Primo Maggio

La lotta del movimento operaio per ottenere le otto ore lavorative fu aspra ed accesa in tutto il mondo e venne combattuta con generosità da compagni e compagne che sono oggi, perlopiù, ignote. Uno dei fatti più conosciuti però, rimane la Rivolta di Haymarket di Chicago del 4 maggio 1886.
Il primo maggio, pochi giorni prima dei fatti, i sindacati di Chicago avevano indetto uno sciopero per rivendicare la giornata lavorativa di otto ore. Il 4 maggio si tenne un presidio che finì in tragedia e portò al successivo arresto di otto compagni anarchici, riconosciuti solo molto tempo dopo come innocenti.
Fu questo l’episodio scatenante che trasformò il primo maggio come giornata commemorativa all’interno del movimento della classe operaia.
Con la Seconda Internazionale, questa giornata è diventata appannaggio dei partiti socialisti e laburisti del diciannovesimo secolo.
La nascita dei Partiti Comunisti dopo i fatti dell’Ottobre del 1917, segnò il passaggio progressivo del testimone di chi “deteneva” la memoria storica di tale giornata.
In particolare, in Italia furono il PSI prima ed il PCI dopo a monopolizzare tale ricorrenza per scopi elettorali.
Da diversi decenni a questa parte, vediamo quali sono stati i risultati nefasti per il movimento operaio della trasformazione di una giornata di lotta in una festa ritualizzata ed istituzionalizzata.
In un paese come l’Italia in cui vi è una media di tre morti giornalieri sul lavoro, uno sfruttamento di manodopera migrante in condizioni degradanti e disumane e una sperequazione dei redditi tra le classi e tra i generi (che fa sì che nel 2022 circa 10 milioni di persone si trovino a vivere con meno di 15000 euro annui), possiamo allora dire che i signori di cui sopra hanno eseguito egregiamente la loro opera di pompieraggio sociale.
I loro eredi odierni, ossia i partiti della sinistra istituzionale e i sindacati confederali, continuano a portare avanti questa opera di annacquamento andando a braccetto e difendendo i profitti degli apparati statali ed industriali.
Persino il nome di tale giornata è stato cambiato: si è passati dal celebrare la “Giornata internazionale dei lavoratori”, intesa come un momento di lotta collettiva e simultanea dei lavoratori di tutto il mondo per l’abbassamento dell’orario di lavoro a parità di retribuzione, al celebrare una più generica “Festa dei lavoratori”, come fosse una sorta di contentino, o peggio ancora una “Festa del lavoro”, il cui nome corretto sarebbe invece “apologia dello sfruttamento salariato”.
La massima aspettativa riservata al primo maggio oggi è quella di poter assistere al concerto di Roma et similia, dove ci si farà imbottire il cervello della peggio merda partorita dalle bocche di tutta una serie di borghesi che parlano, a sproposito, di condizioni lavorative. Non ci si dimentichi, giusto per fare un esempio recente, dei discorsi sui lavoratori dello spettacolo portati avanti da Fedez lo scorso anno, un personaggio prono ai voleri dell’industria culturale nazionale ed internazionale e resosi protagonista di una serie di episodi il cui classismo ci fa vomitare (vedasi il caso della festa di compleanno al supermercato e dell’elemosina ad un rider).
La logica del “va bene purché se ne parli” la rimandiamo al mittente.
Se è il nemico di classe a parlare a nome delle persone sfruttate significa che le istanze di quest’ultime sono state cooptate.
Di fronte a fatti come questi noi non proponiamo nuove teorie, aggiornamenti o modi per ripensare le lotte. La soluzione, semplice ma “complessa” allo stesso tempo, la troviamo in un piccolo articolo del nostro compagno Errico Malatesta, pubblicato ormai un secolo fa.
All’epoca, l’argomento in questione riguardava la lotta dei lavoratori inglesi per ottenere la giornata lavorativa di otto ore.
Il nostro compagno scrisse la seguente frase:
“Gli anarchici dicevano: Volete le otto ore di lavoro? Domani dopo aver lavorato otto ore posate gli utensili e rifiutatevi a continuare — e sabato esigete il salario intero.”
In tale frase è racchiuso un volume di teoria e di pratica.
In un contesto di crescente terrore padronale, i lavoratori e le lavoratrici, senza dover passare dall’intermediazione di nessun partito o sindacato, hanno il potere di interrompere lo stillicidio imposto dalla quotidianità del lavoro salariato attraverso l’azione diretta e l’autogestione.

Umanità Nova, n° 103, A. III, 30 aprile 1922

Sembra che quest’anno la manifestazione del Primo Maggio avrà una importanza da molti anni inusitata. E bisognerebbe che cosi fosse, poiché sarebbe una prova di risveglio, una affermazione di volontà da parte del proletariato.
Dopo le fallite speranze dell’immediato dopoguerra i lavoratori che già avevan creduto di avere la vittoria in mano e si trovarono ad un tratto vinti e burlati, non seppero resistere alla irruente reazione, e per quasi due anni, sorpresi, sbandati, disorientati hanno subito le prepotenze sanguinarie degli scherani della borghesia. Si sono lasciati in molte plaghe, uccidere, bastonare, ridurre in schiavitù, hanno lasciato distruggere le loro istituzioni, hanno fatto sperare ai padroni
che oramai ogni efficace resistenza operaia era spezzata e che essi potevano un’altra volta imporre i salari di fame e le avvilenti condizioni di lavoro che prevalevano trenta o quaranta anni or sono.
Ma tale situazione non può, non deve durare. E già sin tomi di riscossa si manifestano un po’ dappertutto e questo Primo Maggio vorrà essere, speriamo, il basta solenne che il proletariato griderà in faccia ai suoi oppressori, e la ripresa della marcia in avanti verso l’emancipazione finale.
***
Ma poiché questo articolo giungerebbe troppo tardi come sprone per rendere la manifestazione quanto più è possibile grandiosa e significativa, diremo piuttosto qualche cosa sulla Storia del Primo Maggio per gli insegnamenti che se ne possono trarre.
L’idea di uno sciopero mondiale nel Primo Maggio di ogni anno per affermare la solidarietà di tutti i lavoratori e proclamare le loro rivendicazioni ebbe la sua origine in America in occasione dell’agitazione delle otto ore, e fu subito consacrata dal sangue degli anarchici martiri a Chicago.
Fu poi adottata dal Congresso socialista di Parigi del 1889 ed accolta con entusiasmo da tutto il proletariato cosciente di tutti i paesi.
1 socialisti intendevano, come fu dimostrato dalla loro condotta successiva, fare ogni anno delle semplici manifestazioni pacifiche, intese a richiamare la benevola attenzione dei pubblici poteri sulle domande dei lavoratori ed in ispecie sulla riduzione a otto ore della giornata normale di lavoro.
Ma i lavoratori, almeno nei paesi latini, Francia, Spagna ed Italia, videro ben altra cosa in quella grandiosa manifestazione delle forze dei lavoratori uniti. Vi videro l’affermazione del loro diritto alla totale emancipazione dal giogo capitalistico ed il mezzo di conseguire automaticamente
quella simultaneità d azione giudicata necessaria alla vittoria contro le forze armate che stanno a difesa del capitalismo.
E per alcuni anni il primo di maggio fu giorno aspettato con ansia, trepidazioni, speranze, conati di preparativi insurrezionali da parte dei sovversivi, e paure insensate e persecuzioni arbitrarie da parte delle polizie. E si sperava in un crescendo continuo che mettesse capo alla rivoluzione.
Ma i socialisti che vedevano il movimento prendere una piega ben diversa da quella che era nelle loro intenzioni si affrettarono ai ripari.
E come prima misura, per togliere al Primo Maggio ogni carattere di ribellione contro la volontà dei padroni e perfino la qualità di sciopero, sia pure legale ma fatto per volontà dei lavoratori, fecero il possibile per trasportare la manifestazione dal primo maggio alla prima domenica di maggio, e mutare la protesta del lavoratori in una banale Festa del Lavoro.
Borghesia e governi d ’altra parte compresero che il miglior modo per uccidere il movimento era quello di riconoscerlo come legale ed in breve volger di anni il Primo Maggio fu più o meno ufficialmente riconosciuto come giorno di festa e mancò poco che non divenisse festa obbligatoria.
Il Primo Maggio era praticamente ucciso.
Ma esso è restato nella memoria dei lavoratori e potrebbe risorgere ancora con tutti i suoi caratteri di lotta.
***
Non staremo qui a discutere quello che sarebbe avvenuto se il Primo Maggio avesse conservato il carattere che al principio gli avevano dato i lavoratori.
Ricorderemo un fatto di cui qualcuno di noi fu testimone e parte.
Era il Primo Maggio del 1890. In Inghilterra la manifestazione per le otto ore prese proporzioni grandiose. In tutte le grandi città vi furono comizi e cortei di centinaia di migliaia di operai.
Nell’Hide Park di Londra si riunirono più di un milione di persone, piene di entusiasmo, pronte a tutto, ma purtroppo, al seguito dei capi.
Gli anarchici dicevano : Volete le otto ore di lavoro ? domani dopo aver lavorato otto ore. posate gli utensili e rifiutatevi a continuare — e sabato esigete il salario intero.
Dato lo stato d’animo della folla, data l’unanimità della manifestazione, non v’è dubbio che i padroni si sarebbero stimati fortunatissimi che gli operai fossero ancora tanto minchioni da voler lavorare otto ore per loro.
Ma gli anarchici erano un gruppo sparuto, senza influenza sulle masse e, inoltre, in gran parte stranieri.
La loro voce cadde nel deserto.
Invece i socialisti ed i dirigenti di sindacati operai erano popolari, e fra essi popolarissimo un Giovanni Burns operaio meccanico. Burns aveva acquistato la sua popolarità con metodi anarchici, incitando i lavoratori alla resistenza ed alla rivolta, e facendosi in conseguenza perseguitare ed imprigionare ; ma poi era stato circuito dagli abili conservatori inglesi, adulato, accarezzato, iniziato ai comodi ed alle soddisfazioni della vita in mezzo ai signori ; gli dettero ad intendere ch’egli potrebbe diventare deputato e che dal Parlamento potrebbe meglio servire gl’interessi del popolo, ed egli, forse in buona fede, si lasciò prendere all’amo.
E nella manifestazione di cui parliamo Burns, opponendosi alle « sciocchezze » degli anarchici, fece approvare un ordine del giorno in cui s’invitavano gli operai a votare pei candidati socialisti, i quali, diventati deputati, avrebbero proposto al Parlamento la legge delle otto ore.
La giornata legale di otto ore, divenne il motto d’ordine dei lavoratori inglesi, ed i padroni poterono continuare a farli lavorare nove ore o dieci.
Colla lotta diretta, per mezzo di scioperi ed agitazioni violenti gli operai erano riusciti ad imporre, almeno nelle grandi industrie, la settimana di 54 ore ed il sabato inglese ; entrati nella via legale e parlamentare ogni progresso nelle loro condizioni fu arrestato.
Passarono venti anni. Giovanni Burns divenne deputato e poi ministro, ma delle otto ore non si parlò più.
Quando impareranno i lavoratori a fare da loro, ed a comprendere che dando il potere sia pure ai loro migliori ne fanno fatalmente dei nemici!

Nota storica curata dal Gruppo Anarchico Galatea
L’articolo di Malatesta compare a sinistra nella prima pagina di Umanità Nova del 30 Aprile 1922. La frase messa come titolo sotto la testata della prima pagina è “Lavoratori, o la schiavitù o la ribellione. Scegliete!”.
Lo scritto di Malatesta verrà inserito successivamente nel Secondo dei tre volumi di “Scritti di Errico Malatesta”, editi da “Il Risveglio” di Ginevra.
L’edizione in questione era gestita dal giornale “Il Risveglio Anarchico” di Ginevra.
I tre volumi curati dalla redazione avevano i seguenti titoli:
“Scritti Volume I. “Umanità Nova”. Pagine di lotta quotidiana” con Prefazione di Luigi Fabbri
“Scritti Volume II. “Umanità Nova”. Pagine di lotta quotidiana e scritti varii del 1919-1923,”
“Scritti Volume III. “Pensiero e Volontà. Rivista quindicinale di studi sociali e di coltura generale” (Roma, 1924-1926) e “Ultimi scritti” (1926-1932) con Prefazione di Luigi Fabbri.
Le segnalazioni e presentazioni di questi tre volumi vennero fatte nei nn. 893 del 3 Marzo 1934, 912 del 1 Dicembre 1934 e 939 del 28 Dicembre 1935 de “Il Risveglio Anarchico”.
Citiamo la presentazione del Primo Volume:
“Richiamiamo l’attenzione dei compagni su questa importantissima iniziativa presa da noi. Il primo volume contenente gli scritti degli anni 1920-21 sarà messo in vendita nel prossimo aprile. Noi vorremmo intraprendere subito la pubblicazione del secondo volume, ma per far ciò bisognerebbe che le prenotazioni ci permettano di pagare interamente il primo; ora non ne abbiamo riunito neppure la metà del prezzo.
L’opera di Malatesta è ammirabile per unità di pensiero, chiarezza d’esposizione, semplicità di ragionamento non scompagnata di arguzia. È un modello di polemica leale, di prosa popolare, di propaganda convincente. L’ignobile Mussolini ebbe a definire Malatesta « un mostro di coerenza », la concordanza mai smentita d’atti e di pensiero non potendo che parer mostruosa al sinistro avventuriero che ha trafficato di tutto ed ha tradito tutti.
Nella letteratura rivoluzionaria Malatesta avrà e conserverà uno dei primi posti. Certi interminabili volumi a pretese scientifiche letti soltanto da specialisti in materia sociali o sedicenti tali saranno da tempo dimenticati che si rileggeranno ancora opuscoli e articoli di Malatesta, che chiariscono la questione ne mostrano quasi sempre una pratica soluzione geniale o per lo meno indicano la condotta da avere, la via logica da seguire.
La fede nell’azione, se non immediata, a scadenza non lontana fu la caratteristica di tutta la vita di Malatesta. Eppure dell’azione prevedeva meglio di chicchessia tutte le esigenza e difficoltà, tutti i pericoli e rischi, ma scorgeva altresì tutti i mezzi e gli elementi cui si potrebbe aver ricorso. Non era il suo un ottimismo cieco, derivando invece dalla netta concezione sul da farsi. E questa si ritrova in tutte le pagina scritte da lui, ciò che le rende preziose. Che i compagni ci siano larghi d’aiuto perchè siano riunite.”
I tre volumi verranno ripubblicati nel 1975 a cura del Movimento Anarchico Italiano, Carrara, 1975.
L’articolo di Malatesta verrà inserito a pagg. 45-48 del secondo volume

Fonti consultate
– “Pagine di lotta quotidiana. Scritti 2 Volume. Umanità Nova e scritti vari 1919-1923”, curato dal Movimento Anarchico Italiano, Carrara, 1975, Secondo Volume, 323 p.
-Secondo DVD allegato al libro curato da Schirone Franco, “Cronache anarchiche. Il giornale Umanità Nova nell’Italia del Novecento 1920-1945”, Zero in Condotta, Milano, 2010, 294 p.
– “Il Risveglio Anarchico

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