Il precariato come motore dell’economia italiana

 

Nell’ultimo comunicato stampa dell’ISTAT riguardante occupati e disoccupati, l’Istituto segnala che nel mese di Marzo 2022, “prosegue la crescita dell’occupazione e il numero disoccupati torna a superare i 23 milioni. L’aumento osservato rispetto all’inizio dell’anno, pari a quasi 170mila occupati, si concentra soprattutto tra i dipendenti. Rispetto a marzo 2021, la crescita del numero di occupati è pari a 800 mila unità, in oltre la metà dei casi riguarda i dipendenti a termine, la cui stima raggiunge i 3 milioni 150 mila, il valore più alto dal 1977. Il tasso di occupazione si attesta al 59,9% (record dall’inizio delle serie storiche), quello di disoccupazione all’8,3%, tornando ai livelli del 2010, e il tasso di inattività, al 34,5%, scende ai livelli prepandemici.” [1]

Quel che colpisce maggiormente sono quei 3,15 milioni di persone a tempo determinato, fascia per cui, secondo quanto comunicato dall’ISTAT, l’occupazione risulta in crescita grazie ai contratti a termine (+15,7%).

Il dato su questi contratti conferma il trend della crescita di tali accordi lavorativi negli ultimi due mesi di quest’anno (Gennaio +11,5%; Febbraio +18,9%).

Per i sindacati confederali questi dati sono preoccupanti.

Tania Sacchetti, segretaria confederale della CGIL: “la ripresa dell’occupazione si fonda sostanzialmente sull’esplosione dei contratti a termine, oramai quasi il 20% dei contratti di lavoro dipendente, segno che non sono più uno strumento per affrontare esigenze temporanee e limitate, ma una caratteristica strutturale. […] Occorre avviare una riforma del mercato del lavoro con l’obiettivo di assicurare una prospettiva di stabilità e di crescita dei redditi: non è più accettabile che questo sia fondato sulla precarietà e su un modello di sviluppo economico e produttivo incentrato sulla compressione di costi e diritti”. [2]

Ivana Veronese, segretaria confederale della UIL: “abbiamo 800 mila occupati in più rispetto allo stesso mese dello scorso anno, ma i contratti temporanei continuano ad aumentare più di quelli stabili. E questo è un trend che dobbiamo assolutamente invertire per porre fine alla precarietà. Positivo che il numero dei disoccupati sia diminuito, ma non possiamo stupirci se tornerà a salire quando lavoratrici e lavoratori che oggi hanno impieghi temporanei, domani torneranno a perdere il lavoro. Quella delle lavoratrici e lavoratori precari è una vita in cui si alternano lavori a scadenza e disoccupazione, disoccupazione e lavori a scadenza.” [3]

Per il governo, invece, questi dati sono incoraggianti. Come espresso da Draghi durante la Conferenza stampa del 2 Maggio: “A marzo 800mila occupati in più rispetto a un anno fa. Il tasso di occupazione sfiora il 60%, è il livello più alto dell’inizio delle serie storiche italiane. A marzo il tasso di disoccupazione è sceso all’8,3% che è quasi due punti percentuali in meno rispetto a un anno fa. Questi sono dati positivi. Peraltro nell’ultimo mese ci sono segnali di ripresa dell’occupazione a tempo indeterminato, ci sono stati 122mila occupati in più di cui 103mila a tempo indeterminato e 19mila a tempo determinato.” [4]

Contratti e realtà dei fatti

La contrattazione a termine fatta dalle varie aziende è stata messa in atto, come avevamo detto in un nostro precedente post [5], per contenere i costi dovuti alle spese per l’assunzione e/o conferma del personale.

Tra gli aiuti del governo alle aziende in materia di contrattazione troviamo l’art. 41-bis del Decreto Legge n. 73/2021, il cosiddetto “Decreto Sostegni bis” (convertito in Legge del 23 Luglio 2021 n. 106 “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”). [6]

Questo articolo aggiunge un comma all’articolo 19 del DL 15 giugno 2015, n. 81 riguardante il lavoro a tempo determinato: la durata superiore ai dodici mesi “ma comunque non eccedente ai ventiquattro mesi”, può essere applicata ai contratti fino al 30 Settembre 2022 qualora si verifichino delle specifiche esigenze date dai contratti collettivi del lavoro.

Le aziende, quindi, potranno assumere personale con una prima contrattazione che durerà fino a Settembre 2024.

Vedendo i dati dell’INPS di fine 2021, ci accorgiamo di come gli assunti a tempo determinato o a termine sono stati 3,15 milioni [7]; di questi solo 483mila (15,33%) hanno avuto la trasformazione contrattuale a tempo indeterminato. [8]

Se li confrontiamo con quelli del 2020, notiamo un calo di quasi il 5% riguardo questi passaggi contrattuali.

Riguardo il salario medio lordo dei lavoratori e delle lavoratrici del settore privato non agricolo è di 20.658 euro (2020), con un calo del 5,9% rispetto al 2019. [9]

Questa retribuzione media risulta molto differenziata a livello di età anagrafica, genere e di regione geografica italiana: gli under 35, le donne e le Isole pagano maggiormente il prezzo di tutta questa situazione.

Velleità borghesi e governative

All’assemblea di Unindustria, Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, ha ribadito la sua posizione contro gli aumenti salariali e a favore di un abbattimento del costo del lavoro:

Famiglie e Imprese stanno soffrendo in maniera forte, dobbiamo dare risposte e mettere più soldi nelle tasche degli italiani ma la strada non è la detassazione degli aumenti salariali. Le imprese non hanno spazio per gli aumenti salariali, con l’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime.” [10]

A questa esternazione ne è seguita un’altra, sotto forma di intervista all’AGI, dove Bonomi ha rivendicato la sua opposizione all’aumento salariale in quanto “il 16% delle imprese italiane ha già ridotto o sospeso le produzioni a causa degli aumenti, se perdurano le condizioni della guerra un altro 30% sospenderà la produzione, significa che quasi un’impresa su due in Italia rischia di fermarsi.” [11]

Posizioni classiste del genere non sono di certo una novità da parte di Confindustria. Basti vedere come il cosiddetto “Jobs Act” (Legge n. 183/2014) tanto voluto da Confindustria, sia stato difeso a spada tratta perché, citiamo, “Industria 4.0 e Jobs Act sono provvedimenti che hanno dato effetti sull’economia reale grazie alla reazione dell’industria italiana: +7% export e +30% investimenti privati sono dati oggettivi e non opinioni”. [12]

La chiara volontà di Bonomi e soci è quello di ottenere il massimo profitto col minimo dei costi. Poco importa se si deve passare sulla pelle delle persone lavoratrici dipendenti come avvenuto durante il periodo di lockdown e le mirabolanti invenzioni securitarie governative formato zone a colori e green-pass.

Quel che importa è sempre e solo una cosa: difendere i privilegi ed espandere i propri affari.

In un momento in cui si fa sentire l’inflazione sui consumi e lo spettro della stagflazione è dietro l’angolo, milioni di persone lavoratrici dipendenti dovranno subire le scelte politiche ed economiche di un governo e di lobby economiche atte a difendere i privilegi ottenuti dallo sfruttamento.

Note

[1] “Occupati e disoccupati”, Marzo 2022, Dati provvisori.
Link: https://www.istat.it/it/files//2022/05/CS_Occupati-e-disoccupati_MARZO_2022.pdf

[2] “Lavoro: CGIL, record contratti a termine dato gravissimo. Priorità siano contrasto precarietà e crescita dei salari”, 2 Maggio 2022.
Link: https://www.cgil.it/la-cgil/aree-politiche/contrattazione-e-mercato-del-lavoro/2022/05/02/news/lavoro_cgil_record_contratti_a_termine_dato_gravissimo_priorita_siano_contrasto_precarieta_e_crescita_dei_salari-2078055/

[3] “Veronese: «Aumentano i contratti temporanei più di quelli stabili»”, 2 Maggio 2022.
Link: https://www.uil.it/NewsSX.asp?ID_News=15415&Provenienza=1

[4] “Conferenza stampa del Presidente Draghi”, 2 Maggio 2022
Link: https://www.governo.it/it/articolo/conferenza-stampa-del-presidente-draghi/19734

[5] “Inflazione e povertà: dramma nazionale, dramma regionale”
Link:https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/04/14/inflazione-e-poverta-dramma-nazionale-dramma-regionale

[6] Link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2021/05/25/123/sg/pdf

[7] Grafico Nuovi rapporti di lavoro. Vedere “Assunzioni a termine 2021”
Link: https://www.inps.it/osservatoristatistici/14/o/407

[8] Grafico delle Variazioni Contrattuali. Vedere “Trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a termine 2021”
Link: https://www.inps.it/osservatoristatistici/14/o/409

[9] “Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato”, pag. 4
Link: https://www.inps.it/osservatoristatistici/api/getAllegato/?idAllegato=1043

[10] “Bonomi: “Le imprese non hanno spazio per l’aumento dei salari”. Ma l’Istat avverte: “Rischio perdita di 5 punti di potere di acquisto nel 2022””, La Repubblica, 28 Aprile 2022.
Link: https://www.repubblica.it/economia/2022/04/28/news/bonomi_salari_imprese-347248113/

[11] “Bonomi all’Agi: “L’industria tema di sicurezza nazionale. Sul gas appoggio al governo ma servono riforme””, 1 Maggio 2022.
Link: https://www.agi.it/economia/news/2022-04-30/intervista-esclusiva-direttore-agi-mario-sechi-presidente-confindustria-carlo-bonomi-16570344/

[12] “Governo, Boccia: nuovo esecutivo non tocchi Industria 4.0 e Jobs Act”, IlSole24Ore, 15 Maggio 2018.
Link: https://www.ilsole24ore.com/art/governo-boccia-nuovo-esecutivo-non-tocchi-industria-40-e-jobs-act–AEICaqoE

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Primo Maggio

La lotta del movimento operaio per ottenere le otto ore lavorative fu aspra ed accesa in tutto il mondo e venne combattuta con generosità da compagni e compagne che sono oggi, perlopiù, ignote. Uno dei fatti più conosciuti però, rimane la Rivolta di Haymarket di Chicago del 4 maggio 1886.
Il primo maggio, pochi giorni prima dei fatti, i sindacati di Chicago avevano indetto uno sciopero per rivendicare la giornata lavorativa di otto ore. Il 4 maggio si tenne un presidio che finì in tragedia e portò al successivo arresto di otto compagni anarchici, riconosciuti solo molto tempo dopo come innocenti.
Fu questo l’episodio scatenante che trasformò il primo maggio come giornata commemorativa all’interno del movimento della classe operaia.
Con la Seconda Internazionale, questa giornata è diventata appannaggio dei partiti socialisti e laburisti del diciannovesimo secolo.
La nascita dei Partiti Comunisti dopo i fatti dell’Ottobre del 1917, segnò il passaggio progressivo del testimone di chi “deteneva” la memoria storica di tale giornata.
In particolare, in Italia furono il PSI prima ed il PCI dopo a monopolizzare tale ricorrenza per scopi elettorali.
Da diversi decenni a questa parte, vediamo quali sono stati i risultati nefasti per il movimento operaio della trasformazione di una giornata di lotta in una festa ritualizzata ed istituzionalizzata.
In un paese come l’Italia in cui vi è una media di tre morti giornalieri sul lavoro, uno sfruttamento di manodopera migrante in condizioni degradanti e disumane e una sperequazione dei redditi tra le classi e tra i generi (che fa sì che nel 2022 circa 10 milioni di persone si trovino a vivere con meno di 15000 euro annui), possiamo allora dire che i signori di cui sopra hanno eseguito egregiamente la loro opera di pompieraggio sociale.
I loro eredi odierni, ossia i partiti della sinistra istituzionale e i sindacati confederali, continuano a portare avanti questa opera di annacquamento andando a braccetto e difendendo i profitti degli apparati statali ed industriali.
Persino il nome di tale giornata è stato cambiato: si è passati dal celebrare la “Giornata internazionale dei lavoratori”, intesa come un momento di lotta collettiva e simultanea dei lavoratori di tutto il mondo per l’abbassamento dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, al celebrare una più generica “Festa dei lavoratori”, come fosse una sorta di contentino, o peggio ancora una “Festa del lavoro”, il cui nome corretto sarebbe invece “apologia dello sfruttamento salariato”.
La massima aspettativa riservata al primo maggio oggi è quella di poter assistere al concerto di Roma et similia, dove ci si farà imbottire il cervello della peggio merda partorita dalle bocche di tutta una serie di borghesi che parlano, a sproposito, di condizioni lavorative. Non ci si dimentichi, giusto per fare un esempio recente, dei discorsi sui lavoratori dello spettacolo portati avanti da Fedez lo scorso anno, un personaggio prono ai voleri dell’industria culturale nazionale ed internazionale e resosi protagonista di una serie di episodi il cui classismo ci fa vomitare (vedasi il caso della festa di compleanno al supermercato e dell’elemosina ad un rider).
La logica del “va bene purché se ne parli” la rimandiamo al mittente.
Se è il nemico di classe a parlare a nome delle persone sfruttate significa che le istanze di quest’ultime sono state cooptate.
Di fronte a fatti come questi noi non proponiamo nuove teorie, aggiornamenti o modi per ripensare le lotte. La soluzione, semplice ma “complessa” allo stesso tempo, la troviamo in un piccolo articolo del nostro compagno Errico Malatesta, pubblicato ormai un secolo fa.
All’epoca, l’argomento in questione riguardava la lotta dei lavoratori inglesi per ottenere la giornata lavorativa di otto ore.
Il nostro compagno scrisse la seguente frase:
“Gli anarchici dicevano: Volete le otto ore di lavoro? Domani dopo aver lavorato otto ore posate gli utensili e rifiutatevi a continuare — e sabato esigete il salario intero.”
In tale frase è racchiuso un volume di teoria e di pratica.
In un contesto di crescente terrore padronale, i lavoratori e le lavoratrici, senza dover passare dall’intermediazione di nessun partito o sindacato, hanno il potere di interrompere lo stillicidio imposto dalla quotidianità del lavoro salariato attraverso l’azione diretta e l’autogestione.

Umanità Nova, n° 103, A. III, 30 aprile 1922

Sembra che quest’anno la manifestazione del Primo Maggio avrà una importanza da molti anni inusitata. E bisognerebbe che cosi fosse, poiché sarebbe una prova di risveglio, una affermazione di volontà da parte del proletariato.
Dopo le fallite speranze dell’immediato dopoguerra i lavoratori che già avevan creduto di avere la vittoria in mano e si trovarono ad un tratto vinti e burlati, non seppero resistere alla irruente reazione, e per quasi due anni, sorpresi, sbandati, disorientati hanno subito le prepotenze sanguinarie degli scherani della borghesia. Si sono lasciati in molte plaghe, uccidere, bastonare, ridurre in schiavitù, hanno lasciato distruggere le loro istituzioni, hanno fatto sperare ai padroni
che oramai ogni efficace resistenza operaia era spezzata e che essi potevano un’altra volta imporre i salari di fame e le avvilenti condizioni di lavoro che prevalevano trenta o quaranta anni or sono.
Ma tale situazione non può, non deve durare. E già sin tomi di riscossa si manifestano un po’ dappertutto e questo Primo Maggio vorrà essere, speriamo, il basta solenne che il proletariato griderà in faccia ai suoi oppressori, e la ripresa della marcia in avanti verso l’emancipazione finale.
***
Ma poiché questo articolo giungerebbe troppo tardi come sprone per rendere la manifestazione quanto più è possibile grandiosa e significativa, diremo piuttosto qualche cosa sulla Storia del Primo Maggio per gli insegnamenti che se ne possono trarre.
L’idea di uno sciopero mondiale nel Primo Maggio di ogni anno per affermare la solidarietà di tutti i lavoratori e proclamare le loro rivendicazioni ebbe la sua origine in America in occasione dell’agitazione delle otto ore, e fu subito consacrata dal sangue degli anarchici martiri a Chicago.
Fu poi adottata dal Congresso socialista di Parigi del 1889 ed accolta con entusiasmo da tutto il proletariato cosciente di tutti i paesi.
1 socialisti intendevano, come fu dimostrato dalla loro condotta successiva, fare ogni anno delle semplici manifestazioni pacifiche, intese a richiamare la benevola attenzione dei pubblici poteri sulle domande dei lavoratori ed in ispecie sulla riduzione a otto ore della giornata normale di lavoro.
Ma i lavoratori, almeno nei paesi latini, Francia, Spagna ed Italia, videro ben altra cosa in quella grandiosa manifestazione delle forze dei lavoratori uniti. Vi videro l’affermazione del loro diritto alla totale emancipazione dal giogo capitalistico ed il mezzo di conseguire automaticamente
quella simultaneità d azione giudicata necessaria alla vittoria contro le forze armate che stanno a difesa del capitalismo.
E per alcuni anni il primo di maggio fu giorno aspettato con ansia, trepidazioni, speranze, conati di preparativi insurrezionali da parte dei sovversivi, e paure insensate e persecuzioni arbitrarie da parte delle polizie. E si sperava in un crescendo continuo che mettesse capo alla rivoluzione.
Ma i socialisti che vedevano il movimento prendere una piega ben diversa da quella che era nelle loro intenzioni si affrettarono ai ripari.
E come prima misura, per togliere al Primo Maggio ogni carattere di ribellione contro la volontà dei padroni e perfino la qualità di sciopero, sia pure legale ma fatto per volontà dei lavoratori, fecero il possibile per trasportare la manifestazione dal primo maggio alla prima domenica di maggio, e mutare la protesta del lavoratori in una banale Festa del Lavoro.
Borghesia e governi d ’altra parte compresero che il miglior modo per uccidere il movimento era quello di riconoscerlo come legale ed in breve volger di anni il Primo Maggio fu più o meno ufficialmente riconosciuto come giorno di festa e mancò poco che non divenisse festa obbligatoria.
Il Primo Maggio era praticamente ucciso.
Ma esso è restato nella memoria dei lavoratori e potrebbe risorgere ancora con tutti i suoi caratteri di lotta.
***
Non staremo qui a discutere quello che sarebbe avvenuto se il Primo Maggio avesse conservato il carattere che al principio gli avevano dato i lavoratori.
Ricorderemo un fatto di cui qualcuno di noi fu testimone e parte.
Era il Primo Maggio del 1890. In Inghilterra la manifestazione per le otto ore prese proporzioni grandiose. In tutte le grandi città vi furono comizi e cortei di centinaia di migliaia di operai.
Nell’Hide Park di Londra si riunirono più di un milione di persone, piene di entusiasmo, pronte a tutto, ma purtroppo, al seguito dei capi.
Gli anarchici dicevano : Volete le otto ore di lavoro ? domani dopo aver lavorato otto ore. posate gli utensili e rifiutatevi a continuare — e sabato esigete il salario intero.
Dato lo stato d’animo della folla, data l’unanimità della manifestazione, non v’è dubbio che i padroni si sarebbero stimati fortunatissimi che gli operai fossero ancora tanto minchioni da voler lavorare otto ore per loro.
Ma gli anarchici erano un gruppo sparuto, senza influenza sulle masse e, inoltre, in gran parte stranieri.
La loro voce cadde nel deserto.
Invece i socialisti ed i dirigenti di sindacati operai erano popolari, e fra essi popolarissimo un Giovanni Burns operaio meccanico. Burns aveva acquistato la sua popolarità con metodi anarchici, incitando i lavoratori alla resistenza ed alla rivolta, e facendosi in conseguenza perseguitare ed imprigionare ; ma poi era stato circuito dagli abili conservatori inglesi, adulato, accarezzato, iniziato ai comodi ed alle soddisfazioni della vita in mezzo ai signori ; gli dettero ad intendere ch’egli potrebbe diventare deputato e che dal Parlamento potrebbe meglio servire gl’interessi del popolo, ed egli, forse in buona fede, si lasciò prendere all’amo.
E nella manifestazione di cui parliamo Burns, opponendosi alle « sciocchezze » degli anarchici, fece approvare un ordine del giorno in cui s’invitavano gli operai a votare pei candidati socialisti, i quali, diventati deputati, avrebbero proposto al Parlamento la legge delle otto ore.
La giornata legale di otto ore, divenne il motto d’ordine dei lavoratori inglesi, ed i padroni poterono continuare a farli lavorare nove ore o dieci.
Colla lotta diretta, per mezzo di scioperi ed agitazioni violenti gli operai erano riusciti ad imporre, almeno nelle grandi industrie, la settimana di 54 ore ed il sabato inglese ; entrati nella via legale e parlamentare ogni progresso nelle loro condizioni fu arrestato.
Passarono venti anni. Giovanni Burns divenne deputato e poi ministro, ma delle otto ore non si parlò più.
Quando impareranno i lavoratori a fare da loro, ed a comprendere che dando il potere sia pure ai loro migliori ne fanno fatalmente dei nemici!

Nota storica curata dal Gruppo Anarchico Galatea
L’articolo di Malatesta compare a sinistra nella prima pagina di Umanità Nova del 30 Aprile 1922. La frase messa come titolo sotto la testata della prima pagina è “Lavoratori, o la schiavitù o la ribellione. Scegliete!”.
Lo scritto di Malatesta verrà inserito successivamente nel Secondo dei tre volumi di “Scritti di Errico Malatesta”, editi da “Il Risveglio” di Ginevra.
L’edizione in questione era gestita dal giornale “Il Risveglio Anarchico” di Ginevra.
I tre volumi curati dalla redazione avevano i seguenti titoli:
“Scritti Volume I. “Umanità Nova”. Pagine di lotta quotidiana” con Prefazione di Luigi Fabbri
“Scritti Volume II. “Umanità Nova”. Pagine di lotta quotidiana e scritti varii del 1919-1923,”
“Scritti Volume III. “Pensiero e Volontà. Rivista quindicinale di studi sociali e di coltura generale” (Roma, 1924-1926) e “Ultimi scritti” (1926-1932) con Prefazione di Luigi Fabbri.
Le segnalazioni e presentazioni di questi tre volumi vennero fatte nei nn. 893 del 3 Marzo 1934, 912 del 1 Dicembre 1934 e 939 del 28 Dicembre 1935 de “Il Risveglio Anarchico”.
Citiamo la presentazione del Primo Volume:
“Richiamiamo l’attenzione dei compagni su questa importantissima iniziativa presa da noi. Il primo volume contenente gli scritti degli anni 1920-21 sarà messo in vendita nel prossimo aprile. Noi vorremmo intraprendere subito la pubblicazione del secondo volume, ma per far ciò bisognerebbe che le prenotazioni ci permettano di pagare interamente il primo; ora non ne abbiamo riunito neppure la metà del prezzo.
L’opera di Malatesta è ammirabile per unità di pensiero, chiarezza d’esposizione, semplicità di ragionamento non scompagnata di arguzia. È un modello di polemica leale, di prosa popolare, di propaganda convincente. L’ignobile Mussolini ebbe a definire Malatesta « un mostro di coerenza », la concordanza mai smentita d’atti e di pensiero non potendo che parer mostruosa al sinistro avventuriero che ha trafficato di tutto ed ha tradito tutti.
Nella letteratura rivoluzionaria Malatesta avrà e conserverà uno dei primi posti. Certi interminabili volumi a pretese scientifiche letti soltanto da specialisti in materia sociali o sedicenti tali saranno da tempo dimenticati che si rileggeranno ancora opuscoli e articoli di Malatesta, che chiariscono la questione ne mostrano quasi sempre una pratica soluzione geniale o per lo meno indicano la condotta da avere, la via logica da seguire.
La fede nell’azione, se non immediata, a scadenza non lontana fu la caratteristica di tutta la vita di Malatesta. Eppure dell’azione prevedeva meglio di chicchessia tutte le esigenza e difficoltà, tutti i pericoli e rischi, ma scorgeva altresì tutti i mezzi e gli elementi cui si potrebbe aver ricorso. Non era il suo un ottimismo cieco, derivando invece dalla netta concezione sul da farsi. E questa si ritrova in tutte le pagina scritte da lui, ciò che le rende preziose. Che i compagni ci siano larghi d’aiuto perchè siano riunite.”
I tre volumi verranno ripubblicati nel 1975 a cura del Movimento Anarchico Italiano, Carrara, 1975.
L’articolo di Malatesta verrà inserito a pagg. 45-48 del secondo volume

Fonti consultate
– “Pagine di lotta quotidiana. Scritti 2 Volume. Umanità Nova e scritti vari 1919-1923”, curato dal Movimento Anarchico Italiano, Carrara, 1975, Secondo Volume, 323 p.
-Secondo DVD allegato al libro curato da Schirone Franco, “Cronache anarchiche. Il giornale Umanità Nova nell’Italia del Novecento 1920-1945”, Zero in Condotta, Milano, 2010, 294 p.
– “Il Risveglio Anarchico

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La Cina nel conflitto russo-ucraino: un’analisi geo-politica – Seconda Parte

Prima Parte

La Cina e la Russia

-Una breve storia delle relazioni sino-russe
Le relazioni tra Russia e Cina sono state, storicamente, contrastanti.
Fin dai tempi delle dinastie imperiali dei Romanov in Russia e dei Qing in Cina, la competizione tra i due giganti dell’Asia orientale era basata sul controllo delle frontiere, delle risorse e delle popolazioni.

Tale controllo avveniva facendo uso di una spinta “civilizzatrice” nei confronti di quelle popolazioni che abitavano agli estremi dei due imperi. Processi di assimilazione di genere servivano a rendere stabili i confini e poter usare, in caso di guerra, le popolazioni lì residenti.

In un simile contesto, l’obiettivo della Russia zarista non era mai stato quello di essere un partner minore o alla pari rispetto alla Cina imperiale, ma di diventare una grande potenza a pieno titolo.

A partire dalle due guerre dell’oppio (1839–1842 la prima e 1856–1860 la seconda), la Russia zarista ha mostrato la sua aggressività nei confronti della Cine Imperiale. Il tutto si risolse con la perdita di buona parte della Manciuria cinese (tramite il trattato di Aigun del 1858 e poi con la convenzione di Pechino del 1860.)

La storiografia cinese fa rientrare questi accordi con la Russia nella vasta categoria dei“trattati iniqui”, firmati nella seconda metà dell’Ottocento tra la Cina imperiale e le varie potenze europee, gli Stati Uniti e il Giappone – un’aperta dimostrazione della violenza e della sinofobia coloniale.
Gli stravolgimenti avvenuti tra gli anni ‘10 e ‘20 in Russia e Cina non videro diminuire affatto questa ostilità tra i due Stati.

Dopo la seconda guerra mondiale, la cooperazione sino-sovietica, iniziata dopo la vittoria comunista in Cina nel 1949, durò solo un decennio e, dopo la rottura dell’alleanza tra i due Stati avvenuta alla fine degli anni ’50, le due grandi potenze combatterono addirittura una breve guerra di confine nel 1969, proprio lungo i tratti di confine che la Russia aveva acquisito nei sopracitati trattati del 1858 e del 1860.

Le relazioni tra i due paesi sono riprese solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica, quando la Russia è diventata abbastanza debole da cercare l’amicizia con la Cina ed essere vista da quest’ultima come innocua. La formazione della Shanghai Cooperation Organization (SCO) del 14 Giugno 2001 sembrava l’inizio di un’alleanza sino-russa, salvo poi dimostrare una serie di antagonismi sociali ed economici marcati (Cina e Russia da una parte e India e Pakistan dall’altra)

-Kazakistan
Fino a questo momento, l’alleanza sino-russa ha avuto essenzialmente una funzione anti-statunitense. Ma tolta tale funzione, si vede come l’antagonismo tra i due Stati è molto forte.

L’Asia Centrale è un territorio fondamentale tanto per la Cina quanto per la Russia, in quanto su di essa trovano luogo i progetti economici legati alla logistica e allo sfruttamento energetico e minerario.

La recente guerra in Ucraina ha svelato, però, il divario di potere tra Pechino e Mosca in questa area del mondo. I paesi dell’Asia Centrale hanno iniziato a staccarsi dall’influenza russa (dalla lingua alla dipendenza delle aziende russe presenti in quei territori) fin dall’inizio del declino economico della Federazione dopo l’annessione della Crimea del 2014 e le conseguenze a livello internazionale.
Viceversa, l’inaugurazione delle “Belt and Road Initiative” (BRI) in Asia Centrale ha portato ad un incremento degli investimenti cinesi e dello sfruttamento edile, energetico e minerario nei paesi che facevano parte dell’URSS.

Le sanzioni dovute alla guerra russo-ucraina, oltre a portare a dei grossi limiti in ambito finanziario [1], danneggiano un punto di transizione fondamentale per le BRI: la China-Europe Railway Express (CRE).
Fin dalla sua fondazione nel 2011, la China-Europe Railway Express ha ridotto il tempo di trasporto delle merci e dei costi legati alla logistica, favorendo le economie dei territori in cui essa passa.
Questa situazione ha portato, nell’aprile 2017, alla firma del documento “Accordo sull’approfondimento della cooperazione China-Europe Railway Express” tra le autorità delle ferrovie statali di sette paesi (Cina, Bielorussia, Germania, Kazakistan, Mongolia, Polonia e Russia), facendo sì che nell’arco dei quattro anni successivi aumentassero i trasporti delle merci. [2]

Il CRE, quindi, è un ingranaggio fondamentale per le esportazioni cinesi verso l’Europa, in particolare nel biennio 2020-2021 quando le varie restrizioni a causa della pandemia hanno innescato una crisi dei trasporti marittimi con i conseguenti aumenti dei costi logistici ed un peggioramento della gestione portuale mondiale. Ciò ha spinto Maersk, la principale compagnia di trasporto di container al mondo, a fornire un nuovo servizio di trasporto multi-modale, utilizzando la China-Europe Railway Express che collega l’Asia orientale e l’Europa.

Il Kazakistan, uno dei paesi più grandi a livello geografico e ricco di materie prime, gioca un ruolo chiave sia nei progetti cinesi che in quelli russi. I cinesi infatti vogliono trarne vantaggi in termini economici, mentre i russi vedono il territorio come un punto chiave nei progetti di difesa in Asia Centrale.

Fin dalla proclamazione della sua autonomia dall’URSS nell’Ottobre del 1990, il Kazakistan di Nazarbaev e soci ha puntato a privatizzare e, al tempo stesso, diminuire la presenza dello Stato all’interno dei settori economici.

La legge sulla destatizzazione e privatizzazione del 22 Giugno 1991 e il successivo ed omonimo programma per il biennio 1991-1992 inaugurava il futuro corso economico del paese che da lì a pochi mesi sarebbe diventato indipendente (precisamente e formalmente il 25 Dicembre 1991)

La privatizzazione così imposta era divisa in tre categorie a seconda del numero di dipendenti.

Il processo di privatizzazione a livello nazionale veniva diviso in tre periodi: nel primo periodo, lo Stato concentrava i suoi sforzi sulla privatizzazione delle piccole imprese (fino a 200 dipendenti), come i negozi al dettaglio, le aziende all’ingrosso e le strutture di servizio; nel secondo periodo, lo Stato continuava la privatizzazione su piccola scala ed iniziava, a partire dal 1993, quella di massa delle medie imprese (fino a 5000 dipendenti), compresa la privatizzazione delle entità agricole; nella terza fase infine,a partire dal 1996 iniziava la privatizzazione caso per caso delle grandi imprese (oltre 5000 dipendenti) e, successivamente ed al contempo veniva normato ulteriormente il processo di privatizzazione tramite il “Programma di privatizzazione e ristrutturazione delle proprietà dello Stato” del 27 Febbraio 1997.

Dopo questi processi di privatizzazione e di controllo personale, Nazarbaev aveva approvato la “Legge sugli investimenti esteri” del 27 Dicembre 1994 e la “Legge sul sostegno statale degli investimenti diretti nella Repubblica del Kazakistan” del 28 Febbraio 1997; in quest’ultima si promuoveva un clima favorevole agli investimenti diretti esteri (sgravi fiscali, riduzione delle tasse fino al 50% etc).

A causa dell’impennata dei prezzi del petrolio e dell’incremento del PIL dato dall’esportazione di tale materiale (che ne rappresenta il 16%), nel Gennaio del 2003 veniva approvata una nuova legge sugli investimenti: abrogando le precedenti legislazioni (quelle del 1994 e del 1997), lo Stato tornava a controllare l’andamento dell’economia, revocando eventualmente gli incentivi e riscuotendo i pagamenti arretrati sui dazi con delle multe qualora l’investitore non rispettasse gli obblighi contrattuali.

Il problema di questa legge erano le numerose contraddizioni e ambiguità presenti tra compensazioni, espropri, nazionalizzazioni e requisizioni. [3]
Nonostante i malumori delle multinazionali del petrolio presenti in Kazakistan, l’aumento dei prezzi tra il 2003 e il 2008 ha fornito a costoro un forte incentivo nel rimanere.

I contratti petroliferi firmati tra queste aziende e il governo hanno permesso di accumulare capitale in modo legittimo e di assicurare una fornitura ininterrotta di petrolio ai consumatori.
I principali effetti politici di questi accordi sono stati la corruzione, la concentrazione del potere statale e la mancanza di trasparenza e responsabilità dello Stato.

L’emanazione del “Codice degli imprenditori della Repubblica del Kazakistan” dell’Ottobre del 2015 (e successive modifiche applicate fino al Marzo del 2022) [4] ha di fatto abrogato la legge del 2003.

La nuova legislazione – che altro non è che un’incorporazione di varie leggi (compresa quella del 2003) -, regolamenta e migliora le relazioni tra le imprese e lo Stato, eliminando de facto le precedenti lacune e contraddizioni legislative ed introducendo la Camera Nazionale degli Imprenditori della Repubblica del Kazakistan.
Questa entità istituzionale è un’organizzazione autogestita senza scopo di lucro, istituita allo scopo di formare condizioni favorevoli per lo sviluppo dell’imprenditoria basata su un’efficace collaborazione tra imprese e autorità e proteggendo i diritti e gli interessi degli imprenditori.

Tra i comitati che gestiscono la Camera Nazionale degli Imprenditori vi è quello dell’industria petrolifera e del gas. Gli obiettivi di questo comitato sono: il miglioramento legislativo dell’industria petrolifera e del gas, l’identificazione delle questioni prioritarie di tale settore, la partecipazione allo sviluppo di documenti politici governativi e il rafforzamento della cooperazione con le organizzazioni industriali internazionali.

I risultati fino ad ora ottenuti da tale comitato si concretizzano nella “legge sul sottosuolo e sull’uso del sottosuolo” del Dicembre 2017. [5]

La legge rappresenta un’opportunità per le aziende straniere e nazionali di usare il sottosuolo in ambito minerario e petrolifero:
-in ambito minerario la concessione per l’estrazione dura da un minimo di 6 anni ad un massimo di 25 anni;
-in ambito petrolifero la concessione per l’esplorazione e la produzione dipende dal tipo di sito (campo o offshore). In entrambi i casi, la durata varia dai 6-9 anni fino a 45 anni nel caso di di campi petroliferi estesi).

Multinazionali come Chevron, British Gas, ENI, Texaco, Exxon-Mobil, Lukoil, China National Petroleum Corporation con le loro relative joint-venture e consorzi, hanno messo le mani letteralmente nel paese, facendo affari con Nazarbaev prima e con Toqaev dopo.

L’attrazione degli investimenti tramite la vendita di licenze per l’esplorazione e la produzione di merci petrolifere cozza con le proteste che via via sono diventate sempre più marcate.

Il recente caso del Gas Petrolifero Liquefatto (GPL) è un esempio di tutto ciò.

Fino ad un anno fa, il GPL veniva venduto sotto regolamentazione dello Stato ai consumatori domestici con una perdita per i produttori non indifferente.

Il governo kazako di Massimov (con il benestare del presidente Nazarbaev), visto l’aumentare della richiesta mondiale di tale risorsa, decise di attrarre gli investitori stranieri nel paese con leggi ad hoc.

La Legge n. 532-IV del 9 Gennaio 2012, “A proposito di gas e fornitura di gas” ha fatto da “apripista” nel processo di privatizzazione del gas kazako.

Le successive modifiche apportate dal governo di Sagintayev (sempre con la compiacenza di Nazarbaev) nel Luglio del 2018 e nel Gennaio 2019 alla Legge n. 532 [6], nonché la costruzione del gasdotto Saryarka nel 2019, hanno portato il gas kazako a competere nel campo del trading online [7] ed attrarre, al tempo stesso, ulteriori investitori.

Il presunto cambio di potere avvenuto con Toqaev non ha fatto altro che modificare la Legge 532 [8], sostituendo le piattaforme di scambio elettronico con le borse merci [9] e continuando la politica di privatizzazione.

In generale, per il presidente kazako gli investimenti miliardari arrivati negli ultimi 30 anni nel paese sono positivi e soddisfacenti, aggiungendo come sia “in corso una campagna su larga scala per privatizzare più di 700 imprese statali in vari settori dell’economia del Kazakistan, tra cui petrolio e gas, energia e infrastrutture. Noi consideriamo preferibile far fluttuare le azioni delle più grandi imprese nelle borse nazionali.” [10]

Se questo è il dato speculativo in corso, il Kazakistan in questi ultimi due anni ha dovuto affrontare due problematiche non indifferenti: l’attuale pandemia da Sars-Covid e il drastico calo dei prezzi del petrolio.
Con un tasso di inflazione di circa l’8%, la povertà al 4,3 % [11], un salario minimo di 60mila tenge kazake (KZT) (circa 124 euro) [12], un salario medio mensile di 275mila KZT (circa 570 euro) e una pensione minima di 46mila KZT (circa 95 euro) [12], i problemi dati dal periodo odierno più le privatizzazioni in corso, hanno creato paura e risentimento in una parte della popolazione.

L’aver tolto i sussidi statali sui carburanti ha avuto come conseguenza un aumento del prezzo del gas, portando la popolazione a ribellarsi in tutto il paese.

In tal senso si è scatenata una lotta intestina tra le elitè del paese. A quel punto, Toqaev e soci hanno richiesto l’intervento russo attraverso le truppe dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC).

La violenta repressione e normalizzazione nel paese ha portato a due fattori:
– un’epurazione all’interno dei palazzi di potere con Nazarbaev rimosso e il suo lealista Masimov estromesso dalla carica di capo del Comitato per la sicurezza nazionale;
– una dimostrazione della Russia della sua potenza militare agli occhi degli Stati dell’Asia Centrale nati dalla dissoluzione dell’URSS e alla Cina.

Gli interessi economici cinesi in Kazakistan sono abbastanza rilevanti.
Nel 2020, il Kazakistan ha esportato 9,42 miliardi di dollari di merci alla Cina; tra i principali prodotti esportati vi sono il GPL (1,45 miliardi di dollari) e il petrolio greggio (1,19 miliardi di dollari). [13]

Negli ultimi 25 anni le esportazioni kazake verso la Cina sono aumentate del 14,9% passando da 292 milioni di dollari del 1995 ai 9,42 miliardi di dollari nel 2020.

I gasodotti e gli oleodotti che collegano i due paesi hanno la funzione di diversificare la rotta energetica e di ridurre la dipendenza cinese dallo Stretto di Malacca.

Appare chiaro come la Cina sia fondamentale per l’economia kazaka.
La ricerca cinese di cooperazione tra borghesie malcoincide con lo scontro tra borghesie come impostato dall’attuale modello neoliberista statunitense.

Apparentemente l’intervento dell’OTSC non era stato ben accolto dalla Cina.
Durante una conferenza stampa, il portavoce del ministro degli esteri, Wang Wenbin, ha risposto così alla domande sul cosa ne pensasse della situazione kazaka e dell’intervento dell’OTSC:
“La Cina e il Kazakistan sono vicini amichevoli e partner strategici permanenti. Dal punto di vista della Cina, ciò che sta accadendo in Kazakistan sono problemi interni. Crediamo che le autorità kazake possano risolvere correttamente la questione. Speriamo che la situazione possa stabilizzarsi il più presto possibile e che l’ordine sociale normale possa essere ripristinato.” [14]

Quattro giorni dopo la dichiarazione di Wenbin, il ministro degli esteri cinese Wang Yi ha avuto una conversazione telefonica con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov dove, parlando del Kazakistan, ha sottolineato che il presidente Xi Jinping ha specificamente inviato un messaggio verbale al presidente Tokayev, dichiarando pubblicamente che la Cina si oppone fermamente a qualsiasi tentativo esterno di provocare disordini.
La Cina, aggiunge Wang Yi, concorda con il giudizio del presidente Toqaev sulla natura degli incidenti violenti e terroristici in Kazakistan, e sostiene l’OTSC nell’aiutare il Kazakistan a reprimere le forze violente e terroristiche e a svolgere un ruolo positivo nel ripristinare la stabilità interna. [15]

Nell’ottica del grande gioco in Asia Centrale, le parole dell’establishment cinese sembrano voler tranquillizzare l’opinione pubblica internazionale e confermare i rapporti tra i due governi.

Persino l’accordo decennale tra la russa “Rosneft” e la “China National Petroleum Corporation” sulla fornitura di 200mila barili al giorno di petrolio greggio attraverso l’oleodotto che passa dal Kazakistan sembra confermare ciò.

Ma se vediamo il progetto delle BRI e dell’oleodotto e del gasdotto che passano dal Kazakistan fino alla Cina, comprendiamo come vi sia una volontà precisa da parte del governo di Xi Jinping di non intervenire militarmente e di agire solo qualora uno degli attori in campo (la Russia, in questo caso) risulti sfinito economicamente e socialmente.

Continua…

Note
[1] La “Industrial & Commercial Bank of China” e la “Bank of China”, due delle maggiori banche cinesi, hanno limitato i finanziamenti per le materie prime russe. La decisione è stata presa a causa delle sanzioni fatte da UE e USA verso la Russia e per poter evitare, in tal modo, di perdere il credito.
“China State Banks Restrict Financing for Russian Commodities”, 25 Febbraio 2022, Bloomberg. Link: https://web.archive.org/web/20220424235021/https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-02-25/chinese-state-banks-restrict-financing-for-russian-commodities

[2] Nel 2021 sono transitati 15mila treni per un totale di 1,4 milioni di container.

[3] “Kazakhstan’s dynamic economy: A Business and Investment Review”, GMB Publishing Ltd, 2007, pag. 8

[4] “Codice degli imprenditori della Repubblica del Kazakistan”, 29 Ottobre 2015,
Link (in inglese/russo): https://web.archive.org/web/20220308065054/https://adilet.zan.kz/eng/docs/K1500000375

[5] “Sul sottosuolo e sull’uso del sottosuolo”, 27 dicembre 2017 Link (in inglese/russo):https://web.archive.org/web/20220121084429/https://adilet.zan.kz/eng/docs/K1700000125

[6] Con la Legge n. 173 del 4 Luglio 2018, “Riguardo all’introduzione di emendamenti e aggiunte a certi atti legislativi della Repubblica del Kazakistan su questioni relative al gas e alla fornitura di gas”, all’articolo 1 della legge del Gennaio 2012 veniva aggiunto il comma 43: “Piano di negoziazione elettronica. Un complesso di strutture informatiche, software, banche dati, strutture di telecomunicazione e altre attrezzature progettate per la negoziazione di gas di petrolio liquefatti nel quadro del piano di approvvigionamento di gas di petrolio liquefatti al mercato interno della Repubblica del Kazakistan e garantire l’automazione del processo di conclusione delle transazioni, nonché la raccolta, lo stoccaggio, il trattamento e la divulgazione delle informazioni”. Link (in russo): https://web.archive.org/web/20220426123513/https://law.gov.kz/api/documents/123262/rus/download/pdf
[7] Per la vendita del gas, gli investitori, sostenuti dal governo kazako, stanno utilizzando gli “Exchange Traded Products” (ETP), strumenti di investimento nei mercati che tracciano un titolo, un indice o altro asset (materie prime, valute, azioni, obbligazioni).
I prezzi degli ETP derivano dalle quotazioni delle attività finanziarie o dei beni che tracciano; di conseguenza risultano fluttuanti e chi vi investe può avere un potenziale guadagno così come una potenziale perdita.

[8] Legge n. 96 del 30 Dicembre 2021, “Sull’introduzione di modifiche e integrazioni ad alcuni atti legislativi della Repubblica del Kazakistan in materia di attività commerciali, sviluppo del commercio in borsa e protezione dei dati personali”, articolo 1, punto 5.
Link (in russo): https://web.archive.org/web/20220206191858/https://www.adilet.zan.kz/rus/docs/Z2100000096
[9] Le borse merci sono il luogo di incontro, in senso fisico ed economico, della domanda e dell’offerta dei beni contrattati e, quindi, punto di riferimento per il loro prezzo a livello nazionale o internazionale, a seconda dell’importanza della borsa.
Le contrattazioni avvengono in modo telematico.

[10] “Kazakhstan Attracts Over US$370 Billion in FDI Since Independence”, The Astana Times, 6 Dicembre 2021.
Link: https://web.archive.org/web/20220214180740/https://astanatimes.com/2021/12/kazakhstan-attracts-over-us370-billion-in-fdi-since-independence/

[11] Dato del 2018

[12] Riportati nei commi 1 e 3 dell’articolo 9 del “Bilancio per il 2022-2024” (Legge n. 77 del 2 Dicembre 2021), in originale (О республиканском бюджете на 2022 – 2024 годы) Link (in russo): https://web.archive.org/web/20220418232343/https://adilet.zan.kz/rus/docs/Z2100000077

[13] “China-Kazakhstan”, Dati del 2020
Link: https://web.archive.org/web/20220406162201/https://oec.world/en/profile/bilateral-country/chn/partner/kaz
[14] “Foreign Ministry Spokesperson Wang Wenbin’s Regular Press Conference on January 6, 2022”. Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China
Link: https://web.archive.org/web/20220405215804/https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/xwfw_665399/s2510_665401/2511_665403/202201/t20220106_10479487.html

[15] “Wang Yi Speaks with Russian Foreign Minister Sergey Lavrov on the Phone”, 11 Gennaio 2022, Ministry of Foreign Affairs of the People’s Republic of China
Link: https://web.archive.org/web/20220119060907/https://www.fmprc.gov.cn/mfa_eng/zxxx_662805/202201/t20220111_10480941.html

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Il Patriottismo. Una minaccia per la libertà

In tempi di crisi l’appello a concetti astratti è un toccasana per il dominio. In tal modo si riesce a camuffare abilmente la difesa dei privilegi borghesi e capitalistici di fronte a possibili (e anche probabili, aggiungiamo) destabilizzazioni interne.
Il patriottismo appartiene a questi concetti. Ammaliando l’individuo fin dalla più tenera età, il patriottismo riesce a far accettare alle classi subalterne l’amore e il sacrificio per una patria (o terra dei padri) che non gli appartiene realmente, in quanto si tratta di diktat imposti dal dominio. Al tempo stesso, coloro che ricadono in tali classi difendono in tal modo una classe privilegiata che li sfrutta, aliena ed uccide.
Ma non è solo un problema di classe: è anche di genere.
Per una donna, dirà Virginia Woolf in “Le tre ghinee”, cosa è il patriottismo se non la negazione della ricchezza, della difesa fisica e dell’istruzione? Cos’è il patriottismo se non l’esaltazione del militarismo? Cos’è il patriottismo se non la forma manifesta della violenza e del privilegio maschile?
Il testo della femminista inglese era una sorta di risposta ad avvocato di un’associazione antifascista che chiedeva a costei su come si potesse prevenire una guerra.
La risposta della Woolf fu un’analisi lucida ed incisiva, che riuscì ad affrontare pienamente, oltre la tematica di classe, anche quella di genere
Dello stesso avviso è l’autrice che oggi presentiamo: Emma Goldman.
In una conferenza che tenne nell’Aprile del 1908 a San Francisco, l’anarchica lituana iniziò a snocciolare tutte le problematiche e gli orrori prodotti da questo concetto astratto noto come “patriottismo”: dall’ “abbruttimento” dell’individuo inquadrato nelle logiche militariste alla repressione di chi si opponeva a questo stato di cose, passando all’analisi sulla futura nascita della potenza statunitense in campo internazionale.
La critica alla patria (o alla terra dei padri) e al capitalismo passa da una cultura di liberazione in cui si smontano le logiche di profitto e di privilegio (sia di classe che di genere, oltre che di razza).

Che cos’è il patriottismo?
È l’amore per il proprio luogo di nascita, dei ricordi e delle speranze dell’infanzia, dei sogni e delle aspirazioni? È il luogo in cui, con l’ingenuità dell’adolescente guardavamo le nuvole vagare e ci chiedevamo perché potessimo correre così veloci anche noi? Il luogo in cui contavamo i miliardi di stelle lucenti, terrorizzati dall’idea che ognuna di loro “un occhio potesse essere”, capace di penetrare il profondo delle nostre piccole anime?
È il luogo in cui ascoltavamo la musica degli uccelli e desideravamo avere le ali, per volare come loro verso terre lontane? Oppure il luogo in cui ci sedevamo sulle ginocchia materne, affascinati da racconti meravigliosi di gesta e d’imprese gloriose?
In breve, è l’amore per il luogo in cui ogni centimetro rappresenta i ricordi cari e preziosi di una infanzia felice, gioiosa e gaia?
Se il patriottismo fosse questo, pochi americani oggi potrebbero essere definiti come patriottici dal momento che il luogo dei giochi è stato trasformato in una fabbrica, un mulino o una miniera, mentre il frastuono assordante delle macchine ha sostituto la musica degli uccelli. Nè possiamo più ascoltare i racconti delle grandi gesta, perché le storie che le nostre madri raccontano oggi giorno sono piene di malinconia, lacrime e dolore. Che cos’è allora il patriottismo? “Il patriottismo, signore, è l’ultima risorsa dei furfanti”, ha detto il dr. Johnson. Leone Tolstoj, il più grande spirito antipatriottico dei nostri tempi, definisce il patriottismo come il principio che giustifica l’addestramento degli assassini su vasta scala; una professione che richiede attrezzature migliori per uccidere gli uomini che per far fronte a necessità della vita, come le scarpe, i vestiti o le case; una professione che assicura maggiori profitti e gloria che non quella del normale lavoratore.
Gustave Hervé, un altro grande spirito antipatriottico, considera giustamente il patriottismo come una superstizione – però di gran lunga più volgare, brutale e disumana della religione. La superstizione religiosa è nata dall’incapacità dell’uomo a spiegare i fenomeni naturali. Vale a dire che quando l’uomo primitivo udiva il tuono o vedeva il lampo, non sapeva spiegare nessuno dei due e quindi concludeva che dietro di loro vi doveva essere una forza più grande di lui. Allo stesso modo egli vedeva una forza sovrannaturale nella pioggia e negli altri fenomeni della natura. Il patriottismo, invece, è una superstizione creata artificialmente e mantenuta tramite una fitta rete di menzogne e falsità; una superstizione che prima l’uomo della fiducia in se stesso e della sua dignità, aumentandone l’arroganza e la presunzione.
In realtà la presunzione, l’arroganza e l’egoismo sono i caratteri essenziali del patriottismo. Lasciatemi spiegare. Il patriottismo ritiene che il nostro globo sia diviso in piccoli lotti, ognuno circondato da un recinto di ferro. Chi ha avuto la fortuna di nascere in qualche punto particolare, si ritiene migliore, più nobile, più importante e più intelligente degli esseri umani che vivono in altri punti. È pertanto dovere di ognuno che vive in quel punto determinato di lottare, uccidere e morire nel tentativo di imporre la propria superiorità agli altri.
Gli abitanti degli altri punti ragionano allo stesso, ovviamente, con il risultato che fin dalla prima infanzia la mente del bambino viene avvelenata con storie agghiaccianti sui tedeschi, i francesi, gli italiani, i russi etc. Quando il bambino raggiunge l’età adulta, è ormai imbevuto dell’idea di essere stato scelto da dio stesso per difendere il proprio paese contro l’attacco o l’invasione dello straniero. È questa la ragione per la quale richiediamo a gran voce un esercito e una marina più forte, più navi da guerra e più munizioni. Ed è a questo scopo che gli USA hanno speso in un breve lasso di tempo quattrocento milioni di dollari prelevati dal prodotto del popolo. Perchè certamente non sono i ricchi che contribuiscono al patriottismo. Essi sono cosmopoliti, perfettamente a loro agio in qualsiasi terra. Noi che siamo in America sappiamo benissimo come ciò sia vero.
I nostri ricchi americani non fanno forse i francesi in Francia, i tedeschi in Germania o gli inglesi in Inghilterra? E non scialacquano forse con gusto cosmopolita le fortune create in fabbrica da bambini americani e dagli schiavi del cotone?
È questo patriottismo che rende possibile rinvio di messaggi di cordoglio a un despota come lo zar russo, quando gli accadono delle disgrazie, come fece il presidente Roosevelt a nome del suo popolo, quando Sergius fu punito dai rivoluzionari russi.
È il patriottismo che aiuta l’ultrassassino Diaz a distruggere migliaia di vite in Messico o addirittura ad arrestare i rivoluzionari messicani sul suolo americano e al tenerli incarcerati nelle prigioni americane, senza la i benché minima giustificazione o motivo valido.
Il patriottismo, quindi, non è per chi rappresenta la ricchezza e il potere, è buono invece per la povera gente. Ricordo una frase celebre di Federico il Grande, il più intimo amico di Voltaire, che disse: «La religione è un inganno, ma deve essere mantenuta per le masse».
Che il patriottismo sia un’istituzione abbastanza costosa, sarà evidente a tutti dopo aver esaminato le seguenti statistiche.
L’aumento crescente delle spese per i principali eserciti e flotte del mondo durante l’ultimo quarto di secolo è un fatto di una tale gravità da lasciare interdetto qualsiasi serio studioso di problemi economici. Esso può essere espresso facilmente dividendo gli anni che vanno dal 1881 al 1905 in periodi di cinque anni ciascuno ed osservando le spese di varie nazioni importanti per l’esercito e la marina nel primo e nell’ultimo di questi periodi. Tra il primo e l’ultimo dei periodi presi in considerazione le spese della Gran Bretagna sono aumentate da $ 2.101.848.936 a $ 4.143.226.885; quelle della Francia da $ 3.324.500.000 a $ 3.455.109.900; quelle della Germania da $ 725.000.200 a $ 2.700.375.600; quelle degli Stati Uniti da $ 1.275.500.750 a $ 2.650.900.450; quelle della Russia da $ 1.900 975.500 a $ 5.250.445.100; quelle dell’Italia d a $ 1.600 975.750 a $ 1.755.500.100 e quelle del Giappone da $ 182.900.500 a $ 700.925.475.
Le spese militari di ognuna delle nazioni citate sono aumentate in ognuno dei periodi quinquennali in esame. Nel lasso di tempo che va dal 1881 al 1905 le spese della Gran Bretagna per il suo esercito sono aumentate quattro volte, negli Stati Uniti tre volte, in Russia due, quelle della Germania sono aumentate del 35%, quelle della Francia del 15% e quelle del Giappone quasi del 500%. Se confrontiamo le spese di questi paesi per i propri eserciti con il totale delle uscite per il periodo di venticinque anni che termina nel 1905, la proporzione sale nel modo seguente:
In Gran Bretagna dal 20% al 37; negli Stati Uniti dal 15 al 23; in Francia dal 16 al 18; in Italia dal 12 al 15; nel Giappone dal 12 al 14.
D’altro canto è interessante osservare che la proporzione in Germania è diminuita da circa il 58% al 25, a causa dell’enorme aumento di spese imperiali indirizzate ad altri fini, restando il fatto però che le spese militari del periodo 1901-5 erano superiori a quelle del quinquennio precedente. Le statistiche mostrano che i paesi in cui le spese militari sono le più alte, in rapporto al reddito nazionale complessivo, sono la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone, la Francia e l’Italia in quest’ordine.
I dati riguardanti le spese per le principali flotte sono ugualmente impressionanti. Nel corso dei venticinque anni che vanno fino al 1905, le spese navali sono aumentate approssimativamente nel m odo seguente: Gran Bretagna, 300%; Francia, 60%; Germania, 600%; Stati Uniti, 525%; Russia, 300%; Italia, 250%; Giappone, 700%. Con l’eccezione della Gran Bretagna, gli Stati Uniti spendono per la propria flotta più di qualsiasi altro paese e questa spesa rappresenta anche la percentuale più alta di qualsiasi altro paese in rapporto alle uscite nazionali complessive. Negli anni 1881-85 la spesa per la marina degli Stati Uniti è stata di $ 6,20 su ogni 100 dollari stanziati a fini nazionali; la cifra è passata a 6,60 nel quinquennio seguente, a 8,10 per il seguente, poi a 11,70 e infine a 16,40 per gli anni 1901-5. È più che certo che il bilancio per l’attuale periodo di cinque anni subirà ancora un ulteriore aumento. L’aumento crescente dei costi del militarismo può essere mostrato anche calcolandolo come una tassa pro capite sull’insieme della popolazione. Dal primo all’ultimo dei periodi quinquenali presi come base di confronto, esso è aumentato nel modo seguente: in Gran Bretagna da $ 18,47 a 52,50; in Francia da 19,66 a 23,62; in Germania da 10,17 a 15,51; negli Stati Uniti da 5,62 a 13,64; in Russia da 6,14 a 8,37; in Italia da 9,59 a 11,24; in Giappone da 86 centesimi a $ 3,11.
È in rapporto a questa stima sommaria dei costi pro capite che si può meglio valutare l’onere economico del militarismo. La conclusione inevitabile, sulla base dei dati disponibili, è che l’aumento delle spese per gli eserciti e le flotte sta sorpassando rapidamente l’espansione demografica in ciascuno dei paesi presi in considerazione finora. In altre parole, un aumento ulteriore delle esigenze militaristiche, minaccia ciascuna nazione con la prospettiva di un esaurimento delle risorse umane e materiali.
Lo spreco terribile che è richiesto dal patriottismo dovrebbe bastare da solo a curare anche le persone di intelligenza media da tale malattia. Il patriottismo, invece, esige ancora di più. La gente viene spinta ad essere patriottica e a questo lusso essa paga un prezzo, non solo mantenendo i propri “difensori”, ma anche sacrificando i propri figli. Il patriottismo esige fedeltà alla bandiera, il che significa ubbidienza e disponibilità a uccidere padre, madre, fratello e sorella.
L’obiezione corrente è che abbiamo bisogno di un esercito adeguato per proteggere il paese da invasioni straniere.
Ogni persona intelligente, uomo o donna, sa tuttavia che questo è un mito alimentato per spaventare e reprimere gli sciocchi. I governi di tutto il mondo, conoscendo i rispettivi interessi, non si invadono tra loro. Essi hanno imparato che possono guadagnare molto di più dall’arbitrato internazionale dei conflitti che con la guerra e le annessioni. In realtà, come disse Carlyle, «La guerra è una lite tra due ladri troppo vigliacchi per combattere in prima persona; per questo essi prendono i giovani da questo o quel villaggio, li infilano nelle uniformi, forniscono loro i fucili e li lasciano liberi come bestie selvagge di sbranarsi tra loro».
Non ci vuole un grande sforzo per ricondurre ogni guerra a una simile origine. Prendiamo, per esempio, la nostra guerra ispano-americana, ritenuta un grande e patriottico evento nella storia degli Stati Uniti. Come ribollivano di indignazione i nostri cuori contro i feroci spagnoli! La nostra indignazione, tuttavia, non era spontanea. Era alimentata da mesi di agitazione sui giornali e molto dopo che il carnefice Weyler aveva reciso molti nobili cubani e violentato molte cubane.
Ciononostante sia detto a vanto della nazione americana, questa si indignò, fu disposta a battersi e si battè con coraggio. Ma quando il fumo si fu diradato, i morti sepolti e il costo della guerra si riversò sulla popolazione sotto forma di aumento dei beni e degli affitti – vale a dire quando ci riprendemmo dall’ubriacatura patriottica – fu improvvisamente chiaro che la causa della guerra ispano-americana era stata la questione del prezzo dello zucchero; o, per essere più espliciti, che le vite, il sangue e il denaro del popolo americano erano stati usati per proteggere gli interessi dei capitalisti americani, minacciati dal governo spagnolo. Questa non è un’esagerazione, ma è basata su dati di fatto e su cifre, e lo sta a dimostrare l’atteggiamento del governo americano verso i lavoratori cubani. Quando Cuba fu saldamente nelle grinfie degli Stati Uniti, gli stessi soldati a mandati a liberare Cuba ricevettero l’ordine di sparare sugli operai cubani durante il grande sciopero dei sigarai, che si svolse poco dopo la fine della guerra. Non siamo i soli, tuttavia, a intraprendere guerre per motivi del genere. Il sipario comincia ad alzarsi sulle ragioni della terribile guerra russo-giapponese, che è costata tante lacrime e sangue. E noi possiamo vedere ancora una volta che dietro il feroce Moloch della guerra, vi è l’ancor più feroce dio del commercio. Kuropatkin, il Ministro della guerra russo durante il conflitto Russo-Giapponese, ha svelato il segreto che si nascondeva dietro quest’ultimo.
Lo zar e i suoi granduchi, avendo investito denaro in concessioni coreane, avevano bisogno della guerra al solo scopo di accumulare rapidamente grandi fortune.
L’affermazione secondo cui un esercito e una marina forti sono la migliore garanzia di pace, è logica quasi quanto l’affermazione che il cittadino più pacifico è quello che va in giro armato di tutto punto. L’esperienza della vita quotidiana mostra che l’individuo armato è immancabilmente ansioso di provare la propria forza. Lo stesso è storicamente vero per i giovani. I paesi realmente amanti della pace non sprecano vite ed energie in preparativi bellici, ed ottengono cosi il risultato che la pace venga mantenuta.
Tuttavia, l’agitazione a favore di un rafforzamento dell’esercito e della marina non è dovuta ad alcun pericolo straniero. È dovuta invece alla paura dello scontento crescente tra le masse e dello spirito internazionalista crescente tra i lavoratori. È per affrontare il nemico interno che i poteri di diversi paesi si stanno preparando; un nemico che, quando avrà preso coscienza, si dimostrerà più pericoloso di qualsiasi invasore straniero.
Le forze che si sono impegnate nel corso dei secoli a mantenere le masse nella schiavitù, hanno fatto uno studio approfondito della loro psicologia. Esse sanno che il popolo nel suo insieme è come un bambino la cui disperazione, dolore e lacrime si possono trasformare in gioia con un piccoli giocattolo. E quando più sontuosamente sarà vestito il giocattolo, quanto più sgargianti i colori, tanto più ne sarà affascinato il bambino dal milione di teste. L’esercito e la marina rappresentano i giocattoli della popolazione. Per renderli più attraenti e più accettabili, si spendono centinaia e migliaia di dollari per la loro esibizione. Questo era il fine del governo americano al momento di varare la flotta e quando la mandò lungo le coste del Pacifico, in modo che ogni americano potesse sentire l’orgoglio e la gloria di essere negli Stati Uniti. La città di San Francisco spese più di centomila dollari per ospitare la flotta; Los Angeles sessantamila; Seattle e Tacoma, circa centomila. Ho detto ospitare la flotta? Avrei dovuto dire per offrire pranzi e bevande a pochi ufficiali di grado superiore, mentre i “bravi ragazzi” dovevano ammutinarsi per avere da mangiare a sufficienza. Ed infatti, duecento sessantamila dollari furono spesi in fuochi d’artificio, serate teatrali e feste, mentre uomini, donne e bambini in tutto il resto del paese morivano di fame per le strade; mentre migliaia di disoccupati erano disposti a vendere il proprio lavoro a qualsiasi prezzo.
Duecento sessantamila dollari! Che cosa non si sarebbe potuto fare con una tale cifra? Ma invece di di ricevere pane ed abitazioni, i bambini di quelle città furono portati a vedere la flotta, in modo che essa restasse, come disse uno dei giornalisti, «un ricordo imperituro per il bambino » .
Una cosa meravigliosa da ricordare, non è vero? Gli strumenti del massacro civile. Se la mente del bambino deve essere avvelenata con simili ricordi, che speranza c’è di realizzare una vera fratellanza umana?
Noi americani affermiamo di essere della gente amante della pace. Odiamo gli spargimenti di sangue e siamo contrari alla violenza. Eppure diventiamo pazzi di gioia all’idea di poter lanciare bombe esplosive da macchine volanti su cittadini inermi. Siamo pronti ad impiccare, uccidere sulla sedia elettrica o linciare chiunque che, preso da necessità economiche, rischierà la propria vita in un attentato contro quella di qualche magnate industriale. Ed inoltre, i nostri cuori traboccano d’orgoglio al pensiero che gli Stati Uniti stanno diventando la nazione più potente sulla terra e che essi potrebbero mettere il proprio piede di ferro sul collo delle altre nazioni.
Questa è la logica del patriottismo.
Tenendo a mente tutti i mali che il patriottismo provoca nell’uomo della strada, si deve riconoscere che questi sono nulla se confrontati con le offese e le umiliazioni che il patriottismo getta sul soldato stesso, su questa povera vittima illusa della superstizione e dell’ignoranza. Per lui, per il salvatore del suo paese e il protettore della sua nazione, che cosa ha in riserbo il patriottismo? Una vita di sottomissione servile, di depravazione e abbruttimento in tempi di pace; una vita di pericoli, rischi e morte in tempi di guerra.
Mentre compivo un giro di conferenze a San Francisco, di recente, ho avuto l’occasione di visitare il presidio, il punto più bello che guarda verso la Baia e il Golden Gate Park. La sua destinazione doveva essere quella di un campo da giochi per bambini, giardini e luoghi dove ascoltare la musica, per la ricreazione della gente stanca. Invece esso è diventato un luogo brutto, piatto e grigio a causa delle caserme che vi si trovano; delle caserme dove i ricchi non lascerebbero dormire nemmeno i propri cani. In queste baracche miserabili, i soldati vivono ammassati come bestie; qui sprecano la loro gioventù, pulendo gli stivali e lucidando i bottoni degli ufficiali superiori.
Ed anche qui ho potuto vedere le differenze di classe: i forti figli di una repubblica libera, trascinati in fila come carcerati, costretti a salutare ogni vermiciattolo di colonnello che passava. L’eguaglianza americana, che abbrutisce gli uomini ed innalza l’uniforme!
La vita in caserma, tra l’altro, tende a sviluppare delle tendenze alla perversione sessuale. Essa produce gradualmente su questo piano delle conseguenze simili a quelle della vita militare in Europa. Havelock Ellis, il famoso studioso di psicologia del sesso, ha compiuto un’importante ricerca sull’argomento. Cito: «Alcune caserme sono dei grandi centri di prostituzione maschile … Il numero di soldati che si prostituisce è maggiore di quanto noi siamo disposti a credere. Non è esagerato dire che in certi reggimenti si deve presumere che il calcolo vada a favore della venalità della maggioranza degli uomini…Nelle sere, Hyde Park e i dintorni di Albert Gate sono pieni di membri della guardia e altri che vi svolgono un mercato molto attivo, e senza troppe preoccupazioni, in divisa o senza…Nella maggior parte dei casi i proventi rappresentano un’utile aggiunta agli spiccioli concessi da Tommy Atkins.»
Fino a che punto questa corruzione sia penetrata nell’esercito e nella marina si può valutare sulla base del fatto che esistono delle case speciali per questa forma di prostituzione. La pratica non si limita all’Inghilterra, ma è universale.
«I soldati sono ricercati in Francia non meno che in Inghilterra o in Germania, e delle case speciali per la prostituzione dei militari esistono sia a Parigi che nelle guarnigioni di provincia ».
Se Havelock Ellis avesse incluso gli Stati Uniti n ella sua ricerca sulle perversioni sessuali, avrebbe potuto verificare che la stessa situazione esiste nel nostro esercito e nella nostra marina come negli altri paesi. La crescita dell’esercito permanente favorisce inevitabilmente la diffusione delle perversioni sessuali: le caserme ne sono le incubatrici.
Oltre alle conseguenze sessuali della vita in caserma, vi è anche il fatto che essa tend e a rendere inadatto il soldato per lavori utili dopo il congedo dall’esercito. Degli uomini specializzati in un’attività raramente entrano nell’esercito o nella marina, ma anch’essi, dopo l’esperienza militare, si trovano completamente incapaci di riprendere le loro vecchie occupazioni. Avendo acquisito delle abitudini pigre e un gusto per le azioni eccitanti e avventurose, non sono più soddisfatti da attività pacifiche. Usciti dall’esercito non possono tornare a nessun lavoro utile. Tuttavia, sono in genere i rifiuti sociali, gli ex -detenuti e simili, che la lotta per la vita o le proprie inclinazioni spingono ad arruolarsi. Costoro, alla fine del periodo di ferma, tornano nuovamente alla loro vita di delinquenti, più abbrutiti e degradati di prima. È ben risaputo che nelle nostre prigioni vi è un discreto numero di ex-soldati; mentre l’esercito e la marina, a loro volta, si riforniscono in gran parte di ex-detenuti.
Di tutti i mali che ho descritto, nessuno mi sembra più dannoso per l’integrità umana, dello spirito che il patriottismo inculca, come nel caso del soldato semplice William Buwalda. Poiché questi credeva ingenuamente che si possa essere soldati ed esercitare i propri diritti umani allo stesso, le autorità militari lo hanno punito severamente. Egli aveva servito il suo paese per quindici anni, vale la pena di osservare, e il suo curriculum di quel periodo era impeccabile.
Secondo il generale Funston che ridusse la condanna di Buwalda a tre anni, «il primo dovere di un ufficiale o di una recluta è la fedeltà e l’ubbidienza indiscussa al governo, indipendente dal fatto che egli approvi o no quel governo». In tal modo Funston presenta il vero carattere della disciplina: per lui, l’ingresso nell’esercito abolisce i principi della dichiarazione d’indipendenza.
Che strano sviluppo del patriottismo, quello che trasforma un essere pensante in una macchina ubbidiente!
A giustificazione dell’ignobile sentenza contro Buwalda, il generale Funston ha detto al popolo americano che l’azione del soldato era stata «un grave delitto, pari al tradimento ». Ebbene, in che cosa è consistito veramente questo «grave delitto » ? Semplicemente in questo: William Buwalda era una delle millecinquecento persone che avevano partecipato a un’assemblea pubblica a San Francisco, e — oh , orrore! – aveva stretto la mano dell’oratore, Emma Goldman. Un grave delitto, invero, qualcosa che il Generale definisce « una grave offesa militare, infinitamente peggiore della diserzione» .
Vi può essere una condanna peggiore del patriottismo, del fatto che esso può imprimere in un simile modo il marchio del criminale su un uomo, gettarlo in prigione e privarlo dei frutti di quindici anni di servizio fedele?
Buwalda ha dato al suo paese gli anni migliori della sua vita e il meglio delle sue energie. Ma tutto ciò non è servito a nulla. Il patriottismo è inesorabile e come tutti i mostri insaziabili, vuole tutto o niente. Non ammette che un soldato sia anche un essere umano, che abbia diritto ai propri sentimenti e alle opinioni, inclinazioni e idee.
No, il patriottismo non può ammettere tutto ciò. Questa è la lezione che Buwalda ha dovuto apprendere, ad un prezzo piuttosto alto, ma non inutile. Quando tornò alla libertà, egli aveva perso il posto nell’esercito, ma aveva riconquistato la propria dignità.
E questa, dopo tutto, vale tre anni di prigione.
Uno studioso della situazione militare in America, ha scritto di recente in un articolo, sul potere dell’uomo in uniforme su quello civile in Germania.
Tra le altre cose, egli ha detto che se la nostra repubblica non servisse ad altro che a garantire diritti eguali a tutti i cittadini, avrebbe già ragione di esistere. Sono sicura che costui non è stato in Colorado all’epoca dell’ondata patriottica del generale Bell. Avrebbe probabilmente mutato la sua opinione, vedendo come, in nome del patriottismo e della repubblica, la gente veniva ammassata nei recinti, trascinata per ogni dove, gettata oltre il confine e sottoposta ad ogni tipo di vessazioni. E il caso del Colorado non è unico nella storia del potere militare negli Stati Uniti. Non vi è quasi uno sciopero in cui l’esercito e la polizia non intervengano in difesa di chi ha il potere e in cui non si comportino con la stessa arroganza e brutalità degli uomini che indossano l’uniforme del Kaiser. E poi, abbiamo anche la legge militare Dick. Se ne è dimenticato il nostro autore?
Un guaio con la maggior parte dei nostri scrittori è che essi sono completamente all’oscuro dei fatti attuali oppure che, privi di onestà, non ne vogliono parlare. E così è avvenuto che la legge Dick sulle questioni militari passasse di corsa attraverso il Congresso, con poca discussione e ancor meno pubblicità — una legge che dà al Presidente della repubblica il potere di trasformare un pacifico cittadino in un assassino sanguinario, ufficialmente per la difesa del paese, ma in realtà per la protezione degli interessi particolari del partito di cui il Presidente si trova ad essere il portavoce.
Il nostro autore afferma che il militarismo non potrà mai assumere in A merica le stesse dimensioni dell’estero, dal momento che da noi il servizio militare è volontario, mentre è obbligatorio nel vecchio mondo.
Questo signore, tuttavia, dimentica di prendere in considerazione due fatti. In primo luogo che la coscrizione obbligatoria ha creato in Europa un grande odio contro il militarismo in tutte le classi della società. Sono migliaia le giovani reclute che vanno sotto le armi protestando e una volta nell’esercito si servono di ogni mezzo per disertare. In secondo luogo, il carattere costrittivo del militarismo ha creato un forte movimento antimilitarista, che è temuto più di ogni altra cosa dalle grandi potenze europee. Dopo tutto, il principale bastione del capitalismo è l’esercito. Quando questi è minato dall’interno, il capitalismo barcolla. È vero, noi non abbiamo la leva obbligatoria; ciò significa che la gente non viene costretta in genere ad arruolarsi, ma abbiamo sviluppato una forza molto più costrittiva e rigorosa: il bisogno.
Non è forse vero che nei periodi di depressione industriale vi è un enorme aumento del numero di arruolamenti? L’attività militare non può non essere lucrosa ed onorevole, ma è meglio che vagare per il paese alla ricerca di lavoro, stare in fila per il pane o dormire nei dormitori pubblici. Dopo tutto, significa tredici dollari al mese, tre pasti al giorno e un posto per dormire. Eppure, anche il bisogno non è un elemento abbastanza forte per spingere nell’esercito un uomo dotato di carattere ed energia.
Non c’è da stupirsi che le nostre autorità militari si lamentino del « materiale scadente » che si arruola nell’esercito e nella marina.
Questa ammissione ne è un segno molto incoraggiante: dimostra che nell’americano medio vi è ancora abbastanza spirito di indipendenza e amore per la libertà da rischiare la fame piuttosto che indossare la divisa.
Le persone ragionevoli in tutto il mondo cominciano a capire che il patriottismo è un concetto troppo limitato e restrittivo per rispondere alle esigenze della nostra epoca. La centralizzazione del potere ha provocato la nascita di un sentimento di solidarietà tra le nazioni oppresse del mondo; una solidarietà che rappresenta una comunanza di interessi maggiore tra l’operaio americano e i suoi fratelli all’estero che tra il minatore americano e il suo compatriota che lo sfrutta; una solidarietà che non ha paura di invasioni straniere, dal momento che sta portando tutti i lavoratori al punto in cui diranno ai propri padroni: «Va e uccidi tu per conto tuo. Noi lo abbiamo fatto troppo tempo per te » .
Questa solidarietà sta risvegliando anche la coscienza dei soldati, dal momento che anch’essi non sono della stessa carne e sangue della grande famiglia umana. Una solidarietà che ha dimostrato la propria forza più di una volta nel corso delle ultime lotte che ha spinto i soldati parigini, nella Comune del 1871, a rifiutare di obbedire quando è stato ordinato loro di sparare sui propri fratelli.
Ha dato coraggio agli uomini che si sono ammutinati sulle navi da guerra russe, negli anni più recenti. Essa finirà col provocare l’insurrezione di tutti gli oppressi e gli sfruttati contro i loro sfruttatori internazionali.
Il proletariato europeo ha capito la grande forza di questa solidarietà e ha cominciato, di conseguenza, una guerra contro il patriottismo e il suo spettro sanguinoso: il militarismo. Migliaia di uomini riempiono le prigioni della Francia, della Germania, della Russia e dei paesi scandinavi, perché hanno osato sfidare l’antica superstizione. E il movimento non riguarda solo la classe operaia ; esso ha dei rappresentanti in tutti gli strati sociali, in particolare tra uomini e donne famosi nel campo dell’arte, della scienza e delle lettere gli Stati Uniti dovranno seguire a ruota. Lo spirito del militarismo ha già permeato tutti i meandri della vita. In realtà, io credo che il militarismo corra maggiori pericoli qui che in qualsiasi altro luogo, a causa delle molte promesse che il capitalismo fa a coloro che vuole distruggere.
I primi passi sono già stati fatti nelle scuole.
Ovviamente, il governo si attiene alla vecchia concezione gesuitica «Dammi la mente del bambino e ne farò un uomo». I bambini vengono istruiti sui problemi di tattica militare, alla gloria delle imprese militari esaltate nel programma di studi e le giovani menti vengono traviate per compiacere il governo. In seguito, la gioventù del paese viene chiamata da pittoreschi manifesti ad entrare nell’esercito o nella marina. «Un’ottima occasione di vedere il mondo!», grida l’agente pubblicitario governativo. In tal modo dei ragazzi innocenti sono trascinati inconsapevolmente al patriottismo e il Moloch militare procede a grandi passi verso la conquista dell’intera nazione.
L’operaio americano ha sofferto cosi tanto per causa dei soldati, statali e federali, che sono indubbiamente giustificati il suo disprezzo e la sua opposizione al parassita in uniforme. Tuttavia, la sola denuncia non risolverà questo grande problema. Abbiamo bisogno invece di propaganda educativa per i soldati: letteratura antipatriottica che li illumini sui veri orrori della loro professione e risvegli la loro coscienza per quanto riguarda i rapporti effettivi che li legano agli uomini, il cui lavoro permette la loro stessa esistenza.
E questo è proprio ciò di cui più hanno paura le autorità. Per un soldato è già alto tradimento il fatto di partecipare a una riunione di sinistra. Ma allora, non è vero forse che l’autorità, da tempo immemorabile, ha sempre condannato ogni passo verso il progresso come un tradimento?
Chi, tuttavia, lotta onestamente per la rinascita della società, può affrontare senza difficoltà tutto ciò; può essere, infatti, ancor più importante portare la verità dentro le caserme che nelle fabbriche. Quando avremo demolito la menzogna patriottica, avremo aperto la strada per quella grande struttura in cui tutte le nazionalità saranno unite da una fratellanza universale: una vera SOCIETÀ LIBERA.

Nota storica curata dal Gruppo Anarchico Galatea
“Il Patriottismo. Una minaccia per la libertà” è un discorso che Emma Goldman tenne durante una conferenza a San Francisco nell’Aprile del 1908. Sulla base di questo discorso venne redatto un pamphlet poi sponsorizzato nel 1910 sul giornale “Mother Earth”.
Venne inserito nel libro “Anarchism and Other Essays”, Mother Earth Publishing Association, New York, 1911.
Il libro in questione venne tradotto come “Anarchia, femminismo e altri saggi”, La Salamandra, Milano, 1976. Il discorso citato si trova nelle pagg. 99-112.

Fonti consultate
-“Mother Earth”
-“Anarchia, femminismo e altri saggi”, La Salamandra, Milano, 1976

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La Cina nel conflitto russo-ucraino: un’analisi geo-politica – Prima Parte

Premessa
Negli ultimi anni, la Cina e l’Ucraina hanno sviluppato una forte relazione economica e strategica, in cui la seconda è diventata parte fondamentale dei progetti di espansione cinese in Europa per via delle sue caratteristiche geo-strategiche.
Il recente conflitto russo-ucraino e le misure restrittive dell’Unione Europea e dei paesi NATO verso il paese governato da Putin, sembrano spingere in apparenza quest’ultimo a stringere rapporti con la Cina di Xi Jin Ping.
La reazione cinese all’invasione russa avvenuta a fine febbraio di quest’anno è stata piuttosto tiepida, e questo sembrerebbe confermare la volontà di Pechino di continuare a dare supporto a Mosca nonostante l’azione di guerra che quest’ultima ha intrapreso.
In realtà questa costruzione è abbastanza falsata dal linguaggio massmediatico occidentale, per cui, per capire appieno queste relazioni, è necessario andare a vedere quali sono gli interessi della borghesia cinese in Ucraina e quali rapporti intrattiene la Repubblica Popolare Cinese con la Federazione Russa.

La Cina e l’Ucraina

-Accordi, costruzioni e progettazioni
Da quando l’Ucraina ha ottenuto l’indipendenza da quella che era l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS)[1], le risorse naturali del paese, l’industria e la sua posizione geografica sono finite sotto l’occhio attento dei governi cinesi.
In anni più recenti, gli accordi tra i due paesi hanno iniziato a dare i loro frutti.
Per quanto riguarda le materie prime infatti, dal 2019, la Cina di Xi Jinping ha rimpiazzato la Russia nei rapporti con l’Ucraina come maggior partner commerciale, diventando il primo importatore di orzo [2] e di materiali ferrosi; l’Ucraina di Zelenskyy, contemporaneamente, è diventata la principale fornitrice di mais per la Cina, superando quello che era il suo partner storico, ovvero gli Stati Uniti.

Un altro vantaggio per la borghesia cinese in Ucraina è l’accordo di libero scambio tra il paese governato da Zelensky e l’Unione Europea del 2017; ciò rende il territorio ucraino un punto di transito attraente per le merci cinesi in Europa, nonostante le crescenti esitazioni europee verso le relazioni commerciali con la Cina.
Infatti, il Parlamento Europeo ha fermato la ratifica di un accordo sugli investimenti UE-Cina l’anno scorso, e paesi come la Lituania si sono tirati fuori dal meccanismo “17+1” guidato dalla Cina per una maggiore cooperazione con l’Europa orientale. [3]

Anche le infrastrutture e l’energia sono stati punti di grande importanza tra i due paesi. Nel 2016, la COFCO Group, il più grande conglomerato agricolo cinese, ha speso 75 milioni di dollari per la costruzione di un terminal di immagazzinamento di grano e olio presso il porto di Mykolaiv sul Mar Nero [4].

Nel 2017, gli ingegneri cinesi hanno terminato l’aggiornamento del porto internazionale più trafficato dell’Ucraina: il porto Yuzhny vicino a Odessa.
Lo stesso anno, due imprese cinesi hanno vinto il contratto [5] per costruire una quarta linea di metropolitana a Kiev, raccogliendo fondi per 1,3 miliardi di dollari da istituzioni finanziarie cinesi.

I promettenti mercati eolici e solari dell’Ucraina hanno attirato i giganti cinesi dell’energia rinnovabile.
I piani principali includono il progetto “PowerChina” di un miliardo di dollari per il più grande impianto eolico onshore d’Europa una volta completato [6] e l’impianto solare guidato da “China Machinery Engineering Corporation” [7] – che sarà il terzo più grande d’Europa.
La società “China National Building Material” ha già costruito dieci impianti solari in Ucraina [8] rappresentanti la metà della capacità totale di energia solare installata nel paese.
Nel frattempo, le ricche riserve di petrolio e gas dell’Ucraina sono state una grande fonte di reddito per le aziende energetiche cinesi come “Xinjiang Beiken Energy Engineering”.

-La Belt and Road Initiative (BRI) e la guerra
L’Ucraina ha aderito al progetto BRI – in italiano conosciuta come “Nuova via della seta”-, nel 2017 per sfruttare le relazioni con la Cina e modernizzare le infrastrutture dei trasporti (soprattutto per quanto riguarda ferrovie e strade).

Riprendendo quanto detto prima, i politici ucraini hanno anche cercato di rendere il paese un gateway per l’accesso della Cina in Europa. Nella sua prima conversazione telefonica [9] con il presidente cinese Xi Jinping nel 2021, il presidente ucraino Zelenskyy ha definito la Cina “il partner commerciale ed economico n. 1 dell’Ucraina”, augurandosi che l’Ucraina diventasse “un ponte verso l’Europa per il business cinese”.

I due paesi hanno finora firmato contratti di costruzione legati alla BRI per un valore di quasi 3 miliardi di dollari [10] in settori come trasporti ed energia.

Questi accordi commerciali, però, sono stati utili a Xi Jinping e i suoi per influenzare il volere politico ucraino su questioni controverse.
Nel giugno 2021 infatti, i due governi hanno firmato un ampio accordo sulle infrastrutture [11] dopo che l’Ucraina aveva ritirato la firma da una dichiarazione internazionale riguardante l’aprire un’indagine indipendente sulle violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione uigura nella regione cinese dello Xinjiang.

L’Ucraina è diventata anche un mercato importante per Huawei, il gigante cinese delle telecomunicazioni. Dopo aver sviluppato la rete mobile dell’Ucraina, Huawei ha vinto un contratto nel 2019 per costruire una rete 4G per la metropolitana di Kiev.

Nel 2020, Huawei e l’agenzia di sicurezza tecnica dell’Ucraina hanno concordato di cooperare [12] sulla cybersicurezza e la difesa informatica.
Lo scoppio della guerra ha sospeso tutti questi progetti, facendo perdere alle aziende cinesi i capitali investiti. Ma se ci si aspettava una reazione della Cina contro la Russia – come hanno fatto l’UE e i paesi NATO -, allora bisogna tenere in considerazione come Xi Jinping e i suoi abbiano cercato di mantenere la neutralità [13] tra due importanti partner commerciali e strategici come i russi [14] e gli ucraini.
In tal senso la Cina guarda la situazione per poter intervenire in seguito e appropriarsi di determinate risorse da ambo i contendenti.

Continua nella Seconda Parte

Note
[1] “Ukraine’s Struggle for Independence in Russia’s Shadow”, Council on Foreign Relations
https://web.archive.org/web/20220417100538/https://www.cfr.org/timeline/ukraines-struggle-independence-russias-shadow
[2] “China demand crucial to Ukraine 2021-22 barley exports”, 9 aprile 2021, Argus Media https://web.archive.org/web/20220322202742/https://www.argusmedia.com/en/news/2203721-china-demand-crucial-to-ukraine-202122-barley-exports
[3]”MEPs refuse any agreement with China whilst sanctions are in place”, 20 maggio 2021, comunicato stampa del Parlamento Europeo al link https://web.archive.org/web/20220401170111/https://www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20210517IPR04123/meps-refuse-any-agreement-with-china-whilst-sanctions-are-in-place
“Lithuania quit 17+1 because access to Chinese market did not improve, its envoy says”, 1 Giugno 2021, South China Morning Post al link https://web.archive.org/web/20220218163822/https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3135522/lithuania-quit-171-because-access-chinese-market-did-not
[4] “COFCO around the world: Ukraine – a solid partnership with potential to grow”, 5 Agosto 2021, COFCO International https://web.archive.org/web/20220322205214/https://www.cofcointernational.com/stories/cofco-around-the-world-ukraine-a-solid-partnership-with-potential-to-grow/
[5] “Chinese companies to build subway line in Kiev”, 20 Maggio 2017, China Daily
https://web.archive.org/web/20220322200604/https://usa.chinadaily.com.cn/business/2017-05/20/content_29427843.htm
[6] “Chinese firm to build $1 billion wind farm in Ukraine”, 31 Ottobre 2020, Kyiv Post https://web.archive.org/web/20201128000105/https://www.kyivpost.com/business/chinese-firm-to-build-1-billion-wind-farm-in-ukraine-largest-in-europe.html
[7] “Ukraine’s DTEK, China’s CMEC to build one of Europe’s largest solar projects”, 6 Aprile 2018, Reuters https://web.archive.org/web/20220322202606/https://www.reuters.com/article/us-ukraine-dtek-solar/ukraines-dtek-chinas-cmec-to-build-one-of-europes-largest-solar-projects-idUSKCN1HD1ZT
[8] “China’s CNBM owns ten largest solar power plants in Ukraine”, 14 Novembre 2016, Interfax-Ukraine https://web.archive.org/web/20220412171622/https://en.interfax.com.ua/news/economic/383594.html
[9] “Zelensky, Chinese President Xi Jinping hold first telephone conversation”, 13 Luglio 2021, Kyiv Post https://web.archive.org/web/20220418180645/https://www.kyivpost.com/ukraine-politics/zelensky-chinese-president-xi-jinping-hold-first-telephone-conversation.html
[10] “Interview: China, Ukraine have broad prospects for BRI cooperation, says Ukrainian economist”, 7 Gennaio 2022, Xinhuanet
https://web.archive.org/web/20220110110657/https://www.xinhuanet.com/english/europe/20220107/199a78fc8f414760b22610a597c80762/c.html
[11] “China-Ukraine infrastructure deal a surprise for observers of Beijing, Kyiv and Moscow geopolitics”, 11 Luglio 2021, South China Morning Post
https://web.archive.org/web/20220410215950/https://www.scmp.com/news/china/diplomacy/article/3140652/china-ukraine-infrastructure-deal-surprise-observers-beijing?module=inline&pgtype=article
[12] “Special Communications Service to cooperate with Huawei Ukraine in cybersecurity, cyber defense, telecoms”, 16 Ottobre 2020, Interfax-Ukraine
https://web.archive.org/web/20220321050946/https://en.interfax.com.ua/news/general/695609.html
[13] “Why China Is Struggling to Deal With Russia’s War in Ukraine”, 25 Febbraio 2022, Council on Foreign Relations https://web.archive.org/web/20220321013607/https://www.cfr.org/in-brief/china-russia-war-ukraine-taiwan-putin-xi
[14] “Joint statement by Russia, China formalizes bilateral alliance — analyst”, 4 Febbraio 2022, TASS
https://web.archive.org/web/20220317082103/https://tass.com/world/1398293

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Rodney Álvarez libero!

Tre anni fa su Umanità Nova veniva pubblicato l’articolo “Solidarietà per Rodney Álvarez“.
Álvarez, sindacalista venezuelano non allineato al sindacato “oficialista” del PSUV, venne accusato ingiustamente di un omicidio e incarcerato per quasi 11 anni.

Meno di ventiquattro ore fa è stato scarcerato ma non assolto pienamente dall’accusa ingiusta di omicidio.

Alvarez ha dovuto subire sulla sua pelle il sistema inumano delle carceri venezuelane, rinomate per essere le più pericolose dell’intero Sudamerica e “trasformate in depositi puzzolenti di esseri umani gestiti da assassini in berretti rossi che violano i diritti umani dei detenuti sotto la copertura del potere e in nome della rivoluzione Fascio-Chavista.” (estratto tradotto dell’articolo “Fracaso de la política carcelaria” di J.R. López Padrino)

In tempi di pandemia, nelle carceri venezuelane le punizioni corporali, restrizioni alimentari e/o digiuni forzati sono aumentati a dismisura, portando ad evasioni e rivolte all’interno di tali strutture.

La liberazione di Alvarez, seppur provvisoria, non deve farci dimenticare come i sistemi giudiziari e carcerari, qualsiasi essi siano, sono deleteri e distruttivi.

Link: https://www.facebook.com/LibertadParaRodneyAlvarez/posts/1163453594222674

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Alfonso Failla, “Gli anarchici nella resistenza”

In tempi di impoverimento culturale e socio-economico come quelli odierni, la Resistenza, secondo certi partiti e Associazioni, diventa un baluardo della società repubblicana italiana contro chi, invece, vuole riproporre schemi e modalità non democratiche e sovraniste.
La difesa dello status quo che si manifesta nella difesa di feticci quali la “Costituzione” e la “Democrazia”, fa il paio con il tentativo di chi sta al potere di mantenere i propri privilegi sociali ed economici.
Ma in ciò non vi nulla di anormale né anomalo.
Fin dalle prime settimane della Liberazione, la democratizzazione italiana si è svolta nel seguente modo: dai tentativi di deposizione delle armi dei cosiddetti elementi provocatori che volevano “far risorgere le vecchie formazioni partigiane e di farle partecipare in divisa a dimostrazioni politiche” – ed evitare tutto questo perchè “la lotta contro il fascismo e per la creazione di un regime democratico e popolare deve tradursi oggi nella legalità, nell’ordine, nella disciplina” -, passando alla cosiddetta “amnistia Togliatti” (22 Giugno 1946) e concludendosi con la restaurazione dell’attuale regime capitalista ai danni di lavoratori e lavoratrici.
La giustizia sociale, per cui molti e molte anarchici e anarchiche combatterono nei gruppi partigiani, venne etichettata come utopia.
A ciò bisogna aggiungere che la storiografia ufficiale, prodotta da partiti ed Istituti storici, ha letteralmente gettato nell’oblio i nostri compagni e le nostre compagne che combatterono durante la seconda guerra mondiale.
Per noi quindi, riproporre oggigiorno questo articolo di Alfonso Failla, apparso nel 1946 su Umanità Nova (ed inserito successivamente nel libro curato da Paolo Finzi, “Insuscettibile di ravvedimento. L’anarchico Alfonso Failla 1906-1986. Carte di Polizia, Scritti, Testimonianze,” La Fiaccola, Ragusa, 1993, pagg. 73-78), è in primis un omaggio che vogliamo fare al nostro compagno siracusano, ma si pone anche nell’ottica di un recupero della una memoria storica del movimento anarchico di lingua italiana.

Gli anarchici nella resistenza

da Umanità Nova, 15 Settembre 1946

Gli anarchici – secondo l’alto giudizio del compagno Scoccimarro ed altri ministri e dirigenti i «partiti di massa» – vengono oggi indicati alle cure dello Stato energico, come facenti parte di quella «zavorra» del movimento partigiano che si agita perchè lottò invano o lottò per i sopraggiunti profittatori. E non è raro sentire ripetere nel contempo, da elementi acefali, la parola d’ordine che chiede: «Ma dov’erano gli anarchici nel periodo della resistenza?». Come documentata, e certamente incompleta risposta, riportiamo dalla rivista «Era Nuova» che edita a Palermo il nostro compagno Schicchi, l’articolo che segue dovuto alla penna di uno dei nostri che non fu un assente, o un attendista prudente.

IL CONTRIBUTO DEGLI ANARCHICI ALLA LOTTA PARTIGIANA IN ITALIA
Prima della caduta del fascismo per iniziativa del compianto Pasquale Binazzi, compagni delle varie località toscane, della Liguria, dell’Emilia, del Lazio ecc. si riunirono a convegno in Firenze presso Augusto Boccone e gettarono le basi della Federazione Anarchica pubblicando clandestinamente Umanità Nova. Nell’agosto 1943, nella stessa Firenze, fu tenuto il secondo convegno al quale partecipò per la Sicilia Nino Catalano di Mazara del Vallo.
Dopo il 25 luglio Badoglio liberò tutti i confinati e detenuti politici ad esclusione degli anarchici che, dall’isola di Ventotene, dove si trovava il gruppo più numeroso, fummo condotti nel campo di concentramento di Renicci di Anghiari, in provincia di Arezzo.
Mentre i vari partiti e movimenti antifascisti poterono avvantaggiarsi del ritorno in libertà dei loro confinati e carcerati, per noi, che fummo liberati intorno all’otto settembre si pose il problema della ripresa del movimento contemporaneamente a quello della lotta armata quando la repubblichetta dell’ex-duce, al servizio dei tedeschi, sguinzagliò i suoi sgherri per arrestare nuovamente i vecchi abitanti delle isole e delle galere fasciste.
È bene tenere presente che la lotta cospirativa e partigiana nacque principalmente per iniziativa di coloro che vi erano preparati negli esili, al confino e nelle carceri e perciò il movimento anarchico si trovò in difficoltà ben maggiori di coloro che avevano beneficiato dell’interregno badogliano.
A Napoli, durante i giorni dell’insurrezione, fra gli altri compagni, Cesare Zanetti fu uno dei primi animatori della lotta eroica degli sgugnizzi contro i tedeschi, come ne fa fede la stampa delle giornate della rivolta napoletana.
A Roma gli anarchici parteciparono risolutamente alla cospirazione e giovani e vecchi furono presenti ovunque con disprezzo del pericolo e perdettero nella lotta valorosi compagni come Aldo Eloisi, ucciso nella capitale, ed Alberto di Giacomo (il Moro), Giovanni Gallinella e parecchi altri non ritornati dalla deportazione.
Nelle Marche morì Alfonso Pettinari, ex confinato, commissario politico di una formazione partigiana che agiva nella zona di Macerata.
Dove maggiormente si precisa la nostra partecipazione con propria fisionomia è dalla Toscana in su. A Piombino, Vanni Adriano ed altri compagni parteciparono alla comune azione contro i nazi-fascisti gettando fin d’allora le basi di quella che sarà poi, attualmente, una delle più attive ed operanti federazioni d’Italia.
Piombino proletaria, dove l’educazione anarchica fu curata dai nostri maestri con la parola e con l’esempio, e che conobbe le giornate eroiche del 1923, stando all’avanguardia rivoluzionaria scrisse pagine eroiche di gloria, e l’otto settembre 1943 si videro gli operai spronare alla lotta marinai e carristi e sconfiggere insieme a loro forti reparti di tedeschi che furono costretti a fuggire per mare dopo aver perduto parecchie zattere cariche dei loro affondate dal tiro delle batterie presidiate da operai e cannonieri di marina.
In tutta la Toscana, dovunque aveva vita la lotta partigiana, i nostri furono sempre in prima linea. Gruppi risoluti operarono nell’Empolese, a Firenze ed altrove.
A Livorno, città il cui movimento anarchico fu sempre vivo durante il ventennio della dittatura mantenendo alto lo spirito libertario di quel popolo, il primo comitato di liberazione fu formato con la partecipazione dei nostri che ebbero incarichi delicatissimi, portati a compimento con sprezzo del pericolo nei momenti più difficili. Liberata la città dal nazi-fascismo la nostra federazione forte di parecchi gruppi si accrebbe ancor di più con nuovi aggruppamenti nella città e nei dintorni.
Nella Lucchesia elementi nostri furono presenti ed attivi assolvendo compiti importanti.
A Pistoia, e sulle montagne circostanti, la lotta partigiana ebbe vita per iniziativa dei nostri, numerosi ed audaci. Un nome per tutti: Silvano Fedi, studente del terzo anno di ingegneria, morto con le armi in pugno alla testa della sua formazione, non è soltanto l’anarchico caduto nella lotta, ma per tutti i partigiani del Pistoiese l’«eroe» di cui si raccontarono sempre le coraggiose imprese e l’audacia.
In Garfagnana, nelle formazioni di Pippo (Manrico Ducceschi) militarono numerosi anarchici alcuni dei quali ebbero funzioni di primaria importanza (Tiziano Palandri e compagni) in quella zona che con Carrara divide l’onore di avere mantenuto il fronte della lotta dall’otto settembre alla liberazione, senza interruzioni e impegno partigiano di respingere «fino al Brennero» i nazi-fascisti.
Carrara merita un capitolo a parte perchè, mentre altrove molto generosamente i compagni lottarono nelle formazioni combattenti ilei vari partiti, sprezzanti delle speculazioni postume e della congiura del silenzio nei nostri confronti, nella città dei marmi le prime formazioni partigiane portarono per insegne i nomi dei nostri migliori.
La «Gino Lucetti», la «Michele Schirru» del monte, la «Renato Macchiarini» del piano, comandata questa da Ismaele Macchiarmi, scrissero pagine gloriose.Le prime armi furono tolte ai tedeschi nella caserma «Dogali» l’otto settembre da Romualdo Del Papa e compagni. Nello stesso giorno nelle cave di Torano, vicino a Miseglia, prendeva posizione la «Gino Lucetti» guidata con la «Michele Schirru» fino alla fine da Ugo Mazzucchelli.
Gli uomini di queste formazioni furono audacissimi.
Un episodio fra tanti: il compagno Alvaro Mazzucchelli figlio di Ugo, diciottenne, disarma dieci tedeschi e li fa prigionieri, armato di un mitra che s’inceppa, di una pistola e di un coraggio superiore certo a quello dei dieci servi di Hitler. Si distingue in questa zona pure la formazione «Elio», dal nome del coraggiosissimo compagno che la comandava, composta in gran parte di anarchici che fu tra le più audaci.
Dentro Carrara il centro della lotta è la F.A.I., dove confluiva e da dove partiva tutta la resistenza della zona dove si organizzarono i vari servizi e dove ora ha sede il gruppo «Luigi Galleani» dei vecchi compagni di Carrara, che possono essere fieri dei loro figli i partigiani del monte e del piano, i quali presero esempio nelle lotte sostenute dai vecchi militanti carraresi dell’anarchismo dal 1894 in poi.
In Carrara la lotta di liberazione contro i nazi-fascisti sboccò in guerra sociale. Quando le popolazioni di quelle città e della zone circostante mancavano del pane e del necessario, gli anarchici prelevarono (contro il parere degli altri partiti componenti il C.N.L.) dai ricchi del luogo sette milioni che servirono per vettovagliare la popolazione ed i partigiani.
Le cave di marmo furono espropriate e gestite direttamente dai cavatori. Ora esse sono quasi tutte tornate in possesso dei vecchi padroni protetti dallo Stato capestro, che si «ricostituisce» progressivamente grazie alla «tattica» dilazionista dei «politici» marxisti.
Carrara fu liberata dai partigiani prima dell’arrivo degli Alleati e le nostre formazioni insieme con quelle degli altri partiti presero 600 tedeschi prigionieri.
Nella lunga lotta perdemmo molti compagni della zona di Carrara fra i quali ricordiamo Marcello Grassi, Azzeri Giuseppe, Renato Macchiarini, Venturelli, Perissino, ecc..
Le compagne, nella maggior parte giovani, furono audacissime quali staffette e infermiere anche nei combattimenti. Carrara è sempre l’avanguardia del proletariato italiano per lo spirito di lotta e per le conquiste superiori a quelle ottenute nel resto d’Italia.
Guidata da sindacalisti anarchici la Camera del Lavoro (conquistò le sei ore) per i minatori delle ligniti di Luni, mentre le sei ore e mezza giornaliere per i cavatori della zona dei marmi sono una conquista anteriore al fascismo, praticata nuovamente dopo la liberazione.

* * *

Nella zona La Spezia-Sarzana-Carrara operarono molti compagni, alcuni dei quali come il maggiore Contri, spezzino, Tullio De Santo sarzanese ed altri, guidarono formazioni proprie con valore.
In quella zona era popolarissimo ed universalmente stimato il vecchio compagno «Ugo Ramella» condannato a trent’anni per la resistenza eroica di Sarzana del 1921, il quale benché quasi cieco volle prendere le armi e la montagna fra i primi partigiani.
Pure da quelle parti combattè Olivieri della Spezia, già carcerato e confinato per ventitré anni. Accerchiato con la sua formazione dai tedeschi a Castelpoggio (Carrara), animato da coraggio leonino, protesse con la sua mitragliatrice lo sganciamento dei suoi compagni e cadde in mani nemiche mentre si dirigeva verso Fosdinovo in cerca della moglie e della figlioletta.
Condotto a La Spezia fu barbaramente trucidato dai fascisti delle brigate nere che avrebbero voluto umiliarlo ed ai quali Renato non risparmiò fieramente il suo disprezzo fino alla morte.

* * *

Nell’Emilia ed in Romagna Primo Bassi di Imola, reduce da un lunghissimo soggiorno nelle carceri fasciste e Ulisse Merli, combattente di Spagna ed ex confinato, insieme ad altri compagni, nei C.N.L. clandestini e nella lotta armata portarono il valido contributo degli anarchici.
Emilio Canzi, da molti anni fuoruscito, combattente nella colonna Ascaso in Spagna, ebbe il comando unico della divisione partigiana che operò nel piacentino, la quale raggruppava un complesso di oltre venti brigate forti di dodicimila uomini e che il Canzi guidò valorosamente durante un anno e mezzo alla liberazione di Piacenza, dove entrò prima dell’arrivo degli Alleati.
Emilio Canzi fu sempre anarchico anche quando era il colonnello Ezio Franchi (suo nome di battaglia). La morte, che non era riuscita a ghermirlo nei combattimenti, lo portò via ai compagni e alla famiglia per un volgare incidente automobilistico nello scorso dicembre.

* * *

Nell’Alta Italia, durante il periodo clandestino, la federazione più attiva fu quella del genovesato. Oltre l’organizzazione e la propaganda apertamente anarchiche, che da Genova si irradiavano nelle regioni settentrionali, quei compagni parteciparono alla lotta partigiana in montagna ed in città vincendo il settarismo di altri che ebbero sempre cura di ostacolare al massimo il risorgere del nostro movimento, che era in quella zona delle federazioni migliori d’Italia.
La «Errico Malatesta», la «Carlo Pisacane» ed altre formazioni libertarie combatterono efficaciemente da Nervi a Voltri in testa a tutti, prima e durante l’insurrezione del 23 aprile 1945, giorno in cui perdemmo due valorosi compagni: Pittaluga e Cianci Gastone.
Nel resto della Liguria e nel Piemonte molti compagni parteciparono alla lotta partigiana.
A Torino l’organizzazione e l’anima della lotta prima e durante l’insurrezione fu il compagno «Ilio Baroni», che fu sempre presente, ovunque si accaniva la resistenza tedesca, con la sua camionetta. Egli lasciò la vita combattendo nei pressi dell’officina «Grandi Motori».
Il compagno Cagno Dario e altri caddero nella lotta in Piemonte.
A Milano e nel resto della Lombardia le brigate «Malatesta» e Pietro Bruzzi», organizzate da vecchi compagni provati dal carcere, dall’esilio e dal confino, scattarono 24 ore prima delle altre durante l’insurrezione, liberando molte fabbriche e conquistando alcune caserme. Queste brigate perdettero una dozzina di compagni, caduti nei combattimenti. I magazzini di viveri confiscati ai nazi-fascisti dai nostri furono messi a disposizione delle famiglie operaie, esempio pratico del come gli anarchici intendono l’espropriazione a vantaggio della collettività.
Purtroppo Pietro Bruzzi, uno degli organizzatori del movimento clandestino anarchico in Lombardia, caduto in mani tedesche fu fucilato da questi poco prima della liberazione.
Il parroco di Olona, dove Bruzzi fu fucilato, ricorda un uomo che rifiutò i suoi sacramenti e morì gridando: Viva l’Anarchia!
A Verona Giovanni Domaschi carcerato e confinato per 13 anni fondò il primo C.N.L. di quella città organizzando la lotta partigiana della zona. Caduto nelle mani dei tedeschi non tornò più.
Un po’ dappertutto molti compagni presi in ostaggio dal nemico lasciarono la vita: a Firenze Manetti, a Bologna Diolaiti ed altri ancora.
Giovanni Bidoli a Trieste fu deportato in Germania terminando la sua giovane esistenza che non conobbe viltà o rinunzie durante lunghi anni in esilio, di carcere e di confino, fra i militanti dell’anarchismo.
Durante il periodo cospirativo pubblicammo opuscoli, manifestini e giornali. Ricordiamo «Umanità Nova» a Firenze ed a Genova, «Era Nuova» a Torino, l’«Adunata dei libertari» ed il «Comunista libertario» a Milano.
Il movimento anarchico sebbene fu il primo ed il più ferocemente colpito dal fascismo non fu secondo agli altri nella guerra contro il nazi-fascismo.
Veri soldati della libertà i nostri non chiesero mai, deposte le armi, onori per sè, né «pennacchi e galloni dorati». Le circolari ministeriali sollecitate dalle alte personalità politiche, richiedenti nomi da sottoporre a ricompense e medaglie per atti di valore non potevano riguardare noi. Per la libertà combattemmo seriamente sotto il fascismo con uomini che si chiamavano Lucetti, Schirru, Sbardellotto, Pontillo ecc. e senza mai piegare conoscemmo l’esilio, il confino e la galera. Dopo il fascio littorio combattemmo il nazismo suo alleato e di questa libertà da noi riconquistata non siamo debitori a nessun «grande» di dentro e di fuori.

Nota del Gruppo Anarchico Galatea
La citazione “far risorgere le vecchie formazioni partigiane e di farle partecipare in divisa a dimostrazioni politiche […] la lotta contro il fascismo e per la creazione di un regime democratico e popolare deve tradursi oggi nella legalità, nell’ordine, nella disciplina”, è estrapolata dal testo di Marco Rossi, “Ribelli senza congedo”, ZIC, Milano, 2011, pag. 15.
L’autore, riprendendo a sua volta il libro di Annibale Paloscia, “I segreti del Viminale” (Newton Compton, 1994), traccia il carattere ostile del Partito Comunista Italiano nei confronti di chi, tra i partigiani, voleva riprendere le armi contro la normalizzazione della democrazia borghese.

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Inflazione e povertà: dramma nazionale, dramma regionale

Quadro Nazionale

Dati Istat e dichiarazione del CNEL

I dati provvisori sull’inflazione forniti dall’ISTAT, indicano come nel mese di Marzo l’inflazione si aggiri intorno al 6,7%, con un aumento dell’1,2% rispetto a Febbraio. [1]

Le cause principali sono l’aumento dei prezzi dei beni energetici (che passano dal 45,9% di febbraio al 52,9%) e i prezzi dei beni alimentari sono aumentati dal 4,6% di Febbraio al 5,5% a causa dei beni alimentari lavorati e non lavorati. [2]

Un dato inflazionistico del genere, come riportato dalla stessa ISTAT, non si vedeva dal Luglio del 1991.

Negli ultimi nove mesi (Giugno 2021-Marzo 2022), l’inflazione nazionale italiana è aumentata costantemente.

Tali dati sono bastati a mettere in allarme tutta una fetta di popolazione che, a conti fatti, ha visto aumentati i prezzi dei beni di prima necessità e dell’energia a fronte di salari e pensioni che rimangono invariati (se non addirittura diminuiti o tagliati). Del resto, il consumatore medio ha potuto farsi un’idea di che impatto reale abbia l’inflazione sulla sua vita semplicemente facendo un giro in molti supermercati e discount.

Per il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), i 5 miliardi di euro destinati a Famiglie e Imprese dal “Documento Economia e Finanza (DEF)” sono insufficienti perché vi è bisogno di “un insieme organico di politiche redistributive di sostegno a favore soprattutto delle fasce più povere della popolazione.”

Le previsioni del DEF, secondo il CNEL a guida Nori, “indicano non solo un generale rallentamento della capacità di reddito delle persone, ma in particolare una diminuzione della quota spettante al lavoro, conseguente a dinamiche retributive inferiori al tasso di inflazione”. Di conseguenza per correggere questa situazione, si sollecita ad un “rinnovo dei contratti collettivi di lavoro, una quota dei quali attende da tempo tale rinnovo. Analogamente andranno ricercate le modalità per adeguare le condizioni dei rinnovi e le regole di calcolo degli aumenti salariali alle mutate condizioni economiche (crescita dell’inflazione e prezzo delle materie prime importate). Attualmente risultano scaduti 516 contratti pari al 62% degli 835 del settore privato che interessano 7.732.312 di lavoratori (59%)”.

Sui salari e redditi

La richiesta di correzione dei Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL) è un tema che, in tempi di inflazione e di pandemia, diventa impellente.

La Retribuzione Globale Annua (RGA) in Italia [3], stilata dal Geography Index di Job Pricing, è intorno ai 29.910 euro (dato 2020) con un calo del 2,3% rispetto all’anno precedente (2019).

In un ambito di genere, il divario retributivo (pay gap) nell’ottica della RGA è molto marcato. Dai dati del 2020, vediamo che la RGA media nel caso maschile è di 31.295 euro, mentre per quello femminile è di 27.736 euro. [4]

Se i dati salariali sono questi, a livello di reddito troviamo un quadro ancora più sconfortante.

Il Ministero di Economia e Finanza ha rilasciato una comunicazione il 13 Aprile in cui si afferma che il reddito dichiarato a livello nazionale ammonta a oltre 865,1 miliardi di euro, con una diminuzione di 19,4 miliardi rispetto al 2020.

La media del reddito, quindi, è di 21.570 euro; la regione con il reddito medio più elevato è la Lombardia (25330 euro), mentre la Calabria ha quello più basso (15630 euro).

Pur avendo un aumento dell’occupazione di circa 850mila unità (dato di Febbraio 2022), il problema del blocco e/o della diminuzione retributiva permane.

Disoccupazione, precariato e povertà

Coloro che vengono colpite da queste logiche classiste sono le persone disoccupate, in particolare le categorie lavorative giovanili e femminili con percentuali rispettivamente del 24,2% e del 10%. [5]

Per quanto riguarda la disparità di genere, su più di 3 milioni di contratti attivati, 2 milioni erano per la categoria maschile e 1 milione per quella femminile.

Da ulteriori dati si nota come la contrattazione a tempo parziale (o part-time) nel caso maschile interessi più di mezzo milione di unità, mentre per quello femminile sono più di seicentomila unità. [6]

È palese come questa tipologia di contrattazione a tempo parziale sia cresciuta del 35% [6] nella prima metà del 2021, incrementando il tasso di povertà dei lavoratori e delle lavoratrici – in quanto la retribuzione lorda del contratto part time, per legge, è metà del full time.

A livello di genere, però, chi ha pagato pegno sono le lavoratrici. Il part-time ha visto un incremento costante dal 2004 tra le donne, differenziando sensibilmente la retribuzione tra i due generi.

La scelta di questo tipo di contrattazione da parte delle aziende è fatta per contenere i costi, ma soprattutto per salvaguardare i profitti aziendali.

Il livello di precarietà dato da questa situazione (oltre che dalla citata retribuzione), porta ad un aumento della povertà. Basti vedere come a fine 2021, la povertà assoluta familiare ha raggiunto il 7,5%, mentre quella individuale il 9,4%, per un totale di 5,6 milioni di persone. [7]

Pensioni e sussidi

Le pensioni vigenti e liquidate dall’INPS nel 2021 sono state di oltre 17 miloni: 13,7 milioni come pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti, e le restanti 3,9 milioni come invalidità civile, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali.

La spesa complessiva totale è stata di 218,6 miliardi di euro, di cui 195,4 miliardi per le pensioni di vecchiaia, invalidità e superstiti.

La media delle pensioni di vecchiaia a livello nazionale è di 1285 euro.

Dai dati esposti dall’INPS, almeno 10 milioni di persone in Italia vivono con meno di 750 euro mensili; di questa fetta, solo il 42,5% (4,4 milioni di persone circa) beneficia di prestazioni legate a requisiti reddituali bassi, quali integrazione al minimo, maggiorazioni sociali, pensioni e assegni sociali e pensioni di invalidità civile. [8]

Il divario di genere si fa sentire molto forte: almeno il 71,1% delle donne prende meno di 750 euro mensili. [8]

Il reddito di cittadinanza, stando all’ultimo Osservatorio Statistico dell’INPS [9], è stato percepito da 3,9 milioni di persone nel 2021 (a fronte di 3,6 milioni nel 2020). La spesa sostenuta dall’INPS è stata di 8,79 miliardi di euro.

Il divario geografico italiano è molto marcato in questo caso: su 3,9 milioni di persone che percepiscono il reddito di cittadinanza, almeno 2,5 milioni sono del Sud Italia e Isole.

Il reddito di cittadinanza, che doveva servire, secondo la vulgata governativa, ad aiutare economicamente e lavorativamente le famiglie e i/le singol*, è stato fatto oggetto di forte classismo da parte del mondo politico e mass-mediatico italiano.

Non bisogna dimenticare, in quest’ultimo caso, come giornali ed esponenti politici abbiano più volte attaccato in maniera mediatica chi percepisce il reddito di cittadinanza, soprattutto nel periodo della cosiddetta ripartenza post-pandemia dove il pattume giornalistico ha raggiunto il suo apice nel periodo primaverile-estivo del 2021, dando spazio alle dichiarazione di questo o quel politico o montando campagne ad arte volte a demonizzare i percettori delle misure di sostegno.

Con l’aumento dell’inflazione e la ripresa economica lenta, il governo Draghi ha deciso che, a partire dal mese di Gennaio 2022, il reddito di cittadinanza vedrà una lenta diminuzione di 5 euro mensili dopo il sesto mese di percezione, (similare, per certi versi, con quanto accade con la NASPI e la DISCOLL).

Inflazione in Sicilia: un disastro sociale

In Sicilia la Retribuzione Globale Annua nel 2021 è di 26.271 euro (con una diminuzione di 800 euro rispetto al 2020).

L’indicatore del Benessere e Sostenibilità (BES) dell’Istat del 2020 riporta che il reddito medio siciliano è di 13.827 euro; il 41% della popolazione siciliana percepisce meno del reddito equivalente mediano (circa 858 euro al mese) ed è quindi a rischio povertà. [10]

L’inflazione del mese di Febbraio 2022 delle principali città siciliane (Palermo, Catania e Messina) si attesta ai primi tre posti su scala nazionale; il tasso di disoccupazione regionale, stando al dato di fine 2021, è aumentato dello 0,4%, portandosi al 18,7%.

Nei primi sei mesi del 2021 sono stati attivati 189mila contratti; di questi, 59mila solo per le donne, dato a cui va aggiunto che quasi il 73% di esse hanno avuto una contrattazione part-time. [11]

In questo frangente, alcune aziende che hanno assunto nuovo personale hanno beneficiato della “Decontribuzione Sud”, un’agevolazione contributiva che, inizialmente, prevedeva l’esonero del 30% dei contributi a carico dei datori di lavoro dal 1 Ottobre al 31 Dicembre 2020, salvo poi essere rinnovata con la Legge di Bilancio 2021 fino al 2029 con le seguenti percentuali: al 30% fino al 31 Dicembre 2025, al 20% per gli anni 2026 e 2027 e infine pari al 10% per gli anni 2028 e 2029.

Nella regione sicula, un sussidio come il reddito di cittadinanza è stato percepito da 732mila persone nel solo 2021. [9]

C’è da dire tuttavia che tutti questi numeri su contrattazioni, retribuzioni, redditi, sussidi ed inflazione non tengono conto del cosiddetto “mondo sommerso”, mondo che, secondo alcuni analisti, arriva a costituire svariati miliardi di euro. [12]

I dati finora esposti sono indicativi di un enorme problema che in Sicilia permane e fa comodo che resti, perché verrà usato dalla classe dirigente in contesti elettorali politici e di futuri investimenti economici.

Non a caso, l’11 Aprile, vi è stato un incontro organizzato da Sicindustria dove imprenditori, docenti universitari, autorità istituzionali e politici regionali hanno delineato l’utilizzo dei fondi del PNRR per quanto riguarda le infrastrutture che potenzino le aree industriali siciliane occidentali ricadenti nelle Zone Economiche Speciali. [13]

In particolare, Sicindustria vuole che i fondi del PNRR vengano destinati al collegamento autostradale (la cosiddetta “pedemontana”) tra la A19 (Catania-Palermo) e la A29 (Palermo-Mazara del Vallo), al collegamento tra il porto e la circonvallazione di Palermo e infine al potenziamento dell’accessibilità autostradale dei poli industriali metropolitani dei comuni di Carini e Termini Imerese.

Senza dimenticare che dall’altra parte della Sicilia, Enel Green Power ha firmato un accordo con la Commissione dell’Unione Europea per ricevere, a fondo perduto, 118 milioni di euro nella produzione di pannelli fotovoltaici. Il totale di questi finanziamenti, oltre quello proveniente dall’UE, sarà di 600 milioni da qui fino al luglio del 2024.

Investimenti del genere sono, per la borghesia siciliana, una nuova linfa in tempi in cui parte di essa si è lamentata dell’attuale situazione, dove i costi dei materiali sono aumentati esponenzialmente. [14]

E quando la borghesia siciliana si sfrega le mani, i lavoratori e le lavoratrici con e senza contratto non se la passano bene.

Sussidi e salari rimangono bloccati oppure vengono decurtati mentre i prezzi di beni energetici e di prima necessità aumenteranno inesorabilmente.

La sfiducia politica istituzionale è alta e ipotizziamo che si avrà una chiara dimostrazione in occasione delle prossime elezioni regionali – di cui ricordiamo il dato del 2017 dove l’astensione era quasi al 54%.

Di fronte a tutta questa situazione, non possiamo far altro che constatare che le politiche sociali ed economiche sono atte a difendere le persone privilegiate, lasciando nella miseria la parte rimanente della popolazione.

Lo Stato con le sue politiche welfaristiche, così come il capitalismo con i suoi agenti politici, economici e sociali, hanno mostrato per l’ennesima volta il loro volto disumano e il disprezzo che nutrono nei confronti della vita umana.

Note

[1] “Prezzi al consumo. Marzo 2022. Dati Provvisori”. Link: https://www.istat.it/it/files//2022/03/CS_Prezzi-al-consumo_Prov_Marzo2022.pdf

[2] I beni alimentari lavorati sono il risultato di un processo di trasformazione industriale, mentre i beni alimentari non lavorati sono quelli ottenuti da raccolta agricola, macellazione e pesca.

[3] Come spiegato nell’articolo 70, comma 2, lettera c del Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro, la retribuzione globale “di fatto, annuale, è costituita dall’importo della retribuzione individuale mensile per 12 mensilità, cui si aggiunge il rateo della tredicesima mensilità nonché l’importo annuo della retribuzione variabile e delle indennità contrattuali percepite nell’anno di riferimento; sono escluse le somme corrisposte a titolo di rimborso spese.”

[4] “Gender Gap Report 2021. Mercato del lavoro, retribuzioni e differenze di genere in Italia”, Job Princing. Link: https://www.jobpricing.it/blog/project/gender-gap-report/

[5] “Occupati e disoccupati, dati provvisori”, febbraio 2022, ISTAT
https://www.istat.it/it/files//2022/03/CS_Occupati-e-disoccupati_FEBBRAIO_2022.pdf

[6] “Boom del part time oltre 35% nel primo semestre, rischio di una ripresa non strutturale”, 17 novembre 2021, Comunicato stampa Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche.

https://www.inapp.org/it/inapp-comunica/sala-stampa/comunicati-stampa/17112021-lavoro-inapp-boom-part-time-rischio-ripresa-non-strutturale%E2%80%9D

[7] “Nel 2021 stabile la povertà assoluta”, 8 marzo 2022, ISTAT
https://www.istat.it/it/files//2022/03/STAT_TODAY_POVERTA-ASSOLUTA_2021.pdf

[8] “Pensioni vigenti all’1.1.2022 e liquidate nel 2021 erogate dall’Inps”, Marzo 2022, INPS. Link: https://www.inps.it/osservatoristatistici/api/getAllegato/?idAllegato=1037

[9] “Osservatorio sul Reddito e Pensione di Cittadinanza,” Marzo 2022, INPS. Link: https://www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Dati_analisi_bilanci/Osservatori_statistici/Appendice_Statistica_Marzo_2022.xlsx

[10] “Rapporto BES 2020”, ISTAT. Link: https://www.istat.it/it/files//2021/03/4.pdf

[11] “Gender Policies Report,” Dicembre 2021, INAPP. Link: https://oa.inapp.org/xmlui/bitstream/handle/20.500.12916/3396/INAPP_Esposito_Gender_Policies_Report_2021.pdf

[12] Dall’elaborazione dell’Ufficio Studi CGIA, in Sicilia vi sono quasi 283mila lavoratori e lavoratrici senza contratto (dati 2019).
Dal lavoro che svolgono, vengono prodotti circa 6 miliardi di euro di utili.
“Il lavoro nero “produce” 78 miliardi di PIL; e dove ce n’è di più, il rischio infortuni è più elevato”, 14 agosto 2021, Ufficio studi CGIA.
Link: https://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2021/08/LLavoro-nero-14.08.2021-1.pdf

[13] Elenco dei 23 comuni della Sicilia Occidentale interessati alle Zone Economiche Speciali.
“Comuni interessati dalla ZES Sicilia Occidentale” Link: https://www.agenziacoesione.gov.it/wp-content/uploads/2021/03/2021-03-31-nota-4416-All.-2-elenco-Comuni-ZES-Sicilia-Occidentale.pdf

[14] “Catania: ristrutturazioni e investimenti borghesi”, 27 Marzo 2022. Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/03/27/catania-ristrutturazioni-e-investimenti-borghesi/

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Stati Uniti: la deterrenza atomica e la spesa militare come fattori di dominio

Dura nel mondo l’incubo della bomba atomica. È un pensiero allucinante che si ripresenta periodicamente in termini che dovrebbero scuotere l’opinione pubblica mondiale nel più profondo. Non è purtroppo così. Molti pensano che se ci dovesse essere guerra, essa non sarà inevitabilmente combattuta con le armi atomiche; che potrebbero intervenire delle convenzioni speciali — come è avvenuto nelle guerre recenti con l’interdizione dell’impiego dei gas e della guerra batteriologica che gli uomini in guerra morranno come per il passato di un colpo di fucile, di una scheggia di obice o sotto le macerie di un edificio bombardato. Illusi!

(Umberto Marzocchi, “L’orrendo pericolo delle armi atomiche”, “Umanità Nova”, 10 Marzo 1957)

Durante un incontro con gli alleati europei della NATO, l’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha rilasciato una dichiarazione in merito all’utilizzo dell’arsenale nucleare: il “ruolo fondamentale” della deterrenza atomica statunitense, ha detto Biden, sarà quello di scoraggiare gli attacchi (nucleari, convenzionali, biologici, chimici ed eventualmente informatici) attraverso l’utilizzo di tali armi in “circostanze estreme.”

Da un certo punto di vista mass-mediatico, questa dichiarazione di Biden sconfessa ciò che egli disse il 12 Gennaio 2017:
Date le nostre capacità non-nucleari e la natura delle minacce di oggi – è difficile immaginare uno scenario plausibile in cui il primo uso di armi nucleari da parte degli Stati Uniti sarebbe necessario. O abbia senso. Il presidente Obama ed io siamo fiduciosi che possiamo dissuadere e difendere noi stessi e i nostri alleati dalle minacce non-nucleari con altri mezzi. La prossima amministrazione proporrà le proprie politiche. Ma, sette anni dopo l’incarico della Nuclear Posture Review (NPR), io e il presidente crediamo fermamente che abbiamo fatto abbastanza progressi che la deterrenza – e, se necessario, la ritorsione contro un attacco nucleare -, dovrebbe essere l’unico scopo dell’arsenale nucleare degli Stati Uniti”. [1]

E ancora, nel Marzo/Aprile 2020 su “Foreign Affairs” dichiarò:
Perseguirò anche un’estensione del trattato “New START”, un’ancora di stabilità strategica tra gli Stati Uniti e la Russia, e lo userò come base per nuovi accordi sul controllo delle armi. E farò altri passi per dimostrare il nostro impegno a ridurre il ruolo delle armi nucleari. Come ho detto nel 2017, credo che l’unico scopo dell’arsenale nucleare degli Stati Uniti dovrebbe essere la deterrenza – e, se necessario, la ritorsione contro un attacco nucleare. Come presidente, lavorerò per mettere in pratica questa convinzione, in consultazione con l’esercito americano e gli alleati degli Stati Uniti.” [2]

Se vediamo queste dichiarazioni di Biden (2017 e 2020), si può notare come egli inizialmente volesse usare la deterrenza atomica come extrema ratio nel prevenire delle minacce contro gli Stati Uniti e i suoi alleati. Ciò non significa, però, che le armi nucleari non possano essere utilizzate. L’incubo di una guerra atomica – e tutto ciò che concerne -, è sempre dietro l’angolo con i suoi morti e distruzioni. E di sicuro non saranno finzioni come i film quali “The Day After” del 1983 o “Lettere di un uomo morto” del 1987.

Oggi giorno, vista la situazione in Ucraina, la dichiarazione di Biden rientra in un contesto di ripresa del controllo di questa parte del mondo (Europa e Mediterraneo).
La minaccia dell’uso delle armi nucleari di fronte a minacce atomiche e non, è una delle soluzioni per rassicurare gli alleati europei della NATO – preoccupati dall’ammorbidimento di Obama prima e dal presunto isolazionismo di Trump dopo -, ma, soprattutto, per avvertire Putin e altri Stati ostili agli USA.

Per tenere fede a simili impegni è necessario mantenere attiva e moderna l’infrastruttura di produzione e stoccaggio del materiale atomico.

L’8 Marzo di quest’anno, l’ammiraglio Charles Richard, capo dello “United States Strategic Command” (USSTRATCOM) aveva rilasciato la seguente dichiarazione alla “Commissione per i servizi armati del Senato degli Stati Uniti” in merito alla produzione di noccioli di plutonio:
Il Dipartimento dell’Energia, la National Nuclear Security Administration (NNSA) [3] e il Dipartimento della Difesa lavorano a stretto contatto per garantire che il complesso di infrastrutture per le armi nucleari sia posizionato in modo da assicurare che lo stock rimanga sicuro, protetto e militarmente efficace. Tuttavia, l’attuale infrastruttura dell’era del Progetto Manhattan è in cattive condizioni, sfidando la capacità della NNSA di soddisfare con successo le esigenze di supporto di base. Gli investimenti infrastrutturali differiti a lungo termine hanno un impatto significativo, e ci sono preoccupazioni maggiori per ogni sito principale che fornisce capacità di stoccaggio critiche – tra cui uranio, trizio, alti esplosivi, litio, elettronica resistente alle radiazioni. test, sperimentazione e assemblaggio/disassemblaggio di armi. La modernizzazione dell’infrastruttura deve essere realizzata per evitare ritardi nella messa in campo delle capacità richieste. Dare priorità ai programmi cruciali di modernizzazione delle infrastrutture della NNSA è la migliore e unica opzione per tenere il passo con le minacce previste e sostenere la deterrenza strategica. Nel 2021, è diventato chiaro che il complesso di produzione non avrebbe soddisfatto i requisiti nazionali di produzione dei noccioli di plutonio, rendendo necessario il perseguimento di approcci meno ottimali per soddisfare i programmi di modernizzazione delle scorte nel 2030. Il deficit di produzione dei noccioli [di plutonio] è un indicatore principale di come la nostra infrastruttura attuale non sia in grado di eseguire la necessaria e pianificata strategia di modernizzazione delle scorte. La condizione atrofizzata dell’infrastruttura, associata a ritardi nel rilevamento delle capacità necessarie allo stato dell’arte, aumenta significativamente il rischio operativo nel sostenere un deterrente nucleare sicuro ed efficace.” [4]

Per risolvere parte di questo problema e mantenere all’attivo la produzione annuale di 80 noccioli di plutonio per le testate nucleari, Jill Hruby, amministratrice della NNSA, ha richiesto 21,4 miliardi di dollari da inserire nel “Fiscal Year 2023” (FY23).

Per Hruby, la NNSA sta modernizzando l’arsenale e contemporaneamente ricapitalizzando le infrastrutture obsolete, ristabilendo così “le capacità critiche che si sono degradate dalla fine della guerra fredda. Inoltre, faremo avanzare i nostri sforzi nella sicurezza nucleare e nella non proliferazione per affrontare le sfide attuali e future. Il sostegno costante e bipartisan del Congresso e delle amministrazioni presidenziali, unito agli eccezionali sforzi della nostra forza lavoro di talento, ci ha permesso di fornire un deterrente nucleare sicuro, affidabile ed efficace e di iniziare a ripristinare le capacità chiave. La richiesta di budget del presidente dà alla NNSA le risorse per affrontare il lavoro che ci aspetta con l’urgenza richiesta.

Attualmente sono stati stanziati, nell’ultimo aumento di budget del “Fiscal Year 2022” (FY22), 20,6 miliardi di dollari per la NNSA.
Di questa cifra:
-15,9 miliardi di dollari sono destinati alla voce “Weapons Activities” in cui ricade il numero di produzione di noccioli di plutonio all’anno fino al 2030 [5];
-1,6 miliardi di dollari sono destinati ai siti di produzione di noccioli di plutonio di Los Alamos e Savannah River [6].
Una spesa così abnorme in campo nucleare rientra nell’aumento vertiginoso – nell’arco di pochi mesi – della spesa militare statunitense: dai 770 miliardi di dollari approvati a Dicembre 2021, si è passati a 783 miliardi di inizio Marzo per arrivare, infine, a 813 miliardi di dollari.

Nonostante alcune voci “progressiste” all’interno del Partito Democratico – che hanno cercato di spingere per un taglio del budget della difesa -, l’aumento progressivo di tale spesa è utile per tre motivi:
-il primo è far sì che il Partito Democratico non perda le elezioni di Midterm a Novembre di quest’anno, mantenendo così una maggioranza in entrambe le camere;
-il secondo è di mantenere gli attuali appaltatori della difesa come “Lockheed Martin”, “Raytheon Technologies”, “Boeing Co.” e “Northrup Grumman e General Dynamics Corp.”;
-il terzo è far comprendere al mondo come gli Stati Uniti, dopo quattro anni di era Trump, vogliano ritornare in scena in modo fragoroso mostrando in pompa magna la sua potenza militare

Note
[1] “Remarks by the Vice President on Nuclear Security”. Link: https://obamawhitehouse.archives.gov/the-press-office/2017/01/12/remarks-vice-president-nuclear-security
[2] “Why America Must Lead AgainRescuing U.S. Foreign Policy After Trump”. Link: https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2020-01-23/why-america-must-lead-again
“Foreign Affairs” è una rivista statunitense che si occupa di analisi geopolitiche, dibattiti sulla politica estera e gli affari globali.
[3] È un’agenzia semiautonoma del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti che mantiene e modernizza le scorte di testate nucleari
[4] “To receive testimony on United States Strategic Command and United States Space Command in review of the Defense Authorization Request for Fiscal Year 2023 and the Future Years Defense Program”, 8 Marzo.
Parte della dichiarazione tradotta di Richard è a pagina 21
Link: https://www.armed-services.senate.gov/imo/media/doc/2022%20USSTRATCOM%20Posture%20Statement%20-%20SASC%20Hrg%20FINAL.pdf
[5] Division D – Energy and Water development and related agencies Appropriations Act 2022, “Atomic energy defense activities National Nuclear Security, Administration”. Vedere la voce “Weapons Activities” e la sottovoce “Plutonium Pit Production Modernization”, pag. 121 del pdf
Link: https://docs.house.gov/billsthisweek/20220307/BILLS-117RCP35-JES-DIVISION-D.pdf
[6] Ibidem, “Department of energy (Amounts in thousands)”, pag. 149 del pdf

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Sessismo, nazionalismo e militarismo

Immagine tratta e modificata dall’opuscoletto “UmeConnexion” del 1981

L’adozione di una cultura in cui vige – e che giustifica – il dominio ha comportato la costruzione di strutture statali e l’imposizione di un’economia basata sulla reificazione dei corpi.
Tutt* noi viviamo sulla nostra pelle queste forme di dominio e controllo.
Questa percezione, però, non è alla portata di tutt*, portando in chi non si rende conto ad un’accettazione (favorevole, tacita e/o subita) dello stato di cose presenti.
Una delle forme del dominio e del controllo è la divisione di genere in ambito sociale e biologico (uomo-maschio e donna-femmina) Una visione di questo tipo rientra nello stesso campo delle separazioni razziali, speciste e classiste del dominio, portando all’unico risultato possibile: lasciare inalterati i privilegi acquisiti.In questa divisione di genere è l’uomo-maschio (possibilmente eterosessuale) a trovarsi in cima, legiferando e concedendo delle aperture al sesso subalterno (donna-femmina) come se fosse un re “assoluto ma illuminato.”Se poi inseriamo questo discorso nell’ottica dell’attuale militarizzazione sociale (al cui interno vi rientrano altri due fenomeni quali il nazionalismo e il militarismo), otteniamo delle violenze di genere inenarrabili.
L’ipocrisia in simili contesti è dato dallo sbandieramento dello “Ius ad bellum” in cui tali violenze vengono in teoria condannate dagli Stati-Nazioni o enti sovranazionali.
In realtà queste violenze, secondo il pensiero militarista, sono necessarie in quanto la donna-femmina è un oggetto di conquista; seguendo la perversa logica della proprietà e della guerra, l’oggetto conquistato o preso con la forza ha lo scopo di marcare il proprio dominio e, al tempo stesso,fiaccare il morale del nemico uomo-maschio.
Partendo da queste nostre brevi considerazioni, il testo che presentiamo è uno scritto di due compagne, Selva Varengo e Mariella Bernardini, estratto dal libro “Per un futuro senza eserciti: Contro la guerra infinita e la militarizzazione sociale: Atti del Convegno antimilitarista, Milano 16 giugno 2018”, edito da Zero In Condotta nel 2018.
La lucida e precisa analisi delle due compagne allarga il discorso critico sull’eteropatriarcato in un contesto di militarizzazione, minando quelle ammorbanti costruzioni mediatiche e culturali sulla guerra.

Sessismo, nazionalismo e militarismo

di Mariella Bernardini e Selva Varengo

È evidente come la cultura dominante sia una cultura gerarchica di guerra e di violenza in cui la militarizzazione è presente in ogni ambito, siamo in un mondo in guerra anche se alla guerra si danno nomi che la negano come “missioni di pace” o “interventi umanitari”. Sicuramente le cause scatenanti delle guerre sono sempre le stesse ciniche ed eterne ragioni di interesse economico e politico, ma le radici storiche delle guerre risiedono nell’ordine simbolico patriarcale ovvero nella costruzione storica dei modi di essere donne e uomini, imperniata ovunque sul binarismo di genere, sulla gerarchizzazione, sull’affermazione di una virilità aggressiva che legittima socialmente la violenza contro le donne e i soggetti altri, codificando il potere di un solo genere, trasformando l’altr@ in nemico e portando a percepire come necessario e giusto l’ordine materiale e mentale della guerra.
La guerra rende così ancor più evidente – se mai ce ne fosse bisogno – l’incapacità, intrinseca alla cultura patriarcale, di accettare l’esistenza nel mondo dell’altr@, del diverso da sé, di più soggetti dialoganti fra loro, sottomettendo tutte le soggettività che non siano maschi bianchi eterosessuali perfettamente inseriti nella logica dominante. Questa incapacità di elaborare positivamente il rapporto con l’altr@ è uno dei nodi cruciali del nostro tempo fatto di particolarismi, nazionalismi, integralismi, separatismi, in cui la violenza di genere è il sintomo dell’incapacità maschile di guardare in faccia l’altr@ senza sottometterla.

Nazionalismo e sessismo
Le frontiere, come dovrebbe essere noto, rappresentano un’astratta imposizione e il nazionalismo, dietro la cui arcaica mitologia si continuano a trascinare interi paesi in guerra, rappresenta in realtà la costruzione più originaria di un ordine patriarcale e universale, fondato storicamente sull’esclusione del femminile e sulla differenziazione rigida dei ruoli sessuali. La costruzione dell’identità nazionale è da sempre organizzata attraverso un modello di società ordinata in ruoli differenziati di classe, di appartenenza etnica e di sesso in uno stretto intreccio fra patriarcato e nazionalismo, fra etnia e genere.
Basti ricordare l’ossessione demografica, tipicamente nazionalista, della supremazia del proprio popolo affermata attraverso lo strumento della riproduzione, cosicché il primo dovere delle donne nella nazione è la maternità. Non a caso Mussolini sosteneva che “la guerra sta all’uomo come la maternità sta alla donna”. Per non parlare del silenzio assordante sulle numerosissime violenze di genere commesse durante il colonialismo, italiano e non solo: d’altronde, da quando esistono le guerre, i corpi delle donne sono sempre stati “bottino di guerra” e, come vedremo, guerra e stupro sono un binomio inscindibile, in ogni tempo e a ogni latitudine.

Razzismo e sessismo
Il militarismo viene spesso giustificato sulla pelle delle donne e in particolare le politiche securitarie del nuovo millennio trovano largo consenso grazie a una fantomatica esigenza di protezione delle donne da salvaguardare dalle cosiddette “invasioni barbariche” dei flussi migratori. La violenza di genere è utilizzata come dispositivo per agitare allarmi sociali, per giustificare provvedimenti repressivi, per riprodurre retoriche emergenziali e allo stesso tempo per costruire un ordine sociale eteronormativo, in un rinnovato nesso tra sessismo e razzismo. È infatti evidente la tendenza a strumentalizzare i crimini di genere, purché commessi da altri, per compiacere gli umori collettivi più malsani e varare misure legislative di stampo razzista-securitario (operazioni speciali, stati d’emergenza, videosorveglianza, pattuglie, esercito nelle strade, etc.), rappresentando al contempo le donne come vittime incapaci della propria autodifesa, come corpi la cui tutela spetta all’uomo e allo Stato.
In realtà la violenza maschile non conosce differenze di classe, etnia, cultura, religione o appartenenza politica: lo stupro è ovunque trasversale. La violenza di genere continua a essere trattata come devianza di singoli o come responsabilità da addossare alla nazionalità degli aggressori, mentre in realtà essa è strutturata all’interno della società e della famiglia. Ricordiamoci che lo stupro non ha nulla a che fare col desiderio sessuale e che la violenza di genere è sempre uno strumento di potere funzionale a mantenere il dominio storico di un genere sull’altro.

È significativo notare come il fenomeno, persistente e strutturale, delle violenze sessuali compiute da cittadini italiani, talvolta in divisa, non suscita alcun allarme pubblico. Per fare solo un esempio recentissimo, pensiamo ai numerosi casi di molestie e violenze prontamente denunciate da NonUnadiMeno durante l’ultima adunata nazionale degli Alpini a Trento nel maggio 2018. Si continua a far finta di non vedere che in Italia, così come nel resto del mondo, la maggior parte delle violenze maschili sulle donne si consuma nell’ambito di relazioni di prossimità, in ambienti intimi, familiari e amicali: l’aggressività maschile è la prima causa di morte e di invalidità permanente per le donne in tutto il mondo.
Mentre le donne conquistano margini crescenti di libertà, autonomia e consapevolezza, i meccanismi strutturali della discriminazione di genere non mutano; anzi, proprio la conquista di quei margini di autonomia incrementa frustrazione e rancore nei confronti delle donne in una buona parte del mondo maschile, attraversato sempre più dalla crisi della virilità tradizionale.

Lo stupro come arma di guerra
In contesti di guerra la violenza di genere si amplifica ancor di più. È importante ricordare che le donne rappresentano la maggioranza delle vittime civili in guerra e la maggioranza dei profughi, sia prima, sia durante e persino dopo ogni conflitto. Inoltre le donne – e spesso sono bambine – in contesti di guerra (ma non solo), subiscono spesso abusi, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, stupri, mutilazioni dei genitali, gravidanze forzate e ogni tipo di violazione dei loro corpi e delle loro volontà, tutte azioni volte a colpire deliberatamente ed in forma specifica la vita, i corpi e la libertà delle donne.
In particolare lo stupro, elemento chiaramente strutturale della società patriarcale, si salda con il discorso nazionalista e militarista, diventando violenza razionale e scientifica, affermandosi come vero e proprio strumento di guerra tramite il quale il corpo delle donne diventa ancora di più il terreno su cui affermare il proprio dominio assoluto.

Molte volte gli stupri di massa sono stati usati come vera e propria arma bellica per costruire, da un lato, odio e separazione netta fra gruppi umani, dall’altro, per inscrivere nei corpi delle donne “altrui” il segno del disonore prodotto dal seme del vincitore, saccheggiando i corpi femminili da sempre considerati proprietà esclusiva del maschio. Pensiamo alla pulizia etnica nella ex Jugoslavia, ma anche al Burundi o al Ruanda dove solo nel 1994 duecentocinquantamila donne hanno subito violenza sessuale e tra di loro il 70% ha contratto l’Hiv con conseguenze quasi sempre mortali, alla Palestina e all’uso politico della violenza di genere da parte del governo di Erdoğan in Kurdistan.

È importante notare come lo stupro accompagni tutte le guerre e come esso non sia da considerarsi, come spesso avviene, una deplorevole ma inevitabile conseguenza secondaria della guerra. Lo stupro in guerra rappresenta “un atto consueto con una scusante consueta”, tanto che persino una risoluzione delle Nazioni Unite ha dovuto riconoscere che lo stupro costituisce una vera e propria tattica di guerra. Sono almeno 41 i Paesi dove sono avvenuti stupri di guerra a partire dalla Seconda guerra mondiale, ma la lista ovviamente è ancora aperta alle continue violenze sessuali che stanno accadendo a tutt’oggi nei conflitti armati in atto.
In tutto ciò, un ruolo significativo è svolto della Chiesa cattolica che da sempre costringe le donne a maternità forzate condannando l’aborto anche in caso di stupro: per la Chiesa infatti neanche in caso di stupro di guerra è lecito abortire. Papa Wojtyla ad esempio ha intimato di non abortire alle trentamila donne bosniache stuprate durante la “pulizia etnica” sostenendo che lo stupro etnico non fa eccezione alla regola della Chiesa per la quale l’aborto è sempre e comunque l’uccisione di una vita innocente, così come ribadito ancora recentemente da papa Bergoglio.

Lo stupro come arma di pace
Lo stupro però non si configura purtroppo solo come arma di guerra ma anche come arma di pace, e in un duplice senso. Anzitutto la violenza di genere è – come purtroppo sappiamo – decisamente comune anche nei cosiddetti tempi di pace; in secondo luogo perché, da quando esistono le forze cosiddette di pace internazionali, vi è una regolarità allarmante di violenze, stupri, prostituzione forzata, sfruttamento e ricatti sessuali esercitati dai cosiddetti “portatori di pace”. Per fare alcuni esempi, limitandoci agli anni Duemila, violenze da parte dei Caschi Blu si sono registrate in Eritrea, Burundi, Liberia, Guinea, Sierra Leone, Haiti, Repubblica Democratica del Congo, Costa d’Avorio, Benin, Sud Sudan, Repubblica Centroafricana e Somalia.
Secondo un’indagine delle stesse Nazioni Unite, nel solo periodo tra il 2008 e il 2013 i Caschi blu si sono resi responsabili di almeno quattrocentoottanta casi di sfruttamento e violenze sessuali, un terzo dei quali ai danni di minori.
È necessario ricordare poi come la violenza sessuale e lo stupro siano una costante nelle zone militarizzate intorno alle basi, anche in contesti relativamente pacifici.
Molto noto è il caso della base statunitense a Okinawa in Giappone, ma questo avviene ovunque vi sia una base militare, come ad esempio a Vicenza. A ciò si accompagna lo sviluppo di una sorta di “industria del sesso” nelle vicinanze delle basi dove il ricatto e la violenza sessuale sono costantemente all’ordine del giorno.

Lo stupro infine segna purtroppo, ogni giorno, anche il percorso di molte delle donne migranti in fuga dalle guerre. A tal proposito è significativo ricordare come la Convenzione di Ginevra non preveda nulla in materia di asilo politico per i maltrattamenti alle donne. L’Unione Europea, così falsamente ricca di parole e documenti sui diritti delle donne, è totalmente sorda di fronte a una donna migrante alla ricerca di asilo perché costretta a fuggire dalla violenza e dalle minacce alla sua libertà; anzi numerosi sono i casi di stupro all’interno dei centri di detenzione per migranti e molti i ricatti sessuali da parte degli operatori umanitari, civili e militari, nei campi profughi. Solo nel 2017 e solo in Inghilterra 120 operatori delle più grandi Ong sono stati accusati di molestie sessuali. Proprio a fine luglio 2018 il Parlamento britannico, in un suo rapporto, ha dovuto ammettere come gli abusi sessuali su donne e bambine da parte di cooperanti di moltissime Ong internazionali siano “endemici”, noti da tempo e coperti dalla complicità di numerosissime organizzazioni che operano nel campo degli aiuti umanitari.

Conclusioni
Per concludere, ci teniamo a sottolineare come il nostro non voglia essere in alcun modo un discorso vittimista nei confronti delle donne, riteniamo però che, dal momento che la guerra è intrinseca al sistema patriarcale, non si può pensare di sconfiggerla senza sciogliere il nodo del patriarcato che sopravvive – in modi diversi ma sempre distruttivi – in tutte le società e le religioni, e che purtroppo è stato spesso introiettato anche dalle soggettività oppresse. Le stesse donne talvolta si appropriano dei valori patriarcali più brutali: pensiamo ad esempio alla recente presentazione delle prime donne celerine o alle ormai numerose donne nell’esercito dimentiche che è stato dimostrato come per una donna soldato il rischio di essere assaltata in missione da un proprio commilitone sia molto più alto della probabilità di essere uccisa dal nemico in battaglia.
La decostruzione del patriarcato è radice del femminismo e per questo motivo è imprescindibile e necessaria una riflessione femminista (e transfemminista) su militarismo, razzismo e nazionalismo in grado di contribuire ad elaborare un diverso orizzonte. Il movimento femminista e libertario ha origine proprio nel riconoscersi come fondato sulla relazione con l’altr@, nella solidarietà e nella giustizia sociale, in una visione basata non sulla sopraffazione ma sull’equilibrio tra gli opposti. In questo modo è possibile forse trovare strumenti nuovi alla ricomposizione dei conflitti, accettando l’esistenza dell’altr@ nella sua irriducibile diversità in modo da sciogliere il nodo del militarismo.
Dal momento che la militarizzazione si riflette anche nella separazione rigida tra i ruoli sessuali in cui le donne sono viste spesso come madri, immagini della cura e della salvaguardia della vita, e gli uomini come guerrieri e strateghi della distruzione, è necessario “smilitarizzare” le menti, nelle relazioni personali così come nello spazio pubblico. Le discriminazioni, come sappiamo, non viaggiano mai da sole: razzismo, militarismo e sessismo sono facce diverse della stessa medaglia.
Il cambiamento deve perciò partire certamente da un sovvertimento radicale della società, con una lotta aperta alle disuguaglianze che risolva definitivamente la questione sociale.
Ma la rivoluzione sociale, in senso anarchico e libertario, deve accompagnarsi, sin dall’inizio, con un cambiamento profondo dell’habitus mentale, prendendo coscienza della necessità di presa di parola da parte delle donne e di tutte le soggettività oppresse dal momento che l’autodeterminazione e la libertà sono gli unici strumenti validi per combattere dalle radici sia la violenza di genere sia il militarismo insito nella società etero-patriarcale. È necessario quindi cambiare la struttura sociale e il rapporto tra i sessi, non dimenticando l’importanza di una riflessione – da parte di tutte e tutti – su significati e ruoli imposti dalle contraddizioni di genere.

APPUNTI PER UNA BIBLIOGRAFIA SU SESSISMO E MILITARISMO
AA. VV., Guerre che ho visto, Supplemento al n.43 di I Quaderni di Via Dogana, maggio 1999, libreria delle donne di Milano
Donne curde in Iraq, Siria, Europa. Praticare la libertà contro la guerra senza fine del sistema patriarcale, Atti del convegno del 11 ottobre 2014 Roma, Punto Rosso
Jacqueline Andres, The Hub of the Med. Una lettura della “geografia militare” statunitense in Sicilia, Sicilia Punto L, Ragusa 2018
Stefania Bartoloni, Donne di fronte alla guerra. Pace, diritti e democrazia (1878-1918), Laterza, Bari-Roma 2017
Elena Bignami, “Se le guerre le facessero le donne”. L’opposizione delle anarchiche italiane alla guerra (1903-1915), DEP, n.31/2016
Alessandra Vittoria Bocchetti, Discorso sulla guerra e sulle donne, Marzo 1984, Ed. Centro Culturale Virginia Woolf
Diana Carminati, Convivenza: culture e pratiche di attraversamento dei conflitti in una prospettiva di genere, in A. Licata (a cura di), Il ruolo dell’ università nell’analisi e nell’impegno a favore della pace, I.S.I.G. Gorizia e Università di Trieste, 2001
Elena Doni, Chiara Valentini, L’arma dello stupro. Voci di donne della Bosnia, La Luna, Palermo 1993
Donne in Nero di Venezia/Mestre (a cura di), Donne per la pace. Reti di solidarietà femminile nella ex Jugoslavia, Centro Donna di Venezia, Belgrado 1995
La rete nazionale delle Donne in Nero, Pace e guerra da un punto di vista femminista, Maggio 2013
Simona La Rocca (a cura di), Stupri di guerra e violenze di genere, Ediesse, Roma, 2015
Paola Imperatore, Sulla necessità, come femministe, di parlare e di praticare l’antimilitarismo, “Umanità Nova”, 21 maggio 2017
Floriana Lipparini, Per altre vie. Donne fra guerre e nazionalismi, edizioni terrelibere.org, 2007
Marina Padovese e Salvo Vaccaro (a cura di), Donne contro la guerra. Interventi e testimonianze dalla ex Jugoslavia, La Zisa, Palermo 1996
Caterina Peroni, “Non nel mio nome!” Sicurezza, sessismo e autodeterminazione nelle parole dei collettivi femministi contemporanei italiani, in Anna Simone e Ilaria Boiano (a cura di), Femminismo ed esperienza giuridica.
Pratiche, Argomentazione, Interpretazione, Efesto, Roma 2018
Rete Antimilitarista Anarchica, Chi fa la guerra non va lasciato in pace!, settembre 2009
Annamaria Rivera, Gli stupri di massa come arma di guerra e arma di pace, Micromega, febbraio 2016
Maria Teresa Romiti, Quelle di Greenham Common, in “A Rivista”, n.114, novembre 1983
Mirella Scriboni, Abbasso la guerra! Voci di donne da Adua al Primo conflitto mondiale (1896-1915), Bfs, Pisa 2008

Sulle Edizioni Zero In Condotta (ZIC)
Nate nel 1988 per volontà della Federazione Anarchica Italiana, le Edizioni Zero In Condotta sono inizialmente gestite da un collettivo redazionale composto da vari compagni; dal 1994 è la Federazione Anarchica Milanese (aderente alla FAI) a gestirla. Le pubblicazioni di questa casa editrice sono improntate sulla storia del Movimento Anarchico e sulle analisi del mondo attuale.

Fonti Consultate
– “Umanità Nova”, “Edizioni Zero in Condotta,” 28 Gennaio 2021
-(a cura di) Fedeli Ugo e Sacchetti Giorgio, “Congressi e Convegni della Federazione Anarchica Italiana 1944-1995”, Samizdat, Pescara, 2003

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