Alfonso Failla, “Gli anarchici nella resistenza”

In tempi di impoverimento culturale e socio-economico come quelli odierni, la Resistenza, secondo certi partiti e Associazioni, diventa un baluardo della società repubblicana italiana contro chi, invece, vuole riproporre schemi e modalità non democratiche e sovraniste.
La difesa dello status quo che si manifesta nella difesa di feticci quali la “Costituzione” e la “Democrazia”, fa il paio con il tentativo di chi sta al potere di mantenere i propri privilegi sociali ed economici.
Ma in ciò non vi nulla di anormale né anomalo.
Fin dalle prime settimane della Liberazione, la democratizzazione italiana si è svolta nel seguente modo: dai tentativi di deposizione delle armi dei cosiddetti elementi provocatori che volevano “far risorgere le vecchie formazioni partigiane e di farle partecipare in divisa a dimostrazioni politiche” – ed evitare tutto questo perchè “la lotta contro il fascismo e per la creazione di un regime democratico e popolare deve tradursi oggi nella legalità, nell’ordine, nella disciplina” -, passando alla cosiddetta “amnistia Togliatti” (22 Giugno 1946) e concludendosi con la restaurazione dell’attuale regime capitalista ai danni di lavoratori e lavoratrici.
La giustizia sociale, per cui molti e molte anarchici e anarchiche combatterono nei gruppi partigiani, venne etichettata come utopia.
A ciò bisogna aggiungere che la storiografia ufficiale, prodotta da partiti ed Istituti storici, ha letteralmente gettato nell’oblio i nostri compagni e le nostre compagne che combatterono durante la seconda guerra mondiale.
Per noi quindi, riproporre oggigiorno questo articolo di Alfonso Failla, apparso nel 1946 su Umanità Nova (ed inserito successivamente nel libro curato da Paolo Finzi, “Insuscettibile di ravvedimento. L’anarchico Alfonso Failla 1906-1986. Carte di Polizia, Scritti, Testimonianze,” La Fiaccola, Ragusa, 1993, pagg. 73-78), è in primis un omaggio che vogliamo fare al nostro compagno siracusano, ma si pone anche nell’ottica di un recupero della una memoria storica del movimento anarchico di lingua italiana.

Gli anarchici nella resistenza

da Umanità Nova, 15 Settembre 1946

Gli anarchici – secondo l’alto giudizio del compagno Scoccimarro ed altri ministri e dirigenti i «partiti di massa» – vengono oggi indicati alle cure dello Stato energico, come facenti parte di quella «zavorra» del movimento partigiano che si agita perchè lottò invano o lottò per i sopraggiunti profittatori. E non è raro sentire ripetere nel contempo, da elementi acefali, la parola d’ordine che chiede: «Ma dov’erano gli anarchici nel periodo della resistenza?». Come documentata, e certamente incompleta risposta, riportiamo dalla rivista «Era Nuova» che edita a Palermo il nostro compagno Schicchi, l’articolo che segue dovuto alla penna di uno dei nostri che non fu un assente, o un attendista prudente.

IL CONTRIBUTO DEGLI ANARCHICI ALLA LOTTA PARTIGIANA IN ITALIA
Prima della caduta del fascismo per iniziativa del compianto Pasquale Binazzi, compagni delle varie località toscane, della Liguria, dell’Emilia, del Lazio ecc. si riunirono a convegno in Firenze presso Augusto Boccone e gettarono le basi della Federazione Anarchica pubblicando clandestinamente Umanità Nova. Nell’agosto 1943, nella stessa Firenze, fu tenuto il secondo convegno al quale partecipò per la Sicilia Nino Catalano di Mazara del Vallo.
Dopo il 25 luglio Badoglio liberò tutti i confinati e detenuti politici ad esclusione degli anarchici che, dall’isola di Ventotene, dove si trovava il gruppo più numeroso, fummo condotti nel campo di concentramento di Renicci di Anghiari, in provincia di Arezzo.
Mentre i vari partiti e movimenti antifascisti poterono avvantaggiarsi del ritorno in libertà dei loro confinati e carcerati, per noi, che fummo liberati intorno all’otto settembre si pose il problema della ripresa del movimento contemporaneamente a quello della lotta armata quando la repubblichetta dell’ex-duce, al servizio dei tedeschi, sguinzagliò i suoi sgherri per arrestare nuovamente i vecchi abitanti delle isole e delle galere fasciste.
È bene tenere presente che la lotta cospirativa e partigiana nacque principalmente per iniziativa di coloro che vi erano preparati negli esili, al confino e nelle carceri e perciò il movimento anarchico si trovò in difficoltà ben maggiori di coloro che avevano beneficiato dell’interregno badogliano.
A Napoli, durante i giorni dell’insurrezione, fra gli altri compagni, Cesare Zanetti fu uno dei primi animatori della lotta eroica degli sgugnizzi contro i tedeschi, come ne fa fede la stampa delle giornate della rivolta napoletana.
A Roma gli anarchici parteciparono risolutamente alla cospirazione e giovani e vecchi furono presenti ovunque con disprezzo del pericolo e perdettero nella lotta valorosi compagni come Aldo Eloisi, ucciso nella capitale, ed Alberto di Giacomo (il Moro), Giovanni Gallinella e parecchi altri non ritornati dalla deportazione.
Nelle Marche morì Alfonso Pettinari, ex confinato, commissario politico di una formazione partigiana che agiva nella zona di Macerata.
Dove maggiormente si precisa la nostra partecipazione con propria fisionomia è dalla Toscana in su. A Piombino, Vanni Adriano ed altri compagni parteciparono alla comune azione contro i nazi-fascisti gettando fin d’allora le basi di quella che sarà poi, attualmente, una delle più attive ed operanti federazioni d’Italia.
Piombino proletaria, dove l’educazione anarchica fu curata dai nostri maestri con la parola e con l’esempio, e che conobbe le giornate eroiche del 1923, stando all’avanguardia rivoluzionaria scrisse pagine eroiche di gloria, e l’otto settembre 1943 si videro gli operai spronare alla lotta marinai e carristi e sconfiggere insieme a loro forti reparti di tedeschi che furono costretti a fuggire per mare dopo aver perduto parecchie zattere cariche dei loro affondate dal tiro delle batterie presidiate da operai e cannonieri di marina.
In tutta la Toscana, dovunque aveva vita la lotta partigiana, i nostri furono sempre in prima linea. Gruppi risoluti operarono nell’Empolese, a Firenze ed altrove.
A Livorno, città il cui movimento anarchico fu sempre vivo durante il ventennio della dittatura mantenendo alto lo spirito libertario di quel popolo, il primo comitato di liberazione fu formato con la partecipazione dei nostri che ebbero incarichi delicatissimi, portati a compimento con sprezzo del pericolo nei momenti più difficili. Liberata la città dal nazi-fascismo la nostra federazione forte di parecchi gruppi si accrebbe ancor di più con nuovi aggruppamenti nella città e nei dintorni.
Nella Lucchesia elementi nostri furono presenti ed attivi assolvendo compiti importanti.
A Pistoia, e sulle montagne circostanti, la lotta partigiana ebbe vita per iniziativa dei nostri, numerosi ed audaci. Un nome per tutti: Silvano Fedi, studente del terzo anno di ingegneria, morto con le armi in pugno alla testa della sua formazione, non è soltanto l’anarchico caduto nella lotta, ma per tutti i partigiani del Pistoiese l’«eroe» di cui si raccontarono sempre le coraggiose imprese e l’audacia.
In Garfagnana, nelle formazioni di Pippo (Manrico Ducceschi) militarono numerosi anarchici alcuni dei quali ebbero funzioni di primaria importanza (Tiziano Palandri e compagni) in quella zona che con Carrara divide l’onore di avere mantenuto il fronte della lotta dall’otto settembre alla liberazione, senza interruzioni e impegno partigiano di respingere «fino al Brennero» i nazi-fascisti.
Carrara merita un capitolo a parte perchè, mentre altrove molto generosamente i compagni lottarono nelle formazioni combattenti ilei vari partiti, sprezzanti delle speculazioni postume e della congiura del silenzio nei nostri confronti, nella città dei marmi le prime formazioni partigiane portarono per insegne i nomi dei nostri migliori.
La «Gino Lucetti», la «Michele Schirru» del monte, la «Renato Macchiarini» del piano, comandata questa da Ismaele Macchiarmi, scrissero pagine gloriose.Le prime armi furono tolte ai tedeschi nella caserma «Dogali» l’otto settembre da Romualdo Del Papa e compagni. Nello stesso giorno nelle cave di Torano, vicino a Miseglia, prendeva posizione la «Gino Lucetti» guidata con la «Michele Schirru» fino alla fine da Ugo Mazzucchelli.
Gli uomini di queste formazioni furono audacissimi.
Un episodio fra tanti: il compagno Alvaro Mazzucchelli figlio di Ugo, diciottenne, disarma dieci tedeschi e li fa prigionieri, armato di un mitra che s’inceppa, di una pistola e di un coraggio superiore certo a quello dei dieci servi di Hitler. Si distingue in questa zona pure la formazione «Elio», dal nome del coraggiosissimo compagno che la comandava, composta in gran parte di anarchici che fu tra le più audaci.
Dentro Carrara il centro della lotta è la F.A.I., dove confluiva e da dove partiva tutta la resistenza della zona dove si organizzarono i vari servizi e dove ora ha sede il gruppo «Luigi Galleani» dei vecchi compagni di Carrara, che possono essere fieri dei loro figli i partigiani del monte e del piano, i quali presero esempio nelle lotte sostenute dai vecchi militanti carraresi dell’anarchismo dal 1894 in poi.
In Carrara la lotta di liberazione contro i nazi-fascisti sboccò in guerra sociale. Quando le popolazioni di quelle città e della zone circostante mancavano del pane e del necessario, gli anarchici prelevarono (contro il parere degli altri partiti componenti il C.N.L.) dai ricchi del luogo sette milioni che servirono per vettovagliare la popolazione ed i partigiani.
Le cave di marmo furono espropriate e gestite direttamente dai cavatori. Ora esse sono quasi tutte tornate in possesso dei vecchi padroni protetti dallo Stato capestro, che si «ricostituisce» progressivamente grazie alla «tattica» dilazionista dei «politici» marxisti.
Carrara fu liberata dai partigiani prima dell’arrivo degli Alleati e le nostre formazioni insieme con quelle degli altri partiti presero 600 tedeschi prigionieri.
Nella lunga lotta perdemmo molti compagni della zona di Carrara fra i quali ricordiamo Marcello Grassi, Azzeri Giuseppe, Renato Macchiarini, Venturelli, Perissino, ecc..
Le compagne, nella maggior parte giovani, furono audacissime quali staffette e infermiere anche nei combattimenti. Carrara è sempre l’avanguardia del proletariato italiano per lo spirito di lotta e per le conquiste superiori a quelle ottenute nel resto d’Italia.
Guidata da sindacalisti anarchici la Camera del Lavoro (conquistò le sei ore) per i minatori delle ligniti di Luni, mentre le sei ore e mezza giornaliere per i cavatori della zona dei marmi sono una conquista anteriore al fascismo, praticata nuovamente dopo la liberazione.

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Nella zona La Spezia-Sarzana-Carrara operarono molti compagni, alcuni dei quali come il maggiore Contri, spezzino, Tullio De Santo sarzanese ed altri, guidarono formazioni proprie con valore.
In quella zona era popolarissimo ed universalmente stimato il vecchio compagno «Ugo Ramella» condannato a trent’anni per la resistenza eroica di Sarzana del 1921, il quale benché quasi cieco volle prendere le armi e la montagna fra i primi partigiani.
Pure da quelle parti combattè Olivieri della Spezia, già carcerato e confinato per ventitré anni. Accerchiato con la sua formazione dai tedeschi a Castelpoggio (Carrara), animato da coraggio leonino, protesse con la sua mitragliatrice lo sganciamento dei suoi compagni e cadde in mani nemiche mentre si dirigeva verso Fosdinovo in cerca della moglie e della figlioletta.
Condotto a La Spezia fu barbaramente trucidato dai fascisti delle brigate nere che avrebbero voluto umiliarlo ed ai quali Renato non risparmiò fieramente il suo disprezzo fino alla morte.

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Nell’Emilia ed in Romagna Primo Bassi di Imola, reduce da un lunghissimo soggiorno nelle carceri fasciste e Ulisse Merli, combattente di Spagna ed ex confinato, insieme ad altri compagni, nei C.N.L. clandestini e nella lotta armata portarono il valido contributo degli anarchici.
Emilio Canzi, da molti anni fuoruscito, combattente nella colonna Ascaso in Spagna, ebbe il comando unico della divisione partigiana che operò nel piacentino, la quale raggruppava un complesso di oltre venti brigate forti di dodicimila uomini e che il Canzi guidò valorosamente durante un anno e mezzo alla liberazione di Piacenza, dove entrò prima dell’arrivo degli Alleati.
Emilio Canzi fu sempre anarchico anche quando era il colonnello Ezio Franchi (suo nome di battaglia). La morte, che non era riuscita a ghermirlo nei combattimenti, lo portò via ai compagni e alla famiglia per un volgare incidente automobilistico nello scorso dicembre.

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Nell’Alta Italia, durante il periodo clandestino, la federazione più attiva fu quella del genovesato. Oltre l’organizzazione e la propaganda apertamente anarchiche, che da Genova si irradiavano nelle regioni settentrionali, quei compagni parteciparono alla lotta partigiana in montagna ed in città vincendo il settarismo di altri che ebbero sempre cura di ostacolare al massimo il risorgere del nostro movimento, che era in quella zona delle federazioni migliori d’Italia.
La «Errico Malatesta», la «Carlo Pisacane» ed altre formazioni libertarie combatterono efficaciemente da Nervi a Voltri in testa a tutti, prima e durante l’insurrezione del 23 aprile 1945, giorno in cui perdemmo due valorosi compagni: Pittaluga e Cianci Gastone.
Nel resto della Liguria e nel Piemonte molti compagni parteciparono alla lotta partigiana.
A Torino l’organizzazione e l’anima della lotta prima e durante l’insurrezione fu il compagno «Ilio Baroni», che fu sempre presente, ovunque si accaniva la resistenza tedesca, con la sua camionetta. Egli lasciò la vita combattendo nei pressi dell’officina «Grandi Motori».
Il compagno Cagno Dario e altri caddero nella lotta in Piemonte.
A Milano e nel resto della Lombardia le brigate «Malatesta» e Pietro Bruzzi», organizzate da vecchi compagni provati dal carcere, dall’esilio e dal confino, scattarono 24 ore prima delle altre durante l’insurrezione, liberando molte fabbriche e conquistando alcune caserme. Queste brigate perdettero una dozzina di compagni, caduti nei combattimenti. I magazzini di viveri confiscati ai nazi-fascisti dai nostri furono messi a disposizione delle famiglie operaie, esempio pratico del come gli anarchici intendono l’espropriazione a vantaggio della collettività.
Purtroppo Pietro Bruzzi, uno degli organizzatori del movimento clandestino anarchico in Lombardia, caduto in mani tedesche fu fucilato da questi poco prima della liberazione.
Il parroco di Olona, dove Bruzzi fu fucilato, ricorda un uomo che rifiutò i suoi sacramenti e morì gridando: Viva l’Anarchia!
A Verona Giovanni Domaschi carcerato e confinato per 13 anni fondò il primo C.N.L. di quella città organizzando la lotta partigiana della zona. Caduto nelle mani dei tedeschi non tornò più.
Un po’ dappertutto molti compagni presi in ostaggio dal nemico lasciarono la vita: a Firenze Manetti, a Bologna Diolaiti ed altri ancora.
Giovanni Bidoli a Trieste fu deportato in Germania terminando la sua giovane esistenza che non conobbe viltà o rinunzie durante lunghi anni in esilio, di carcere e di confino, fra i militanti dell’anarchismo.
Durante il periodo cospirativo pubblicammo opuscoli, manifestini e giornali. Ricordiamo «Umanità Nova» a Firenze ed a Genova, «Era Nuova» a Torino, l’«Adunata dei libertari» ed il «Comunista libertario» a Milano.
Il movimento anarchico sebbene fu il primo ed il più ferocemente colpito dal fascismo non fu secondo agli altri nella guerra contro il nazi-fascismo.
Veri soldati della libertà i nostri non chiesero mai, deposte le armi, onori per sè, né «pennacchi e galloni dorati». Le circolari ministeriali sollecitate dalle alte personalità politiche, richiedenti nomi da sottoporre a ricompense e medaglie per atti di valore non potevano riguardare noi. Per la libertà combattemmo seriamente sotto il fascismo con uomini che si chiamavano Lucetti, Schirru, Sbardellotto, Pontillo ecc. e senza mai piegare conoscemmo l’esilio, il confino e la galera. Dopo il fascio littorio combattemmo il nazismo suo alleato e di questa libertà da noi riconquistata non siamo debitori a nessun «grande» di dentro e di fuori.

Nota del Gruppo Anarchico Galatea
La citazione “far risorgere le vecchie formazioni partigiane e di farle partecipare in divisa a dimostrazioni politiche […] la lotta contro il fascismo e per la creazione di un regime democratico e popolare deve tradursi oggi nella legalità, nell’ordine, nella disciplina”, è estrapolata dal testo di Marco Rossi, “Ribelli senza congedo”, ZIC, Milano, 2011, pag. 15.
L’autore, riprendendo a sua volta il libro di Annibale Paloscia, “I segreti del Viminale” (Newton Compton, 1994), traccia il carattere ostile del Partito Comunista Italiano nei confronti di chi, tra i partigiani, voleva riprendere le armi contro la normalizzazione della democrazia borghese.

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