Il valore della spazzatura. Riflessioni sul caso siciliano ed europeo – Seconda Parte

Prima Parte

 

2. L’economia circolare, salvagente per la borghesia?

L’Unione Europea e l’economia circolare

Secondo i dati Eurostat sui rifiuti urbani del 2020, nell’Unione Europea ogni cittadino ha prodotto mediamente 505 kg di spazzatura. [15] Se moltiplichiamo questo dato per gli abitanti effettivi di questa entità sovrannazionale (circa 447 milioni di persone), risultano prodotte 225 milioni di tonnellate di rifiuti urbani.

I prodotti riciclati (tramite compostaggio e riciclaggio dei materiali) nel 2020 sono stati 107 milioni di tonnellate [16]; quindi il rapporto di riciclaggio dei rifiuti urbani è stato di circa il 48%. [15]

Questi dati, seppur espressi con una media europea, ci mostrano come l’Unione Europea punti al riutilizzo del materiale attraverso quella che è nota come “Economia Circolare”.

Il 2 Dicembre del 2015, la Commissione Europea ha presentato ed adottato il primo piano d’azione sull’economia circolare – basata sulla condivisione, riutilizzo, riparazione, ristrutturazione e riciclo) –, in contrapposizione a quella “lineare” – basata, invece, su prendere, costruire, consumare e gettare via.

Le opportunità di un’economia circolare, secondo la Commissione Europea, sono riduzione dello sfruttamento ambientale, maggiore sicurezza dell’approvvigionamento delle materie prime, maggiore competitività, innovazione, crescita ed occupazione.

Accolto ai tempi con un mix di ottimismo e criticità da vari settori imprenditoriali e associazioni ed ONG, l’11 Marzo del 2020 la Commissione Europea ha inserito, come uno dei principali elementi costitutivi del “Green Deal”, il “nuovo piano d’azione per l’economia circolare”. [17]

Il piano, in sintesi, punta alla: progettazione sostenibile ed ecocompatibile dei prodotti; promozione dei processi di economia circolare; incoraggiamento del consumo sostenibile; prevenzione degli sprechi; riutilizzo delle risorse.

L’applicazione di questo piano dovrebbe funzionare grazie alla responsabilizzazione dei consumatori e gli acquirenti pubblici, concentrandosi su quei prodotti da cui si recuperano grandi quantità di risorse(elettronica, veicoli, batterie, plastica, tessile, edilizia, alimenti, acqua) e facendo cooperare maggiormente i territori nel nome della circolarità.

L’obiettivo di riciclaggio – e quindi recupero di risorse – dell’UE è arrivare al 55% nel 2025, 60% nel 2030 e 65% nel 2035.

Seppur nell’ultimo “Rapporto sull’Economia Circolare” (2022) viene riportato che il tasso di circolazione della materia del 2020 nell’Unione Europea sia stato del 12,8% [18] – con un aumento dello 0,9% rispetto al 2019 -, la sensazione palpabile è come questo tipo di visione “eco-umana-friendly-sostenibile” dell’economia capitalistica mal coincida con ciò che è l’essenza stessa della medesima: alienazione lavorativa, distruzione dell’ecosisistema e consumismo sfrenato.

-Come fumo agli occhi: riciclaggio e sostenibilità nell’economia circolare.

Il “Rapporto sui limiti dello sviluppo” del 1972 mise in evidenza come la crescita economica e il consumo delle risorse naturali di quel momento storico, fosse diventato insostenibile e potenzialmente dannoso per l’ecosistema terrestre.

In risposta a questa “insostenibilità” vi doveva essere, secondo gli estensori del Rapporto, un cambio di rotta in cui la “sostenibilità” si opponesse agli effetti sociali e ambientali dell’industrializzazione globalizzata neoliberista.

Negli ultimi vent’anni la sostenibilità all’interno dell’economia circolare è emersa come un principio chiave per le politiche industriali e ambientali in Cina, in Africa, nell’Unione Europea (UE) e negli Stati Uniti, senza dimenticare aziende e movimenti sostenuti dalle fondazioni (come nel caso di “Zero Waste Europe” [19] )

I vari sostenitori dell’economia circolare hanno pubblicato in questi anni diversi articoli sul “Journal of Cleaner Production” in cui si vorrebbe spingere il capitalismo verso le frontiere della sostenibilità ambientale, armonizzando le relazioni tra sistemi ecologici e attività economiche, creando un sistema rigenerativo in cui l’apporto di risorse e la dispersione di rifiuti, emissioni ed energia sono ridotti al minimo rallentando, chiudendo e restringendo i cicli dei materiali e dell’energia grazie alla progettazione, alla manutenzione, alla riparazione, al riutilizzo, alla rifabbricazione, alla rimessa a nuovo e al riciclaggio di lunga durata” [20]

Queste parole d’ordine non sono altro che dei tentativi delle dirigenze burocratiche e borghesi nel voler “responsabilizzare” (o “modellare”, per dirla in maniera brutale) secondo i loro canoni l’individuo nei confronti dell’ambiente e della società.

Se il principio di “sostenibilità” era una forma di denuncia alle logiche di crescita dell’economia lineare, adesso è diventata parte integrante della “Green Economy” – basata su misure e politiche sociali ed economiche orientate a fornire una soluzione di “sviluppo verde” .

Aziende come Apple, Coca Cola, ENI etc hanno attuato delle modalità d’impresa da eco-business per garantirsi un vantaggio competitivo ed aumentare le vendite e i profitti, migliorando il loro fatturato e difendendo la propria posizione all’interno dell’economia globale.

Da questa prospettiva, la “sostenibilità” diviene parte integrante di un piano di marketing aziendale nel calmare, da una parte, le preoccupazioni socio-ambientali dei consumatori (potenziali ed effettivi) e movimenti e gruppi politici, e dall’altra gestire la catena di approvvigionamento e dell’efficienza delle risorse.

In parole povere: la produzione di beni e servizi sostenibili non solo fa fare bella figura alle aziende di marca, ma le aiuta a crescere ampliando la loro capacità di competere, negoziare e sopravvivere nel mondo neoliberista.

In un contesto di rifiuti e di economia circolare, la “sostenibilità” delle aziende equivale a differenziazione e riciclaggio dell’immondizia – e non più mero smaltimento e accumulazione all’interno delle LND come si faceva fino a trent’anni prima -, facendo sì che questi scarti e la crescita economica costante che li produce siano qualcosa di positivo e prezioso per l’intera collettività.

Per poter essere maggiormente incisivi con un piano di marketing del genere, sia le aziende che le istituzioni giocano parecchio sui “sensi di colpa” da far provare ai consumatori. Tra questi troviamo lo smaltire un prodotto in un modo non ecologico (tipo che il prodotto gettato finisca in una LND), portando gli individui a pensare di se stessi come distruttori dell’ecosistema.

Il desiderio del consumo, anziché diminuire con questo sistema di riciclaggio e utilizzo dell’aspetto psicologico sui sensi di colpa, aumenta in quanto viene ridefinito, scusato ed incoraggiato l’utilizzo delle risorse stesse.

Hervé Corvellec, in “Recycling food into biogas, or how management transforms overflows into flows” [21], attraverso l’esempio dei prodotti agroalimentari e della produzione di biogas, spiega come i clienti che non vogliono più mangiare il loro cibo lo mettono nel sacchetto di carta marrone “elevato al rango di strumento per il riscatto sostenibile del consumo disordinato. Il riciclo riesce a unire fuoriuscita e ricchezza, dimensioni diametralmente opposte dalle eccedenze. La vergogna dello spreco scompare dietro l’orgoglio del riciclo.” [22]

Una visione del genere così malsana si basa su una produzione, trasformazione, ritrasformazione e riutilizzo infinito delle risorse. Eppure lo scarto od emissione verrà prodotto ugualmente e dovrà essere smaltito da qualche parte.

L’inghippo salta fuori non appena si allarga il discorso sui Rifiuti in generale dove vi troveremo quelli Speciali e Tossici – prodotti in campo sanitario, petrolifero, nucleare, chimico-farmaceutico.

Il riciclo di questi è impensabile visto che, secondo i canoni dell’ “Economia Circolare” non hanno un valore per un eventuale ripristino in campo mercatale.

Abolire o ridurre gli scarti energetici (petrolio e nucleare in primis) come vorrebbero queste associazioni e fondazioni a favore dell’ “Economia Circolare” equivalerebbe a rallentare la macchina energetica. Ed è un qualcosa che gran parte della borghesia (per non dire tutta) non oserebbe mettere in pratica pena diminuzione degli introiti o fallimento assicurato.

Tolta la questione energetica e mantenendoci sulle logiche capitalistiche, la produzione e lo scarto di materia è destinata a crescere attraverso il costante spreco tipico del capitalismo. La domanda di rifiuti (urbani nel nostro caso) non farà che crescere specie con una visione “eco-umana-friendly-sostenibile”.

Il pressapochismo dei sostenitori di questa “economica circolare” (e ci riferiamo in particolare a chi segue tali panzane senza avere ritorni economici) risulta manifesto poichè riducono la loro visione delle cose in:

– “acquisto&riciclo” come se la materia fosse eterna ed infinita e non una composizione chimico-fisico – soggetta quindi all’esaurimento e al consumo dalle leggi scientifiche;

– avallo di un sistema di aziende basate sullo sfruttamento, sul consumismo e sul proprio posizionamento di mercato.

3. A mo’ di conclusione

La questione annosa dei rifiuti urbani in Sicilia, così come nel resto dell’Unione Europea, tra raccolta, gestione ed utilizzo in senso capitalistico è speculare, come detto in precedenza, alle logiche capitalistiche di produzione e distribuzione.

Non basta eliminare le cosiddette nocività o prodotti inutili, così come non basterebbe diminuire la produzione in nome di una decrescita o di una circolarità che di felice ha solo chi possiede dei privilegi di razza, specie e di classe specifici.

Il punto è che diminuire la produzione senza controllare cosa viene prodotto non porterebbe a nulla, considerando che abbiamo a che fare con merci che spesso e volentieri sono inutili o dannose, o entrambe le cose insieme.

Un sistema produttivo e distributivo come quello adottato dalla società in cui ci troviamo a vivere, è letteralmente un tritacarne che aspetta di mettere a valore il più possibile, finendo così per alimentare una sovrapproduzione di merci che non verrà riassorbita.

Non bisogna dimenticare inoltre che la qualità delle merci che vengono consumate viene tenuta artificiosamente bassa. Un esempio di ciò è rappresentato dal mercato dell’elettronica, dove le apparecchiature prodotte sono “programmate” per rompersi in un dato periodo di tempo (fenomeno dell’obsolescenza programmata), cosicché il consumatore debba poi ritrovarsi ad acquistare un nuovo prodotto dopo pochi anni.

Al di là dei fattori produttivi e distributivi, che si accompagno a fenomeni quali spreco di risorse e merci e consumismo, ci troviamo a che fare con un sistema economico globale alienante per i miliardi di individui che vi prendono parte.

Analizzeremo in altre sedi le questioni, ma ci sembra doveroso doverle almeno segnalare.

Si tratta infatti di fenomeni che, soprattutto in questa fase storica in cui stiamo vivendo, andrebbero maggiormente esaminati: i rapporti lavorativi, al giorno d’oggi sono sempre più improntati al precariato e ad una accettazione quasi militaresca dei soprusi che lavoratori e lavoratrici subiscono.

Non è un caso, che a livello globale si sia verificato il fenomeno di una grande dimissione di massa (great resignation).

La distribuzione efficiente delle risorse, che a partire dal periodo del lockdown fino ad oggi ha mostrato tutte le fragilità delle catene logistiche mondiali, con seri rischi di interruzione dell’approvvigionamento di merci.

Infine, l’utilizzo delle risorse energetiche, soprattutto legato alla cosiddetta “Transizione Verde” tramite cui si cerca di rimediare all’inquinamento prodotto dai combustibili fossili facendo ricorso a fonti “ecologiche”/rinnovabili, ma senza andare ad esaminare quali sono le industrie più energivore e perché.

Una discussione del genere non è semplice, ma da parte nostra, con questo breve e sintetico scritto, abbiamo voluto iniziare un discorso che, partendo dal caso locale cittadino, è sempre stato trattato o con sufficienza o, vedasi il caso delle energie rinnovabili, come una sorta di panacea di ogni male.

Note

[15] “Municipal waste statistics”
Link: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Municipal_waste_statistics

[16] “Municipal waste landfilled, incinerated, recycled and composted, EU, 1995-2020”
Link: https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=File:Municipal_waste_landfilled,_incinerated,_recycled_and_composted,_EU,_1995-2020.png

[17] “Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Un nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Per un’Europa più pulita e più competitiva”.
Link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1583933814386&uri=COM:2020:98:FIN

[18] pag. 10.
Link: https://circulareconomynetwork.it/wp-content/uploads/2022/04/Rapporto-sulleconomia-circolare-2022-CEN.pdf

[19] Il movimento-progetto “Zero Waste Europe” (ZWE) è una rete di comunità, organizzazioni e gruppi nato nel 2014 come filiale dell’ “Alleanza Globale per le alternative agli inceneritori” (in inglese “Global Alliance for Incinerator Alternatives” (GAIA)) Gli obiettivi di “ZWE” è quello di avere un’Europa con zero sprechi, inclusiva e costruita nel rispetto dei limiti ecologici e dei diritti e del benessere delle comunità, con risorse rigenerate ripristinate e conservate a beneficio della collettività.
Se questi obiettivi sono più che apprezzabili, chi finanzia “ZWE” sono per la maggior parte delle fondazioni che, a loro volta, sono sostenute da grosse aziende e multinazionali riconosciute a livello mondiale.
Tra i finanziatori di “ZWE” segnaliamo:
– “Adessium Foundation” della famiglia van Vliet, il cui rampollo, Rogier van Vliet, presiede la “Multifund”, una società di investimento privata;
– “Kristian Gerhard Jebsen Foundation”, nata in memoria di Kristian Gerhard Jebsen, armatore norvegese e fondatore della “Gearbulk Holding”, una delle più importanti compagnie di spedizioni navali a livello mondiale. La fondazione è diretta dal presidente dell’azienda di famiglia, Kristian Jebsen;
– “Oak Foundation” fondata da Alan M. Parker, ex contabile e detentore del 20% della “DFS Group” (ora controllata da LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SE). I soldi che ha ricevuto dalla vendita delle sue azioni della DFS alla LVMH (840 milioni di dollari nel 1997) ha permesso di rinvigorire maggiormente le casse dell’Oak Foundation. Tra chi ha usufruito di questi fondi, oltre “ZWE”, vi è anche “Climate Works Foundation” il cui obiettivo è quello di decarbonizzare le “Belt and Road Initiative” in quanto potrebbe distruggere gli obiettivi dell’ “Accordo di Parigi sul clima” del 2015.
Fonti consultate
Finanziamenti di “Zero Waste Europe”, pag. 20
Link: https://zerowasteeurope.eu/wp-content/uploads/2022/06/ZWE-Annual-Report-2021.pdf
“Multifund BV”
Link: https://www.bloomberg.com/profile/company/0307936D:NA
“Brussels Influence: The cash behind the NGOs — Parliament changes — ‘Happy divorce’ for Finance Watch”
Link: https://www.politico.eu/newsletter/politico-eu-influence/politico-brussels-influence-the-cash-behind-the-ngos-parliament-changes-happy-divorce-for-finance-watch/
“Kristian Gerhard Jebsen Foundation board”
Link: http://www.kgjf.org/board/
“Gearbulk governance”
Link: https://www.gearbulk.com/about/governance/
“Millions of Dollars Couldn’t Keep DFS Group Together”, New York Times, 12 Marzo 1997
Link: https://www.nytimes.com/1997/03/12/business/millions-of-dollars-couldn-t-keep-dfs-group-together.html
Donazione di 1 milione di dollari a “Climate Works Foundation” nel 2021 per “promuovere un raffreddamento efficiente, rispettoso del clima e conveniente per tutti.” Il dato si trova cercando “Climate Works” al link https://oakfnd.org/grants/
“Decarbonizing the Belt and Road”
Link: https://www.climateworks.org/report/decarbonizing-the-belt-and-road/

[20] Martin Geissdoerfer et al., “The Circular Economy: A New Sustainability Paradigm?”, “Journal of Cleaner Production”, 2017, 143, pagg. 757–768
Link: https://www.researchgate.net/profile/Martin-Geissdoerfer/publication/311776801_The_Circular_Economy_-_A_new_sustainability_paradigm/links/5ae34246a6fdcc9139a18a46/The-Circular-Economy-A-new-sustainability-paradigm.pdf?origin=publication_detail

[21] Il saggio è inserito come capitolo nel libro curato da Barbara Czarniawska e ‎Orvar Löfgren, “Coping with excess: How organizations, communities and individuals manage overflows”, Edward Elgar Pub. Limited, 2013
Link del saggio: https://www.researchgate.net/profile/Herve-Corvellec/publication/322342202_Recycling_food_waste_into_biogas_or_how_management_transforms_overflows_into_flows/links/6149d6cfa3df59440b9fc497/Recycling-food-waste-into-biogas-or-how-management-transforms-overflows-into-flows.pdf?origin=publication_detail

[22] Ibidem, pag. 169

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