Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Prima Parte

Tra il 17 e il 18 Luglio 1936 un gruppo di alti ufficiali spagnoli (Mola, Franco, Varela, Queipo de Llano e altri) iniziarono quello che sarebbe passato alla storia come “Alzamiento Nacional”, un’insurrezione nazionalista contro il governo del “Fronte Popolare”.

Nonostante il governo avesse spostato i vari ufficiali dell’esercito da una parte all’altra della Spagna, questi, diretti dal generale Emilio Mola, riuscirono a coordinarsi ed iniziarono il golpe.

In meno di quarantotto ore, gli insorti controllavano un terzo del territorio spagnolo, iniziando nelle zone di occupazione una violenta repressione contro militanti politici di sinistra e anarchici, oltre che contro quei militari fedeli al governo repubblicano.

Da questo punto in poi, in Spagna, iniziava una guerra civile dove, da un lato vi sarebbero stati i militari e i loro alleati monarchici (i carlisti) e stranieri (italiani e tedeschi) e, dall’altro, i gruppi di sinistra, sindacalisti e anarchici insieme ai repubblicani e solidali provenienti dall’estero.

I testi che presenteremo sono tratti dai capitoli III, IV, V e VI del libro di Claudio Venza, “Anarchia e potere nella guerra civile spagnola (1936-1939)”, pubblicato da Eleuthera nel 2009. Storico, nonché compagno anarchico della Federazione Anarchica Italiana, Venza ricostruisce la situazione spagnola partendo dal 1868 (con l’arrivo di Giuseppe Fanelli in Spagna) per spiegare come il movimento anarchico spagnolo si fosse ben radicato nel tessuto sociale locale.

Il tentativo del golpe militare trovò una pronta risposta in varie parti della Spagna da parte della popolazione.

I militanti della CNT-FAI ebbero il merito e il pregio di mettere in pratica i principi di collettivizzazione e autogestione dei campi, dei trasposti e delle fabbriche in modo ben diverso rispetto alle modalità adottate dal regime sovietico durante e dopo la guerra civile russa. Oltre a questo, a livello culturale, il movimento Anarchico, dove era maggiormente presente, ruppe definitivamente con un passato oscurantista clericale, patriarcale e borghese, puntando alla creazione di centri di studi (gli “Ateneos Libertarios”) e di gruppi di difesa della donna (“Mujeres Libres”)

La collaborazione con la Repubblica, come spiega Venza, non venne accolta di buon grado dai e dalle militanti dell’epoca. Checché ne possano dire una serie di detrattori comunisti internazionalisti – con in testa Bordiga e i suoi -, o i servi delle dittature fasciste e staliniste,non si possono ignorare (o buttare via) la resistenza armata e gli esperimenti sociali, economici e culturali iniziati e portati avanti in fase di guerra.

L’operazione di Venza è questa: ricostruire un percorso storico ben preciso, “con le sue luci e le sue ombre” ricostruendo i limiti dati dalla guerra e i pregi delle azioni fatte dai compagni e dalle compagne dell’epoca.

III. Breve ma calda l’estate del 1936

Una stagione inedita
Il 19 luglio 1936, il primo giorno della risposta popolare vincente sul golpe in molte città, rappresenta una svolta epocale nelle vicende dell’anarchismo spagnolo. Prima di quella data, il movimento è costituito da una struttura sindacale fondata sull’azione diretta, la CNT , e da un’organizzazione specifica con obiettivi politici esplicitamente rivoluzionari, la FAI . Dopo quella data, il movimento libertario è una realtà importante, anzi in crescita, ma meno indipendente. Esso è compartecipe di uno sforzo enorme, la lotta armata contro i golpisti, che coinvolge entità antifasciste molto diverse da quelle libertarie e perfino parti di istituzioni regionali e statali. Così la CNT – FAI , spesso un’unica sigla a partire dal 19 luglio, cambia radicalmente i parametri di comportamento e le prospettive politiche e teoriche. Bloccare il golpe, che secondo le previsioni dei generali felloni, a capo di una parte rilevante delle forze armate, non avrebbe trovato ostacoli seri, è un’impresa rischiosissima non solo per chi imbraccia le armi. Di fatto è coinvolta, e stravolta, dalla guerra civile tutta l’impostazione tradizionale della confederazione sindacale e della federazione politica. Il nuovo scenario bellico è molto diverso, e sicuramente più arduo, di qualsiasi piano precedentemente discusso e valutato nei congressi locali e nazionali. I militanti della CNT e della FAI combattono nelle strade di molte città insieme a settori lealisti dei vecchi nemici – Guardias de Asalto e Guardia Civil – contro i militari rivoltosi e i loro complici falangisti e carlisti. L’orgogliosa separatezza – o il settarismo, secondo i critici – degli attivisti e dei simpatizzanti libertari viene messa da parte, così come viene messa tra parentesi la propria identità: si entra in un fronte più ampio e politicamente complesso e contraddittorio. È questa alleanza «contro natura» che permette di battere il golpe in quasi tutti i centri urbani più importanti.

A Madrid, tre governi nominati da Azaña si susseguono freneticamente. Tutti e tre tentano più volte di accordarsi con i generali ribelli, offrendo persino posti di responsabilità ministeriale, ma ottengono solo netti rifiuti. I militari golpisti ritengono di poter occupare, nel giro di poche ore, le sedi del potere politico e dei mezzi di comunicazione e quindi di sgominare eventuali resistenze popolari. Una parte non trascurabile di soldati e ufficiali resta però fedele al governo del Frente Popular e molti militari non rispondono all’appello degli insorti, anche per la generale confusione di ordini e contrordini. In questo contesto le organizzazioni sindacali, che dispongono di migliaia di uomini pronti alla battaglia, svolgono un ruolo di grande rilievo ottenendo, sia pure con ritardo, che un governo debole e ormai senza possibilità di scelta consegni loro le armi. Un epico assalto alla caserma madrilena della Montaña, dove si sono asserragliati centinaia di ufficiali golpisti, pone fine alle illusioni e alle vite dei congiurati. A Valencia i comandanti militari sono incerti sull’avvio di scontri armati contro le due agguerrite forze sindacali, la CNT e la UGT . Inoltre la stessa CEDA cittadina è incerta sul da farsi e quindi manca l’appoggio alla ribellione delle organizzazioni di destra che altrove sono determinanti.

A Bilbao, la seconda città industriale del paese, i militari sanno di non poter sperare nel favore della popolazione pur se in maggioranza cattolica e conservatrice. Al di là di precisi riferimenti ideologici, l’elemento che pesa di più, anche tra le classi medie basche, è la volontà di autonomia regionale, e a questo proposito i militari e le destre sono stati assai espliciti nel proclama dell’Alzamiento: nessuna autonomia.

A Barcellona, celebre roccaforte anarcosindacalista e sede della Generalitat, un governo autonomo dotato di proprie forze di polizia, il braccio di ferro inizia la mattina del 19 luglio con l’ingresso nei quartieri centrali di colonne militari provenienti dalle caserme di periferia. Il comandante dell’operazione è il generale Manuel Goded, considerato un eccellente stratega, che sta per giungere in volo dalle Baleari. Nel giro di poche ore alcune migliaia di militanti anarcosindacalisti, insieme alle truppe rimaste fedeli al governo e a contingenti di Guardia Civil e di Guardias de Asalto, riescono a bloccare la conquista del centro cittadino da parte delle truppe ribelli. Sorgono numerose barricate a opera dei gruppi libertari rionali e si mobilita l’intera organizzazione con la sua vasta area di simpatia e di solidarietà. I leader più popolari – los hombres de acción, come García Oliver, Durruti, Ascaso – sono in prima fila nei combattimenti e mostrano chiaramente quale sia la posta in gioco in quelle ore e in quei giorni.

Nell’assalto all’ultima caserma ribelle che resiste, quella di Atarazanas (o Drassanes, in catalano), ai piedi della Ramblas e vicino al porto, viene ucciso Ascaso, da sempre compagno di Durruti in tante imprese rischiose considerate eroiche da molti proletari. Sarà un bombardamento di artiglieria e aereo, condotto quest’ultimo da alcuni aviatori leali alla Repubblica, a far arrendere l’ultima guarnigione ribelle. Al suo arrivo all’aeroporto di Prat de Llobregat, il generale Goded, presunto condottiero della conquista di Barcellona, viene arrestato. Processato pochi giorni dopo, viene fucilato per alto tradimento. L’esecuzione avviene nel castello di Montjuïc, lo stesso che aveva visto le torture di centinaia di anarchici a fine Ottocento e la fucilazione del maestro Ferrer, la cui memoria è più che mai viva nel 1936.

Un vertice controverso e un Comité tuttofare
Il panorama frammentato della Spagna dopo il semifallito golpe permette di riflettere meglio sui problemi che si pongono alle organizzazioni anarcosindacaliste e anarchiche. Il quadro non appare caratterizzato, come spesso si è scritto e ribadito [1] , da una netta egemonia libertaria, nemmeno ammettendo che l’incontro di Barcellona del 20 luglio 1936 tra Companys, presidente della Generalitat, e la delegazione anarchica si sia effettivamente svolto come lo ha raccontato nelle sue memorie uno dei protagonisti, l’orgoglioso e polemico García Oliver. Vale la pena di riportare tale descrizione che ha rappresentato in molte occasioni la prova di un indiscutibile riconoscimento della supremazia libertaria. La rappresentanza della CNT è formata dai membri del Comité de Defensa Confederal de Cataluña tra cui Aurelio Fernández, Durruti e lo stesso narratore, che cita pure la presenza, a lui poco gradita, di Diego Abad de Santillán del Comité Peninsular de la FAI .

Scrive García Oliver:
Companys riconobbe che noi soli, gli anarcosindacalisti barcellonesi, avevamo vinto l’esercito ribelle. Dichiarò che mai ci era stato riconosciuto il trattamento che meritavamo e che eravamo stati ingiustamente perseguitati. Disse che ora, padroni della città e della Catalogna, potevamo scegliere tra accettare la sua collaborazione o mandarlo a casa. Se tuttavia ritenevamo che poteva essere utile alla lotta, che, terminata in città, non lo era nel resto della Spagna, potevamo contare su di lui, sulla sua lealtà di uomo e di politico. Si diceva convinto che quel giorno moriva un passato di vergogna e si augurava sinceramente che la Catalogna marciasse alla testa dei paesi più avanzati in materia sociale. Data l’incertezza del momento che si viveva nel resto della Spagna, molto volentieri, in quanto presidente della Generalitat, era disposto ad assumersi tutte le responsabilità affinché un organismo di lotta unitario, che poteva essere un Comité de Milicias Antifascistas, prendesse la direzione della battaglia in Catalogna. Cosa che si poteva fare immediatamente poiché, come aveva fatto con noi, egli aveva convocato in una sala contigua tutti i rappresentanti dei partiti e dei movimenti antifascisti, che si erano già dichiarati disponibili” [2] .

Secondo altri testimoni e altri storici l’incontro sarebbe avvenuto in termini diversi e senza questa indiscussa egemonia cenetista. Ovviamente il responsabile della polizia della Generalitat, Francesc Escofet, sostiene nelle sue memorie di aver comunicato a Companys una valutazione ottimistica dell’efficienza dei militari e dei poliziotti fedeli alla Generalitat e alla Repubblica: senza gli anarchici avrebbero comunque sconfitto i ribelli, «anche se lo sforzo sarebbe stato naturalmente maggiore» [3]. Va tuttavia considerato che Escofet difficilmente avrebbe potuto scrivere alcunché di diverso in quanto massimo responsabile del braccio armato della Generalitat.

Dopo qualche trattativa e una rapida consultazione all’interno della CNT , i delegati anarcosindacalisti accettano di entrare nella nuova struttura: il Comité de Milicias Antifascistas. Questa etichetta inventata permette all’anarchismo barcellonese di non cadere in una delle due contraddizioni che gli si parano davanti: quella etica e quella politica. Se avesse seguito la linea di García Oliver, quella di «ir a por el todo», avrebbe dovuto imporre una sorta di «dittatura anarchica», alquanto paradossale, sulle altre componenti del fronte antifascista. Se avesse lasciato completamente sgombro il terreno del potere politico e si fosse ritirato nelle proprie organizzazioni e nei propri ambienti sociali, avrebbe fatto un regalo a quelle forze che avevano partecipato agli scontri in una misura, secondo García Oliver, ridotta. La CNT aveva invece contribuito con centinaia di militanti morti nelle giornate del 18-19 luglio nella capitale catalana, e questo fatto costituiva un punto di forza, come sostiene Cesar M. Lorenzo, per rivendicare forme di partecipazione alla gestione della società e delle istituzioni. La nascita del Comité ha quindi offerto, secondo lo stesso autore, un’onorevole via d’uscita dalla imbarazzante questione istituzionale e, più in generale, politica [4] .

Il Comité comprende, oltre alla CNT – FAI , rappresentanti dell’ampio ventaglio delle forze antigolpiste, dalla Esquerra catalana di Companys alla UGT , dal POUM al neonato Partit Socialista Unificat de Catalunya ( PSUC ) e a formazioni autonomiste minori. Le proporzioni non rispettano l’effettivo potere di ognuno, ma rispondono al vivo desiderio di unità contro i militari insorti. Si verifica qui un incontro di rilievo storico eccezionale fra le tre tendenze ideologiche presenti nelle formazioni antifasciste spagnole: l’anarchismo, il marxismo e il repubblicanesimo.

I compiti del Comité de Milicias Antifascistas vanno ben al di là dei problemi militari e di una supervisione politica. Esso svolge molteplici funzioni: dalla ricostituzione di un minimo di amministrazione pubblica al rifornimento alimentare di una metropoli con 1.000.000 di abitanti, dai servizi sanitari alla propaganda del nuovo ordine e al mantenimento dello stesso, dai contatti con la categoria dei tecnici per farli cooperare con la nuova economia alla riconversione delle fabbriche in industrie di guerra, dalla spinta alla coltivazione di tutta la terra disponibile ai rapporti con il governo di Madrid, dalla vigilanza delle coste al sussidio per le famiglie dei miliziani.

Di importanza non secondaria, tra le urgenze da risolvere a Barcellona, è l’indispensabile prevenzione e punizione degli atti ingiustificati di esproprio e violenza. Alcuni gruppi di malavitosi, attivi nella città vecchia alle spalle del porto, pensano di poter approfittare della crisi dei tradizionali organi di polizia per agire secondo i propri metodi e interessi. Di fronte al moltiplicarsi di tali episodi e al pericolo di una degenerazione della rivoluzione in caos armato su grande scala, il Comité decide di intervenire bruscamente e senza titubanze. Si sente anche il bisogno di rispondere con i fatti alle voci messe in giro da ambienti politici interessati a presentare gli anarchici come incontrolados.

Ricorda Peirats che
diversi elementi della CNT , colpevoli di abusi, furono fucilati per ordine della Confederaci ón sul luogo del reato; alcuni di essi erano militanti di rilievo. Questo è il caso di José Gardeña, del ramo dell’edilizia di Barcellona, e di Fernández, presidente del Sindicato de Alimentación, che avevano un curriculum rivoluzionario notevole, ma che non furono capaci di superare un momento di confusione e di debolezza” [5] .

L’uso appropriato delle armi ha l’obiettivo immediato di liberare la città da chi ha appoggiato le truppe ribelli e può costituire un pericolo: dai militari al clero, dai falangisti ai carlisti. In questo ambito si sviluppa una lotta anticlericale violenta che si basa sia su ragioni storiche che su motivi contingenti: la collaborazione, vera o presunta, di esponenti del clero con gruppi di golpisti. Nelle prime settimane si moltiplicano gli assalti agli edifici religiosi e si perseguono, in molte località, gli ecclesiastici sospettati di simpatie o attività filogolpiste. L’impeto anticlericale porta all’uccisione, soprattutto in Catalogna, di migliaia di religiosi e alla trasformazione delle chiese, particolarmente nei villaggi aragonesi, in strutture civili di uso collettivo. Le violenze sono opera di esponenti di tutte le tendenze antifasciste, o anche di nessuna, e rispondono al diffuso bisogno di colpire uno dei pilastri tradizionali della reazione, al di là dell’esplicito appoggio al golpe. Che verrà ufficialmente dichiarato più tardi [6] .

In fin dei conti si tratta di non tollerare quella che, prima a Madrid ma poi ovunque, viene definita la Quinta Colonna, cioè una serie di gruppi antirepubblicani che aspettano l’arrivo delle quattro colonne guidate dai generali ribelli. Questi ultimi dichiarano subito che, oltre alle loro quattro colonne che da lì a poco sarebbero entrate nella capitale, esistono propri sostenitori, appunto la Quinta Colonna, pronti a insorgere. Tale affermazione è uno dei motivi delle sacas, i prelievi dalle carceri di Madrid dove sono rinchiusi i militari filogolpisti sopravvissuti agli scontri dei primi giorni.

Anche a Barcellona la lotta alla Quinta Colonna determina un tipo di giustizia popolare sommaria che solo dopo alcune settimane assumerà la forma dei Tribunales Revolucionarios. Prima viene usato un metodo molto sbrigativo, approssimativo e talvolta arbitrario: il paseo (passeggio).

Questo termine sarcastico definisce il prelievo senza ritorno effettuato da gruppi armati nelle abitazioni di elementi sospettati di simpatie o azioni filogolpiste, in teoria su indicazione di apposite strutture informative del Comité. Il metodo della limpieza (pulizia) era già stato impiegato, in forma più sistematica e in misura molto più pesante, nelle retrovie dei territori sotto il potere dei generali golpisti. Secondo De Santillán, che ne è parte attiva, «il Comité de Milicias è allo stesso tempo un ministero della Guerra in tempo di guerra, un ministero degli Interni e un ministero degli Affari Esteri, ed è l’ispiratore di organismi simili sul versante economico e culturale» [7] .

La condizione informale e instabile del Comité, la sua improvvisazione e la sua estrema fluidità sono confermate dal fatto che le riunioni si svolgono per lo più a mezzanotte in quanto durante il giorno i suoi componenti hanno mille compiti differenti da svolgere. Questa collaborazione con i partiti autoritari in nome delle urgenze della guerra antifascista suscita, all’interno degli ambienti libertari, discussioni accese che non termineranno con il 1939. A ogni modo, tra il 20 e il 21 luglio si tengono riunioni, ovviamente improvvisate, degli organi di coordinamento della CNT che avallano la scelta di far parte del Comité in posizione di relativa minoranza, mentre il potere di fatto en la calle (nella strada) vede la prevalenza degli anarcosindacalisti. La conquista dello spazio urbano, non solo a Barcellona, è un indice dei rapporti di forza tra potere istituzionale e anarchismo operaio e popolare [8] .

Il 10 dicembre 1931, qualche mese dopo la nascita della Seconda Repubblica e di fronte alle tensioni in atto in quel periodo, il periodico anarchico «Cultura y Acción» di Saragozza aveva già proclamato che «se loro hanno la forza in un ministero, la nostra è nella strada e nella ragione». Il riferimento alla «ragione» rinvia al grande impegno profuso per giungere «a la revolución por la cultura» [9] grazie a una socializzazione e a una formazione sviluppate all’interno delle proprie strutture.

Continua nella Seconda Parte

Note al capitolo
[1] G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Lacaita, Manduria, 1998, pp. 829-856.
[2] J. García Oliver, El eco de los pasos, Ruedo Ibérico, Barcelona, 1978, p. 176.
[3] G. Ranzato, Eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini. 1931-1939, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, p. 288.
[4] C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles y el poder, 1868-1969, Ruedo Ibérico, París, 1972, pp. 82-84.
[5] J. Peirats, La CNT nella rivoluzione spagnola, Antistato, Milano, 1977-78, vol. 1, p. 239.
[6] Non è qui il caso di approfondire le radici e le manifestazioni dell’anticlericalismo. Tra i numerosi studi sul peso della Chiesa nella storia spagnola contemporanea e nella guerra civile, nonché sulle radici dell’ideologia che la sosteneva, si segnalano A. Botti, Nazionalcattolicesimo e Spagna nuova (1881-1975), Franco Angeli, Milano, 1992 e A. Álvarez Bolado, Para ganar la guerra, para ganar la paz, Universidad de Comillas, Madrid, 1995. Per l’opposizione al potere clericale, E. La Parra López, Manuel Suárez Cortina (cur.), El anticlericalismo español contemporáneo, Biblioteca Nueva, Madrid, 1998. Dal punto di vista di uno storico monaco benedettino di Montserrat, si veda H. Raguer, La pólvora y el incienso. La iglesia y la guerra civil española (1936-1939), Península, Barcelona, 2001.
[7] Riportato da C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles…, cit., p. 87.
[8] Per il caso più emblematico, C. Ealham, La lucha por Barcelona. Clase, cultura y conflicto 1898-1937, Alianza, Madrid, 2005.
[9] La consegna è rievocata da J. Navarro, A la revolución por la cultura. Prácticas culturales y sociabilidad libertarias en el País Valenciano (1931-1939), Universitat de Valencia, Valencia, 2004, p. 389. Dello stesso autore, si veda il vasto lavoro Ateneos y grupos ácratas, Generalitat Valenciana, Valencia, 2002.

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Ogni giorno come fosse l’ultimo

Articolo di Manizha Bulochkina

Pubblicato su “Zhenskaya pravda”, n. 6, 11 Luglio 2022

“Zhenskaya Pravda” è un giornale pubblicato online dalla “Resistenza Femminista Anti-Militarista” (Feministskogo Antivoyennogo Soprotivleniya (FAS) (Феминистского Антивоенного Сопротивления (ФАС)).

Fondato in risposta alla chiusura di tutti i mezzi di comunicazione indipendenti russi, “Zhenskaya Pravda” pubblica frammenti di reportage e interviste di media indipendenti, notizie per le madri dei coscritti e molto altro ancora.

Il gruppo che gestisce il giornale, Resistenza Femminista Anti-Militarista, è stato fondato nel Febbraio del 2022 in risposta all’invasione russa in Ucraina. Il suo manifesto è disponibile a questo indirizzo

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Russia/Russia-il-Manifesto-della-Resistenza-femminista-contro-la-guerra

Qualche tempo fa il presidente Vladimir Putin firmò un decreto sull’istituzione di una nuova festa «al fine di preservare i valori tradizionali della famiglia»: la Giornata della famiglia, dell’amore e della fedeltà (8 luglio).

Vi è stata una manifestazione delle donne nella regione di Donec’k in quella stessa data.

Hanno registrato un appello [dove hanno] chiesto di sapere dove siano i loro mariti.

[…] “Sono scomparse 200 persone. Del reggimento [che è partito,] è ritornata solo una compagnia” – dicono, con difficoltà a contenere le emozioni, le mogli degli uomini mobilitati nella regione di Donec’k in un video messaggio pubblicato su internet.

La loro richiesta principale: sapere [dove sono] i loro cari. Per più di quattro mesi non ci sono stati contatti con loro.

Le donne di Donec’k dicono che dalla fine di Febbraio i loro mariti sono stati arruolati con la forza, senza passare da nessuna commissione medica; metà [di loro] sono stati arruolati pur essendo inidonei. Ma questo a nessuno interessava.

Le donne hanno rivolto diverse istanze, ma ovunque sono state ignorate.

Secondo il “Gruppo per i diritti umani orientali” (“Восточной правозащитной группы”), a metà Giugno sono state mobilitate forzatamente nel Donbass circa 140mila persone – mobilitati fino al 75% dei lavoratori delle imprese locali.

Nella regione di Luhans’k la situazione non è certo migliore.

Irina, residente locale (nome cambiato su sua richiesta), racconta che suo marito, malato di varicosi ed ingegnere di un’acciaieria, è stato mandato nella regione di Kharkov.

Ha perso i contatti con lui il 23 Maggio.

Il 1º giugno, Irina ha appreso da un amico che era in ospedale.

Lei non [sapeva] dove fosse l’ubicazione della struttura sanitaria, tanto meno la ragione per cui ci fosse arrivato.

L’11 Giugno il marito l’ha chiamata personalmente [dicendo] di essere stato congedato per le sue condizioni di salute.

Ma poche ore dopo ha richiamato e ha detto che lo stavano rimandando indietro.

Il 21 giugno è stato nuovamente portato a Lugansk per essere curato.

Ha subito un intervento, ma è ancora in cattive condizioni a causa di un’infiammazione alla gamba.

Ha riferito a Irina che della sua compagnia composta da quaranta uomini, sono tornati in otto.

Il 1 Luglio si è tenuta di nuovo una manifestazione a Donec’k: le donne si sono ribellate contro la chiamata al fronte dei giovani [fatta] ieri (30 Giugno, ndt).

Agli studenti del primo anno hanno annunciato di presentarsi [all’ufficio] reclutamento per registrarsi, dando 24 ore per radunarsi, avvertendo che se non si fossero presentati sarebbero stati perseguiti per aver eluso il servizio militare.

Quelli che comunque non volevano firmare il contratto, sarebbero stati mandati in diversi punti dove i combattimenti sono in corso.

Le loro madri hanno scritto una lettera collettiva (contenente più di mille firme) al commissario locale per i diritti umani Daria Morozova.

Mentre le madri aspettavano una risposta, ogni giorno potrebbe essere l’ultimo dei loro figli.

Per quanto riguarda le famiglie pacifiche del Donbass, non va bene nemmeno lì: secondo la relazione dell’Ufficio del Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, dal 24 febbraio almeno 4.395 civili (di cui 275 bambini) sono morti in Ucraina, di cui 2.553 morti e 3.040 feriti dai territori delle regioni di Donetsk e Luhansk.

“Zhenskaya pravda” spera che i sopravvissuti si riuniscano presto alle loro famiglie!

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Aumenta la repressione a L’Avana. Il centro sociale ABRA nel mirino della polizia

Introduzione, traduzione e nota curata da Caterina Camastra

Boris M. Díaz è un compagno cubano, membro del Taller Libertario Alfredo López e del centro sociale e biblioteca ABRA. Nel primo anniversario delle proteste che hanno scosso Cuba l’11 luglio 2021, Boris è stato tra le vittime dell’operazione di intimidazione e assedio poliziesco dispiegata dalla dittatura cubana. Vale la pena menzionare che Boris è affetto da atrofia muscolare e vive su una sedia a rotelle, il che evidenzia l’assoluta squallida vigliaccheria di uno Stato fascista il cui unico fine è ormai perpetuare se stesso al potere. Riportiamo qui la denuncia diffusa da Boris sui social network il 17 luglio 2022:

“L’11 luglio è stata messa sotto vigilanza casa mia, il Centro Sociale ABRA. Due agenti del Dipartimento di Sicurezza dello Stato e la visita quasi personalizzata di Joel, conosciuto pubblicamente anche come Jordan, che ho trattato nel modo più normale possibile (anche se lui è uno sbirro prevaricatore, mi rifiuto di disumanizzarlo a priori). Non negherò che sia stato gentile, persino cordiale, cosa da me corrisposta come buon anfitrione invitandolo a sedersi per un caffè che non ha mai accettato. Suppongo che mi stesse facendo notare la sua presenza, come fa un qualsiasi gangster da film con la propria vittima. Ha fatto un certo discorso di onore, nato a partire dalla mia osservazione sul fatto che praticasse judo, cosa che ha riconosciuto rivendicando di essere cintura nera. Ha anche sottolineato di non aver mai abusato di nessuno (cosa smentita da testimonianze multiple, fra le quali un video), al che non ho potuto evitare di sorridere e di chiedergli se voleva sul serio iniziare un’amicizia con una bugia. In tutto questo, la mia intenzione era mettere in chiaro i seguenti punti:
1 – Il Dipartimento della Sicurezza dello Stato è colpevole della crisi politica che vive il paese a causa delle azioni repressive messe in atto dal Dipartimento stesso contro ogni forma di resistenza.
2 – Se avesse continuato a perseguitare persone a me care, l’avrei presa come un’aggressione indiretta.
La persecuzione di Joel/Jordan verso Leo* è arrivata al livello della diffamazione pubblica nel suo quartiere, con l’obiettivo di privarlo della solidarietà comunitaria e renderlo vulnerabile ad aggressioni che potrebbero non essere fortuite e che, essendo commesse da chi indossa un’uniforme, costituiscono un delitto. È quello che è successo oggi [17 Luglio]. Considero responsabile il Dipartimento di Sicurezza di qualsiasi danno arrecato a Leo [Leonardo è stato colpito da uno sconosciuto apparentemente ubriaco con un tondino di ferro, NdT] o a qualsiasi altrx dex miex amicx. Considero responsabile Joel/Jordan. Non esigo punizioni, perseguo la diffusione dei fatti affinchè non possa continuare tale corso d’azione vigliacco.
#AbbasolaTirannia
#VivaL’Anarchia
#RendiamofamosoJoelJordan ”

*Leonardo Romero Negrín, una delle vittime della repressione del 2021 che ha avuto più risonanza internazionale, compresa una lettera aperta firmata da personalità del mondo della cultura come Noam Chomsky e Étienne Balibar. Già da prima dell’ “11J”, il 30 aprile, era stato arrestato e multato per aver mostrato in pubblico un cartello che diceva “Socialismo sì, repressione no”. L’11 luglio è stato arrestato di nuovo, picchiato, e ha pubblicato una testimonianza sugli abusi di potere della polizia che ha vissuto e di cui è stato testimone. Per saperne di più:
https://i-f-a.org/2021/05/22/leonardo-romero-and-the-criminalization-of-socialist-activism-on-public-spaces-in-cuba-en-ca/
https://reformandrevolution.org/2021/07/13/cuba-release-frank-garcia-hernandez-and-his-comrades/
https://jcguanche.wordpress.com/2021/07/19/un-testimonio-de-leonardo-romero-negrin/

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Le proteste contro gli attacchi alla libertà riproduttiva a Phoenix affrontano la repressione e la sorveglianza della polizia e dell’estrema destra

 

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Traduzione dell’articolo “Protests Against Attacks on Reproductive Freedom in Phoenix Face Police and far-Right Repression and Surveillance”

Rapporto sulle manifestazioni in corso nella cosiddetta Phoenix, in Arizona, in seguito all’annullamento della sentenza Roe v Wade da parte della Corte Suprema.

A partire da venerdì 24 giugno, quando la Corte Suprema ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade, si sono svolte manifestazioni notturne nella cosiddetta Phoenix, in Arizona. A causa del caldo estivo, tipico di Phoenix, le persone si sono riunite dalla sera alla notte. Ogni sera questi raduni si sono svolti presso il Campidoglio, un luogo strategicamente problematico per le azioni dirette.

Il Campidoglio si trova a circa un miglio a ovest del centro di Phoenix e l’area che lo circonda è in genere poco trafficata, soprattutto di notte. Nella zona si trovano molti altri edifici governativi che, come il Campidoglio, sono tipicamente chiusi di notte. Questo rende il Campidoglio poco più che uno spazio per ascoltarci, parlare e cantare, mentre l’edificio stesso è vuoto e non c’è pubblico – a parte la polizia.

Storia degli eventi notturni
Durante la prima notte, i poliziotti hanno sparato gas lacrimogeni contro i/le manifestanti che si erano radunati all’esterno. Durante la seconda notte, i poliziotti hanno arrestato numerose persone, tra cui osservatori legali e media. Si veda qui e qui. L’agenzia che si è impegnata in questa repressione di Stato è il DPS (Department of Public Safety), la polizia di Stato. La terza notte, un gruppo di fascisti armati degli AZ Patriots – un noto gruppo di odio anti-migranti – si è presentato con armi da fuoco per intimidire i/le manifestanti.

Quella stessa sera la folla in protesta è stata presa dal panico e si è messa a correre per paura di un cecchino quando un dimostrante a favore dei diritti abortisti ha appoggiato una bandiera della Thin Blue Line a terra, bagnata dalla pioggia, e ha iniziato a imbracciare una pistola lunga per proteggersi dai fascisti. L*anarchic* lì vicino sono intervenut* rapidamente per fermare il panico e la maggior parte della folla è rientrata e la manifestazione è continuata. La persona con la pistola e la bandiera della Thin Blue Line è stata ingiustamente arrestata ma rilasciata poco dopo. Questa persona aveva intenzione di calpestare o bruciare la bandiera, come ha rivelato dopo che le è stato chiesto. Questo avrebbe dovuto essere ovvio per la gente, considerando che era a terra, bagnata, e non veniva sventolata o sventolata. La gente ha anche affermato che la persona non ha mai puntato la pistola contro nessuno.

La seconda notte è stata eretta una recinzione intorno al Campidoglio, che è stata poi rinforzata per un totale di tre recinzioni, di cui quella centrale era costituita da filo a concertina. Ogni notte, diverse persone presenti alla manifestazione hanno riferito di essere state seguite fino alle loro auto da droni e veicoli della polizia. In alcuni casi, questi veicoli hanno continuato a seguire le persone che uscivano in auto per chilometri di distanza dal Campidoglio. Wesley Bolin Plaza, il parco di fronte al Campidoglio, è stato chiuso tutte le sere e la polizia ha spesso molestato, trattenuto o arrestato persone che semplicemente camminavano al suo interno, comprese le persone senza tetto che non facevano parte della manifestazione.

Inoltre, la gente ha iniziato a notare alcune persone tra la folla che si comportavano in modo sospetto o che erano state viste collaborare apertamente con la polizia. Un uomo bianco, presente da diverse sere, è stato seguito all’uscita e si è scoperto che era entrato in un parcheggio riservato ai veicoli statali e se n’era andato con un SUV blu che i manifestanti avevano visto seguirli nelle sere precedenti. Una donna bianca, che era una delle organizzatrici di alcune serate, è stata vista parlare ripetutamente con la polizia. Quando le è stato fatto notare più volte perché questo comportamento non è sicuro, si è messa sulla difensiva e non ha fornito risposte logiche. Nella settima serata (giovedì) l’intera folla parlava di lei mentre gli oratori discutevano al megafono sul perché è importante mantenere gli spazi il più possibile liberi da informatori della polizia. Quello che la gente non ha capito è che durante questa importante discussione, lei era seduta in fondo alla folla, al buio, vestita in black bloc. Quando è stata richiamata, se n’è andata immediatamente. Nessuno dei due è tornato la sera successiva.

First Friday Art Walk
Sono circolati molti volantini online che invitavano la gente a presentarsi in Campidoglio alle 19.00 di venerdì 1 luglio. Dopo essere arrivat* al Campidoglio, un folto gruppo di manifestanti, forse circa 1.000, stava marciando in strada sulla 17th Avenue in direzione sud verso il Campidoglio. Erano guidati da gente del servizio d’ordine che indossava gilet gialli con il logo del PSL (Partito per il Socialismo e la Liberazione – Phoenix). Uno di loro ha iniziato a parlare con la polizia in attesa all’angolo tra la 17th Avenue e Adams Street. Allontanandosi dalla polizia ha poi pronunciato ad alta voce il nome di un manifestante in blocco nero all’angolo. Si tratta di una grave preoccupazione per la cultura della sicurezza. La grande folla, guidata dal servizio d’ordine del PSL, è stata scortata fino allo stesso parco che è stato chiuso ogni notte.

Membro del servizio d’ordine del PSL parla con la polizia a Phoenix, AZ

La grande folla era piuttosto separata, con persone sul prato del Campidoglio e persone in Wesley Bolin Plaza. Quando fuori si è fatto buio, tutt* si sono spostat* sul prato del Campidoglio. Sembrava che alcune persone che cercavano di guidare il raduno si aspettassero essenzialmente che 1.000 o più persone gridassero e cantassero attraverso una recinzione contro un edificio del Campidoglio vuoto per tutta la notte. Dopo che un megafono ha annunciato che le persone avrebbero smesso di cantare contro gli edifici vuoti e avrebbero invece marciato verso il First Friday, dove si sarebbero trovate migliaia di persone, la folla ha iniziato a farlo. Quando la folla ha iniziato a muoversi, il servizio d’ordine del PSL non era più visibile.

Centinaia di persone hanno occupato entrambi i marciapiedi lungo Van Buren Street e hanno marciato verso il centro. Man mano che ci si spostava verso il centro, il traffico e la visibilità aumentavano e molti pedoni e auto che passavano esprimevano il loro sostegno. All’arrivo nell’affollata area del centro di Roosevelt Row, dove si svolgeva il First Friday, un gran numero di persone su entrambi i lati della strada e nei veicoli ha espresso il proprio sostegno. Ci sono state alcune agitazioni da parte di oppositori, persone di destra e fascisti, tra cui una piccola rissa che è scoppiata ma che è presto terminata. Il gruppo ha marciato per gran parte del First Friday e poi, a metà strada, è rientrato in strada. Da quel momento in poi, si è trattato di un’azione di strada ed è tornato indietro dalla parte opposta prima di attraversare di nuovo la strada. Quando si è tornati verso il centro del First Friday, l’intera folla si è seduta all’incrocio in segno di protesta. A questo punto i poliziotti si sono radunati sempre più numerosi. Tuttavia, i veicoli contrassegnati erano più indietro a reindirizzare il traffico, mentre la maggior parte dei poliziotti che stavano relativamente vicini erano della squadra rossa della polizia di Phoenix o, come li chiamano loro, della “Community Response Squad”. La folla ha ignorato la polizia e non ha interagito con loro se non con qualche occasionale urlo “fanculo la polizia”.

Le persone hanno trascorso almeno mezz’ora o più in strada a questo incrocio, cantando e parlando a turno ai megafoni. Purtroppo, le azioni di strada sono relativamente rare a Phoenix a causa di una serie di dinamiche problematiche, tra cui la polizia ultra-repressiva e l’ambiente politico di estrema destra, le sospette tattiche di contro-insurrezione per dividere i gruppi prima che possano diventare efficaci, e il fatto che molti abitanti di Phoenix non sono di Phoenix, quindi ci sono spesso persone che si trasferiscono e si spostano, rendendo difficile avere una base solida, coerente e consistente di persone. Quindi, quando centinaia o più di persone scendono in strada durante un evento molto frequentato a Phoenix, di solito si tratta di un’azione diretta che ne vale la pena.

Recinzioni erette fuori dal Campidoglio dell’Arizona

Oltre alla discussione sui diritti dell’aborto, è stato affrontato anche il tema della cosiddetta Giornata dell’Indipendenza. Il consenso generale della folla è stato che non dovrebbe essere celebrato. Alcun* hanno discusso di bruciare le bandiere statunitensi. È stata fatta anche una sorta di riconoscimento della terra, ricordando che questa città, questo Stato e questo Paese sono terre rubate, che questa terra è territorio di Akimel O’otham e che il 4 luglio non dovrebbe mai essere celebrato.

Dopo un po’, la folla ha marciato verso il Campidoglio e si è conclusa la serata. I resoconti della gente indicano un arresto, ma per il resto i dipartimenti di polizia (Arizona DPS e Phoenix PD) sono stati per lo più inoffensivi. Gran parte della folla era bianca, quindi tra questo e il fatto che la polizia di Phoenix è stata messa sotto accusa per il trattamento riservato ai manifestanti nel 2020 – in particolare per le accuse di “gang” del 17/10/20 – hanno attenuato la repressione statale palese, almeno per la notte.

Questo avviene in un momento in cui recentemente April Sponsel, il procuratore dietro i casi di protesta criminale, è stata licenziata; Jeri Williams, il capo della polizia di Phoenix, si sta dimettendo; e Allister Adel, il più importante procuratore della contea, si è recentemente dimesso e poi è morto un mese dopo a causa di circostanze che sono state nascoste al pubblico. Detto questo, fanculo la Corte Suprema, fanculo il 4 luglio, fanculo la polizia e fanculo questo Stato colonizzatore. E fanculo al cis-etero patriarcato.

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Migliaia di persone scendono in piazza a Boise, nell’Idaho, per opporsi all’estrema destra

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Traduzione dell’articolo “Thousands Take to Streets in Boise, Idaho; Push Back Against the far-Right”

Rapporto dalla cosiddetta Boise, Idaho, sulle recenti proteste e mobilitazioni contro la sentenza della Corte Suprema contro la Roe V Wade.

Nel caldo dell’estate, il 27 giugno 2022, circa 4.000 persone hanno partecipato a una manifestazione nel parco Cherie Buckner-Webb, nel centro della cosiddetta Boise, in Idaho. La folla era composta da molti partecipanti che non si erano mai impegnati prima in una grande manifestazione, ma che erano stati recentemente disillusi dall’annullamento della sentenza Roe contro Wade, annunciata il giorno prima. Molte persone che non avevano mai messo in discussione le menzogne – alimentate con il cucchiaio – sulla legittimità del sistema, stavano ora iniziando a riconoscere che lo Stato non ha lo scopo di proteggerci, ma di controllarci e di estrarre tutto ciò che può, dalla creazione della prossima generazione della classe operaia, ai nostri corpi e alla Terra stessa.
L’affluenza dei fascisti è stata minima rispetto al solito, anche se ciò può essere dovuto alla sperimentazione di metodi diversi da parte dell’estrema destra. C’erano fascisti identificati individualmente tra la folla, ma non stavano prendendo la solita posizione di circondare la protesta con fucili automatici, pistole e giubbotti antiproiettile al seguito (forse a causa dell’arresto di massa dei membri del Patriot Front che stavano pianificando di attaccare una marcia Pride in Idaho solo alcuni giorni prima)?

Alcuni adolescenti hanno girato intorno alla manifestazione a bordo di un grosso camion, con un fucile d’assalto imbracciato dall’autista e le targhe rimosse dalla parte anteriore e posteriore del camion. Era presente anche uno del Groyper [nome di un gruppo di estrema destra statunitense legato all’onda dell’Alt Right, ndt] tale Jared Nobel “Woozuh”, suprematista bianco di Vancouver, Washington. Ha sfoggiato un cappello blu acceso con la scritta “America First” e si è intrufolato nella manifestazione facendo livestreaming e doxxing [pratica che consiste nel riconoscimento di un militante politico nemico divulgando informazioni sensibili come nome o indirizzo per esporlo ad attacchi fisici, ndt] degli oratori, finché qualcuno non l’ha riconosciuto, ha detto chi era, ed è stato fischiato fuori dall’area. È rimasto sul perimetro cercando di intervistare le persone per il resto dell’evento.
Gli organizzatori della manifestazione avevano inizialmente previsto una marcia, ma hanno riferito che non era sicura e hanno dichiarato nei commenti finali che le persone sono autonome e possono marciare o fare ciò che vogliono, ma che non sarebbe stata una parte ufficiale della manifestazione. Il gruppo ha iniziato a disperdersi in diverse direzioni, mentre un enorme scroscio di applausi si è verificato in un’area in cui veniva bruciata una bandiera in strada. Poco dopo circa la metà della folla, tra le 2.000 e le 2.500 persone, ha iniziato a marciare autonomamente per le strade del centro di Boise.
Il contesto è che l’Idaho è uno Stato ultraconservatore e, sebbene Boise sia meno conservatrice di tutte le altre città dell’Idaho, il punto più a sinistra in cui si spinge la maggior parte della gente è la categoria dei liberali/neoliberali. Nella maggior parte dei movimenti c’è sempre un leader e i “seguaci” non agiscono autonomamente al di fuori di ciò che il “leader” ritiene sia la cosa da fare in quel particolare momento, per cui aprire una via d’uscita è una boccata d’aria fresca benvenuta e celebrata.

Inoltre, per le persone “marciare per le strade” è un’enorme sfida; quasi tutte le marce sono controllate per “rimanere sui marciapiedi” nel timore di una risposta della polizia per “infrazione della legge”. Questa aspettativa culturale locale è stata infranta durante la marcia iniziale dopo l’omicidio di Philando Castile e Alton Sterling nel 2016, quando ai partecipanti è stato chiesto se volessero marciare in strada o rimanere sui marciapiedi e il mix di rabbia e tenacia dei presenti ha portato a un accordo collettivo per scendere in strada. In seguito, la maggior parte delle marce è tornata all’abitudine di occupare i marciapiedi, il che è triste e patetico e assicura allo Stato e ai suoi esecutori che non hanno nulla di cui preoccuparsi perché siete incredibilmente sotto il loro controllo e che tutto ciò di cui avete bisogno è una rapida valvola di sfogo che consiste nell’impugnare un cartello e camminare per qualche isolato sul marciapiede fino a tornare pacificamente alla vostra vita quotidiana.
A causa dell’improvviso cambio di programma da parte degli organizzatori, non c’era nessun percorso pianificato, nessuna direzione, nessun controllo – la gente si è semplicemente riversata nelle strade e ha iniziato a cantare e marciare. Anche i canti non erano stati pianificati e il risultato è stato che la gente ha urlato e cantato, tra le altre cose, “Sono tutte stronzate”, “Fanculo i tribunali”, “Mio il corpo, mia la scelta”. C’era una magia e una bellezza nella natura organica delle persone in assenza di un leader. Per prima cosa la gente ha marciato verso il Campidoglio, come si fa di solito nella zona. C’erano troppe persone per poter entrare nello spazio, ma tutti si sono fermati e hanno cantato per un po’, per poi riversarsi di nuovo nelle strade e ricominciare a marciare.
La marcia è durata un paio d’ore e si è snodata per le strade, bloccando il traffico in ogni direzione per lunghi periodi di tempo. La sicurezza prevista era minima o nulla, ma le competenze/modelli sono stati condivisi abbastanza da far sì che la gente iniziasse organicamente a presidiare gli incroci (bloccando le intersezioni e parlando con gli automobilisti per evitare che questi ultimi diventassero irascibili e si lanciassero nella marcia). Dopo aver marciato per il centro alcune volte e aver disturbato il flusso del traffico per un paio d’ore, i manifestanti sono tornati al parco e si sono dispersi.

La cosa più importante è stata vedere il potere dell’autonomia in azione, anche quando proviene da migliaia di liberali appena disillusi che ora metteranno in discussione tutto e capiranno dove andare dopo. Inoltre, quando siamo in grado di agire come comunità e di prendere decisioni collettive, siamo inarrestabili e potentissimi.
È incredibilmente assurdo che nel 2022 si debba ancora parlare di leadership. I leader vengono arrestati, i leader vengono uccisi, i leader vengono corrotti dalla loro stessa fame di potere, i leader si esauriscono, i leader non hanno ciò che serve per portare a termine il lavoro. I leader non ci salveranno. Ognuno di noi è potente e capace di impegnarsi per cambiare le proprie condizioni e avviare un’azione. Non possiamo mai farlo da soli, è nella lotta condivisa per la nostra liberazione collettiva che possiamo toglierci di dosso ciò che ci distrugge e creare nuovi modi di essere. Quindi, andiamo a prenderlo, cazzo.

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Modesto, California: Manifestanti pro-choice affrontano la celebrazione del parto forzato in chiesa

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Traduzione dell’articolo “Modesto, CA: Pro-Choice Protesters Confront Forced Birth Celebration at Church”

Resoconto della protesta davanti a una chiesa che celebra l’abolizione della libertà riproduttiva a Modesto, California.

La sera del 26 giugno, una ventina di dimostranti pro-choice si sono riuniti fuori dalla Calvary Chapel di Modesto (California) in risposta a un evento organizzato quella sera dalla chiesa, “Grazie Dio per il ribaltamento della Roe v. Wade”. Questo evento arriva solo due giorni dopo la controversa sentenza della Corte Suprema che ha annullato la sentenza Roe v Wade e ha permesso agli Stati di limitare i diritti riproduttivi.
Mentre i fedeli si trovavano all’interno, la chiesa aveva una security in gilet gialli che girava per il parcheggio in bicicletta e su golf cart. A parte una guardia di sicurezza che ha istigato una breve discussione mentre i manifestanti marciavano, inizialmente c’è stata poca interazione con la folla.
I manifestanti (ai quali era stato detto fin dall’inizio che sarebbe stata chiamata la polizia se fossero entrati nella proprietà della chiesa) hanno marciato fino all’angolo della chiesa, appena fuori Pelendale Avenue, con cartelli come “Le donne non arretrano. Combatteremo” e “Fanculo la Corte Suprema”, oltre a una bandiera americana rovesciata dipinta con lo spray con la scritta “La vostra teocrazia può fottersi”.
Alla fine, la polizia è stata chiamata in risposta ai manifestanti seduti su un cippo di pietra dove erano riuniti, ma non sono stati effettuati arresti.
Una volta usciti dalla chiesa, i fedeli sono stati accolti ad ogni uscita del parcheggio da cartelli e cori. I manifestanti hanno cantato “Abortisci la Corte” e “Niente Chiesa, niente Stato, solo io decido il mio destino”.
Un manifestante ha letto dei versetti della Bibbia che invocavano l’uccisione dei bambini, chiedendo ai fedeli se questo sembrava a loro favorevole alla vita. Alla fine la chiesa ha chiuso tutte le uscite tranne una. Alcune auto hanno tentato di usare le altre uscite per evitare di affrontare i manifestanti mentre passavano, ma alla fine sono state costrette a tornare indietro e a passare comunque davanti a loro. Quando le auto hanno iniziato a diminuire nel parcheggio, i manifestanti sono tornati a casa.

Questa manifestazione è stata organizzata rapidamente e potrebbe essere facilmente replicata in tutta la Valle e oltre. È sufficiente diffondere un volantino, riunire un gruppo di amici e spargere la voce. Piccole azioni come questa sono necessarie per costruire movimenti più ampi con la capacità di combattere battaglie più grandi, rafforzando al contempo i legami con le persone nelle nostre comunità.
È importante che in tempi come questi ci uniamo e ci ribelliamo alle forze che vorrebbero sottometterci alla loro autorità. È anche essenziale che questo non finisca qui. Se da un lato è essenziale resistere al peggioramento delle condizioni dell’ultimo stadio del capitalismo, dall’altro dobbiamo spingere verso un futuro ancora migliore, senza Capitale e senza Stato.

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Olympia, Washington: Il raduno pro-aborto al Campidoglio si trasforma in una marcia contro gli oppositori locali dell’aborto

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Traduzione dell’articolo “Olympia, WA: Pro-Abortion Rally at State Capitol Turns into March on Local Abortion Opponents”

Report da anarchich* nella cosiddetta Olympia, Washington sul recente raduno e sulla marcia per la libertà riproduttiva. Postato originariamente su Puget Sound Anarchists.

Oggi la Corte Suprema ha rovesciato la sentenza Roe contro Wade.
Nemmeno la distruzione totale degli Stati Uniti d’America sarà sufficiente a garantire un’autonomia corporea e una libertà riproduttiva totale e duratura; noi non possiamo sapere cosa ci vorrà per ottenere questa devastazione perché non l’abbiamo ancora raggiunta. Quindi tanto vale tentare il tutto per tutto.
Tenendo conto di ciò, questa sera alcun* anarchic* hanno partecipato a una manifestazione presso il Campidoglio dello Stato di Washington a Olympia. Siamo venut* con basse aspettative (beh, non tutt* erano pessimist*), volantini, striscioni e un ardente desiderio di fare di più. Ci siamo aggirat*, abbiamo chiacchierato e distribuito volantini, mentre ascoltavamo le persone che imploravano di votare o che facevano osservazioni sugli effetti di questa nuova sentenza a Washington e su chi sarà maggiormente criminalizzato da questo nuovo precedente.
Quasi tutt* quell* a cui abbiamo distribuito volantini sono stat* ricettiv* e, sebbene sembrasse che ci fosse un’incertezza generale nella folla su come fare di più o intensificare, c’era sicuramente il desiderio di fare di più che stare in piedi e urlare in una sala del potere vuota.
Il testo del volantino recitava:

NON È STRANO CHE I NOSTRI CORPI – LE NOSTRE STESSE VITE – SIANO OGGETTO DI DIBATTITO, DI VOTAZIONE, TANTO PER COMINCIARE?
Ci viene continuamente detto che dobbiamo votare per proteggere i nostri “diritti”, eppure che tipo di diritti possono essere così facilmente cancellati dalla decisione di un piccolo gruppo di persone?
I Democratici hanno continuamente usato l’accesso all’aborto sicuro e legale come merce di scambio per ottenere voti e milioni di dollari di donazioni, affermando in ogni occasione che codificheranno la Roe v. Wade in legge – non l’hanno fatto quando Obama aveva una supermaggioranza a prova di ostruzionismo alla Camera e al Senato nel 2009 perché non era la sua “massima priorità legislativa”, e anche ora che i Democratici sono alla presidenza e in maggioranza al Senato e alla Camera si rifiutano di muoversi di un centimetro.
L’abrogazione della Roe v. Wade è solo l’inizio. La base su cui viene attaccata è il Diritto alla Privacy, che è anche la base di molte altre decisioni ora in vista della Corte Suprema come Lawrence v. Texas (protegge dalla criminalizzazione dell’omosessualità), Griswold v. Connecticut (protegge dall’acquisto di contraccettivi senza interferenze governative), Loving v. Virginia (legalizza il matrimonio interrazziale), Meyer v. Nebraska (protegge le famiglie che insegnano ai bambini una lingua diversa dall’inglese), Skinner v. Oklahoma (protegge dalla sterilizzazione forzata).
Finché ci sarà un gruppo di persone in grado di prendere decisioni radicali sui nostri corpi e sulle nostre vite, saremo sempre alla mercé di chi ci vuole sottomess*, nascost* in casa o mort*. Saremo sempre a una sola elezione di distanza dalla catastrofe. L’unico modo per non preoccuparci mai più che qualcun altro prenda decisioni sulle nostre vite è, da un lato, prendere il pieno controllo della nostra salute riproduttiva e, dall’altro, prepararci a difendere fisicamente noi stess* e l* altr* da chi cercherebbe di imprigionarci o ucciderci per aver esercitato il controllo sui nostri corpi e sulle nostre vite. Le leggi si piegano solo alla forza.

Mentre la manifestazione si stava concludendo, qualcuno si è messo al megafono e ha letto un elenco di aziende, banche e chiese locali che raccolgono fondi per criminalizzare l’aborto o che finanziano il locale centro di crisi per la gravidanza [1]. Altri tra la folla hanno iniziato a gridare “Marciamo!”. Due striscioni che recitavano “Troie anarchiche per l’aborto” e “Abortire i tribunali” si sono fatti strada e sono scesi in strada. Circa 150 persone si sono messe a seguire, occupando due corsie del traffico. Non c’è stata alcuna discussione sull’etica di scendere in strada o di rimanere sul marciapiede, chi voleva scendere in strada è sceso in strada e chi si sentiva più a suo agio sul marciapiede è rimasto sul marciapiede. Abbiamo sentito alcune persone commentare sorprese: “Aspetta… possiamo fare così?”. (la risposta è senza dubbio sì). Mentre molte persone che partecipano agli eventi liberali sono nostri nemici, molte altre semplicemente non conoscono il mondo delle possibilità e il potere della nostra immaginazione e della nostra rabbia e, una volta aperta la porta, la attraverseranno volentieri.
Abbiamo marciato prima verso la Olympia Federal Savings Bank, un’istituzione nota per il suo odio verso i senzatetto e che finanzia anche il locale centro di crisi per la gravidanza/finta clinica antiabortista (Options Pregnancy Clinic al 135 di Lilly Road NE). Da lì ci siamo spostati alla Harbor Church, che di recente ha ospitato una “Marcia per la vita” per raccogliere fondi contro l’aborto. Infine abbiamo marciato verso la chiesa cattolica di San Michele. A ogni fermata qualcuno ha parlato del ruolo di quell’istituzione nella criminalizzazione dell’aborto. Alla chiesa cattolica qualcuno ha parlato della storia di quella chiesa non solo nel punire l’aborto, ma anche il genocidio degli indigeni, la caccia alle streghe, le crociate e gli abusi sessuali sui bambini.
Alcuni di noi si aspettavano che alcune persone marciassero verso la Olympia Federal Savings Bank e non molto altro. Siamo rimasti piacevolmente sorpresi dal numero di persone disposte a scendere in strada e a continuare a marciare. Sebbene le lunghe marce possano spesso sembrare poco stimolanti, estenuanti e inutili, ci è sembrato utile ed espansivo mostrare che ci sono più opzioni che votare o urlare a un edificio governativo – le persone e le organizzazioni che vogliono costringerci a partorire hanno nomi e indirizzi.
Tra i canti intonati dalla folla c’erano:
“Abolite i tribunali, non ne abbiamo bisogno. Vogliamo la libertà totale!”.
“I diritti all’aborto sono qui per restare. Distruggete la chiesa e distruggete lo Stato!”.
Anche se non si è trattato di una sommossa, è stato bello spingere un evento di poco conto in una direzione più conflittuale, nella prima di quelle che saranno sicuramente molte notti di conflitto per l’aborto e l’autonomia corporea. Nelle parole di alcuni fottuti francesi, “tutti sono d’accordo – sta per esplodere”. E nelle parole della più grande band anarco-punk mai esistita, “Niente brucia mai da solo – ogni fuoco ha bisogno di un po’ di aiuto”.
[1] In originale Crisis pregnancy centers. Si tratta di finte cliniche o di furgoni da unità di strada che in apparenza offrono servizi medici per chi cerca di accedere all’aborto, ma in realtà tentano di dissuadere le persone dall’avere un aborto, ricorrendo a pratiche di terrorismo psicologico e manipolazione.

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Il valore della spazzatura. Riflessioni sul caso siciliano ed europeo – Seconda Parte

Prima Parte

 

2. L’economia circolare, salvagente per la borghesia?

L’Unione Europea e l’economia circolare

Secondo i dati Eurostat sui rifiuti urbani del 2020, nell’Unione Europea ogni cittadino ha prodotto mediamente 505 kg di spazzatura. [15] Se moltiplichiamo questo dato per gli abitanti effettivi di questa entità sovrannazionale (circa 447 milioni di persone), risultano prodotte 225 milioni di tonnellate di rifiuti urbani.

I prodotti riciclati (tramite compostaggio e riciclaggio dei materiali) nel 2020 sono stati 107 milioni di tonnellate [16]; quindi il rapporto di riciclaggio dei rifiuti urbani è stato di circa il 48%. [15]

Questi dati, seppur espressi con una media europea, ci mostrano come l’Unione Europea punti al riutilizzo del materiale attraverso quella che è nota come “Economia Circolare”.

Il 2 Dicembre del 2015, la Commissione Europea ha presentato ed adottato il primo piano d’azione sull’economia circolare – basata sulla condivisione, riutilizzo, riparazione, ristrutturazione e riciclo) –, in contrapposizione a quella “lineare” – basata, invece, su prendere, costruire, consumare e gettare via.

Le opportunità di un’economia circolare, secondo la Commissione Europea, sono riduzione dello sfruttamento ambientale, maggiore sicurezza dell’approvvigionamento delle materie prime, maggiore competitività, innovazione, crescita ed occupazione.

Accolto ai tempi con un mix di ottimismo e criticità da vari settori imprenditoriali e associazioni ed ONG, l’11 Marzo del 2020 la Commissione Europea ha inserito, come uno dei principali elementi costitutivi del “Green Deal”, il “nuovo piano d’azione per l’economia circolare”. [17]

Il piano, in sintesi, punta alla: progettazione sostenibile ed ecocompatibile dei prodotti; promozione dei processi di economia circolare; incoraggiamento del consumo sostenibile; prevenzione degli sprechi; riutilizzo delle risorse.

L’applicazione di questo piano dovrebbe funzionare grazie alla responsabilizzazione dei consumatori e gli acquirenti pubblici, concentrandosi su quei prodotti da cui si recuperano grandi quantità di risorse(elettronica, veicoli, batterie, plastica, tessile, edilizia, alimenti, acqua) e facendo cooperare maggiormente i territori nel nome della circolarità.

L’obiettivo di riciclaggio – e quindi recupero di risorse – dell’UE è arrivare al 55% nel 2025, 60% nel 2030 e 65% nel 2035.

Seppur nell’ultimo “Rapporto sull’Economia Circolare” (2022) viene riportato che il tasso di circolazione della materia del 2020 nell’Unione Europea sia stato del 12,8% [18] – con un aumento dello 0,9% rispetto al 2019 -, la sensazione palpabile è come questo tipo di visione “eco-umana-friendly-sostenibile” dell’economia capitalistica mal coincida con ciò che è l’essenza stessa della medesima: alienazione lavorativa, distruzione dell’ecosisistema e consumismo sfrenato.

-Come fumo agli occhi: riciclaggio e sostenibilità nell’economia circolare.

Il “Rapporto sui limiti dello sviluppo” del 1972 mise in evidenza come la crescita economica e il consumo delle risorse naturali di quel momento storico, fosse diventato insostenibile e potenzialmente dannoso per l’ecosistema terrestre.

In risposta a questa “insostenibilità” vi doveva essere, secondo gli estensori del Rapporto, un cambio di rotta in cui la “sostenibilità” si opponesse agli effetti sociali e ambientali dell’industrializzazione globalizzata neoliberista.

Negli ultimi vent’anni la sostenibilità all’interno dell’economia circolare è emersa come un principio chiave per le politiche industriali e ambientali in Cina, in Africa, nell’Unione Europea (UE) e negli Stati Uniti, senza dimenticare aziende e movimenti sostenuti dalle fondazioni (come nel caso di “Zero Waste Europe” [19] )

I vari sostenitori dell’economia circolare hanno pubblicato in questi anni diversi articoli sul “Journal of Cleaner Production” in cui si vorrebbe spingere il capitalismo verso le frontiere della sostenibilità ambientale, armonizzando le relazioni tra sistemi ecologici e attività economiche, creando un sistema rigenerativo in cui l’apporto di risorse e la dispersione di rifiuti, emissioni ed energia sono ridotti al minimo rallentando, chiudendo e restringendo i cicli dei materiali e dell’energia grazie alla progettazione, alla manutenzione, alla riparazione, al riutilizzo, alla rifabbricazione, alla rimessa a nuovo e al riciclaggio di lunga durata” [20]

Queste parole d’ordine non sono altro che dei tentativi delle dirigenze burocratiche e borghesi nel voler “responsabilizzare” (o “modellare”, per dirla in maniera brutale) secondo i loro canoni l’individuo nei confronti dell’ambiente e della società.

Se il principio di “sostenibilità” era una forma di denuncia alle logiche di crescita dell’economia lineare, adesso è diventata parte integrante della “Green Economy” – basata su misure e politiche sociali ed economiche orientate a fornire una soluzione di “sviluppo verde” .

Aziende come Apple, Coca Cola, ENI etc hanno attuato delle modalità d’impresa da eco-business per garantirsi un vantaggio competitivo ed aumentare le vendite e i profitti, migliorando il loro fatturato e difendendo la propria posizione all’interno dell’economia globale.

Da questa prospettiva, la “sostenibilità” diviene parte integrante di un piano di marketing aziendale nel calmare, da una parte, le preoccupazioni socio-ambientali dei consumatori (potenziali ed effettivi) e movimenti e gruppi politici, e dall’altra gestire la catena di approvvigionamento e dell’efficienza delle risorse.

In parole povere: la produzione di beni e servizi sostenibili non solo fa fare bella figura alle aziende di marca, ma le aiuta a crescere ampliando la loro capacità di competere, negoziare e sopravvivere nel mondo neoliberista.

In un contesto di rifiuti e di economia circolare, la “sostenibilità” delle aziende equivale a differenziazione e riciclaggio dell’immondizia – e non più mero smaltimento e accumulazione all’interno delle LND come si faceva fino a trent’anni prima -, facendo sì che questi scarti e la crescita economica costante che li produce siano qualcosa di positivo e prezioso per l’intera collettività.

Per poter essere maggiormente incisivi con un piano di marketing del genere, sia le aziende che le istituzioni giocano parecchio sui “sensi di colpa” da far provare ai consumatori. Tra questi troviamo lo smaltire un prodotto in un modo non ecologico (tipo che il prodotto gettato finisca in una LND), portando gli individui a pensare di se stessi come distruttori dell’ecosistema.

Il desiderio del consumo, anziché diminuire con questo sistema di riciclaggio e utilizzo dell’aspetto psicologico sui sensi di colpa, aumenta in quanto viene ridefinito, scusato ed incoraggiato l’utilizzo delle risorse stesse.

Hervé Corvellec, in “Recycling food into biogas, or how management transforms overflows into flows” [21], attraverso l’esempio dei prodotti agroalimentari e della produzione di biogas, spiega come i clienti che non vogliono più mangiare il loro cibo lo mettono nel sacchetto di carta marrone “elevato al rango di strumento per il riscatto sostenibile del consumo disordinato. Il riciclo riesce a unire fuoriuscita e ricchezza, dimensioni diametralmente opposte dalle eccedenze. La vergogna dello spreco scompare dietro l’orgoglio del riciclo.” [22]

Una visione del genere così malsana si basa su una produzione, trasformazione, ritrasformazione e riutilizzo infinito delle risorse. Eppure lo scarto od emissione verrà prodotto ugualmente e dovrà essere smaltito da qualche parte.

L’inghippo salta fuori non appena si allarga il discorso sui Rifiuti in generale dove vi troveremo quelli Speciali e Tossici – prodotti in campo sanitario, petrolifero, nucleare, chimico-farmaceutico.

Il riciclo di questi è impensabile visto che, secondo i canoni dell’ “Economia Circolare” non hanno un valore per un eventuale ripristino in campo mercatale.

Abolire o ridurre gli scarti energetici (petrolio e nucleare in primis) come vorrebbero queste associazioni e fondazioni a favore dell’ “Economia Circolare” equivalerebbe a rallentare la macchina energetica. Ed è un qualcosa che gran parte della borghesia (per non dire tutta) non oserebbe mettere in pratica pena diminuzione degli introiti o fallimento assicurato.

Tolta la questione energetica e mantenendoci sulle logiche capitalistiche, la produzione e lo scarto di materia è destinata a crescere attraverso il costante spreco tipico del capitalismo. La domanda di rifiuti (urbani nel nostro caso) non farà che crescere specie con una visione “eco-umana-friendly-sostenibile”.

Il pressapochismo dei sostenitori di questa “economica circolare” (e ci riferiamo in particolare a chi segue tali panzane senza avere ritorni economici) risulta manifesto poichè riducono la loro visione delle cose in:

– “acquisto&riciclo” come se la materia fosse eterna ed infinita e non una composizione chimico-fisico – soggetta quindi all’esaurimento e al consumo dalle leggi scientifiche;

– avallo di un sistema di aziende basate sullo sfruttamento, sul consumismo e sul proprio posizionamento di mercato.

3. A mo’ di conclusione

La questione annosa dei rifiuti urbani in Sicilia, così come nel resto dell’Unione Europea, tra raccolta, gestione ed utilizzo in senso capitalistico è speculare, come detto in precedenza, alle logiche capitalistiche di produzione e distribuzione.

Non basta eliminare le cosiddette nocività o prodotti inutili, così come non basterebbe diminuire la produzione in nome di una decrescita o di una circolarità che di felice ha solo chi possiede dei privilegi di razza, specie e di classe specifici.

Il punto è che diminuire la produzione senza controllare cosa viene prodotto non porterebbe a nulla, considerando che abbiamo a che fare con merci che spesso e volentieri sono inutili o dannose, o entrambe le cose insieme.

Un sistema produttivo e distributivo come quello adottato dalla società in cui ci troviamo a vivere, è letteralmente un tritacarne che aspetta di mettere a valore il più possibile, finendo così per alimentare una sovrapproduzione di merci che non verrà riassorbita.

Non bisogna dimenticare inoltre che la qualità delle merci che vengono consumate viene tenuta artificiosamente bassa. Un esempio di ciò è rappresentato dal mercato dell’elettronica, dove le apparecchiature prodotte sono “programmate” per rompersi in un dato periodo di tempo (fenomeno dell’obsolescenza programmata), cosicché il consumatore debba poi ritrovarsi ad acquistare un nuovo prodotto dopo pochi anni.

Al di là dei fattori produttivi e distributivi, che si accompagno a fenomeni quali spreco di risorse e merci e consumismo, ci troviamo a che fare con un sistema economico globale alienante per i miliardi di individui che vi prendono parte.

Analizzeremo in altre sedi le questioni, ma ci sembra doveroso doverle almeno segnalare.

Si tratta infatti di fenomeni che, soprattutto in questa fase storica in cui stiamo vivendo, andrebbero maggiormente esaminati: i rapporti lavorativi, al giorno d’oggi sono sempre più improntati al precariato e ad una accettazione quasi militaresca dei soprusi che lavoratori e lavoratrici subiscono.

Non è un caso, che a livello globale si sia verificato il fenomeno di una grande dimissione di massa (great resignation).

La distribuzione efficiente delle risorse, che a partire dal periodo del lockdown fino ad oggi ha mostrato tutte le fragilità delle catene logistiche mondiali, con seri rischi di interruzione dell’approvvigionamento di merci.

Infine, l’utilizzo delle risorse energetiche, soprattutto legato alla cosiddetta “Transizione Verde” tramite cui si cerca di rimediare all’inquinamento prodotto dai combustibili fossili facendo ricorso a fonti “ecologiche”/rinnovabili, ma senza andare ad esaminare quali sono le industrie più energivore e perché.

Una discussione del genere non è semplice, ma da parte nostra, con questo breve e sintetico scritto, abbiamo voluto iniziare un discorso che, partendo dal caso locale cittadino, è sempre stato trattato o con sufficienza o, vedasi il caso delle energie rinnovabili, come una sorta di panacea di ogni male.

Note

[15] “Municipal waste statistics”
Link: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Municipal_waste_statistics

[16] “Municipal waste landfilled, incinerated, recycled and composted, EU, 1995-2020”
Link: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Municipal_waste_landfilled,_incinerated,_recycled_and_composted,_EU,_1995-2020.png

[17] “Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Per un’Europa più pulita e più competitiva”.
Link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1583933814386&uri=COM:2020:98:FIN

[18] pag. 10.
Link: https://circulareconomynetwork.it/wp-content/uploads/2022/04/Rapporto-sulleconomia-circolare-2022-CEN.pdf

[19] Il movimento-progetto “Zero Waste Europe” (ZWE) è una rete di comunità, organizzazioni e gruppi nato nel 2014 come filiale dell’ “Alleanza Globale per le alternative agli inceneritori” (in inglese “Global Alliance for Incinerator Alternatives” (GAIA)) Gli obiettivi di “ZWE” è quello di avere un’Europa con zero sprechi, inclusiva e costruita nel rispetto dei limiti ecologici e dei diritti e del benessere delle comunità, con risorse rigenerate ripristinate e conservate a beneficio della collettività.
Se questi obiettivi sono più che apprezzabili, chi finanzia “ZWE” sono per la maggior parte delle fondazioni che, a loro volta, sono sostenute da grosse aziende e multinazionali riconosciute a livello mondiale.
Tra i finanziatori di “ZWE” segnaliamo:
– “Adessium Foundation” della famiglia van Vliet, il cui rampollo, Rogier van Vliet, presiede la “Multifund”, una società di investimento privata;
– “Kristian Gerhard Jebsen Foundation”, nata in memoria di Kristian Gerhard Jebsen, armatore norvegese e fondatore della “Gearbulk Holding”, una delle più importanti compagnie di spedizioni navali a livello mondiale. La fondazione è diretta dal presidente dell’azienda di famiglia, Kristian Jebsen;
– “Oak Foundation” fondata da Alan M. Parker, ex contabile e detentore del 20% della “DFS Group” (ora controllata da LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SE). I soldi che ha ricevuto dalla vendita delle sue azioni della DFS alla LVMH (840 milioni di dollari nel 1997) ha permesso di rinvigorire maggiormente le casse dell’Oak Foundation. Tra chi ha usufruito di questi fondi, oltre “ZWE”, vi è anche “Climate Works Foundation” il cui obiettivo è quello di decarbonizzare le “Belt and Road Initiative” in quanto potrebbe distruggere gli obiettivi dell’ “Accordo di Parigi sul clima” del 2015.
Fonti consultate
Finanziamenti di “Zero Waste Europe”, pag. 20
Link: https://zerowasteeurope.eu/wp-content/uploads/2022/06/ZWE-Annual-Report-2021.pdf
“Multifund BV”
Link: https://www.bloomberg.com/profile/company/0307936D:NA
“Brussels Influence: The cash behind the NGOs — Parliament changes — ‘Happy divorce’ for Finance Watch”
Link: https://www.politico.eu/newsletter/politico-eu-influence/politico-brussels-influence-the-cash-behind-the-ngos-parliament-changes-happy-divorce-for-finance-watch/
“Kristian Gerhard Jebsen Foundation board”
Link: http://www.kgjf.org/board/
“Gearbulk governance”
Link: https://www.gearbulk.com/about/governance/
“Millions of Dollars Couldn’t Keep DFS Group Together”, New York Times, 12 Marzo 1997
Link: https://www.nytimes.com/1997/03/12/business/millions-of-dollars-couldn-t-keep-dfs-group-together.html
Donazione di 1 milione di dollari a “Climate Works Foundation” nel 2021 per “promuovere un raffreddamento efficiente, rispettoso del clima e conveniente per tutti.” Il dato si trova cercando “Climate Works” al link https://oakfnd.org/grants/
“Decarbonizing the Belt and Road”
Link: https://www.climateworks.org/report/decarbonizing-the-belt-and-road/

[20] Martin Geissdoerfer et al., “The Circular Economy: A New Sustainability Paradigm?”, “Journal of Cleaner Production”, 2017, 143, pagg. 757–768
Link: https://www.researchgate.net/profile/Martin-Geissdoerfer/publication/311776801_The_Circular_Economy_-_A_new_sustainability_paradigm/links/5ae34246a6fdcc9139a18a46/The-Circular-Economy-A-new-sustainability-paradigm.pdf?origin=publication_detail

[21] Il saggio è inserito come capitolo nel libro curato da Barbara Czarniawska e ‎Orvar Löfgren, “Coping with excess: How organizations, communities and individuals manage overflows”, Edward Elgar Pub. Limited, 2013
Link del saggio: https://www.researchgate.net/profile/Herve-Corvellec/publication/322342202_Recycling_food_waste_into_biogas_or_how_management_transforms_overflows_into_flows/links/6149d6cfa3df59440b9fc497/Recycling-food-waste-into-biogas-or-how-management-transforms-overflows-into-flows.pdf?origin=publication_detail

[22] Ibidem, pag. 169

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Il valore della spazzatura. Riflessioni sul caso siciliano ed europeo – Prima Parte

Introduzione
Da decenni,ciclicamente Catania e provincia si ritrovano ad essere sommerse da tonnellate di rifiuti che, soprattutto durante la stagione estiva, provocano seri problemi a livello sociale e sanitario.

Quello della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti è un business ghiotto per la borghesia siciliana, tant’è che i gruppi di potere capitalistici hanno dichiarato una vera e propria guerra economica per il controllo del settore dei rifiuti, coinvolgendo anche frazioni della borghesia “illegale” (clan e famiglie mafiose), così come personaggi chiave dell’amministrazione pubblica.

Tuttavia, la gestione capitalistica di questo settore ha portato, e porta tutt’ora, un grave danno al territorio e chi lo abita. Così ci ritroviamo a vivere in un’isola in cui le discariche sono letteralmente sommerse e non è più possibile utilizzarle per portare dentro alcunché.

Non sapendo più come risolvere la questione, la borghesia siciliana ha più volte ventilato l’idea della costruzione di un termovalorizzatore, così come ha cominciato a prendere in considerazione l’idea di aderire alla cosiddetta “economia circolare”.

Non tratteremo in questa sede l’esame dei termovalorizzatori in Sicilia per mancanza di spazio; ci siamo concentrati invece sulla cosiddetta economia circolare.
Quest’ultima è una delle invenzioni capitalistiche del nostro tempo, che cerca di porre rimedio ad una situazione disastrata. L’economia circolare si pone come valorizzatrice degli scarti di produzione e di consumo, condendo il tutto con discorsi ideologici che mirano alla “responsabilizzazione” dell’individuo-consumatore, ma in realtà puntano alla sua colpevolizzazione in quanto non un cittadino abbastanza attento al riciclo.

In tutto ciò, l’economia circolare non mette in discussione i principi fondanti di questo tipo di società; anzi, essa ne è una delle espressioni, in quanto si basa su un sistema produttivo atto a valorizzare gli scarti o rifiuti e ricavandone un profitto.

1.La spazzatura: gestione e smaltimento come fonte di potere

-“Operazione Garbage Affair”
Il 16 Marzo 2018 l’operazione “Garbage Affair” della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) ha portato alla perquisizione dell’Ufficio Ecologia del Comune di Catania.
In quel frangente sono stati arrestati per corruzione e appalti truccati sulla gestione triennale della raccolta dei rifiuti (valore di 350 milioni di euro): Orazio Fazio, funzionario della direzione Nettezza urbana; Antonio Deodati, imprenditore romano che, insieme al cugino Francesco, gestiva le ditte “Eco.Car” e “Consorzio Sen.Eco”; Antonio Natoli, un dipendente che prima era in “Impresa Pulizie Industriali” (“IPI”, altra azienda dei Deodati) per poi passare nel Maggio 2017 al consorzio “Sen.Eco”; Leonardo Musumeci, dirigente della direzione Ecologia e ambiente del Comune di Catania; Massimo Rosso, dirigente della direzione Ragioneria generale del Comune di Catania, e Francesco Deodati, amministratore unico di “Eco.Car”.
La vicenda assomigliava ad un’altra operazione della DIA, “Gorgoni” (28 Novembre 2017), dove vennero arrestati per corruzione gli imprenditori operanti nel settore dei rifiuti, i pubblici amministratori di alcuni comuni della provincia di Catania ed alcuni appartenenti ai clan Cappello-Bonaccorsi e Laudani – questi ultimi nemici storici di lunga data.
Tra gli imprenditori arrestati vi era Rodolfo Briganti, amministratore della “Senesi spa”. Nel periodo pre e post arresto di quest’ultimo, vi era un legame societario stretto con Antonio Deodati: dalla creazione del consorzio “Sen.Eco” alla presenza delle due società (“Senesi” ed “Eco.Car”) come “Associazione Temporanea di Imprese” (rappresentata da Francesco Deodati) nella gara di appalto per la raccolta rifiuti del Comune di Catania avvenuta quasi due settimane prima dell’operazione “Garbage Affair” (inizio Marzo 2018).
L’arresto di Deodati e dei dirigenti Fazio e Rosso sono stati un duro colpo per la politica catanese: il primo aveva sostenuto con 50mila euro la candidatura a sindaco di Stancanelli; i secondi, invece, erano in stretti rapporti con l’allora sindaco Enzo Bianco – quest’ultimo, in nome della legalità, li ha scaricati all’indomani dell’operazione di polizia. [1]

Il tappabuco “Dusty srl” e l’aumento della TARI
Il 10 Giugno del 2018 viene eletto come nuovo sindaco di Catania Salvo Pogliese.
A sostituire sia i Deodati che il Comune nella raccolta rifiuti cittadini sono le società “Dusty srl” dell’amministratrice e fondatrice Maria Rosa Pezzino de Geronimo ed “Energetikambiente” di Aimeri Ambiente – che fa parte a sua volta della holding “Biancamano spa”.

Nonostante questo cambio, la questione della spazzatura cittadina diventa rovente fin dall’autunno del 2018. Il neo-sindaco denuncia alla Procura la “Sen.Eco” (precedente affidataria nella raccolta rifiuti) per disservizi; gli oltre 600 dipendenti della società di Deodati-Briganti, in attesa di essere assorbiti dalla “Dusty srl”, hanno protestato per le mancate retribuzioni dei primi 17 giorni di Settembre, oltre al TFR, ferie e straordinari vari.

L’entrata in scena della società di Pezzino de Geronimo non risolve il problema cronico dei rifiuti della città; a nulla valgono le ordinanze comunali sui giorni in cui devono essere conferiti i rifiuti nei cassonetti o le varie denunce delle associazioni sull’inesistente raccolta differenziata in città.

Con una situazione del genere, coadiuvata da un comune dichiaratamente in “dissesto”, a pagarne le conseguenze sono colore che vivono e risiedono “legalmente” in città.
Il 29 Gennaio 2019, la giunta comunale aumenta la “Tassa sui Rifiuti” (TARI) del 15% [2]; Pogliese e la sua maggioranza, consapevoli che “da uno studio condotto dall’Istat è emerso che in Sicilia l’87,1% delle famiglie giudica elevato il costo della raccolta dei rifiuti”[2], decidono tale mossa per avere liquidità di cassa e pagare i debiti causati dal dissesto finanziario.
In tal senso viene istituita una task force comunale per recuperare il credito da quel 50% di utenti/residenti che non pagavano la tassa.
L’aumento della TARI del 2019 si allinea alle volontà delle precedenti amministrazioni (Scapagnini, Stancanelli e Bianco) nell’aumentare progressivamente questa tassa [3] – nonostante qualche leggera deflessione. [4]

Saltano i tappi
Dopo più di un anno di indagini, il 4 Giugno 2020 la Guardia di Finanza e la procura di Catania fanno partire l’operazione “Mazzetta Sicula” contro i fratelli Leonardi, proprietari della “Sicula Trasporti” – principale azienda della Sicilia Orientale nella gestione dei rifiuti -, accusati di corruzione tramite tangenti e rifiuti smaltiti in modo illecito e pericoloso per l’ambiente.

Insieme ai due fratelli arrestati vi sono Francesco Zappalà, responsabile dell’impianto di Trattamento Meccanico Biologico (TMB), Pietro Francesco Nicotra, responsabile dell’impianto di compostaggio, i fratelli Guercio come amministratori di diritto e di fatto della “Edile Sud srl” (altra azienda controllata dai Leonardi), Vincenzo Liuzzo, dirigente di unità operativa semplice dell’Arpa Sicilia (sede territoriale Siracusa), Salvatore Pecora, istruttore tecnico impiegato presso il Libero Consorzio Comunale di Siracusa e Filadelfo Amarindo, dipendente della “Sicula trasporti” e punto di contatto con il clan Nardo. [5]

Centinaia di milioni di euro vengono sequestrati, così come le imprese – e poste sotto amministrazione giudiziaria – quali “Sicula Trasporti”, “Sicula Compost srl” e “Gesac srl”.

“Sicula Trasporti” è l’azienda che gestisce le due discariche di Contrada Coda Volpe e Contrada Grotte San Giorgio, entrambe vicine e ricadenti nel territorio di Lentini (provincia di Siracusa).
Quest’ultima discarica, attiva dal 1980, viene considerata “esausta” a partire dal 1 Maggio del 2021 e, nell’autunno dello stesso anno, la società in gestione giudiziaria invia un’informativa dove comunica che il sito può ospitare 600 tonnellate di rifiuti al giorno.
La proposta del Comune di conferire i rifiuti cittadini in altri impianti è una mossa temporanea che consente all’amministrazione locale di trovare delle soluzioni in attesa di ventilate costruzioni di termovalorizzatori o nuove discariche e allargamenti di quelle esistenti. [6]

A Settembre del 2021, il CGA respinge il ricorso della “Dusty” che non aveva partecipato “per tardività” alla gara di appalto per il servizio di raccolta settennale (valore 334 milioni di euro). Le motivazioni sia del TAR (Luglio) che del CGA sono state unanimi: il ricorso è irricevibile.
Per la raccolta dei rifiuti, il territorio comunale è stato diviso in tre lotti quali “Nord”, “Centro” e “Sud”, affidati rispettivamente a “Supereco”, “Consorzio Gema” ed “Eco.Car”.

Se questa problematica sulla raccolta dei rifiuti sembra essersi chiusa, si è riaperta invece la questione dello smaltimento dei medesimi.
Complice l’attuale congiuntura economica data dalla sindemia e dalla guerra in Ucraina, l’amministrazione giudiziaria “Sicula Trasporti” – gestrice della discarica di Contrada Coda Volpe -, ha inviato una nota in cui si chiedeva ai vari comuni della provincia catanese di rivedere le convenzioni economiche con i comuni alla luce degli ultimi aumenti energetici.

Roberto Bonaccorsi, che fa le veci come sindaco di Catania a seguito della sospensione di Salvo Pogliese, a livesicilia ha dichiarato riguardo questi rincari che “siamo passati da 107 euro a tonnellata a quasi 350. Da soli, non possiamo fare fronte ad aumenti di questo genere. Noi queste cifre non possiamo pagarle. […] Ho visto un piano finanziario, ma voglio andare più nel profondo. È il mio mestiere, del resto. Voglio sapere esattamente da cosa scaturisce questo aumento: in che percentuale è per via del costo della benzina raddoppiato? Quanto dipende, invece, dagli aumenti dell’energia elettrica?” [7]

Per Francesco Laudani, presidente della “Società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti (SRR) di Catania Area Metropolitana” [8], questo aumento da parte di “Sicula Trasporti” riguarda tutti quei comuni in quanto la società in gestione giudiziaria ha inviato “una proposta di convenzione da sottoscrivere, per portare il costo di trattamento e trasporto dei rifiuti a 240 euro a tonnellata. Hanno anche spiegato, però, che si potrebbe facilmente arrivare a superare i 300 euro. Per il momento, 21 Comuni della Srr hanno sottoscritto la convenzione, ma erano tutte amministrazioni che avevano fatto economie. E che con la raccolta differenziata sono molto più avanti di Catania.”” [7]

Per far fronte a questi rincari, si è fatto sempre più pressante – specie a livello mediatico – la richiesta della costruzione di un Termovalorizzatore (TMV) nella Zona Area Industriale Pantano d’Arci di Catania. Ma i tempi di costruzione, i costi dei materiali e le opposizioni dei vari gruppi ambientalisti e politici hanno portato al momentaneo fermo di questo progetto.

Avendo poco tempo per l’approvazione del bilancio preventivo del 2022 e dovendo appianare i debiti contratti (sia dalle precedenti amministrazioni che da quella attuale) il 29 Giugno il consiglio comunale di Catania doveva revisionare la tariffa della TARI, aumentandola del 18%.
Le proteste che ne sono scaturite – sia da parte dell’opposizione presente in Consiglio Comunale che fuori dal palazzo degli Elefanti – e i vari dietrofront dei consiglieri di maggioranza, hanno portato allo spostamento della discussione sull’aumento della TARI a fine Luglio.

-Un’emergenza infinita
La problematica gestionale e lo smaltimento dei rifiuti cittadini sono lo specchio di quello che avviene a livello regionale: chiusure e saturazione delle discariche (da quella di Motta Sant’Anastasia a quella di Lentini, passando per Mazzarrà Sant’Andrea e Bellolampo), aziende che ricorrono a metodi corruttivi o ai Tribunali Amministrativi per la spartizione milionaria e via dicendo.

La Regione Sicilia è in uno “Stato di Emergenza Rifiuti” dal lontano 22 Gennaio 1999 [9]; in quel periodo storico, i burocrati e politici regionali siciliani, incapaci di smantellare la loro rete di appalti e rapporti tra le amministrazioni comunali, agitarono a livello nazionale questa fantomatica “crisi” sui rifiuti adducendo la scusa di non essere riusciti recepire a pieno il “Decreto Ronchi” (DL del 5 Febbraio 1997, n° 22) – con il quale veniva normato l’incentivazione al riciclo ed esternalizzava la gestione e smaltimento dei rifiuti.

Il gioco a questi personaggi riuscì – e riesce ancor oggi – così bene che il territorio siciliano è diventata un’immensa pattumiera. E a nulla sono valse le richieste dell’attuale governo Musumeci di avere fondi dall’Unione Europea: questa, fin dalla metà di questo 2022, ha bocciato il “Piano Rifiuti” regionale perché non conforme con le linee guida.

Ma oltre il dato (e danno) ambientale, vi è anche un dato sociale ed economico.

La disoccupazione, il precariato e la migrazione fuori regione sono aumentate in modo lento, costante e progressivo, così come l’inflazione su base nazionale che porta le principali città siciliane (Messina, Palermo e Catania) a raggiungere il primo posto per i rincari di beni energetici e di prima necessità. [10]

Questi dati, uniti ad una tassazione gravosa ed alla gestione capitalistica dei rifiuti urbani, portano ad un mix micidiale che mostra come la vita delle persone e l’ambiente circostante valgono nulla di fronte alle volontà di tassazione, profitto e mantenimento del potere politico.

-Discariche e problematiche regionali
Le discariche di servizio (in inglese Landfill (LND)) comprendono luoghi di smaltimento e deposito e, se presenti, i macchinari per il Trattamento meccanico-biologico (TMB). Nel caso dello smaltimento e deposito avremo la presenza di rifiuti e scarti privi di valore, mentre in quello riguardante le TMB avremo una separazione tra i vari tipi di composti (organico ed inorganico) – in modo che i materiali raccolti possano essere utilizzati come concimi, combustibile solido secondario (CSS), riciclo di materiali (vetro e metalli per esempio).

Nel “Rapporto Rifiuti Urbani” dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, la Sicilia ha prodotto 2,15 milioni di tonnellate di rifiuti urbani nell’anno 2020.

Su 2,15 milioni di tonnellate, 1,3 milioni finiscono per essere trattate col TMB (e di questa cifra, 1,05 milioni sono rifiuti indifferenziati).

Lo scarto del TMB più quello che non viene trattato finisce direttamente come prodotto da smaltire nelle vasche delle LND. Nel caso regionale parliamo di qualcosa come 1,2 milioni di tonnellate, ben il 57% della produzione. Tale percentuale porta la Sicilia lontana dal raggiungere l’obiettivo quota 10% di prodotti smaltiti nelle LND entro il 2035. [11]

Secondo la mappa del Dipartimento dell’Acqua e dei Rifiuti della Regione Sicilia del Febbraio 2022, nella regione vi sono solo otto strutture adibite al TMB. [12]

In un contesto del genere dove lo smaltimento è al 57% e, secondo Calogero Foti, dirigente generale del Dipartimento dell’Acqua e dei Rifiuti della Regione Sicilia, “gli impianti [TMB], in Sicilia sono abbastanza pochi: sei o sette. Uno l’ho chiuso io stesso per motivazioni ambientali. Gli altri risultano quasi antiquati perché negli anni non si sono aggiornati con la tecnologia più avanguardia. Se fossero stati fatti questi investimenti, oggi il rifiuto da portare in discarica sarebbe diverso” [13], risulta facilmente intuibile che la gestione dei rifiuti sia disastrosa a tutti i livelli.

Le discussioni avvenute all’interno dell’Assemblea Regionale Siciliana sulla questione rifiuti negli ultimi 23 anni – l’ultima della quale è avvenuta il 27 Giugno [14] -, mostrano un quadro preoccupante in cui da una parte si cerca di scaricare la colpa sulle precedenti amministrazioni o sulle ex-ATO ora SRR e, dall’altra, si cerca di tappare i buchi inviando i rifiuti fuori dalla regione (con un costo maggiorato sia a livello di trasporto che nella tassazione data dalla TARI)

Questo cosiddetto “mal comune” è un “mezzo gaudio” o terreno fertile per determinate compagini politiche ed economiche.

Così, abbiamo chi si lamenta su questa gestione e spreco – i quali vorrebbero spingere o per la costruzione di termovalorizzatori (in modo da aprire un altro segmento dell’immenso e redditizio mercato energetico) oppure per un’economia circolare -, e chi, invece, vuole mantenere lo status quo corrente con allargamenti delle esistenti LND.

Continua nella Seconda Parte

Note

[1] “Garbage Affair, l’amarezza di Enzo Bianco”, sicilianetwork.info del 17 Marzo 2018
Link: http://web.archive.org/web/20210518020245/https://www.sicilianetwork.info/catania-rifiuti-arresti-dia-garbage-affair-lamarezza-di-enzo-bianco/

[2] Approvazione tariffe TARI, pag. 5. Link: https://etnaonline.comune.catania.it/EtnaInWeb/AttiWeb2019.nsf/xsp/.ibmmodres/domino/OpenAttachment/EtnaInWeb/AttiWeb2019.nsf/280BB23C626191F0C1258393005096C6/%24File/Delib.%20N.%206%20DEL%2029.01.2019%20TARI.pdf?Open

[3] A tal merito si vedano i dati TARSU (sostituita dalla TARI, legge del 27 Dicembre 2013, n. 147) del periodo 2004-2011
Link: https://www.comune.catania.it/informazioni/ufficio-per-le-relazioni-con-il-pubblico/allegati/tarsu/tabella_tariffe_tarsu_anni_2004_-_2011.pdf
e il dato TARES (sostituita sempre dalla TARI) del 2013, pag. 4
Link: https://comunect.ccup.it/download.php?file=413.pdf

[4] TARI 2014, pag. 3 Link: https://www.comune.catania.it/trasparenza/download.aspx?Attachment=Pr/QF4vET0srAsA9elrdqYUJmUYEDpW3nkaLF0pTJEgFJqluJldn/tcnLlWDaNhPBicCTDoQ-5k/Jwhy2gjpV6E2lCy250UDl-fGf43UIQWy0Vl8RmbN7rwqDFzU-h1uPckMOKxExFMOur/5ADtb0A==

[5] Attivi nei paesi di Lentini, Carlentini, Francofonte, Augusta e Melilli, il clan ha formato un’alleanza con gli Aparo e i Trigila nella spartizione del territorio settentrionale siracusano-meridionale catanese. I Nardo sono legati da rapporti pluridecennali con la famiglia Santapaola di Catania.
Fonte consultata
Arcidiacono Davide, Avola Maurizio, Palidda Rita, “Mafia, estorsioni e regolazione dell’economia nell’altra Sicilia”, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2016, 242 p.

[6] La proposta di allargamento della discarica di Grotte San Giorgio – considerata una bomba ecologica vista la scellerata amministrazione dei Leonardi – viene bocciata dalla Commissione Europea nel Gennaio di quest’anno.
“Rifiuti, bocciato ampliamento discarica di Lentini: esulta l’eurodeputato”, Quotidiano Di Sicilia, 26 Gennaio 2022. Link: https://qds.it/rifiuti-bocciato-ampliamento-discarica-di-lentini/

[7] “Rifiuti, triplicano i costi della discarica: “A Catania serve aiuto””, livesicilia.it del 24 Marzo 2022. Link: https://livesicilia.it/rifiuti-triplicano-i-costi-della-discarica-a-catania-serve-aiuto

[8] La soppressione degli “Ambiti Territoriali Ottimali” (ATO) avvenuta con la Legge 26 marzo 2010 n. 42 ha portato alla nascita delle “Società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti” (SRR).
Nell’ex provincia di Catania vi sono tre SRR: Kalat Ambiente, Catania Nord e Catania Area Metropolitana.
La “SRR Catania Area Metropolitana” riunisce 28 comuni per un totale di 722mila abitanti.
Link di riferimento:
https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:2010-03-26;42
https://www.srrcataniametropolitana.it/comuni-srr/

[9] “DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 22 gennaio 1999 Dichiarazione dello stato di emergenza nella regione siciliana in ordine alla situazione di crisi socio economico ambientale determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solido urbani”, pag. 8. Link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1999/01/28/22/sg/pdf

[10] Vedere “Inflazione in Sicilia: un disastro sociale” in “Inflazione e povertà: dramma nazionale, dramma regionale”, 14 Aprile 2022. Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/04/14/inflazione-e-poverta-dramma-nazionale-dramma-regionale/

[11] I dati citati si trovano nelle pagg. 31, 134, 137 e 175 del “Rapporto Rifiuti Urbani”, ISPRA, Roma, Dicembre 2021.
Link: https://www.isprambiente.gov.it/files2022/pubblicazioni/rapporti/rapportorifiutiurbani_ed-2021-n-355-conappendice_agg18_01_2022.pdf

[12] Link: https://www.regione.sicilia.it/sites/default/files/2022-02/MAPPA%20TMB%20e%20DISCARICHE%20-%20FEB%202022_0.pdf

[13] “Termovalorizzatori e discariche: mappa dei nuovi impianti”, livesicilia.it, 28 Giugno 2022.
Link: https://livesicilia.it/sicilia-termovalorizzatori-e-discariche-mappa-dei-nuovi-impianti/

[14] “Comunicazioni del Governo sull’emergenza rifiuti in Sicilia” in “Resoconto Stenografico della 344° Seduta”, 27 Giugno 2022, pagg. 6-29
Link: https://w3.ars.sicilia.it/DocumentiEsterni/ResSteno/17/17_2022_06_27_344_P.pdf

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Acratibis, “Il fattore morale nell’anarchismo”

In momenti di forte crisi sociale, economica e culturale, la disaffezione verso i modelli organizzativi verticistici è molto alta. Una collettività sociale del genere, pur essendo controllata, può evidenziare al suo interno varie spaccature in maniera maggiore. All’interno di tale tipo di società troviamo coloro che: accettano lo stato di cose esistente per calcolo (o per difendere uno o più privilegi); vogliono cambiare radicalmente tutto; rimangono fermi in attesa dell’arrivo di un messia; fanno quel che vogliono incuranti di tutto e tutti; e via dicendo.
Il contesto divisorio, in generale, è un tratto dei vari movimenti politici.
Tra questi, vi troviamo il movimento anarchico
Ne “Il fattore morale nell’anarchismo”, pubblicato su “La Battaglia. Periodico Settimanale Anarchico” da Acratibis (pseudonimo di Alessandro Cerchiai) il 28 Febbraio 1909, l’anarchico pesciatino criticava una serie di modalità date dall’individualismo, comunismo e sindacalismo che mantenevano in vita le logiche di sfruttamento.
La coerenza tra mezzi e fini, punto centrale della teoria anarchica – che Cerchiai metteva in una logica di fattore morale-, veniva modificata, dimenticata o accantonata per via di atteggiamenti personalistici ed egoriferiti, contribuendo al mantenimento dello stato di cose.
Nonostante sia passato più di un secolo dalla critica di Cerchiai, vi sono alcune macro-somiglianze tra il movimento anarchico di adesso e quello dell’epoca.
Innanzitutto si nota una profonda divisione, quando non spaccatura, dovuta a fattori di tipo personale (ma spacciati per politici), a fattori politici (legati al tema delle alleanze con gruppi e personaggi non anarchici) ed all’inserimento all’interno delle lotte in corso.
Su quest’ultimo punto, in particolare, si portano avanti dei discorsi e delle pratiche “single issue”, cioè centrate solo su un tipo di lotta (antimilitarismo, ambito storico etc), annacquando – nel migliore dei casi – l’ideale anarchico e negando, di conseguenza, qualsiasi velleità di scardinamento di un sistema che si basa sull’oppressione di classe genere, razza e specie.
C’è un altro aspetto che oggi è ancor più evidente: l’incapacità di guardare all’ideale anarchico come uno strumento per arrivare ad una società libera, senza quelle prevaricazioni ed alienazioni date dal Dominio al cui interno vi ritroviamo non solo i classici “Stato e Capitale” ma anche le varie oppressioni sopracitate.
Questa incapacità, spesso, si accompagna all’intendere l’appartenenza politica (e questo vale anche per chi non si definisce anarchicx) come una questione sottoculturale o identitaria, senza poi realmente portare avanti un’opera di studio critico e di pratica contro lo status quo che possa servire da base per scardinare il nostro esistente – e andare, quindi,verso un modello alternativo e liberatorio.
Di fronte ad una situazione infuocata e potenzialmente esplosiva in Italia, così come nel resto del mondo (ed in alcune zone l’esplosione c’è già stata), bisogna riuscire a capire le posizioni e le prassi errate all’interno del mondo anarchico e porvi rimedio.
Intendiamo l’anarchismo come un contenitore: in esso troviamo gli strumenti adatti a distruggere e superare il Dominio nelle sue mille manifestazioni, macro o micro che siano, in cui sono compresi gli atteggiamenti tossici di appartenenti al movimento anarchico stesso.

La Battaglia. Periodico Settimanale Anarchico”, Anno V, n. 205, 28 Febbraio 1909

I

Mi ricordo di avere letto un libro di Schopenhauer ch’è più difficile risolvere un problema di filosofia che il più complicato calcolo di trigonometria. Schopenhauer ha espresso una grande verità – una verità che meriterebbe di essere ben meditata dagli anarchici d’ogni tendenza o scuola.

Siamo arrivati in un’epoca – e questa è una dolorosa constatazione – in cui non si guarda più al fine da raggiungere (e la prova n’è che malgrado tutte le nostre critiche…reciproche si è quasi del tutto cessata l’opera rivoluzionaria contro le presenti istituzioni) ma ad accapigliarci come tanti cani, per abbaiare le più strampalate sciocchezze sull’individuo e la società.

Vent’anni fa, quando gli anarchici si potevan contare, come si suol dire, sulle dita, poche diecini di individui risoluti riescirono a richiamare l’attenzione del mondo sulle loro idee e su sé stessi…

E pure si discuteva anche allora di comunismo e d’individualismo, ma dopo la discussione, magari dopo l’alterco, gli uni e gli altri si separavano, non per meditare l’insidia contro il compagno, ma per far guerra al nemico – alla borghesia.

L’individualista si mescolava alla folla cenciosa e affamata dei lavoratori, e nel momento propizio saliva su un fanale o su un baroccio che fermava nella strada, e la sua voce, se non dotta, sempre sincera e inesorabile suonava come una maledizione e come una minaccia contro i dissanguatori di sé stesso e di quei poveri paria che l’ascoltavano, stupiti e sbigottiti di udire delle verità che facevano pulsare i loro cuori contro il giogo secolare abborrito, ma che fino allora, come gli avevan detto i loro nonni, credevano fatale.

I comunisti dalla lor parte facevan lo stesso. E come lo dimostrano tutte le leggi di eccezione votate in quel tempo in tutti i parlamenti contro l’anarchismo e gli anarchici, individualisti e comunisti, malgrado le loro beghe, compievano un’opera altamente rivoluzionaria, di vera e propria demolizione del regime borghese.

E oggi? Le cose sono purtroppo mutate. Non si va più nella chiesa stessa a far ringollare al prete le sue turpitudini e le sue menzogne. Non si va più nei comizi elettorali a smascherare i ciarlatani della scheda. Non si va più nelle riunioni operaie a far propaganda delle nostre idee.

E perché? La ragione è subito pronta: l’uno non è oratore; l’altro non ha istruzione.

Queste giustificazioni non fanno una grinza: sono una confessione assoluta d’impotenza.

Impotenza? I fatti smentiscono una tale asserzione. L’oratore che manca per sbugiardare il prete, c’è più vivo che mai, gonfio e tronfio per sfidare a contraddittorio il comunista anarchico, anche se è avvocato. Il filosofo neppure manca quando c’è da sbrodolare un documento di psicopatia sociologica, sul più forte e sull’amoralismo.

Il più forte, l’amoralista, colui che non ha stolti pregiudizi di umanità di diritto, di giustizia, cosa fa egli? Atterra tiranni? sgozza borghesi? svaligia le banche? Lancia bombe nei banchetti dei ministri? si ribella a qualcuno? ha qualcosa da raggiungere?
Egli non è un pazzo…anche tutta questa roba son pregiudizi…

Dall’altro lato il sofisma vigliacchissimo non conduce a una via diversa.
Il sindacalismo, si grida, è sufficiente a sé stesso. Bisogna fare della politica puramente operaia. Non occorre aver una determinata convinzione per raggiungere un fine. Col sindacalismo operaio può esser clericale, monarchico, quacquero per lottare per il quarto stato.

Il clericale può andar a messa, mandare i suoi figli alla dottrina e la moglie a confessarsi; il monarchico può essere fedele al re a mandare i suoi figli a servire ciecamente la patria;il quacquero può aspettare come un fakiro la giustizia da Dio; purché paghino la quota al sindacato, la rivoluzione non può mancar di venire.
Ecco, in riassunto, qual è il pensiero degli individualisti puri e dei sindacalisti ancora più puri dell’anarchismo.

Gl’individualisti puri negano verbalmente (il verbalismo è il loro campo) l’essenza morale dell’anarchismo; i sindacalisti puri, più pratici, la negano coi fatti.

***

E pure checchè ne cianciano gli idioti, se l’anarchia non è una utopia, essa deve basarsi su un principio morale inviolabile: non opprimere il proprio simile, nè per nessuna cosa al mondo subire l’oppressione di chicchesia.

È ciò che purtroppo dimenticano da una parte gl’individualisti e dall’altra i sindacalisti.

Per i primi non vi è che un’entità superiore: l’individuo, per i secondi che una forza suprema: il proletariato.

Gli uni e gli altri cadono nello stesso errore: negano l’umanità.

Il loro rispettivo punto di partenza è diverso, ma si congiungono nel fine.

È d’uopo per afferrare bene questa verità non perdersi nel labirinto dei loro rispettivi contrasti iniziali. Per gli individualisti l’io è il tutto, il Dio onnipossente, per i sindacalisti il tutto, il Dio onnipossente è il noi.

L’io onnipossente, che considera esseri – non esclusi gli umani – e cose come proprietà sua, è un tiranno il cui potere non ha limiti che nella forza degli opposti: questo principio sarebbe la lotta perpetua, il trionfo assurdo e, non a-morale, ma immorale del forte sul debole.

Il noi (questo noi, è il proletariato) onnipossente vuol dominare il mondo, in nome di un preteso diritto, basato sul lavoro materiale.

Qui non è più l’individuo che si impone, ma è la classe che s’impone a tutta la specie.

Non starò qui a confutare dei paradossi evidenti, sia degli uni che degli altri. Ho riso assai di buon cuore di certe invincibili argomentazioni, le une più stravaganti delle altre. Vi pare forse una buona ragione per giustificare l’eterna violenza nelle relazioni degli uomini, che per nascere si deve strappare il cordone ombelicale che ci lega al ventre della madre? E pure anche questa è una prova, secondo i più forti, dell’impossibilità di una morale spontanea, di mutuo appoggio fra gli uomini. I sindacalisti non cadono in errori meno madornali. Per loro non ci sono che i calli alle mani che concedono dei diritti. Chi non lavora materialmente è un nemico, per forza di cose, della classe proletaria.

Io non credo che assurdità più madornale, più immensa sia mai stata concepita.

L’azione rivoluzionaria non può essere circoscritta da un vangelo di somari né di dotti. Come vi sono dei lavori intellettuali abominevoli, ve ne sono di quelli materiali non meno abominevoli.

Il muratore che costruisce il carcere, il fabbro che fabbrica inferriate e ceppi, il tipografo che compone bibbie o lavora nei giornali borghesi sono senza dubbio degli operai manuali, ma – sia pure contro la loro volontà – non meno perniciosi del giudice che condanna, e del giornalista che mistifica le sue vittime per fargli adorare le catene della propria oppressione.

Del resto, noi tutti vediamo che nella società attuale, fatte le debite proporzioni, un vero senso morale sociale è tutt’ora da nascere, non meno fra il proletariato che fra la borghesia. Infatti, noi vediamo che i padroni più perversi, più tiranni, sono appunto degli antichi proletari autentici, saliti a forza d’imbrogli e di birbanterie.

Ed appunto per sviluppare fra gli uomini questo senso morale sociale che noi anarchici dobbiamo combattere senza tregua, non tralasciando mai di dimostrare che la nostra lotta di classe ha per fine l’abolizione di tutte le classi sociali.

La nostra azione non può esser un’azione operia (sic), ma umana, eminentemente umana.

 

II

Non sono pochi coloro che confondono il fine da raggiungere (nel nostro caso è l’anarchia), coi mezzi tattici coi quali si tende a conseguire questo stesso fine.

Fra gli anarchici non vi sono norme materiali fisse di azione (e si comprende: sottoposti a delle norme cesserebbero di esser tali) e tanto meno ve ne saranno quando avranno raggiunto i loro scopi. Ma se non vi sono norme materiali, nell’insieme dottrinario stesso – sia nel fine che nell’azione che questo fine deve raggiungere – scaturisce un criterio morale che forma l’insieme del fine (l’anarchia) e qualifica nell’azione gli atti, individuali e collettivi, come utili per il conseguimento del fine stesso, quando verso questo fine ci conducono, o di dannosi, quando da esso ci allontanano. Così nell’insieme generale degli anarchici rivoluzionari, si è formato un criterio morale attivo che valuta coerentemente le azioni dei singoli e della collettività che dell’anarchia si reclamano, di utili o di dannosi al fine da raggiungere, a seconda se hanno agito nella estensione di questo criterio morale o lo hanno apertamente violato.

L’amoralismo dell’individuo è un non senso: ogni azione umana si estende sempre al di là dell’IO. L’uomo che vive in sé e soltanto per sé è un fossile verso cui i ragli idioti di pochi disgraziati si elevano, ma non esiste nè mai potrà esistere. Non un uomo, ma anche semplicemente il suo cadavere, obbliga gli altri a muoversi per seppellirlo. Immaginiamoci ora se un uomo che vive può pensare senza rivolgersi ai suoi simili, o spandere tutte le qualità, morali o immorali della sua individualità complessa senza che i suoi atti abbiano nessuna influenza su gli altri.

E poi uno non può far tutto da sé. Ma ammettiamo che uno si contenti di quello che può far da sé. Dove andrà ad abitare? Al polo? ci sono gli eschimesi. Ed anch’essi han delle abitudini, dei costumi propri. In una foresta vergine? Ma anche le forte son vergini per modo di dire: ci sono gli indii. Ma l’amoralista si infischia di tutto e di tutti: rovescia tutto quello che si oppone al suo fatale andare. L’amoralismo allora è la guerra di uno contro tutti; poiché chiacchiera a parte, anche gli altri uomini hanno delle braccia per difendersi. L’amoralismo sarebbe la morale della guerra come forma di convivenza umana.
Non occorre allora far propaganda. Anzi c’è una propaganda sola: sfruttare il prossimo. Ma è cosa vecchia – ci son già i borghesi e per il popolo cambiare gli sfruttatori non è una prospettiva troppo bella. Si può tentare un’altra strada per far trionfare la morale dell’amoralismo: prendere il popolo bene dove si trova. Ma ci sono i birri, i boia, le galere. E allora l’amoralismo è una stupida storia di impotenti chiacchieroni se si deve aspettar che non ci siano più leggi, più forza pubblica, più tribunali, insomma se si deve aspettare che il popolo abbia distrutto lo stato (sic) e tutte le istituzioni dell’attuale dominazione per iniziare la morale dei più forti. È meglio star come si sta, perché ben presto lo Stato e tutto il suo corredo di terrori risusciterebbe dalle proprie ceneri.
Insomma se si basa la società umana sulla volontà delle forze dei singoli, agenti, non verso un fine, uno scopo determinato da un consentimento morale comune, ma disparatamente secondo il capriccio dei più disparati istinti, dei più bestiali appetiti, questa società sarebbe il regime borghese peggiorato, poiché l’uomo normale non può vivere solo. La sua natura lo spinge a pagare il tributo per la conservazione della specie; salvo che virtù del nostro amoralista non sia anche di considerare la donna un vile strumento di libidine. Per arrivare a un tal punto non occorre correr tanto: la società borghese ci ha i postriboli. A parte anche tutto ciò se gli amoralisti non vogliono riconoscere nessun legame di affetto le donne fanno gli uomini e, abbandonate, li allevano alla loro morale. Quel che accadrebbe tutti lo comprendono.
Per ritornare la nostro scopo, possiamo dunque stabilire che l’anarchismo come negazione assoluta di ogni legge coercitiva, come negazione di ogni privilegio e come negazione dello stato, deve assicurare la libertà più completa a ogni essere umano, cioè confidare nelle mani di ogni individuo, e per estensione di tutta l’umanità, la sua regione di essere. E come sarebbe possibile un tal fatto, cioè la realtà dell’anarchia, se dalla mentalità collettiva non scaturisse un criterio morale che garantisca la completa libertà dei singoli individui?

L’evidenza di questa proposizione è assiomatica. Non ammette violazioni. Di qui non se n’esce: o la ragione sociale si basa su un consentimento morale, e questa è l’anarchia; o la si basa sulla ragione del più forte, e allora scaturisce la necessità di leggi coercitive per la protezione dei deboli, ed allora abbiamo la società oppressa da un governo.

Ma poi l’importanza del fattore morale nell’anarchismo è ben dimostrata dall’azione comune di tutti gli anarchici. Non abbiamo santi ma l’esempio dei forti, di quelli cioè che han sacrificata la loro vita per vendicare le vittime della tirannia borghese, l’esempio dei forti i nostri giornali li rievocano anche troppo spesso.

Quando si scopre qualche spia in mezzo a noi, che la forte borghesia paga per tendere insidie alla nostra vita, cosa facciamo? Individualisti e comunisti siamo tutti d’accordo: si smaschera la spia e se la si agguanta in tempo le si fa pagare il fio della sua infamia. Anche gli amoralisti, credo, sono d’accordo in questo. È però una incoerenza. Se l’individuo può far tutto ciò che gli conviene, perché metterlo, anche quando fa la spia, alla gogna? Anche per essi dunque havvi una morale che condanna l’infamia ed approva chi fa bene! Ma smascherare la spia è una necessità, si risponderà. È giustissimo; noi non facciamo altro: la nostra morale scaturisce dalla necessità di essere rispettati, poiché sappiamo che il giorno che calpesteremo la ragione del nostro simile, non possiamo aspettarci altro che di veder calpestata la nostra.

Ma da mille e mille fatti quotidiani scaturisce l’importanza del fattore morale nell’anarchismo. Se un sedicente anarchico battezza i figlioli o sposa in chiesa, i nostri giornali lo mettono alla berlina. Se un altro va a fare il krumiro o peggio lo diffidiamo. Perchè? Perchè la nostra morale è contro i farabutti di ogni specie.
Noi siamo contro i capi-popolo. Perchè? Perchè la nostra morale è contro i capi popolo. Siamo contro il parlamentarismo. Perchè? Perchè i nostri principi non ammettono leggi, e di conseguenza crediamo immoralissimo andare a votare per mandare dei fabbricanti di leggi in parlamento.

Così scaturisce chiara, come acqua di purissima sorgente l’importanza del fattore morale nell’anarchismo; e ben possiamo essere certi che nella società del domani sarà la suprema legge custodita nella coscienza degli uomini.

***

Noi non possiamo metterci completamente al di là del bene e del male. Il popolo riempie i quadri della polizia, dell’esercito e di altre istituzioni non meno criminali di queste, per difendere la causa dei propri oppressori, non perché ciò sia morale, ma pel motivo opposto: cioè, perché non è mosso da un criterio morale proprio, ma obbedisce a una immoralità imperante, che chiamasi per ironia moralità civica. I popolani infagottati in una divisa militare possono anzi devono uccidere in difesa dello ordine (moralità o per dir meglio immoralità borghese), turbato dalla canaglia affamata, che chiede ad alta voce, ma inerme – questo è il suo torto – un po’ più di pane, un po’ più di riposo. Domani però se questi stessi figli del popolo si servissero delle armi per dar pane – essi che han tutto prodotto – alle loro famiglie affamate, la legge li dichiarerebbe ribelli e chiederebbe il loro sterminio.
Qui non è in giuoco nessuna morale, ma dei turpi appetiti, dei turpi privilegi, che appunto l’azione anarchica tende a distruggere, o per dir meglio ad abolire, con dei mezzi adeguati, disorganizzando lo stato e tutte le istituzioni di cui è il fedele guardiano. Ora per sapere se un atto collettivo o individuale sia di natura a colpire lo Stato nella sua vitalità o a rafforzarla, occorre naturalmente un criterio morale comune – ed esiste già, come abbiamo dimostrato più sopra – per distruggere l’azione rivoluzionaria, cioè di demolizione dell’ordine vigente, da quella che tende a conservarlo.

E questo criterio morale sovrasta a tutte le nostre azioni, sia collettive che individuali, ci distacca completamente da tutti i partiti politici che lottano nell’orbita della legalità, fa di tutti noi una falange, che in piena società borghese si distingue appunto per il valore altamente morale delle sue concezioni novatrici, che tendono a trasformare completamente la società su basi assolutamente libere.
E ora un’ultima questione da delucidare. Il criterio morale nell’anarchismo restringe l’azione individuale, la sottopone cioè all’approvazione della collettività? La risposta non può essere dubbia. No! L’anarchico può agire da solo, come, se lo crede utile, può entrare nei sindacati. Non c’è nulla che ci obblighi ad agire in un modo piuttosto che nell’altro. Però – e questo è l’importante – non si deve mai dimenticare ch’egli è anarchico, e come tale deve sempre agire e far propaganda. Su ciò non vi possono essere dubbii: la nostra via è dritta: sempre contro la legge, sempre contro i privilegi, con tutti i mezzi che il luogo e l’ora richiedono.

Note storiche curate dal Gruppo Anarchico Galatea

Sul giornale “La Battaglia”
Periodico fondato e diretto da Oreste Ristori (anarchico livornese emigrato in Sud America agli inizi del novecento) dal 1904 fino al 1911 a São Paulo (Brasile), si può definire una delle pubblicazioni più importanti a livello di propaganda e di intervento degli anarchici italiani presenti in Brasile.
Tra i collaboratori troviamo Gigi Damiani, Alessandro Cerchiai (di cui presentiamo l’articolo “Il fattore morale nell’anarchismo”) e Angelo Bandoni.
Il giornale puntava ad una serie di interventi politici organizzati e coordinati.
Tali mosse servivano per prendere le distanze sia dalle posizioni individualiste anarchiche (che nel periodo storico in cui usciva “La Battaglia” prendevano piede all’interno del movimento) che dall’opportunismo e dalla “reincarnazione del corporativismo” del sindacalismo brasiliano.
Gli interventi de “La Battaglia” si concentravano sulla contro-informazione e su un attacco contro i proprietari terrieri, il clero e le violenze poliziesche – responsabili a pari merito sia dello sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici (specie del campo agricolo) che di rimbambire con false promesse di ricchezze le persone emigrate disoccupate europee.
Dal Gennaio 1912 “La Battaglia” venne diretta da Gigi Damiani. In meno di pochi mesi, il periodico ricevette un attacco dall’organo anarchico “Tierra y Libertad” di Barcelona nella quale si accusava la vecchia redazione de La Battaglia di essersi appropriata dei fondi di una sottoscrizione aperta « pro rivoluzione messicana».
Nonostante la smentita pubblica di Damiani e di Cerchiai, la diffidenza persistette verso il giornale. Di conseguenza, dal Settembre del 1912, “La Battaglia” cambiò nome in “La Barricata”.

Fonti consultate
– “La Battaglia” in “Latin American Anarchist and Labour Periodicals (1880-1940)” raccolti da Max Nettlau, conservati presso l’International Institute of Social History di Amsterdam
-Bettini Leonardo, “Bibliografia dell’anarchismo : periodici e numeri unici anarchici in lingua italiana, 1872-1971”

Su Alessandro Cerchiai
Nato a Pescia (in provincia di Pistoia) il 14 dicembre 1875 per poi emigrare con la famiglia sette anni dopo in Francia. Verso la fine degli anni ‘90, Cerchiai si avvicinò agli ambienti anarchici francesi venendo espulso dal paese transalpino.
Partecipò ai moti del 1898 e per questo venne arrestato e condannato a tre anni di reclusione. Lasciata l’Italia per il Brasile nel 1901, Cerchiai iniziò a collaborare con due periodici anarchici pubblicati a San Paolo, “Germinal” e “O Amigo do Povo”. Con la fondazione del giornale “La Battaglia”, l’anarchico toscano ne divenne il più fedele dei collaboratori e, dopo l’abbandono di Ristori nel 1911, i suoi articoli occuparono frequentemente la metà delle quattro pagine pubblicate ogni settimana. Tra le sue firme si ricordano i pseudonimi “Anna de’ Gigli”, “Acratibis” e “Mastr’Antonio”. Cerchiai, a livello di militanza politica, si oppose all’organizzazione istituzionalizzata del mondo operaio e alla richiesta di quelle donne che lottano per il diritto di voto e che vogliono somigliare agli uomini – per Cerchiai la donna deve essere quella “madre fiera dei suoi piccoli e che lotta per istruirli, farli godere le gioie dell’infanzia e renderli degni di vivere in un mondo migliore”.
Dopo un soggiorno in Argentina, Cerchiai tornò in Brasile per occuparsi del giornale “La Barricata”, fondando alla fine del 1913 un nuovo periodico: “La Propaganda libertaria”.
Durante tutto questo periodo, venne più volte interrogato dalla polizia di San Paolo, incarcerato e minacciato d’espulsione.
A partire dal 1917 iniziò a collaborare con giornali non anarchici, non abbandonando l’ideale e rendendosi attivo nel supportare con la sua penna alcune pubblicazioni antifasciste o anarchiche come “La Libertà”, “La Vittoria”, “Lo Spaghetto” e “Quaderni della Libertà”.
Morì in un ospedale di San Paolo il 6 ottobre 1935.

Fonte consultata
-Dizionario biografico online degli anarchici italiani, BFS, Pisa, 2003, Vol. 1

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