulla priorità nucleare.

La stampa in genere ce ne elenca i progressi, fornendoci notizie insolitamente dettagliate sui vari tipi di missili, di aerei teleguidati, capaci di portare bombe atomiche a velocità supersoniche, di bombe a scissione e a idrogeno, di atomiche tattiche e di cannoni atomici, di sottomarini a propulsione nucleare e di razzi intercontinentali non intercettabili. Si apprende che la potenza esplosiva di una bomba a idrogeno, che prima veniva misurata in kiloton (migliaia di tonnellate) ora viene misurata in megaton (milioni di tonnellate) di dinamite. Se si pensa che la prima bomba a idrogeno, collaudata nel marzo 1954, era dotata di una potenza equivalente a venti milioni di tonnellate di esplosivo, non possiamo giungere ad altra conclusione di quella cui nessuno è ancora preparato: che basterebbe una o due di queste bombe, lanciate sul territorio di una nazione come l’Italia, per paralizzarne la vita, uccidere tutti gli abitanti di vaste zone colpite da pioggia radioattiva – come avvenne a Hiroshima e ultimamente ai pescatori giapponesi vaganti nelle acque prossime a Bikini – , deprimere moralmente le popolazioni superstiti. Sarebbe demenza! Ma i potenti non sono immuni da follie del genere.

Nei due blocchi di Oriente e di Occidente si possiedono ricchezze, potenza, enormi disponibilità di armi e di armati, e si giunge allo stesso risultato: ad una saturazione dei mezzi distruttivi per la quale non c’è un limite fisico che ne impedisca l’accrescimento. Poiché non si costruiscono armi per non servirsene o farne oggetti di ornamento per musei provinciali, prima o poi saranno impiegate dagli uomini che non avranno più idee né possibilità di difesa perché a tutte le teste sarà stato imposto lo stesso berretto. C’è ancora tempo per decidersi a vivere?

Molta gente spera che prima o poi le classi dirigenti, le piccole o grandi oligarchie politiche, i dittatori, come gli uomini di Stato “democratici”, i generali e i principi della Chiesa proveranno, coi fatti e non a parole soltanto, che vogliono la pace; che metteranno a riposo le quinte colonne spionistiche, che si dichiareranno pronti ad accettare un vicendevole controllo di tutte le armi; che smobiliteranno i fanatismi, le intolleranze, gli odi; che rimpiazzeranno gli egoistici interessi e la sete di predominio con sentimenti di solidarietà, di appoggio mutuo e un po’ del tanto decantato amore cristiano; che agiranno di concerto perché un disarmo generale, sincero, leale avvenga in sostituzione delle conferenze internazionali, ove la diplomazia tesse le fila ipocrite dei suoi compromessi e i rappresentanti gli Stati del mondo si guardano in faccia sapendo di mentirsi a vicenda.

Speranza vana! Da quella parte, dalla parte degli Stati, non c’è salvezza. Sarebbe una stupida utopia l’affidarsi ad un sistema che a passi di gigante corre alla propria distruzione, poiché questo e non altro è il fine che ci è dato intravedere dallo stato convulso e caotico in cui vive l’umanità, incatenata ad un ordinamento il quale, colpevole di tremende contraddizioni e di mostruose iniquità, per sussistere, è giunto agli estremi di una frenesia pazza, da non trovare altra risorsa che quella della forza nucleare per continuare a dominare il mondo, ne costasse il suo completo annichilimento. Nel caso migliore, se i potentati tentassero questa ultima esperienza, il risultato sarebbe il sorgere di una situazione complicatamente inestricabile, nella quale il genere umano si troverebbe avviluppato da tali tenebrosità del potere che non trovano riscontro nella storia delle tirannie.
Di fronte all’orrida previsione che il mondo statalista ci offre, noi anarchici siamo più che mai convinti che la ragione ci assista.

Le possibilità di sviluppo di una diffusa mentalità libertaria, foriera di una società più luminosa, non solo esistono sicure ed innegabili, ma si consolidano in necessità imminente e universale nella ricerca di un modo migliore di vita, risorta nella solidarietà umana e nella giustizia. Per raggiungere questa meta, che è speranza rinchiusa nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, anche se non espressa con la veemenza della rivolta morale, non necessita quella preparazione di massa così cara a preti e marxisti. Sono sempre le minoranze che illuminano col loro esempio le moltitudini e i popoli, i quali, a loro volta, dimostrarono, nel percorso della loro storia, e dimostrano (la Spagna è paese che può dar esempio) di essere, in maniera incontestabile e costante, all’altezza delle circostanze.

Esistono, nel mondo, degli uomini e delle donne di tutte le razze e di tutte le nazioni che conservano, malgrado le disillusioni, una fede profonda nella capacità volitiva dell’umanità tesa nello sforzo di comprendere che la battaglia per la sua pace e tranquillità avrà successo se le menti sapranno liberarsi dall’ubbidienza cieca a particolari configurazioni politiche di partiti e di governi, per incamminarsi dritte e sicure verso il solo scopo che tutti accomuna. Dobbiamo saper ridare, a questi uomini ed a queste donne, fiducia in un avvenire che potrebbe essere radioso se l’angoscia cessasse di regnare, che diverrà spaventoso se ai potenti sarà ancora concesso di perseguire una politica di rovina e di suicidio collettivo.

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