Questione migranti. Situazione dal confine polacco-bielorusso – 2

dal canale Telegram di “No Borders Team”

 

I morti al confine. Altre vittime delle politiche [di frontiera] dell’UE e della Bielorussia.

In meno di una settimana, nelle foreste della Podlasie sono state trovate tre persone morte ed è ancora in corso la ricerca di altri due corpi.
Il 7 Gennaio, nella zona di Przewłoki, la Guardia di Frontiera ha trovato il cadavere di un uomo. Sebbene la polizia non abbia ancora fatto un annuncio ufficiale, la famiglia e gli amici sono convinti che si tratti di Ibrahim Dihiya, proveniente dallo Yemen. Era un medico.
Giovedì 12 Gennaio, un altro corpo è stato trovato dai soldati nella foresta di Bialowieza. Probabilmente giaceva nella foresta da molto tempo. L’identificazione del defunto è in corso e la polizia e l’ufficio del procuratore, dopo aver rilasciato un breve comunicato stampa, rimangono in silenzio.
Venerdì 13 Gennaio, in mattinata, è arrivata la notizia del ritrovamento di un altro corpo al confine e continuano le ricerche di altre due persone decedute, i cui corpi sarebbero stati avvistati dai soldati. I soldati che hanno riferito di aver trovato i corpi, li hanno lasciati nella foresta e poi non sono stati in grado di individuare la loro posizione. Ora l’esercito ha negato di aver visto qualcosa. Conoscendo il loro livello di manipolazione e di menzogne, possiamo aspettarci il peggio.
Ci auguriamo che le famiglie dei dispersi possano scoprire al più presto la sorte dei loro cari e dare loro una degna sepoltura.
Ogni volta che sentiamo parlare della morte di un’altra persona al confine tra Polonia e Bielorussia, sulla rotta balcanica, nel Mediterraneo o nel Canale della Manica, proviamo, oltre al dolore anche molta rabbia. Sappiamo che dobbiamo continuare a lottare per l’abolizione del regime di frontiera, affinché non ci siano più persone che muoiono a causa di esso e le loro famiglie e i loro cari debbano soffrire. Sappiamo che dobbiamo pronunciare i loro nomi ad alta voce: questi non sono cadaveri da telegiornale, sono persone. E altre persone, quelli che decidono la forma del sistema di frontiera e quelli che eseguono gli ordini di quel sistema, sono responsabili di queste morti.
A parte il minuto di silenzio, combattiamo! Contro le frontiere!

-I quattro iracheni che hanno iniziato lo sciopero della fame nel centro di Lesznowola il 3 Gennaio scorso e che sono in carcere da un anno e mezzo, interrompono la loro protesta.
Ognuno di loro ha una storia drammatica, essendo state vittime di violenze, prima nel Paese d’origine e poi in Bielorussia e Polonia.
Uno degli uomini sta lottando per raggiungere la moglie e il figlio, che vivono in Svezia e hanno la cittadinanza svedese. Questo non è un motivo [valido] per la parte polacca di tentare l’espulsione dell’uomo – dopo aver rifiutato di inoltrare una domanda di ricongiungimento familiare, scaricando la responsabilità sulla parte svedese. In qualsiasi momento potrebbero essere compiuti ulteriori sforzi per deportare quest’uomo in Iraq, particolarmente pericoloso a causa del suo precedente coinvolgimento sociale.
I [restanti] tre scioperanti chiedono di essere trasferiti al SOC di Krosno Odrzańskie. Le loro condizioni di salute si stanno deteriorando.
Finalmente, dopo gli interventi parlamentari e legali, dopo un ulteriore clamore mediatico e manifestazioni esterne, le autorità della struttura hanno avviato colloqui con i manifestanti.
Il 13 Gennaio, tutti e quattro sospendono lo sciopero.
Nonostante le promesse del comandante [delle guardie di frontiera], il caso non si muove; nessuno è stato ancora trasferito e uno degli scioperanti ha ricevuto un’altra decisione negativa sulla sua domanda di protezione internazionale.
Tutti sono sotto l’assistenza legale dell’organizzazione “Stowarzyszenie Interwencji Prawnej” e di attivistu indipendenti; tutti sono ancora in lotta per la loro vita, dignità e diritti, bloccati in centri e in un limbo burocratico, anche se per il momento non riprendono lo sciopero.
Tuttavia, l’ondata di proteste nei centri polacchi per stranieri non si ferma.

-Il 14 Gennaio, un’altra persona inizia uno sciopero della fame presso il SOC di Bialystok.

Sewar è un attivista siriano che è stato detenuto nel suo Paese d’origine dopo un commento su Facebook. Ha trascorso più di 9 mesi in carcere ed è stato torturato fisicamente e psicologicamente.
Dopo essere fuggito dalla Siria, soffre di PTSD (Sindrome da Stress Post-Traumatico, ndt) e ha molta paura degli spazi ristretti.
Ha cercato di ottenere protezione in Europa per 21 volte. Le guardie di frontiera polacche gli hanno negato l’asilo ad ogni tentativo e lo hanno respinto oltre la recinzione. Una guardia ha usato lo spray al peperoncino quando il [ragazzo] siriano ha cercato di far valere i suoi diritti. Alla fine, contro ogni procedura, è stato collocato nel Centro sorvegliato di Białystok.
Da allora soffre di attacchi di panico ricorrenti, causati sia dalla claustrofobia che dalla situazione attuale in generale. Ha già fatto diversi tentativi di suicidio. La sua condizione è stata diagnosticata come pericolosa per la sua sopravvivenza, eppure si trova ancora tra le mura di un istituto che, invece di aiutarlo, prolunga l’incubo.
Lo stesso schema che vediamo nelle foreste di Podlasie è stato trasposto nei centri per stranieri.
Continuiamo ad assistere a situazioni di disumanizzazione delle persone intrappolate nei centri di detenzione: dal rivolgersi a loro con dei numeri al negare le cure mediche di base in situazioni di pericolo di vita, oltre all’ostruzione e alla criminalizzazione degli sforzi di aiuto dellu attivistu.
La Guardia di Frontiera pubblica post su edifici ristrutturati e ottimi menù, mentre dietro le porte chiuse mostra il suo vero volto.
In una situazione in cui ogni protesta e resistenza viene accolta con crescente aggressività, brutalità e repressione, la determinazione dei detenuti a lottare per la propria dignità, libertà e un futuro migliore appare eroica.
Il nostro compito è dimostrare a [alle persone recluse protestanti] che non sono sole e alle guardie di frontiera che non possono [agire in modo] impunito e che saranno chiamate a rispondere della loro violenza e crudeltà.
Non crediamo in alcun cambiamento giuridico, perché in definitiva la legge è sempre contro la libertà.
Crediamo in un mondo senza confini, dove chiunque possa vivere dove vuole, indipendentemente dalla sua nazionalità, origine o religione.

Violenza contro Sewar
Oggi ricorre il 12° giorno di sciopero della fame condotto da un migrante siriano nel centro di detenzione di Bialystok e la Guardia di Frontiera polacca ricomincia ancora una volta il noto gioco del “non diremo nulla, non sta succedendo nulla”.
Ogni volta che le persone in movimento private della libertà intraprendono una forma di protesta come lo sciopero della fame, ci viene ricordato quanto questa sia difficile e definitiva. Solo le persone spinte all’estremo decidono di compiere un simile passo. In quale stato di disperazione si trovano coloro che, dopo averne già passate tante, in mancanza di altre opzioni, sono costretti a lottare e soffrire di più in nome della libertà e della dignità?
Sewar ha già trascorso nove mesi nelle carceri siriane come prigioniero politico; inizialmente è stato collocato in un centro sorvegliato dalla Polonia per due mesi. Dopodiché la sua detenzione è stata prolungata per altri quattro mesi.
Pur avendo solo 24 anni, dal suo arrivo in Polonia è già diventato brizzolato. Il suo corpo porta le cicatrici della tortura. Soffre di claustrofobia, ansia, grave PTSD a causa degli abusi subiti. Ha una storia di ben sei tentativi di suicidio, commessi durante la sua permanenza nel Centro Sorvegliato per Stranieri. Nonostante ciò, continua a essere detenuto. Già prima dell’inizio del suo sciopero della fame, è stato messo in isolamento, il che aggrava ulteriormente la sua ansia.
Durante il fine settimana, la sua salute è peggiorata in modo significativo. Sewar è diventato debole e non riusciva a camminare. Si è lamentato di un dolore insopportabile alla testa. È stato visitato e i risultati sono stati allarmanti, ma la Guardia di Frontiera ha deciso di non mandarlo in ospedale. L’Ufficio dell’Ombudsman è intervenuto nel suo caso, ma la Guardia di Frontiera ha sostenuto che le sue condizioni erano buone e non c’era bisogno di ricoverarlo.
L’altro ieri (23 Gennaio, ndt) lu attivistu hanno perso i contatti con lui. Il suo telefono non funzionava. Secondo i testimoni, verso le 12.00 Sewar è stato portato fuori dal recinto di un campo in un’auto della polizia. C’era il sospetto che potesse essere stato portato in uno degli ospedali, così lu sostenitoru hanno cercato per ore di rintracciarlo in uno di essi, senza successo. La Guardia di Frontiera non ha trasmesso alcuna informazione ai rappresentanti [legali di Sewar].
Quando lu attivistu sono finalmente riuscitu a contattarlo in tarda serata, Sewar ha detto che gli agenti della Guardia di Frontiera lo avevano portato da qualche parte e, immobilizzatolo, gli avevano fatto bere della zuppa. Gli avevano anche dato delle medicine. È tornato al centro abbastanza sconvolto, troppo debole per muoversi, ricordando vagamente quello che era successo. Per diverse ore non ha parlato né risposto a nessuno.
È finito di nuovo in isolamento…
Nonostante le sue cattive condizioni, è determinato a continuare lo sciopero e a portarlo avanti fino alla fine.
Come dice lui stesso, non mollerà.
Nelle conversazioni con i giornalisti, tuttavia, la Guardia di Frontiera sostiene che Sewar è stato tutto il tempo nel centro e che lo sciopero è stato interrotto da lui. Volontariamente.
Dopo tutto, non è successo nulla…

Aiuti e attraversamenti dalla foresta di Podlasie
Seconda metà di Gennaio al confine tra Polonia e Bielorussia. L’attenzione dei media sulla crisi [migratoria] è terminata da tempo, con il governo che ci rassicura – in modo pressante – sull’efficacia delle barriere al confine.
Nonostante tutto questo, le persone stanno ancora cercando di raggiungere un luogo in cui siano al sicuro e possano condurre una vita normale. Nessun muro e nessuna violenza da parte delle autorità potrà impedirglielo. È per questo che siamo ancora nella regione di Podlasie: per fornire attività di aiuto.
Nelle ultime settimane il numero di tentativi di attraversare il confine è diminuito; ma negli ultimi 17 mesi il numero è sceso a volte, per poi tornare improvvisamente alle stelle. Le persone sono meno, ma sono ancora qui.
Ieri sera abbiamo incontrato tre persone nella foresta, giovani uomini provenienti dal Sudan. Quando li abbiamo trovati erano fradici, infreddoliti e affamati. Al momento non c’è gelo a Podlasie, ma le notti sono fredde e molto umide: questo tempo è ancora più fastidioso delle temperature minime. Dopo aver trascorso diverse ore nella foresta, anche se si è vestiti bene, ti congeli; l’umidità filtra tra i tessuti, attraversando uno strato dopo l’altro. E loro erano nella foresta da diversi giorni.
Era molto buio, riuscivamo a malapena a vederli. Uno degli uomini giaceva immobile. I suoi compagni di viaggio lo chiamavano, ma lui non rispondeva. La paura che segue chiunque presti soccorso alla frontiera ci ha attraversato la mente. Ultimamente ci sono giunte di nuovo notizie di ritrovamenti di cadaveri alla frontiera…
Ci avvicinammo e gli scuotemmo la spalla. Una volta. La seconda. Dopo un attimo – che a noi è sembrato un’eternità -, ha aperto gli occhi. Parlava a bassa voce e si vedeva che era esausto. Aveva un ginocchio danneggiato, probabilmente a causa di una barriera di confine costata milioni di euro.
Due degli uomini non erano ancora maggiorenni. Erano tutti in attesa da due mesi, erano stati picchiati e derubati, sottoposti più volte a spintoni. Non avevano contatti con il mondo, entrambi i telefoni erano stati danneggiati dalle guardie di frontiera polacche – il noto metodo di distruzione delle porte USB.
Abbiamo curato il ginocchio, li abbiamo confortati con zuppa calda e tè. Li abbiamo aiutati a cambiarsi con abiti asciutti. Il loro viaggio continua, sono ancora vivi – nonostante i servizi di frontiera abbiano fatto di tutto per privarli della vita e della speranza.
Ci sono ancora persone nella foresta. Ci saranno per sempre, finché i Paesi del Nord globale non cambieranno le loro politiche e non garantiranno il diritto alla libertà di movimento. La determinazione di chi fugge dalla guerra e dalla povertà è molto più forte dei muri, delle ginocchia slogate, dei congelamenti e del rischio di morire.
Non possiamo dimenticarlo.
Non possiamo fingere di non vederlo.
Parlatene, scrivetene. Sostenete le persone e i gruppi che aiutano alle frontiere.
Chiediamo insieme che questo sistema oppressivo cada.

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Aborto e diritti riproduttivi durante la guerra: ne abbiamo parlato con “Martinka”

 

Traduzione dall’originale “Аборты и репродуктивные права во время войны: мы поговорили с организацией «Мартинка»

Nota
Per rendere scorrevoli determinate frasi e termini, abbiamo fatto qualche lieve modifica, aggiungendo, dove ritenevamo opportuno, delle parentesi quadre.
Pur non essendo madrelingua e tanto meno dei russist*, abbiamo utilizzato come materiali di studio:
-“Dizionario essenziale Russo-Italiano Italiano-Russo a cura di Edigeo”, Zanichelli, 1990; “Dizionario Russo-Italiano, Italiano-Russo”, edizioni “Perun”, 2002.
-“Grammatica russa. Manuale di teoria” di Claudia Cevese e Julia Dobrovolskaja del 2018
-Wiktionary versioni inglese e russa

Martinka” è una linea telefonica diretta che aiuta le donne ucraine rifugiate. “Martinka” aiuta le donne sopravvissute alla violenza di genere (sessuale e domestica) ad ottenere assistenza psicologica e medica in Polonia, dove l’aborto e la contraccezione d’emergenza sono criminalizzati. [Come Resistenza Femminista contro la guerra] abbiamo parlato con Nastja, operatrice della linea telefonica, del suo lavoro e di ciò che le rifugiate ucraine devono affrontare in altri Paesi.

Durante la guerra, per le donne ucraine è molto più difficile accedere ai diritti riproduttivi. La guerra in genere aggrava il problema della violenza di genere e nei territori temporaneamente occupati i diritti riproduttivi semplicemente non esistono: si verificano stupri di guerra e spesso non è disponibile un’assistenza medica qualificata.

Ricordo che tempo fa stavamo preparando un piano per portare una ragazza dei territori temporaneamente occupati da un buon ginecologo. Diceva che per andare da un medico doveva guidare fino alla città più vicina sotto il controllo ucraino. L’appello si è rivelato falso, ma a quanto pare altre donne che vivono nello stesso luogo hanno bisogno di un ginecologo. E per raggiungerlo, devono trovare un vettore, i soldi per il viaggio…tutto per non diventare vittime della tratta ed esporsi al pericolo viaggiando in generale. E anche di avere risorse interne sufficienti per organizzare il viaggio da sole o per trovare un’organizzazione che possa aiutarle. Per una donna sottoposta a stress costante e/o in uno stato di trauma è doppiamente difficile.

Anche le donne che si trovano nei territori sotto il controllo ucraino e quelle che sono state evacuate in Europa subiscono violenze. Abbiamo ricevuto casi di vittime di violenza domestica e sessuale, soprattutto in Polonia (l’obiettivo principale di Martinka è aiutare le donne in Polonia). Le donne rifugiate sono un gruppo vulnerabile, la loro situazione finanziaria è spesso precaria, sono costrette ad accettare l’aiuto di estranei e possono facilmente diventare dipendenti da chi li aiuta, cosa che viene sfruttata da abusatori, trafficanti e altri criminali.

La situazione dei diritti riproduttivi è molto grave in Polonia. La contraccezione d’emergenza è disponibile solo su prescrizione medica e i tempi di attesa presso le cliniche gratuite sono tali che, finché non si attende un appuntamento, la contraccezione è già da tempo inefficace. L’aborto è consentito solo in caso di pericolo per la salute o la vita della donna, di stupro o di incesto. E anche se uno dei punti di cui sopra si applica ad una donna incinta, i medici possono rifiutarsi di praticare un aborto per paura – in Polonia, possono imporre una punizione penale per aver assistito a un aborto “sbagliato”.

Inoltre, i ginecologi possono imbrogliare le loro pazienti, comportarsi in modo non professionale e non etico. Recentemente siamo statu contattatu da una donna che si è scontrata con l’atteggiamento duro e giudicante di un ginecologo. Il ginecologo condannava un aborto che lei aveva avuto molto tempo prima in Ucraina. Oppure siamo statu avvicinatu da una coppia con un’altra situazione: sono stati condannati alla reception [di uno studio medico] di avere una vita sessuale. Come se fossero “promiscui”!

Per le donne fuggite dalla guerra, l’attuale situazione in Polonia rappresenta un problema particolarmente grande. Le gravidanze indesiderate arrivano quando si trovano in un paese straniero, devono comunicare in una lingua straniera, sono stressate e a volte senza il sostegno dei loro cari. Trovare una via d’uscita da questa situazione è una decisione molto coraggiosa che richiede molta forza. Sono davvero felice che ogni donna si rivolge a noi per chiedere aiuto e sono molto grata che trovino le risorse interiori per prendersi cura di sé. Questo è molto importante.

Il più delle volte ci contattano le persone ucraine evacuate in Polonia dopo l’inizio della guerra totale, e la principale specialità di Martinka è quella di aiutarle. Le richieste più frequenti riguardano l’aiuto psicologico e il sostegno ai diritti riproduttivi.

Le donne che sono rimaste in Ucraina o nei territori temporaneamente occupati a volte ci scrivono e possiamo condividere con loro i contatti dei volontari locali a cui è possibile chiedere assistenza umanitaria e delle organizzazioni che aiutano nelle evacuazioni.

Martinka è stata concepita dalla nostra direttrice Nastja come un’amica che può sostenervi durante il viaggio e aiutarvi nel vostro nuovo posto: è così che costruiamo la comunicazione.

Martinka ascolterà sempre, sarà presente quando ne avrete bisogno, vi chiederà come state e accetterà semplicemente, incondizionatamente e senza riserve chiunque si rivolga a lei.

A rispondere agli utenti non sono solo i bot, ma persone reali, lu operatoru della hotline. Accogliamo le donne, le sosteniamo, le consigliamo, ad esempio spiegando loro come ottenere una prescrizione per la contraccezione d’emergenza in Polonia, come abortire in modo legale e sicuro e, se necessario, le indirizziamo a specialisti che forniscono assistenza psicologica o legale gratuita. Accompagniamo le persone che ci contattano per tutto il tempo necessario.

La ragion d’essere di Martinka è aiutare le donne che si rivolgono a noi, siamo felici di sostenerle e di dedicare loro il nostro tempo. A volte la richiesta è una consulenza su un problema di breve durata, altre volte aiutiamo la donna per mesi. È il caso, ad esempio, dei casi di violenza domestica o sessuale.

È difficile dire quante donne che si sono rivolte a noi abbiano subito delle violenze sessuali. Non chiediamo “perché?” quando una donna ha bisogno di informazioni sulla contraccezione d’emergenza o sull’aborto. C’è stato un caso in cui abbiamo scoperto che una ragazza aveva subito violenza grazie a una domanda di chiarimento causale. Per le donne sopravvissute alla violenza è spesso difficile condividere la propria esperienza a causa del trauma e dello stigma: per molte si tratta di un argomento “vergognoso”. A volte le donne parlano di ciò che è successo e poi smettono di rispondere. Cerchiamo, comunque, di essere presenti e di continuare a inviare messaggi di sostegno per far sapere a loro che qualcuna si preoccupa di come stanno.

Come operatoru della hotline, finora ho riscontrato solo l’esistenza della legge polacca in quanto tale, non le reazioni specifiche dei conservatori sul nostro lavoro. Ma questo è già sufficiente per rendere l’accesso ai diritti riproduttivi di base una sfida. Forse, con l’aumento della visibilità di Martinka, ci sarà più opposizione e attenzione negativa.

Martinka collabora con molte iniziative per aiutare le donne polacche, e ora ucraine, ad accedere ai loro diritti riproduttivi. “Aborcyjny Dream Team” e “Women on Web” sono organizzazioni che parlano di aborto, di come interrompere una gravidanza in modo sicuro e di combattere lo stigma. Diffondono informazioni e trasformano il tema dell’aborto da spaventoso e vergognoso a normale. Ammiro ciò che stanno facendo e sono entusiasta di avere la possibilità di conoscere queste iniziative e il lavoro delle incredibili donne che ci sono dietro.

Amo il mio lavoro. Questa è la mia prima esperienza di attivismo e sono davvero felice di aver fatto parte del team di Martinka. Aiutare, se si hanno le risorse per farlo, è meraviglioso. Il fatto che io sostenga altre donne sostiene anche me.

Certo, a volte può essere difficile. Ad esempio, quando una donna che ha condiviso con noi il suo dolore rifiuta l’aiuto. Recentemente abbiamo discusso con altre operatrici del fatto che in queste situazioni dobbiamo essere consapevoli che è una scelta e una responsabilità dell’altra persona accettare o meno l’aiuto. Ma queste esperienze mi risultano ancora difficili: mi sento impotente in queste situazioni.

Martinka lavora con psicologi meravigliosi. Il loro supporto è gratuito sia per le donne rifugiate che si rivolgono a noi sia per lu operatoru. Per ottenere un aiuto psicologico, è sufficiente inviare la richiesta al nostro bot. L’operatoru troverà una specialista e aiuterà la donna rifugiata a scambiare i contatti con lei.

Lu attivistu russu e bielorussu possono aiutarci diffondendo informazioni su Martinka e altre organizzazioni. Più persone sanno di noi, più persone chiederanno aiuto e lo riceveranno. Sull’Instagram di Martinka si possono trovare post utili su come tenersi al sicuro quando si passa la notte con estranei o si è da sole per strada. E possiamo anche essere un utile contatto per qualsiasi ucraina.

Cos’altro possiamo fare: non dimenticare la guerra, parlarne, fermarla con ogni mezzo.

Io stessa sono una rifugiata in Germania e spesso, in risposta ad una storia sulla mia famiglia rimasta in Ucraina, sento dire: “C’è ancora una guerra lì? I giornali non scrivono nulla”. Non è necessario che sia così. Finché la guerra non scomparirà dalle nostre vite, non dovrebbe scomparire nemmeno dallo spazio mediatico.

Il bot di Martinka su Telegram: t.me/martynka_bot

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Mafia e antimafia: tra spettacolo e rapporti capitalistici

Il 16 Gennaio viene arrestato Matteo Messina Denaro dai carabinieri del ROS e del GIS presso la clinica palermitana “La Maddalena”.

I commenti di giubilo e congratulazioni verso i carabinieri da ambo gli schieramenti politici, le sciocchezzuole informative riguardanti Messina Denaro (i preservativi e il viagra usato, scomodare una figlia che neanche porta il suo cognome, intervistare le signore che facevano la chemioterapia insieme al boss etc) la dietrologia spicciola o pseudo-satirica (accordi tra lo Stato e Messina Denaro per il suo arresto, i meme sui social commerciali etc) sono prolificati a più non posso.

A differenza degli arresti di Riina (1993) e Provenzano (2006), con Messina Denaro notiamo un salto di qualità nella spettacolarizzazione dell’arresto – complici l’onnipresenza dei nuovi media -, e uno spaccato inquietante su come la lotta alla mafia sia solo di appannaggio dello Stato e del Capitale

-La questione delle informazioni

Come abbiamo analizzato in passato 1, i professionisti dei mezzi di comunicazione si focalizzano sostanzialmente su tre punti riguardo i contenuti da veicolare: la scelta delle informazioni, la messa in risalto delle notizie ed infine il contesto dei fatti avvenuti.

Attraverso questi tre punti, i mass-media determinano la direzione dei pensieri e delle conversazioni degli individui, concentrandosi su specifici argomenti o eventi e dando una percezione e comprensione binaria (buono o cattivo, giusto o sbagliato etc) di quest’ultimi.

In questo modo, le informazioni giornalistiche “non si limitano a informare il pubblico, ma hanno anche una sorta di limitazione da parte dello Stato, perché non tutte le attività pubbliche sono pubbliche. I mass media, con i cambiamenti e la velocità della loro azione, si pongono nei confronti del pubblico in modo diverso. Da mediatori dell’opinione pubblica diventano i loro creatori. Sebbene l’ambito delle cose che vengono divulgate al pubblico si espanda a quelle che non sono solo politiche, il pubblico vero e proprio si restringe, perdendo la sua precedente funzione critica”. 2

La perdita della funzione critica – con conseguente apatia o disaffezione politica – da parte degli individui, modella i rapporti umani come meri atti utilitaristici e consumistici, concentrandosi, per qualche giorno, sul nemico pubblico di turno: ieri il senzatetto che ha accoltellato una turista alla stazione, oggi il boss mafioso, domani il prossimo nemico pubblico mediatico che rimarrà sulla cresta dell’onda per non più di una settimana.

Come se fossimo nei “due minuti d’odio” di orwelliana memoria, la frustrazione degli individui si concentra allora sulla personificazione delle storture del sistema e non arriva mai al passaggio successivo: quello della critica al sistema in quanto tale.

Questa funzione normalizzatrice (e anche moralizzatrice, aggiungiamo) dei rapporti sociali ed economici torna utile negli attuali contesti antimafiosi.

Per anni le forze politiche ed economiche regionali e nazionali hanno intessuto rapporti con i clan mafiosi. Quando quest’ultimi, però, hanno preteso di cambiare le carte in tavola, presentandosi non più come alleati e/o subalterni ma come i padroni dei territori da loro controllati, la macchina repressiva poliziesca e giudiziaria non si è fatta attendere.

Il mondo politico e borghese si è sganciato pubblicamente nel chiedere supporto e/o sostegno ai gruppi della criminalità organizzata e abbracciando la lotta alla mafia.

Sciascia aveva denunciato nell’articolo “I professionisti dell’antimafia” uscito sul Corriere della Sera nel 1987, come la lotta contro un organizzazione criminale verticista e collusa col capitalismo potesse diventare uno strumento al servizio dei poteri economici e politici locali per rinnovare sé stessi.

Nel suo articolo, Sciascia riporta una disamina della lotta alla mafia in Sicilia, partendo da suoi scritti precedenti, passando per la gestione del “prefetto di ferro” Cesare Mori durante i primi anni della dittatura fascista, arrivando a portare esempi contemporanei: “prendiamo […] un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno.3

Quel che ottenne Sciascia ai tempi fu una critica pesante da una serie di intellettuali e personaggi istituzionali perché ignorava e/o non considerava come i clan avessero distrutto (cementificazione, inquinamento ambientale etc) il territorio siciliano.

Quello che tali personaggi ignoravano era il concorso tra i clan, le istituzioni e la borghesia nel portare avanti queste politiche di distruzione del territorio basate su logiche di profitto: basti vedere il sacco di Palermo durante la sindacatura di Salvo Lima (1958-1963) o la presenza, sempre nel capoluogo siciliano, delle ditte edili catanesi tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. 4

I recenti casi giudiziari dell’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante 5 e, soprattutto, dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto 6, hanno dimostrato che lo scrittore di Racalmuto non si fosse sbagliato più di tanto nel 1987: l’antimafia in mano alla borghesia e alle istituzioni (e quindi a strutture di potere) opera in modo interclassista (in quanto riunisce persone sfruttate e sfruttatrici) e rinnovatore istituzionale (presentando lo Stato come assediato perennemente dai clan mafiosi).

-Su Matteo Messina Denaro e la questione mafiosa

Per questo paragrafo si ringrazia Drĕpănĭtānus

L’operazione mediatica portata avanti in questi giorni ha messo in secondo piano le relazioni economiche tra la borghesia e i clan della Sicilia Occidentale legati a Matteo Messina Denaro.

A partire dai rapporti pluridecennali con la famiglia D’Alì, potenti proprietari terrieri, di saline, banchieri e politici, i Messina Denaro – prima il padre, Francesco “Don Ciccio”, e poi il figlio, Matteo -, sono riusciti a legarsi con la borghesia presente nel territorio e a piazzare, al contempo, diversi prestanomi: da “Valtur” di Carmelo Patti 7 ai numerosi “Despar” gestiti da Giuseppe Grigoli 8, dall’appalto affidato ai Morici per strutturare il porto di Trapani per l’evento dell’America’s Cup del 2005 9 alla costruzione dei parchi eolici da parte delle società di Vito Nicastri 10 – strutture che, oggi giorno, continuano ad essere costruite da altre aziende presenti nel territorio. 11

Nella situazione di eccezionalità creatasi in trent’anni in cui “ci manciaru tutti (ci hanno mangiato tutti, ndt)”, la bolla scoppiata dall’arresto di Matteo Messina Denaro costituisce il classico “segreto di Pulcinella”: un’ovvietà che diventa di pubblico dominio col fine dello stupore, meraviglia e satireggiante.

Il quadro che viene fuori, però, è il connubio tra Capitalismo e mafia.

Numerosi scrittori e analisti si sono sperticati la mani nel descrivere questa unione con tanto di nomi da dare in pasto al pubblico ludibrio o alla santificazione.

La richiesta dell’intervento dello Stato, inteso come controllore delle azioni degli individui e dell’economia, si inserisce nel debellare il fenomeno criminale e mantenere intatta la distribuzione e circolazione delle merci.

C’è da dire, però, che i clan mafiosi sono una parte integrante nel tessuto sociale ed economico – e non un fattore meramente subculturale o comportamentale come esposto a livello istituzionale 12 ed intellettuale accademico tra gli anni ‘40 e gli anni ‘70 del ventesimo secolo.

Eradicare dei gruppi del genere è impensabile e impossibile con la struttura societaria odierna: le funzioni sociali, economiche e politiche che essi svolgono (reclutamento di persone come manovalanza sfruttata e mero supporto verso determinati partiti) tornano utili in contesti di crisi ciclica del Capitale.

Il fenomeno della “borghesia mafiosa”, formulata alla fine degli anni ‘70 13, si inserisce in questo contesto specifico, delineando una serie di mansioni adottate dai gruppi mafiosi nell’incrementare e reinvestire nei processi produttivi capitalistici, formando e mantenendo dei rapporti di dominio e subalternità nella sfera sociale.

In tal modo, i gruppi criminali riescono a condizionare le decisioni politiche e ad accaparrarsi dei fondi pubblici all’atto che altri settori produttivi da loro controllati sono in crisi – a causa di diversi fattori interni e/o esterni.

L’esistenza di questa “borghesia mafiosa” è divenuta di pubblico dominio a partire dagli anni ‘80, periodo in cui vi fu un cambiamento di rotta adottato dallo Stato Italiano verso i clan mafiosi.

Durante questa fase, i pentiti dei clan dell’epoca avevano confermato ciò che si affermava un decennio prima, ovvero che la mafia fosse una parte integrante del sistema capitalistico e i cui legami col potere politico nazionale e regionale erano (e lo sono tuttora) intrecciati.

Per evitare la perdita di consensi e profitti di fronte all’opinione pubblica, il mondo politico nazionale e regionale, insieme a quello economico, hanno iniziato a presentare in modo positivo ed eroico una borghesia rispettosa delle leggi e, al tempo stesso, deprecare le collusioni con i clan mafiosi.

Le borghesie (antimafiosa e mafiosa) che si sono venute a creare, in apparenza e pubblicamente, si contrappongono. L’unica differenza, però, è solo nei rapporti con le leggi dello Stato; per il resto la gestione produttiva e di sfruttamento rimane invariata da ambo le parti.

L’effetto che si è avuto con una situazione del genere è stata devastante: gli individui hanno accettato, in modo entusiasta e/o rassegnato, un potere istituzionale e un modo di produzione capitalistico pronti a difenderli e a nutrili.

La vittoria attuale dello Stato e del Capitalismo, insieme ai loro alleati e sostenitori, sta proprio nel riconoscimento del ruolo di dominazione e di controllo della vita – e quindi non di uno Stato che batte la mafia, come divulgato dalle principali testate giornalistiche.

Per scardinare tutto questo, occorre una lotta alla mafia che ribalti (e non prosegua) i rapporti di potere vigenti (leggi, santificazioni etc) e punti ad una gestione non alienante e distribuzione equa della produzione.

Note

1Paragrafo “L’apatia politica come rassegnazione e vittoria del potere”. Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/09/11/la-catena-elettorale-seconda-parte/

2Ibidem

3Articolo pubblicato sul Corriere della Sera, 10 Gennaio 1987. Link: https://www.archivioantimafia.org/sciascia.php

4La presenza dell’azienda edile di Carmelo Costanzo a Palermo per l’appalto del Palazzo dei Congressi fu un chiaro e limpido esempio di collusione tra potere politico, imprenditoria e clan mafiosi. Chi denunciò questo stato di cose furono, ai tempi, Pio La Torre, deputato del Partito Comunista Italiano, Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto di Palermo, e Pippo Fava, giornalista de “I Siciliani”. Entrambi vennero uccisi dai clan mafiosi.

5Dalla seconda metà degli anni 2000, l’imprenditore Antonello Montante era stato protagonista e paladino della lotta contro il pizzo e le collusioni tra aziende e i clan mafiosi. Le alleanze politiche costruite prima con Lombardo e poi con Crocetta, seguite da varie dichiarazioni anti-mafiose, avevano portato Montante ai vertici di Confindustria (sia regionale che nazionale). Con l’arresto avvenuto il 14 Maggio del 2018, si scoprì come Montante avesse utilizzato il potere economico e i legami politici costruiti nei decenni passati per consolidare la sua posizione attraverso pratiche corruttive.

6Silvana Saguto, magistrato e considerata come una paladina della lotta alla mafia, creò un sistema corruttivo sulla gestione dei beni e aziende sequestrate ai clan mafiosi. A seguito delle indagini poliziesche, venne fuori un quadro inquietante su come questo personaggio e il suo “cerchio magico” (composto da amministratori giudiziari, avvocati etc) avesse gestito impunemente e in modo arrogante (con tratti da delirio di onnipotenza) i beni e le aziende sequestrate.

7“Carmelo Patti (ex Valtur): un tesoro da 1,5 miliardi confiscato dall’Antimafia”, IlSole24Ore, 24 Novembre 2018. Link: https://www.ilsole24ore.com/art/carmelo-patti-ex-valtur-tesoro-15-miliardi-confiscato-dall-antimafia-AEcskkmG?refresh_ce=1

8“Trapani, mafia: confiscati 700 milioni a Grigoli, re dei supermercati Despar”, Il Fatto Quotidiano, 24 Settembre 2013. Link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/24/trapani-sequestrati-700-milioni-a-giuseppe-grigoli-re-dei-supermercati-despar/721524/

9“Mafia: bufera sul porto di Trapani. Sigilli ai luoghi dell’America’s Cup”, La Gazzetta Meridionale, 9 Aprile 2013. Link: https://www.lagazzettameridionale.com/2013/04/mafia-bufera-sul-porto-di-trapani.html

10“Mafia: confiscati gli impianti del re dell’eolico”, Rinnovabili.it, 3 Aprile 2013. Link: https://www.rinnovabili.it/energia/eolico/mafia-sicilia-confisca-re-eolico-655/

11Dagli accordi stipulati tra Isla srl, Impresa Portuale srl di Trapani e la ditta Riccardo Sanges & C., sono arrivati nel Marzo del 2022 numerosi componenti per la costruzione degli impianti eolici nel territorio trapanese. Edison, a Giugno dello stesso anno, ha inaugurato un parco eolico tra le campagne di Mazara del Vallo, Castelvetrano e Salemi.

12Il 23 Giugno del 1949, durante la discussione al Senato sulle condizioni dell’ordine pubblico in Sicilia, il democristiano Mario Scelba, allora ministro degli Interni, rispose in tal senso alle accuse di collusione tra mafia, banditismo e Democrazia Cristiana: “[…] Onorevoli Senatori, basta mettere il piede a Palermo, o, senza andare a Palermo, incontrarsi con qualcuno della Provincia di Palermo, perché dopo pochi minuti si parli della mafia; e se ne parla in tutti i sensi, perché se passa una ragazza formosa, un siciliano vi dirà che è una ragazza mafiosa, oppure se un ragazzo è precoce, vi dirà che è mafioso. Si parla della mafia cucinata in tutte le salse: ma, onorevoli senatori, mi pare che si esageri in questo. […] il fenomeno della mafia non lo ha creato l’attuale Governo, non l’ha creato il Ministro dell’interno: avrà le sue radici e le sue tradizioni secolari, ma è certo che il Governo ha intrapreso un’azione concreta per eliminare le cause sociali che possono favorire il sistema della mafia.[…]”. “Senato della Repubblica, CCXXXII Seduta, Giovedì 23 Giugno 1949, Seduta Antimeridiana”, pagg. 8652-8653 (28-29 del documento pdf) Link: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/487082.pdf

13Vedere Santino Umberto, “La borghesia mafiosa. Materiali di un percorso di analisi”, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo, 1994; Mineo Mario, “Scritti sulla Sicilia”, Flaccovio, Palermo, 1995

 

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Sull’uccisione di Tortuguita ad Atlanta: comunicato stampa ed un ricordo

Traduzione da PRESS RELEASE – Police murder protestor in Atlanta forest

18 Gennaio 2023

Oggi la polizia ha sparato e ucciso un manifestante nella foresta di Weelaunee.

Decine di agenti pesantemente armati della polizia di DeKalb, della polizia di Atlanta e della polizia di Stato della Georgia hanno chiuso il Weelaunee People’s Park e le strade vicine prima di entrare nel bosco con le armi spianate e i macchinari pesanti, pronti a continuare la distruzione della foresta.

La polizia ha ripetutamente fatto irruzione in questo parco pubblico, ha distrutto giardini comunitari e installazioni artistiche, ha attaccato i manifestanti con armi chimiche e proiettili di gomma e ha minacciato la forza letale. Durante le passate incursioni, la polizia ha costantemente inasprito le tattiche violente contro persone pacifiche che erano sedute sugli alberi o passeggiavano nel parco pubblico. Dal 6 Giugno 2022, lu attivistu e i membri della comunità che lottano per difendere la foresta di Atlanta e per fermare la Cop City chiedono che gli agenti smettano di portare armi nella foresta dopo che [i poliziotti del] l’Atlanta Police Department hanno puntato le armi contro lu manifestanti pacifici.

La polizia e i notiziari locali stanno lavorando insieme per controllare il flusso di informazioni, lasciandoci con notizie vaghe che suggeriscono che l’agente abbia sparato al civile per autodifesa. Sappiamo che diranno e faranno di tutto per evitare che un agente di Atlanta venga visto come un altro Derek Chauvin (agente che ha ucciso George Floyd, ndt), compreso negare, distorcere o cancellare le prove. Lu sostenitoru del movimento chiedono agli osservatori legali e ai giornalisti di documentare le tattiche violente della polizia contro lu manifestanti.

Dopo la sparatoria mortale, l’operazione di questa mattina è continuata con l’ingresso dei macchinari pesanti di Brasfield e Gorrie nella foresta e con i poliziotti che sparano proiettili al peperoncino alle persone che rimangono nel parco – come se non fosse successo nulla. La perdita delle nostre vite non ha significato per la polizia. La polizia ha ucciso un difensore della foresta per aver amato questa terra, per aver preso posizione contro la continua distruzione del pianeta e dei suoi abitanti. L’omicidio indiscriminato da parte della polizia, la violenza senza freni da parte della polizia è esattamente il motivo per cui da due anni si chiede l’immediata cancellazione del progetto Cop City. Mentre i politici investono nei poliziotti, la militarizzazione e i bilanci della polizia non fanno che aumentare. Nel frattempo, gli omicidi della polizia hanno raggiunto il picco nel 2022: i poliziotti statunitensi hanno ucciso 100 persone al mese.

Quello che si sta verificando è un classico esempio di eccesso di potere da parte di un governo tirannico. Il pubblico ha il diritto di difendere i propri interessi. Siamo sostenitori di una società libera e pacifica costruita sulla cooperazione e sulla comprensione reciproca. Il governo sta aggravando inutilmente la situazione.

Permettete che la pace ritorni nella nostra comunità.

Annullate il progetto Cop City. Restituite al pubblico il parco di Intrenchment Creek.

Fate cadere le accuse contro i manifestanti.

Nessuno può riportarci il nostro amico. Una vita innocente è stata presa e le macchine continuano [a distruggere].

Se siete ad Atlanta, venite alla veglia a lume di candela stasera, 18 gennaio, alle 18 all’incrocio tra Moreland ed Euclid.

Ovunque voi siate, vi invitiamo a venire ad Atlanta venerdì 20 Gennaio per una seconda veglia a lume di candela alle 18.00, per ricordare e piangere il nostro amico scomparso. Non staremo tranquilli in questa notte buia.

RIP, con amore e solidarietà.

————————————-

Giustizia per Tort

Traduzione da un’infografica

Ndt: nel testo originale in inglese vengono usati i pronomi they/them corrispondenti al genere neutro. Non conosciamo l’identità di genere della persona uccisa dalla polizia e vista la difficoltà di rendere al meglio il genere neutro in italiano, abbiamo deciso di utilizzare l’asterisco o ricorrere a perifrasi.

Siamo devastat* dalla perdita del nostr* amic* uccis* dalla polizia. Tortuguita era una persona gentile, appassionata e amorevole. Ha passato il suo tempo tra Atlanta, difendendo la foresta dalla distruzione e coordinando progetti di mutuo aiuto per il movimento, e la Florida, dove ha aiutato nella costruzione di case nelle comunità a basso reddito colpite più duramente dall’uragano. Era un medic* addestrat*, un* partner amorevole, un* car* amic*, un’anima coraggiosa, e tanto altro. Nel nome di Tort, continuiamo la lotte per proteggere la foresta e fermare la Cop City, con amore, rabbia e con l’impegno per la sicurezza ed il benessere reciproco.

Molte persone ci hanno contattato condividendo ricordi e storie di Tortuguita. È ricordat* e amat da molt* amic*, persone care e persone che ha aiutato nei progetti di muoto aiuto.

“Amava profondamente tutte le vite e le persone – specialmente nella comunità qtpoc ( queer and trans people of color, ndt).

Tortuguita era una persona molto gentile. Era sempre disponibile per aiutare e prendersi cura delle persone che avevano bisogno, specialmente nella comunità qtbipoc. Era sempre attent* ai bisogni delle altre persone ed offriva loro il meglio. Un* ver* guerrier* per la foresta e per la persone! Mi manca tantissimo”.

Non sappiamo cosa sia avvenuto ieri (18 gennaio ndt), ma sappiamo che la polizia l’ha uccis* mentre stava difendendo la foresta. Puoi mandarci storie su Tortuguita per rendere omaggio alla sua memoria a RememberTort@protonmail.com

Continueremo a lottare per fermare la Cop City e difendere la foresta, così come continueremo a ricordare ed amare Tortuguita.

Più info su defendtheatlantaforest.com

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Alle radici della resistenza russa

di Sasha Talaver (*)
(*) Dottoranda in Studi di genere presso il CEU di Vienna e tutor presso l’Invisible University for Ukraine (CEU). La sua ricerca si concentra sulla storia dei movimenti delle donne e sul loro operato sotto i regimi autoritari. Sasha ha coeditato il libro “Feminist Samizdat: 40 Years After”, Mosca, 2020

Traduzione dell’originale “At the root of Russian resistance

Una donna viene arrestata durante una protesta contro la guerra a Mosca, in Russia.

Affrontare la giustizia sociale e riproduttiva attraverso una lente femminista potrebbe diventare un mezzo per affrontare il regime di Putin e sfidare il militarismo russo.

Il “genere” nell’attuale sfera politica russa sta assumendo sempre più importanza come questione di sicurezza nazionale. Non è un caso che di recente sia stato approvato un divieto totale di rappresentazione delle persone LGBTQ+ nell’arte e nei media e che sia stato reintrodotto l’ordine staliniano della “madre-eroina” che onora le madri con dieci o più figli. Non sono mancati nei recenti discorsi di Vladimir Putin le frasi come “libertà di genere” e la proclamazione della difesa dei “valori tradizionali” contro il pericolo del genere neutro quale “genitore numero uno” e “genitore numero due”.

Dal 2011 il Cremlino ha inquadrato la sessualità come una questione di sicurezza nazionale, sostiene Dmitry Dorogov. Questo ha permesso misure straordinarie per affrontare il pericolo, come il divieto di propaganda LGBTQ+, ma anche strumentalizzare un intervento militare. E, come mostra Elizaveta Gaufman, sulla base di un’analisi dei post dei gruppi anti-Maidan sulla piattaforma social media russa VKontakte, le identità di genere e sessuali fungono da assi portanti nell’umiliare i “nemici del Cremlino” e persino giustificare l’aggressione geopolitica: l’Ucraina è rappresentata come una “damigella in pericolo”, gli Stati Uniti e i suoi leader sono femminilizzati e l’Europa è presentata come il regno dell’omosessualità – “Gayrope”. Così, la percezione e la rappresentazione russa della geopolitica si affida ampiamente alla lente del genere e della sessualità.

Guardiano” della procreazione della nazione

Questa crociata contro i diritti LGBTQ+ e l’ “ideologia di genere” unisce Putin con vari movimenti conservatori di tutto il mondo, che utilizzano le campagne anti-gender come “collante ideologico” contro l’egemonia occidentale. Ironicamente, però, questa lotta si svolge sul campo discorsivo stabilito dall’Occidente: opera con categorie quali “genere”, “transgender” o “cancel culture”, mostrando un disperato desiderio di essere ascoltati e compresi nel contesto culturale occidentale.

Più che le alleanze internazionali, la difesa dichiarata dei “valori tradizionali” dovrebbe rappresentare il governo russo come il principale custode della procreazione della nazione.

La “protezione” della maternità da parte dello Stato è fondamentale per l’immagine di Putin come leader patriarcale e maschio-alfa. Alla luce di ciò, non sorprende che diversi anni fa molti media abbiano condiviso una notizia falsa sulla proposta di un membro della Duma di Stato, Elena Mizulina, di diffondere lo sperma di Putin via posta alle donne russe – affinché queste procreassero. A rendere realistica questa notizia falsa vi è stato il posizionamento del governo russo, incarnato da Putin, come guardiano principale, e quindi fonte di riproduzione della popolazione.

Ma il regime russo non fa quasi nulla per migliorare le condizioni materiali delle “famiglie tradizionali”.

Come un illusionista, usa una retorica anti-gender come schermo pieghevole per sostituire i benefici materiali con quelli simbolici. A parte il capitale di maternità e i recenti “pagamenti di Putin” per le famiglie povere, il sostegno statale per le donne incinte e i genitori in Russia è scarso. La quota di famiglie “povere” con tre o più figli (cioè le famiglie in cui il reddito per ogni singolo membro è inferiore al livello di sussistenza, secondo la definizione delle autorità russe) è aumentata costantemente negli ultimi anni, nonostante la retorica ufficiale pro-natalità. La guerra ha esacerbato questa tendenza, poiché molti uomini sono stati mobilitati, arruolati o sono fuggiti dal Paese, un numero considerevole di lavoratori ha perso la propria attività e il proprio lavoro e le bollette sono in aumento. Al contrario, il budget per le prestazioni sociali si sta riducendo o è già esaurito in alcune aree. Di recente, le poliziotte di diverse regioni si sono lamentate di non aver ricevuto il pagamento della maternità perché il Ministro degli Affari Interni, come ha confermato lui stesso, ha esaurito i fondi.

Spendendo la maggior parte del budget per il settore militare e la propaganda, il Cremlino cerca di pacificare i gruppi che si occupano di riproduzione/giustizia sociale attraverso la vuota glorificazione della maternità e della paternità tramite ordini come “Gloria dei genitori” o “Madre eroina”, che solo alcune decine di famiglie all’anno ricevono. Il governo inquadra lo sforzo riproduttivo, il parto e la crescita dei figli, come un atto patriottico che può quasi raggiungere il livello di un atto militare. Senza dubbio i bambini che nascono devono diventare soldati – e una madre non ha diritto alla tristezza. Come consigliava un sacerdote ortodosso ucciso in questa guerra, le donne dovrebbero mettere al mondo più figli per non rimpiangere che alcuni di loro vengano uccisi in guerra: “se una donna, adempiendo al comandamento di essere feconda e moltiplicarsi, rinunciasse ai modi artificiali di interrompere le gravidanze (…) allora ovviamente avrebbe più di un figlio. Il che significa che non sarà così addolorata e terrorizzata nel dire addio al suo bambino, anche se si tratta di un addio temporaneo.”

La crescente resistenza delle donne

Quindi, nonostante il tentativo del governo russo di presentarsi come protettore della famiglia, in realtà chiede più di quanto dia. La macchina militare dello Stato dipende fortemente e prevalentemente dal lavoro riproduttivo femminile e, negli ultimi decenni, la resistenza significativa contro il militarismo russo è venuta proprio da questo gruppo.

A partire dal gruppo di dissidenti femministe che già nel 1980 pubblicò un appello alle madri contro l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. Ad esso è succeduta la rete dei “Comitati delle madri dei soldati”, formatasi alla fine degli anni ’80, che ha svolto un ruolo cruciale nella riforma dell’esercito e nella resistenza alla prima guerra cecena negli anni ’90.

Oggi, la protesta indipendente delle madri e dei soldati è stata portata avanti da questo gruppo. Oggi, la protesta indipendente delle madri e delle mogli dei soldati mobilitati sta crescendo, portando a sviluppi notevoli. Poco dopo la conferenza stampa del neonato “Soviet delle madri e delle mogli”, Putin ha incontrato le madri patriote per onorare il loro lavoro riproduttivo e ricevere da loro l’approvazione pubblica per la cosiddetta “operazione speciale”. Ora la principale portavoce dell’organizzazione è detenuta.

In questi giorni, in cui la realtà russa si riflette così ampiamente nelle categorie di genere, il movimento femminista può diventare particolarmente produttivo. La “Resistenza femminista contro la guerra”, uno dei movimenti anti-bellici più significativi della Russia, si impegna attivamente con le iniziative delle madri contro la mobilitazione. Le attiviste femministe partecipano ai gruppi di chat per sostenere le donne che esprimono una posizione contraria alla guerra; ad esempio, forniscono link utili e manuali sui diritti dei soldati. Infine, il gruppo di iniziativa delle madri all’interno della “Resistenza femminista contro la guerra” ha lanciato una petizione per il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina che riflette sulla riproduzione e le annesse conseguenze della guerra: tagli ai sussidi sociali, perdita dei figli e dei capofamiglia, aumento della violenza domestica.

La petizione delinea una prospettiva cruciale per la smilitarizzazione della Russia, chiedendo di ridistribuire il budget militare sulla protezione della genitorialità e dell’infanzia. Promuove un vecchio argomento secondo cui la guerra e il militarismo sono incompatibili con il diritto alla genitorialità e dimostra che la guerra deteriora i diritti delle donne.

In effetti, l’idea femminista di giustizia riproduttiva, cioè il diritto all’aborto e alla genitorialità, mostra il suo potenziale in Russia come mezzo per affrontare il regime di Putin nella sua auto-rappresentazione di guardiano della popolazione e, soprattutto, è un modo per sfidare il militarismo russo che toglie il diritto alla genitorialità e minaccia il diritto all’aborto. Come suggerisce Elena Zacharenko, il sostegno popolare ai “valori tradizionali” in molti Paesi si basa sull’ipocrisia dei programmi neoliberisti di “parità di genere”, che si concentrano sui risultati economici ma non sulla giustizia sociale.

Pertanto, affrontare le questioni di giustizia sociale e riproduttiva attraverso una prospettiva femminista che consenta una varietà di configurazioni familiari, generi e sessualità è molto forte – e può diventare una delle strategie di resistenza contro il populismo e il militarismo di destra.

 

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Un villaggio sgomberato per il carbone. La difesa di Lützerath in Germania

Trascrizione e traduzione libera di “A village to be evicted for coal – the defense of Luetzerath in Germany“. Anarchistisches Radio Berlin – 7 Gennaio 2023. Intervista ad un’attivista dell’occupazione di Lützerath.

 

Il 2023 è arrivato da pochi giorni ed abbiamo già a che fare con il primo sgombero di un’occupazione radicale. Ma non parliamo solamente dello sgombero di un’occupazione, ma dello sgombero di un intero villaggio: il villaggio di Lützerath.
Questo villaggio si trova in una zona ricca di giacimenti di carbone, vicino al confine olandese.
Abbiamo parlato con una media-attivista membro di Radio Aalpunk

Che cos’è Lützerath e perché viene attaccato dalla polizia?
Lützerath è un villaggio vicino ad una miniera di lignite in Germania. Si trova vicino alla miniera di superficie chiamata Garzweiler II. Qualche anno fa c’erano già state delle proteste nella zona, contro la distruzione della foresta di Hambach, vicino ad un’altra miniera nella stessa regione. Si tratta di una delle regioni d’Europa più ricca di giacimenti di lignite.

Negli ultimi anni il villaggio di Lützerath è stato occupato dallu attivistu che hanno cercato di impedire la distruzione del villaggio prevista per pemettere l’espansione della miniera. Da circa due anni è in corso una protesta dei cittadini. La compagnia che detiene la miniera è la RWE AG [1] e ha iniziato la distruzione delle strade attorno; le persone della regione hanno iniziato a protestare ed occupare case abbandonate o costruire case sugli alberi.
Lützerath è importante perché si trova in una posizione strategica.Il governo ha deciso che non avrebbe distrutto altri villaggi, oltre questo, per costruire miniere di lignite. Lützerath si trova sopra un grosso giacimento di lignite.
Se Lützerath verrà distrutto ed in tutta l’area attorno inizieranno gli scavi, la Germania non sarà di certo in grado di rispettare gli impegni sul clima presi a Parigi (Accordi sul clima di Parigi del 12 dicembre 2015. L’obiettivo è quello di evitare che le temperature si alzino di 1,5° Celsius entro il 2030, ndt). La quantità di carbone che si trova sotto Lützerath emetterebbe una quantità di CO2 maggiore di quanto tutti gli alberi fanno in un anno. Quindi parliamo di molta CO2. È importante che la lignite rimanga nel terreno e non venga estratta. L’utilizzo di questo carbone comporterebbe un ulteriore disastro.
Ma oltre una lotta di chiara impronta ecologica, Lützerath è diventata uno spazio dove le persone vivono insieme in maniera politica. Lützerath si è caratterizzata esplicitamente come un’occupazione anarchica, dove le persone hanno cercato di vivere insieme seguendo principi anarchici. È stato anche un esperimento di vita comunitaria.
Quindi c’è una lotta, sia simbolica che concreta, contro l’estrazione della lignite, ma anche questo modo comunitario di vivere insieme e di costruire la nostra utopia di un modo di vivere alternativo.
Ora viene attaccato. Il partito dei Verdi ha firmato un accordo con RWE dove si vieta l’uso del carbone entro il 2030 ma si permette la distruzione del villaggio di Lützerath per l’espansione della miniera di lignite. Si tratta delle solite stronzate per cui la lotta contro il cambiamento climatico viene rimandata al futuro. Ma questa cosa non ci aiuterà perché non abbiamo più tempo da perdere aspettando che passino gli anni.
Lützerath viene attaccata dalla polizia in maniera che possano sgomberare tuttu e distruggere il villaggio, per poi iniziare gli scavi per l’estrazione della lignite

Beh essere attaccatu dalla polizia dice già tutto. Puoi dirci cosa sta succedendo ora e cosa è successo negli ultimi giorni? [l’intervista è del 7 Gennaio, lo sgombero è iniziato giorno 9, ndt]
A partire dal 2 Gennaio arriva un sacco di polizia nel villaggio e cominciano a distruggere le barricate esterne per sistemare le loro infrastrutture e far partire lo sgombero, isolando così il villaggio e impedendo ad altre persone di arrivare. Quindi vogliono costruire una barriera attorno al villaggio. Si tratta di una dimostrazione di forza e dell’uso di tattiche intimidatorie, in quanto ci sono stati dei confronti da parte della polizia che arriva in tenuta antisommossa per scoraggiare le persone.

Quindi per molte persone sembrava chiaro che ci si sarebbe confrontati con la polizia che avrebbe cercato di sgomberare il villaggio. In che modo le persone si sono preparate allo sgombero e come hanno pensato di difendere il posto?
C’è una parte fisica della difesa del posto, come la costruzione di barricate, ma c’è anche una parte non fisica, una parte psicologica. Abbiamo tenuto molte assemblee in cui condividere esperienze di sgomberi passati, così che potessimo essere preparatu psicologicamente. Ma abbiamo discusso anche delle strategie di comunicazione, ed anche quello è stato un grosso lavoro.
Penso che i due anni di vita lì in un certo senso ci abbiano preparati allo sgombero perché vivi insieme ad altre persone, ti prendi cura delle altre persone, formi delle connessioni forti con loro. Si sono formati dei gruppi di affinità, ed il modo in cui le persone nell’occupazione intendono difendere Lützerath.
Non c’è una sola risposta su come difendere il villaggio; ci siamo accorti che cercare un consenso a livello di azioni da adottare non stava funzionando, abbiamo cercato di promuovere una varietà di tattiche di difesa, ed una delle strategie di difesa era di far arrivare quante più persone possibili nel villaggio.
C’è stata molta varietà nelle persone arrivate: una delle nostre foto mostra persone in piedi che tengono una croce cristiana ed accanto altre in tenuta da black bloc. Siamo apertu a tattiche differenti. Pensiamo che ognunu decida in autonomia e come meglio crede secondo la propria morale. Ci sono delle pratiche comuni nell’occupazione, come quella di rifiutarsi di identificarsi [alla polizia] per cercare di rallentare [le azioni repressive]; ma nessuno preme affinché si faccia, viene semplicemente fatta dalle persone.

Negli ultimi anni ci sono stati grossi sgomberi, come l’occupazione della foresta di Hambach oppure la ZAD in Francia. Cosa pensate succederà a Lützerath nei prossimi giorni o mesi?
Fino al 9 Gennaio la protesta è ancora legale, quindi le persone possono venire a dare supporto. Pensiamo che dal 14 Gennaio la polizia cercherà di entrare nel villaggio. Disclaimer: questo è quanto ci hanno detto gli stessi poliziotti, quindi non garantiamo che le informazioni siano corrette perché i poliziotti tendono a mentire.
Da quel che abbiamo sentito, la strategia adottata è cercare di dividere l’interno di Lützerath, quindi mettere delle recinzioni tra i barrios (il barrio è una frazione dell’occupazione che si auto-organizza, ndt) e li sgombereranno e distruggeranno uno ad uno. Cercheranno di prenderci singolarmente o faranno scendere le persone dagli alberi. Pensiamo che questo processo potrà durare circa 4 settimane, ma cercheremo di farlo durare il più a lungo possibile, e ovviamente vorremmo rendere impossibile alla polizia di sgomberare il villaggio. Pensiamo che se ci saranno abbastanza persone potrà funzionare. Se guardiamo all’occupazione di Hambach, la foresta è ancora lì, quindi penso ci sia una possibilità di vincere se siamo abbastanza.

Tu fai parte di un media-collettivo indipendente. Che ruolo hai all’interno della lotta contro lo sgombero?
Faccio parte di Radio Aalpunk, la squadra di supporto anti-sgombero di Lützerath. Come nel caso di Indymedia, o dei media indipendenti in generale, siamo dalla parte dellu attivistu e vogliamo mostrare al resto del mondo cosa succede a Lützerath. Quando i media mainstream parlano di queste proteste si concentrano su piccoli dettagli che trovano “divertenti” (ad esempio quando nell’occupazione di Hambach una persona ha tirato un secchio pieno di letame sui poliziotti). Sì è divertente, ma i media indipendenti dovrebbero parlare del perché c’è questa lotta in corso, per che cosa lottiamo, cosa rappresenta l’impresa contro cui lottiamo, ed anche sottolineare gli aspetti anarchici del villaggio, come la vita comunitaria.
Penso che il nostro ruolo sia doppio: vogliamo raccogliere informazioni per farle arrivare a quante più persone possibili; quindi raccogliere gli aggiornamenti delle persone nel villaggio riguardo, ad esempio, le mosse della polizia, ma vogliamo anche fare compagnia alle persone che si trovano ad affrontare lo sgombero.
Gli sgomberi di solito sono molto noiosi o molto stressanti: puoi sederti ed aspettare oppure affrontare lo sgombero. Le persone possono chiederci di mandare in onda canzoni, podcast, storie ecc. Così hanno qualcosa di carino da ascoltare in una situazione emotivamente difficile.
Parlo per me: mi piacerebbe far conoscere l’amore che ho per Lützerath, e l’amore che ho ricevuto a Lützerath, e farlo conoscere al mondo intero.
Questo è anche un modo per supportare i miei amici nello sgombero e questo permetterebbe anche di capire perché le persone tengono così tanto a difendere il villaggio e perché lottano per esso.

Cosa possono fare le persone per supportare Lützerath e dove possono trovare ulteriori informazioni?
Se vuoi supportare Lützerath puoi innanzitutto venire al villaggio, e ti raccomandiamo di venire prima del 9 Gennaio. Ma se trovarsi all’interno di uno sgombero è un’esperienza troppo stressante, lo sgombero dell’occupazione non riguarda solo il villaggio in sé. Ci sono dei campi per attivistu nei villaggi vicini e da lì ci organizziamo per fornire supporto alle persone a Lützerath, ad esempio nell’organizzazione comunitaria per preparare il cibo per tuttu. Tagliare carote per preparare il pranzo per tuttu è altrettanto rivoluzionario quanto incollarsi agli alberi. Penso sia importante evitare di creare gerarchie nelle azioni.
Ci sono anche le donazioni, sia monetarie che di beni: cibo a lunga scadenza, batterie in caso taglino l’elettricità, powerbanks, radio a pile e cose del genere. Ma anche doni carini come la cioccolata. Anche condividere informazioni sui social media è una cosa importante che chiunque può fare da casa.

Per maggiori informazioni su Lützerath vedi il nostro sito
Abbiamo un sacco di informazioni legali su come comportarsi nel villaggio, cosa portare se vieni nel villaggio ed i link ai nostri canali sui social media.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI SULL’OCCUPAZIONE
-Link ai vari canali social (Tedesco-Inglese): https://luetzerathlebt.info/ticker
-Donazioni: https://luetzerathlebt.info/en/donations

Per le donazioni: se volete sostenerci con una donazione potete farlo utilizzando i seguenti dati di conto corrente:
IBAN: DE24 4306 0967 1204 1870 01
Causale: Lützi Lebt
Donazioni su Paypal* : https://www.paypal.com/donate/?hosted_button_id=3DST4V8TZSR2W

*Siamo consapevoli dell’uso dei fondi da parte di Paypal

Nota del Gruppo Anarchico Galatea
[1] Acronimo di “Rheinisch-Westfälisches Elektrizitätswerk”. È una multinazionale tedesca fornitrice di energia elettrica. Il fatturato del 2021 è stato di 24,5 miliardi di euro, con un aumento del 79% rispetto al 2020 causato “dal forte aumento del prezzo dell’elettricità registrato [nel 2021]”. Vedere “RWE. Focus on growth. Annual report 2021”, pag. 53. Link: https://www.rwe.com/-/media/RWE/documents/05-investor-relations/finanzkalendar-und-veroeffentlichungen/2021-GJ/2022-03-15-rwe-annual-report-2021.pdf?sc_lang=en

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Dichiarazione della Juventud Anarquista di Lima

dalla pagina facebook di “Juventud Anarquista – Lima”

Dichiarazione: dall’indignazione alla protesta permanente. Per le nostre rivendicazioni sociali ! Stop alla brutalità della polizia! No ai congressi borghesi e ai presidenti! Autogestione e federalismo per i popoli!

Il panorama socio-politico del nostro Paese, per i lavoratori e le lavoratrici e per il popolo in generale, continua a essere complesso e convulso: le rivendicazioni di questi giorni di lotta sono sfociate in massicce azioni di protesta e resistenza contro l’attuale dittatura congressuale e le sue misure antipopolari e neoliberali. Di fronte alle mobilitazioni sociali, il governo ha risposto nell’unico modo che conosce: reprimendo, assassinando e violando i diritti fondamentali delle persone, criminalizzando la protesta popolare, attaccando qualsiasi atto di denuncia o di malcontento attraverso i putridi canali televisivi aperti.

L’insoddisfazione popolare è un fattore in crescita da molto tempo. Basti ricordare che negli ultimi 6 governi vi sono stati i sindacati e i lavoratori e le lavoratrici in sciopero, le proteste delle comunità devastate dalla voracità mineraria, le proteste delle comunità distrutte dall’inquinamento petrolifero, ecc.

Purtroppo negli ultimi tempi la sinistra borghese e la destra hanno cercato di indirizzare queste lotte con tutte le loro forze verso misure poco importanti per le masse oppresse, come “nuova costituzione”, “chiusura del congresso” e aggiungendo negli ultimi giorni (Dicembre, ndt) le “dimissioni di Dina Boluarte”, “reintegrazione di Castillo”, “nuove elezioni”.

Nuova Costituzione?

La lotta contro gli sfruttatori non può essere risolta nel modo che ti mostra la borghesia e/o nel modo istituzionale: nessuna costituzione risolverà i problemi che riguardano le persone oppresse, né è un progresso per costruire la nostra emancipazione.

Abbiamo l’esempio delle regioni vicine che, avendo molte più basi sociali del Perù, hanno problemi anche con il processo costituente. Un Perù con poche basi sociali (poche che si armino SOLO in occasione delle elezioni) e con attori politici borghesi, con il narcotraffico infiltrato fino al cuore delle alte sfere della destra e della sinistra, pensa che avrà un buon processo costituente? La borghesia non permetterà mai alle persone oppresse di partecipare ad un processo costituente. In questo momento storico una nuova costituzione potrebbe essere ancora peggiore di quella criminale del ‘93.

Ripristinare la costituzione del 1979? Ricordiamo lo sfruttamento e l’oppressione tra il 1979 e il 1992. Infine, la borghesia disobbedisce alla propria costituzione e alla propria legge ogni volta che ne ha voglia.

Nuovo presidente e nuovo Congresso?

“Toledo traditore!”, “Ollanta traditore!”, “Castillo traditore!”, e recentemente “Antauro traditore” (quest’ultimo sostenuto dai montesinita 1 per decenni), [slogan] che hanno risuonato tristemente nelle piazze degli ultimi tempi.

La crisi del capitalismo è permanente, l’intero sistema è marcio, nessun Congresso risolverà i vostri problemi, i presidenti sono solo burattini del potere borghese; se in qualsiasi momento non gli piace il burattino lo cambiano semplicemente con la forza delle armi. Continuare a credere nelle elezioni, nei presidenti, nei congressi, significa rendersi ciechi di fronte agli eventi del mondo; in Africa, Europa, Asia o Sud America possiamo vedere come un fantoccio venga rimosso dai militari. Poi i militari non riescono ad affrontare i problemi sociali e chiedono le elezioni. C’è un momento in cui il fantoccio che piace alla borghesia non riesca ad affrontare i problemi sociali e un altro fantoccio sale al potere (tramite le elezioni) che finisce per scontentare la borghesia e di nuovo i militari (braccio armato della borghesia) prendono il potere. … per andare avanti con questa catena di oppressione. La via istituzionale ed elettorale ha fallito e fallirà sempre.

La narco-mafia fuji-montesinista riderebbe molto con un semplice cambio di deputati e presidente: il loro obiettivo di deviare e spegnere le lotte popolari sarebbe stato raggiunto con soddisfazione dall’oligarchia razzista.

Prima o poi la situazione travolgerà la destra e la sinistra borghese.

In fondo tutte queste proteste si basano su un legittimo disagio contro l’attuale modello neoliberista che si è intensificato nel nostro Paese. Per quanto alcuni pseudo-caudilli opportunisti vogliano portarli su strade istituzionali e “corrette” per l’oligarchia razzista. Basti pensare alla continuità neoliberale del conservatore cristiano Pedro Castillo e al fatto che le persone che hanno lavorato per lui chiedano di essere reintegrate per poter continuare a ricevere i loro stipendi. Castillo viene estromesso a causa del razzismo dell’oligarchia e dei media televisivi aperti, non per le differenze economiche causate da questo modello nefasto.

Nel frattempo, le persone credono sempre meno alle elezioni e si sta sgretolando l’illusione di una crescita economica basata su modelli estrattivisti, deregolamentati, speculatori e di libero mercato che ci sono stati presentati come il paradiso che avrebbe risolto tutto.

Abbiamo avuto più di 30 anni di “crescita economica” inquadrata nel selvaggio neoliberismo filo-imperialista e i risultati sono evidenti: più povertà, esclusione, disoccupazione, insicurezza sociale, fame, omicidi e miseria da un lato, e corruzione, privatizzazioni, repressione, inquinamento, sprechi e abusi di potere dall’altro.

Di fronte a questo panorama, il compito del popolo oppresso deve essere quello di continuare a creare unità dalla lotta tra i settori mobilitati, occupandosi delle diverse rivendicazioni settoriali, sindacali e sociali, rafforzando le basi sociali, potenziando il lavoro sociale in ogni quartiere, sindacato, fabbrica, officina, campagna, università, ecc.

Dobbiamo sradicare la paura di protestare nelle strade, dobbiamo ristrutturare alcune politiche di partecipazione per costruire orizzontalità e nuove relazioni di azione e mobilitazione.

È urgente formare assemblee di discussione nelle piazze delle città e dei quartieri, continuare ad agitare e mantenere la dinamica dell’azione diretta di massa, dell’auto-organizzazione e dell’orizzontalità per avanzare verso l’autogestione e il federalismo.

Ma questo stesso processo di unità non deve essere costruito ad ogni costo, impegnando o consegnando il poco che si sta conquistando a settori interessati [alle tornate] elettorali di partito. Lo slogan deve essere “Tutte le decisioni alle assemblee”, generando unità nella diversità, ma al di fuori del percorso che la borghesia vuole che seguiamo in perpetuo. Devono essere ascoltate e messe in primo piano le voci degli studenti, dei lavoratori e delle lavoratrici (specialmente quelli ignorati dalle centrali “sindacali” ufficiali), degli abitanti delle AA.H.2, dellu compagnu LGTBQ, delle femministe, ecc. che compongono il vasto movimento sociale, sradicando i desideri caudillisti ed elettoralistici che indeboliscono i processi in corso.

Allo stesso modo, come anarchicu crediamo fermamente che sia necessario passare dall’indignazione allo stadio dello scontro aperto contro lo Stato e la borghesia nazionale.

Ricordiamo che i grandi progetti rivoluzionari nella storia dell’umanità sono iniziati con richieste specifiche – più pane, più acqua, più lavoro, contro la corruzione, contro la fame, contro l’orario di lavoro eccessivo, ecc..

Non si tratta semplicemente di bocciare alcuni politici corrotti e di puntare su altri “più decenti”, non vogliamo eleggere nuovi carnefici e padroni “democratici”, non vogliamo lavare la faccia alle istituzioni o chiedere “riforme costituzionali” estranee alla lotta popolare. Siamo impegnati nella trasformazione reale del nostro ambiente. Vogliamo che se ne vadano tutti e che NOI, il popolo auto-organizzato, ci assumiamo il compito della ricostruzione e della convergenza sociale.

AUTOGESTIONE, AUTONOMIA E FEDERALISMO PER I POPOLI! CONTRO TUTTI I CONGRESSI OPPRESSIVI, ASSEMBLEE E AZIONI DIRETTE DEI POPOLI!
TUTTI FUORI! MA PER SEMPRE! NÉ GOVERNANTI NÉ GOVERNATI!
NESSUN CONGRESSO DELLA “DEMOCRAZIA” BORGHESE CI RAPPRESENTA!
AUTO-ORGANIZZAZIONE, AZIONE DIRETTA E MOBILITAZIONE PERMANENTE!
DALL’INDIGNAZIONE DEI CITTADINI ALLA PROTESTA PERMANENTE PER LE NOSTRE RICHIESTE SOCIALI!

Note del Gruppo Anarchico Galatea

1Sostenitori di Vladimiro Montesinos, ex politico ed ex capo del servizio segreto peruviano durante la presidenza di Fujimori

2Acronimo di “Asentamientos Humanos”. Sono insediamenti di fortuna costruiti nelle periferie peruviane.

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Perù: i morti per la repressione continuano ad aumentare

Traduzione dell’originale “Perú: las muertes por la represión no cesan”

Il sud andino è mobilitato e anche militarizzato. Con le ultime due vittime, salgono a 48 le persone uccise dall’inizio delle proteste, a Dicembre, in seguito all’impeachment da parte del Congresso dell’ex presidente Pedro Castillo.

Le morti dovute alla repressione in Perù non si fermano. Mercoledì sera (11 Gennaio, ndt) è stata resa nota la morte di un leader contadino nella regione andina di Cusco a causa di un colpo di pistola al petto durante le proteste antigovernative. Questo giovedì (12 Gennaio, ndt), a Juliaca, una città sugli altopiani della regione di Puno, a sud di Cusco, è stata confermata la morte di uno dei feriti durante la repressione a colpi di arma da fuoco di lunedì (9 Gennaio, ndt), che ha scosso la città e il Paese. È un adolescente di 15 anni a cui hanno sparato alla testa. Sale così a 18 il numero di persone uccise a Juliaca, tutte con proiettili di armi da fuoco. Questi decessi portano a 48 il numero di morti, 47 civili e un poliziotto, da quando le proteste sono iniziate a Dicembre in seguito all’impeachment da parte del Congresso dell’ex presidente Pedro Castillo. Dei 47 civili uccisi, 41 sono stati colpiti dalla polizia e dall’esercito. I feriti sono più di 600. Cifre terrificanti.

Giovedì (12 Gennaio, ndt) il Congresso ha approvato la formazione di una commissione per indagare sulle morti durante le proteste, con 71 voti a favore, 45 contrari e un’astensione. Il Fujimorismo e altri legislatori di estrema destra si sono opposti. Data l’entità delle prove di una repressione che ha preso di mira i manifestanti, i legislatori di centro-destra e di destra che sostengono il governo hanno appoggiato la creazione di questa commissione d’inchiesta. Questa indagine parlamentare si aggiunge a quella avviata due giorni fa dalla Procura della Repubblica.

Il sud andino

Le mobilitazioni popolari sono proseguite giovedì, concentrate soprattutto sulle Ande meridionali, dove è in corso uno sciopero a tempo indeterminato. Ci sono state manifestazioni contro il governo e il Congresso a Cusco, Juliaca, Tacna, Abancay, Apurímac, Arequipa, Lima e in altre località. A Espinar, nella provincia di Cusco, i manifestanti sono entrati nel campo minerario della compagnia “Antapaccay” e hanno bruciato due veicoli. Ottanta blocchi stradali sono stati segnalati in 10 delle 25 regioni del Paese, soprattutto nel sud. Le comunità contadine mobilitate svolgono un ruolo centrale in queste proteste. Il Sud andino è militarizzato. Nella regione di Puno vige il coprifuoco dalle 20 alle 4 del mattino.

Al momento di chiudere questo articolo, nel centro di Lima stava iniziando una manifestazione con le stesse richieste delle proteste che hanno paralizzato il sud del Paese: le dimissioni della presidente Dina Boluarte, la punizione dei responsabili delle morti causate dalla repressione, la chiusura del Congresso a maggioranza di destra e l’anticipazione delle elezioni a quest’anno. Sotto la pressione popolare, le elezioni sono state anticipate dal 2026 all’Aprile 2024, ma si chiede che si tengano quest’anno. Hanno inoltre chiesto la convocazione di un’Assemblea Costituente per modificare la Costituzione nata dalla dittatura di Alberto Fujimori e la liberazione di Castillo.

Un grande striscione recitava “Che se ne vadano tutti. Carcere per gli assassini”. Si sono sentiti slogan che definivano Boluarte “assassina”. Studenti, sindacati, organizzazioni sociali, partiti di sinistra si sono uniti a questa mobilitazione che, al momento in cui scriviamo, quando stava iniziando era massiccia. La polizia ha circondato la Plaza de Armas, dove si trova il Palazzo del Governo, per impedire ai manifestanti di entrare. Hanno anche bloccato l’accesso al Congresso. Residenti di Puno, Cusco e altre regioni andine hanno annunciato che nei prossimi giorni si recheranno a Lima per unirsi alle mobilitazioni nella capitale. Il governo ha minacciato una maggiore repressione e di bloccarli.

Mentre questa massiccia mobilitazione è iniziata a Lima, nella città di Cusco, polizia e abitanti si sono scontrati nei pressi dell’aeroporto. L’area è stata ricoperta di gas lacrimogeni. Si sono sentiti degli spari. I manifestanti hanno risposto alla polizia lanciando pietre. L’aeroporto di Cusco, il principale centro turistico del Paese, è stato chiuso. Mercoledì (11 Gennaio, ndt), uno scontro tra polizia e manifestanti nello stesso luogo ha provocato un morto e più di cinquanta feriti. Il leader contadino Remo Candia, 50 anni, è stato colpito al petto mentre partecipava alla protesta di massa a Cusco. È stato soccorso dai suoi compagni e portato in ospedale, dove è stato sottoposto ad un intervento chirurgico d’urgenza, ma è morto più tardi nella notte. La polizia ha attaccato i manifestanti quando hanno imboccato la strada che porta all’aeroporto. Le autorità sostengono che l’obiettivo era quello di conquistare l’aeroporto, giustificando così l’intervento della polizia. Lo scontro è durato diverse ore. Oltre alla morte del leader Candia, 55 persone sono rimaste ferite, 16 delle quali da proiettili di armi da fuoco.

Due sono rimasti gravemente feriti. Sei poliziotti sono rimasti feriti quando sono stati colpiti da pietre e altri oggetti.

La dura repressione della polizia nei confronti dei manifestanti nella città di Cusco si è verificata nello stesso momento in cui nella vicina città di Juliaca decine di migliaia di persone sono scese in piazza per rendere omaggio alle 17 persone uccise lunedì (9 Gennaio, ndt) – cifra che ora è salita a 18 – dagli spari delle forze di sicurezza. Hanno portato le bare dei morti al grido di “assassini” e “giustizia”. Portavano bandiere peruviane, la wifala e bandiere nere in segno di lutto. Nella piazza principale della città, gremita di folla, è stato reso omaggio alle vittime della repressione. Molti dei deceduti sono stati poi trasportati nei loro villaggi – da dove erano venuti a Juliaca per partecipare alle proteste. Quattro civili feriti a Juliaca sono stati portati a Lima, tutti con ferite da proiettile, presumibilmente da pallini di metallo, alla testa, tre nella zona degli occhi e uno con il cranio fratturato.

Durante il numeroso tributo ai loro morti, la popolazione di Puno ha accettato di continuare le proteste e lo sciopero regionale. “Non possiamo avere pace quando non ci hanno mai trattato come cittadini, ci hanno stigmatizzato (come terroristi e finanziati dai narcotrafficanti, le accuse che il governo e la destra hanno lanciato contro i manifestanti). Andiamo a Lima. Lo sciopero continua, qualsiasi cosa accada”, ha dichiarato Aurelio Medina, un lavoratore dei trasporti. Il negoziante Cornelio Condori ha assicurato che l’obiettivo è quello di chiedere le dimissioni di Boluarte: “Qui siamo fermi e non revocheremo lo sciopero a tempo indeterminato finché Dina Boluarte non si dimetterà. Hanno ucciso e questo non può restare così. Non c’è modo di dialogare dopo tanti morti”.

L’Assemblea dei Governi Regionali, che riunisce i governatori delle 25 regioni del Paese, ha chiesto un’indagine sui morti durante le proteste e la punizione dei responsabili. Hanno chiesto per quest’anno le elezioni generali. I governatori di Puno, Cusco e Apurimac hanno chiesto le dimissioni della presidente. In un comunicato intitolato “Stop ai massacri”, il Coordinatore nazionale per i diritti umani afferma che il governo Boluarte ha dimostrato “un totale disprezzo per la vita” e sostiene che la presidente e i suoi ministri dovranno assumersi “la responsabilità politica e penale di questo massacro”.

Dopo una riunione del Consiglio dei ministri giovedì (12 Gennaio, ndt), il capo di gabinetto Alberto Otárola ha ribadito che la presidente non si dimetterà. Ha dichiarato di dispiacersi per le morti, ma ha nuovamente difeso le forze di sicurezza e criminalizzato i manifestanti. Con più di quaranta civili e un poliziotto morti, Otárola ha cercato di giustificare la repressione dicendo che la polizia era stata attaccata e si era difesa. Il governo continua a puntare sulla repressione come carta principale. Ma gli oltre quaranta morti e i seicento feriti causati dalla repressione, lungi dall’intimidire i manifestanti, hanno ulteriormente acceso l’indignazione e le proteste popolari.

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Capire il massacro. Sulla sparatoria al Club Q a Colorado Springs. Costruire un movimento per la liberazione

Sebbene non ci ritroviamo con alcune posizioni espresse nell’articolo, e nonostante l’Italia e gli Stati Uniti abbiano dinamiche interne ed esterne fortemente diverse, causate da una storia differente e da un diverso posizionamento nella gerarchia degli Stati nel globo (con tutto ciò che ne consegue anche in termini culturali), abbiamo ritenuto utile tradurre questo articolo per diversi motivi: innanzitutto riportare un punto di vista dal campo riguardo la violenza anti-queer negli Stati Uniti, con la speranza che determinate lezioni provenienti dal contesto statunitense possano essere apprese anche qui (ci riferiamo al fatto che il movimento americano abbia messo sul tavolo il tema dell’autodifesa individuale e collettiva, tema che in Italia è quasi completamente assente in quanto si invoca, spesso e volentieri, la protezione statale e poliziesca). Contemporaneamente, si cerca di capire da dove nascono i movimenti anti-queer e come si intersecano, cercando delle possibili strategie di de-radicalizzazione degli elementi di estrema destra.

Infine, non riteniamo secondaria la critica al ruolo delle ONG ed alle varie “star” dell’attivismo performativo da social network, fenomeno quasi completamente assente nella politica radicale in Italia: nel primo caso abbiamo delle organizzazioni che svolgono dei ruoli salvavita e riempiono il vuoto politico lasciato dai movimenti italiani e dagli apparati statali; nel secondo caso, invece, abbiamo delle persone che, interpretando dei ruoli come performers esperti, usano dei temi più o meno radicali per ricavarci un utile in termine economico e/o personale (partecipazione a conferenze, incontri di formazione etc).

Così, temi come quelli dell’autonomia corporea, dell’aborto, della critica alla gerarchia ed ai ruoli di genere vengono svuotati del loro potenziale sovversivo e diventano merce da vendere, possibilmente, in un libro edito da qualche grande casa editrice.

Traduzione dall’originale Understanding the Carnage

di Keegan O’Brien (*)

(*) è unu attivista socialista queer di Brooklyn, NY. Insegna nella scuola pubblica ed è membro del Movement of Rank & File Educators e del Tempest Collective.

Daniel Davis Aston, uomo trans ventottenne, era un barman al Club Q. Amava la poesia e le arti.
Secondo i suoi amici, il suo sorriso fantastico e la sua energia calda e affascinante erano contagiose.

All’inizio di quest’anno (2022, ndt) si era ritrasferito da Tulsa, Oklahoma, a Colorado Springs per stare più vicino alla sua famiglia ed iniziare la sua transizione medica. Come tante persone trans e queer, aveva cercato rifugio, e l’aveva trovato al Club Q, l’unico nightclub LGBTQ di Colorado Springs e casa della compatta e vivace comunità queer cittadina. In un mondo crudele e che non ti accetta, i gay bar hanno una storia ricca e di lunga data nel servire come seconda casa per persone trans e queer che si spostano nelle città in cerca della maggiore libertà sociale e dell’autonomia che spesso vengono offerte dalla vita urbana. I bar queer offrono uno spazio dove poter abbassare la guardia ed essere sé stess*, liber* dagli sguardi umilianti e dai giudizi del mondo esterno.
Per tant* di noi, il ricordo della prima volta che abbiamo messo piedi in un bar o in un club queer è un ricordo che teniamo nel cuore e ci portiamo dietro anni dopo; è rimasto impresso nella nostra coscienza come il momento in cui finalmente ci rendiamo conto di non essere sol*.

Il 20 Novembre, il Transgender Day of Remembrance, Anderson Lee Aldrich è entrato al Club Q ed in pochi secondi ha scatenato una tempesta di proiettili con il suo fucile d’assalto ad alta potenza, uccidendo cinque persone e ferendone gravemente altre venticinque. Raymond Green Vance (22 anni), Daniel Davis Aston (28 anni), Ashley Paugh (35 anni), Derrick Rump (38 anni), and Kelly Loving (40 anni). Abbiamo il dovere di conoscere i loro nomi. Ognun* di loro era un essere umano bellissimo e complesso con la propria storia, la propria comunità di amici, persone che amava e famiglia che l* conoscevano intimamente, l* amavano e si preoccupavano di loro. Il trauma della sparatoria di Sabato notte riecheggerà ben oltre le persone che sono state violentemente portate via.
L’indescrivibile dolore emotivo e lo strazio che deriva dalla perdita di una persona cara a causa di un omicidio, il costante stato di paura e iper-vigilanza che deriva nell’aver visto infranto il proprio senso di sicurezza e di appartenenza, la rabbia e l’amarezza accumulate nei confronti di un mondo che permette questo livello di depravazione, si protraggono per tutta la vita in coloro che sono sopravvissut* alla carneficina e in tutt* coloro che conoscevano e amavano le vittime.

Contestualizzare l’orrore

La notte di sabato 12 Giugno 2016 ho festeggiato il weekend del Pride. Avevo 27 anni; a torso nudo, zuppo di sudore e sorridente, a braccetto con gli amici – le mie ragazze, le mie sorelle – ballavo tutta la notte su una colonna sonora di canzoni gay. Eravamo ammassati nel seminterrato di un gay bar di Boston, un po’ sgangherato, ma per antonomasia, noto per le sue audaci ballerine di go-go, per le drag queen sboccate e per i porno anni ’80, ridicolmente smielati ma stranamente eccitanti, che passavano sui televisori del bar. Quella stessa notte, 49 persone LGBTQ, per lo più latinoamericane di colore, sono state uccise e 53 gravemente ferite quando un assassino omofobo è entrato nel Pulse Nightclub di Orlando e ha scaricato una raffica di proiettili con il suo fucile d’assalto automatico ad alta potenza. Quando mi sono svegliato la mattina dopo, ho controllato il telefono e ho visto la notizia, mi sono bloccato e il mio cuore è sprofondato in uno stato di totale shock. La carneficina e l’orrore erano inconcepibili. Non riuscivo a capacitarmene. L’impatto sulle persone LGBTQ è stato devastante e permanente. Poco dopo ho scritto un articolo per cercare di capire le radici della violenza di Orlando. Sei anni dopo, eccoci di nuovo qui.

La violenza omofoba e anti-trans è una caratteristica presente e di lunga data nella società americana, un prodotto dell’oppressione istituzionalizzata e strutturale endemica alla regolamentazione del genere e della sessualità da parte del capitalismo, vissuta più intensamente nelle intersezioni tra classe e razza. Tuttavia, negli ultimi 15 anni, la lotta per l’uguaglianza LGBTQ ha visto significativi guadagni, misurati in salti e balzi rispetto ai decenni precedenti, in termini di visibilità culturale e leggi formali. In questo contesto sociale e politico, il massacro anti-LGBTQ di Pulse ha segnato una svolta netta e qualitativa nella scala e nell’intensità della violenza e della distruzione contro le persone trans e queer. Colorado Spring si basa su questo orrore grottesco, segnalando la crescita di un’estrema destra violenta e sempre più sicura di sé. Questi eventi devastanti ci ricordano che anche i nostri spazi più sacri, i bar e i club che costituiscono le fondamenta della nostra comunità, i luoghi in cui costruiamo amicizie, incontriamo amanti e formiamo legami che modellano la traiettoria delle nostre vite, sono possibili bersagli nell’attuale panorama di polarizzazione politica e di una destra reazionaria rafforzata.

Colorado Springs ha una storia particolarmente oscura e unica di omofobia e bigottismo. La città si trova nella contea di El Paso, che ospita 3 delle 5 basi militari del Paese. Nel 2016, Trump ha ottenuto il 58% dei voti nella contea. Colorado Springs ospita la sede nazionale di “Focus on the Family”, il noto gruppo di odio cristiano di destra che considera le persone LGBTQ come persone che vivono nel peccato. Per decenni è stata una delle forze più influenti del movimento anti-LGBTQ. A partire dagli anni Ottanta e fino agli anni Duemila, Colorado Springs è diventata una base organizzativa fondamentale per la destra religiosa e un punto di riferimento per i think tank anti-gay. Le famiglie cristiane conservatrici sono emigrate in massa in città, la popolazione è cresciuta rapidamente e le chiese evangeliche e fondamentaliste sono state aperte in gran numero. La destra cristiana divenne una forza dominante nella politica locale e statale, facendo guadagnare al Colorado la reputazione di “Stato dell’odio” da parte degli attivisti LGBTQ negli anni Novanta. Nel 1992, grazie agli sforzi dei gruppi evangelici – la maggior parte dei quali ha sede a Colorado Springs – il Colorado ha approvato l’Emendamento 2, un referendum a livello statale che vietava allo Stato di approvare leggi anti-discriminazione. Sebbene la legge sia stata successivamente ribaltata dalla Corte Suprema nel 1996, l’emendamento ha fatto sì che Colorado Springs diventasse una frontiera chiave nella guerra contro le persone LGBTQ. Nell’ultimo decennio molto è cambiato in Colorado. La comunità LGBTQ è cresciuta, sono state approvate leggi anti-discriminazione e la maggior parte delle chiese evangeliche e dei gruppi civici degli anni ’90 e 2000 hanno chiuso i battenti, ma le ombre del passato incombono minacciose sul presente.

Nel 2022, sono state introdotte 238 proposte di legge anti-LGBTQ nelle legislature statali e comunali di tutto il Paese, il numero più alto degli ultimi decenni. Per mettere questo dato in prospettiva, nel 2017 ci sono state solo 41 proposte di legge (anti-LGBTQ, ndt). L’estrema destra e l’establishment del GOP (Great Old Party, il Partito Repubblicano, ndt) stanno conducendo una guerra su larga scala contro le persone LGBTQ e le persone trans e gender non-conforming sono nel loro mirino. Gli attacchi reazionari hanno incluso l’interruzione fisica delle ore di storia delle drag queen da parte dei Proud Boys e dei gruppi di teppisti dell’alt-right; il panico generato dai media conservatori intorno ai bagni e alla partecipazione delle donne e delle ragazze trans allo sport; le leggi distopiche delle legislature del Texas, della Florida e di altri Stati dominati dai repubblicani che autorizzano un attacco su larga scala al diritto fondamentale delle giovani persone trans di esistere e alle loro famiglie che le sostengono.

Questo è il contesto sociale dell’orrore e del massacro che si sono verificati in Colorado. Queste realtà sono interconnesse. Il Colorado è il risultato inevitabile di questo ecosistema politico alimentato dall’odio, e un presagio del terrore e della violenza proto-fascista che deve ancora arrivare.

Come spiega Eric Maroney, la crescente visibilità delle persone trans e queer nella società, insieme al femminismo e all’aumento del potere sociale delle donne al di fuori delle mura domestiche, sono diventati la nuova ossessione dell’alt-right e il capro espiatorio di tutta una serie di ansie economiche prodotte dalla ristrutturazione e dalla deregolamentazione del capitalismo neoliberista. Per quattro decenni, la classe capitalista americana e i suoi rappresentanti politici bipartisan al governo hanno condotto una guerra di classe unilaterale. La privatizzazione delle risorse pubbliche da parte delle imprese, decenni di austerità, la distruzione dei sindacati, la ristrutturazione industriale e l’automazione hanno distrutto il potere del lavoro sindacalizzato, decimando la limitata rete di sicurezza sociale e le opportunità economiche che esistevano per la classe operaia e per i poveri, una dinamica che si è accentuata per i lavoratori non bianchi (nel testo originale: “Black and Brown workers”, ndt)

Uno sguardo superficiale alle città che punteggiano le aree industriali dimenticate dell’America, illustrano un incubo vivente per intere regioni abbandonate dalle élite economiche del Paese e dalla loro classe politica. Vediamo la crescita dell’incarcerazione di massa, i lavoratori e le lavoratrici definitivamente espulsi/e dal mercato del lavoro, una crisi degli oppioidi fuori controllo e un crescente tasso di mortalità causato dalla tossicodipendenza, dall’alcolismo e dal suicidio, mentre le persone lottano per affrontare il trauma della dislocazione economica e sociale. Il dolore e la sofferenza delle comunità dei lavoratori e delle lavoratrici sono reali e misurabili, anche per le famiglie bianche. Questo è il panorama sociale in cui convergono elementi tradizionali conservatori, alt-right ed esplicitamente fascisti nel riprodurre un ecosistema politico contraddittorio di nazionalismo estremo e pseudo-populismo, razzismo xenofobo e valori tradizionali etero-patriarcali – e con esso l’ascesa del terrorismo di estrema destra.

Il ritratto di un terrorista

[Ndt: Nel testo in inglese, per Anderson Lee Aldrich vengono utilizzati i pronomi they/them, una formula difficilmente traducibile in italiano anche usando le opportune perifrasi. Dopo una ricerca online, abbiamo scoperto che l’avvocato di Anderson Lee Aldrich ha usato i pronomi al maschile nella difesa dell’assistito, per cui abbiamo deciso di utilizzare il genere maschile nella traduzione quando non è stata possibile una perifrasi]

Solo ora cominciano a emergere maggiori informazioni, ancora limitate e parziali, su Anderson Lee Aldrich e sulla sua furia alimentata dall’odio. (Aldrich dichiara di identificarsi come non-binary, anche se si ipotizza che questo sia uno stratagemma del suo team di difesa per evitare le accuse di crimini d’odio). Alcuni fatti sono chiari. Aldrich è cresciuto in una famiglia profondamente colpita da dipendenze, malattie mentali, abusi fisici e insicurezza economica. Il padre è un ex lottatore di MMA diventato attore porno, dipendente dalle metanfetamine. Il padre di Aldrich era violento e abusante, il che ha portato al divorzio e gli ha fatto perdere la custodia di Aldrich quando era ancora un bambino. In un’intervista rilasciata dopo la sparatoria di sabato, il padre di Aldrich si è lasciato andare a una bizzarra sfuriata omofoba. Nel frattempo, la madre di Aldrich ha lottato contro l’abuso di sostanze e la malattia mentale. Ha perso la custodia di Aldrich quando era un adolescente. Aldrich andò a vivere con la nonna, un’esperienza tumultuosa; è stato vittima di bullismo a scuola e online per il peso e la condizione socioeconomica. L’anno scorso, Aldrich ha rapito la nonna e ha lanciato un allarme bomba, seguito da uno stallo armato con la polizia. Sebbene sia stato preso in custodia, non è stata formulata alcuna accusa, consentendogli di acquistare legalmente un fucile d’assalto l’anno successivo.

Aldrich proviene da una famiglia conservatrice e intrisa di politica reazionaria. Il nonno, Randy Vopel, è un deputato di destra della California, fanatico di Trump e repubblicano MAGA (Make American Great Again). Difende apertamente l’insurrezione del Campidoglio di Gennaio, promuove il negazionismo del COVID, sostiene che i risultati delle elezioni siano stati fraudolenti, si oppone con veemenza al movimento Black Lives Matter e sostiene con forza le leggi anti-LGBTQ che si oppongono ai programmi di studio inclusivi per le persone queer nelle scuole e all’accesso delle giovani persone trans all’uso degli ormoni e alla partecipazione agli sport. Anche in attesa di una più chiara delucidazione delle motivazioni di Aldrich, la comprensione dell’ambiente familiare e del contesto politico del Paese aiuta ad illuminare l’ecosistema di idee reazionarie che hanno preparato il terreno per le sue violente atrocità.

Il trumpismo è caratterizzato da una nauseante miscela di nazionalismo economico, bigottismo razzista e xenofobo, violenza reazionaria dello Stato e dei giustizieri. Si tratta di un’alleanza politica tra settori del capitale e della piccola borghesia, il cui progetto è quello di ripristinare un senso di vitalità nazionalista, etero-normativo e suprematista bianco di fronte alla mobilità verso il basso, al declino del potere imperiale all’estero e alla stagnazione economica in patria. Il femminismo e le persone LGBTQ che non si conformano ai sistemi tradizionali di regolamentazione del genere sono diffamati per aver eroso la struttura della famiglia nucleare. A loro volta, vengono incolpati del declino economico globale dell’America. Il capitale non è in grado di portare avanti da solo questo progetto di intensificazione del dominio di classe e di aumento dello sfruttamento. Si rivolge quindi a una generazione di giovani bianchi profondamente alienati, per lo più uomini provenienti da famiglie della piccola borghesia e della classe operaia in declino, le cui vite familiari sono state spezzate dal crollo del pavimento finanziario sotto i loro piedi. Questi giovani scontenti diventano un pubblico primario per la retorica reazionaria dell’estrema destra, che cerca di reindirizzare la legittima amarezza e la rabbia per le ingiustizie della nostra società sulle persone queer e trans, sugli immigrati e sulle persone di colore, capro espiatorio per le devastazioni del capitalismo neoliberista di cui non hanno colpa.

Ritrovare la speranza

Nel frattempo, poco prima della carneficina del fine settimana, la Gay Inc1 festeggiava a Wall Street la trasformazione in società per azioni di Grindr, la popolare app di dating e incontri per uomini gay, bi e queer. Ci si aspettano indignazione e discorsi infuocati da parte dei gruppi LGBTQ mainstream all’indomani della sparatoria in Colorado, ma la loro strategia rimarrà invariata. Gruppi come la “Human Rights Campaign” e la “National LGBTQ Task Force” verseranno inevitabilmente milioni di dollari in campagne politiche per politici democratici che faranno il minimo indispensabile in azioni performative, proclami vuoti e proposte di legge che non hanno alcuna possibilità di passare al Congresso senza pressioni esterne.

La maggior parte degli autoproclamati “leader di movimento” trans e queer, lungi dal costruire un qualsiasi tipo di movimento partecipativo di base, sono presi dalla costruzione del proprio marchio sui social media, impantanati in un mix di moralismo presuntuoso e politica identitaria della classe media sfruttata per promuovere la propria agenda personale. Siamo a soli due anni dalla più grande ribellione antirazzista del Paese degli ultimi decenni, in cui innumerevoli attivist* online hanno creato personalità radicali su Instagram, per poi sfruttarle per ottenere sponsorizzazioni aziendali e contratti editoriali lucrosi. Sebbene il modello di business e la struttura unica delle piattaforme di social media contribuiscano a questa tendenza, i movimenti sociali hanno sempre incontrato le pressioni della cooptazione aziendale e del carrierismo della classe media. Quando le lotte si affievoliscono e le proteste di massa e la militanza si esauriscono, gli orizzonti delle possibilità si restringono, generando una tendenza verso un maggiore accomodamento piuttosto che verso il confronto.

Esiste un mondo di Organizzazioni Non-Governative LGBTQ, molte delle quali forniscono servizi diretti cruciali e significativi ai membri più vulnerabili della nostra comunità, servizi che sono completamente inesistenti da parte dello Stato. Ma questi gruppi devono affrontare seri ostacoli strutturali per avviare un’organizzazione militante e dirompente, operando all’interno di un sistema in cui sono costretti a competere per ottenere sponsorizzazioni aziendali e sovvenzioni governative che alimentano il loro lavoro. Questo crea inevitabili pressioni per acquietarsi e contenere la loro organizzazione entro i limiti dei quadri giuridici accettati dal capitalismo.

L’efferata violenza mostrata nella furia di Aldrich, alimentata dall’odio, a Colorado Springs è un chiaro e crudo promemoria della minaccia pericolosa e letale che l’odierna estrema destra continua a rappresentare per le persone trans e queer e per chiunque viva al di fuori dei confini sessuali e di genere imposti dal capitalismo. L’urgenza di far nascere un movimento LGBTQ militante, di base e partecipativo è chiara e presente. Abbiamo bisogno di un movimento che aiuti a costruire un potere di massa tra le persone queer comuni e della classe operaia e i nostri alleati, che si impegni in un’azione sociale dirompente e che alimenti reti di attivisti democratici e strutture di resistenza e dissenso collettivo. Il nostro movimento deve mettere in evidenza l’intersezione delle nostre lotte, integrando classe, razza, genere e sessualità in una visione radicale, antirazzista, femminista ed emancipatrice della liberazione collettiva dal capitalismo e dai suoi sistemi di oppressione interconnessi. Il bisogno urgente di una sinistra che sappia parlare alla disperazione e alla rabbia dei lavoratori e delle lavoratrici le cui vite sono state sconvolte dalle devastazioni del capitalismo neoliberista è tutto intorno a noi. Il nostro compito è quello di lanciare una sfida radicale, fondata sulla solidarietà, all’agenda dell’estrema destra fatta di capri espiatori e bigottismo.

Un tale movimento di trasformazione sarebbe idealmente fondato sulla solidarietà, sottolineando la natura comune e condivisa delle nostre battaglie e la capacità di trasformazione politica della gente comune. Ci deve essere la volontà di impegnarsi pazientemente e di dare per scontate le migliori intenzioni, di riflettere, ascoltare e crescere in comunità gli uni con gli altri. Viviamo in una società profondamente diseguale, dove l’ideologia borghese e la competizione della vita quotidiana sotto il capitalismo definiscono il modo in cui le persone della classe operaia comprendono e danno senso al mondo e si relazionano tra loro. Senza l’influenza di una sinistra organizzata che contrasti queste pressioni, è inevitabile che la maggior parte delle persone interiorizzi le caratteristiche ideologiche del sistema. Quando una persona sceglie di rifiutare queste idee e di unirsi ai nostri movimenti, merita di essere accolta come un* compagn* di lotta, non trattata con sospetto e ostilità. Il nostro schieramento si trova ad affrontare sfide immense per le quali nessuna singola persona, organizzazione o categoria identitaria possiede di default tutte le risposte. Vincere richiederà la volontà di imparare dalle esperienze e dai contributi degli altri e l’impegno al dibattito e al dialogo tra compagn*.

Sono stati il coraggio e l’eroismo di persone comuni a impedire che la follia omicida al Club Q si aggravasse ulteriormente. Richard Fierro, un veterano etero dell’Iraq e dell’Afghanistan, per la prima volta in un bar gay per sostenere la figlia e i suoi amici, ha messo a repentaglio la sua vita per affrontare e sottomettere Aldrich pochi secondi dopo che questi aveva aperto il fuoco. Una donna trans ha aiutato Fierro a trattenere l’assassino di massa colpendolo con i tacchi in faccia. Nessuno verrà a salvarci: non i Democratici, per quanto “progressisti”, non la “Human Rights Campaign”, non il prossimo influencer emergente di TikTok e sicuramente non gli amministratori delegati del capitalismo arcobaleno. La nostra emancipazione collettiva, la sicurezza della nostra comunità, la nostra volontà di lottare, combattere e conquistare un futuro liberato: questo starà a noi.

Nota del Gruppo Anarchico Galatea

1. Ndt modo di dire che indica quella parte della comunità gay/queer che è d’accordo con logiche aziendaliste e le sostiene. L’espressione è divenuta celebre grazie al saggio “Gay, Inc.: The Non profitization of queer politics”. Si tratta di un esempio di rainbow/queer washing utilizzato dalle grandi aziende per attirare una nuova fascia di mercato. Per fare un esempio nostrano, possiamo pensare alla Coop che se da una parte conduce campagne pubblicitarie pro-pride, dall’altra è responsabile dello sfruttamento della forza lavoro nei magazzini e nella logistica.

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L’acqua vale più di tutto

di Karina Ocampo, 15 Novembre 2022

Tradotto da Federica per il Gruppo Anarchico Galatea

La piazza di Andalgalá (Catamarca) ospita il tipico cartellone a grandi lettere per le foto dei turisti. Chi arriva per la prima volta in primavera, è probabile che si stupisca della diversità di colori che vanno dai verdi intensi allo splendido viola delle jacarande.

Qualche settimana fa, questa stessa piazza si è riempita di persone che sono arrivate da altri territori per accompagnare la camminata n. 664 e la resistenza contro la mega-miniera al festival “Puentes de Agua” che ha riunito musicisti, attivisti, organizzazioni e persone autoconvocate.

In questa terra dove cotogne e pesche crescono ancora al sole, in piena crisi idrica, la storia racconta che l’Assemblea “El Algarrobo” nacque tredici anni fa nella zona di Chaquiago per fermare l’avanzata del progetto “Agua Rica”. Ma bisogna tornare indietro di qualche anno, quando nel 1997 aprì i battenti il giacimento La Alumbrera, nel dipartimento di Belén, per estrarre rame, oro e molibdeno. [I proprietari del giacimento] avevano promesso di portare progresso e prosperità a Catamarca; invece hanno trasformato il paesaggio, lasciando [la popolazione locale] con gravi problemi ambientali. La modifica del “Codice minerario” durante l’amministrazione di Menem ha posto nelle mani delle province la decisione sulla proprietà dei diritti di sfruttamento e ha consentito alle società private di entrare come soci azionisti. Al governo della provincia di Catamarca e all’Università di Tucumán — Yacimientos Mineros de Agua de Dionisio (YMAD)— si sono aggiunti capitali stranieri incoraggiati dai benefici che lo Stato argentino offriva loro, come un basso canone [d’affitto] minerario e stabilità fiscale per trent’anni.

Più di venticinque anni dopo, la provincia detiene il record di povertà e indigenza e si colloca al quarto posto nella media nazionale secondo l’Indagine permanente sulle famiglie (Encuesta Permanente de Hogares (INDEC))

Attraverso l’influente giornale locale “El Ancasti”, è stato annunciato nel 2021 che nella prima fase dell’esplorazione si sarebbero creati 50 nuovi posti di lavoro ad Andalgalá attraverso le società appaltatrici, tra cui giovani professionisti laureati all’Università di Catamarca (UNCA) come geologi e archeologi.  L’investimento in benefici, servizi e stipendi, in questa fase, sarebbe stato di oltre 1300 milioni di pesos per Catamarca. La proiezione è ambiziosa. In un’intervista al dirigente della canadese “Yamana”, Nicolás Bareta, condotta da Ámbito e diffuso da InfoMara, si prevede una investimento in edilizia di 2.996 milioni di dollari fino al 2026 con oltre 3.500 nuovi posti di lavoro e 1.098 milioni di dollari in più durante lo sfruttamento con altre 1.000 persone assunte permanentemente. Il 90% del personale [assunto, secondo questi obiettivi, sarà] locale. A livello nazionale, [il progetto estrattivo] dovrebbe rappresentare il 23% delle esportazioni totali nel 2027 e il 13% nell’arco di tre decenni.

I numeri cambiano a seconda delle fonti. Nel libro “15 mitos y realidades de la minería transnacional en la Argentina” (2011) di Voces Colectivas, si racconta che nel 1993 la propaganda del governo prevedeva la creazione di 10.000 posti di lavoro per l’impiego diretto presso la “Minera Alumbrera” e che sono stati creati 4.000 posti di lavoro durante la fase di costruzione della miniera, secondo la Camera argentina degli imprenditori minerari (Cámara Argentina de Empresarios Mineros (CAEM)). Tuttavia, uno studio dell’Università Nazionale di San Martín ha chiarito che l’impiego effettivo é stato di 831, 795 e 894 posti di lavoro rispettivamente negli anni 2000, 2001 e 2002. E secondo l’azienda, 1.800 dipendenti sono stati impiegati nell’industria mineraria: 800 assunti direttamente e 1.000 con appalto. Pertanto, il tasso di occupazione nel settore minerario durante questo periodo era stato solo dello 0,8% (censimento nazionale 2001) dell’occupazione totale nella provincia di Catamarca.

I residenti consultati affermano che il progetto sta avanzando “senza licenza sociale” con la collusione del governo provinciale di Raúl Jalil, membro del “Frente para la Victoria”, e che esiste una “dittatura mineraria” capace di mettere a tacere le critiche, comprare le persone e usare, quando tutto il resto fallisce, la repressione sia della polizia provinciale che dell’esercito. È quanto denuncia la giornalista Ana Chayle. Dall’Assemblea accusano lo Stato di essere responsabile della soppressione dei diritti umani fondamentali, che comprendono l’accesso ad un ambiente sano e all’acqua – diventato un bene sempre più scarso e contaminato dall’uso di prodotti chimici ed esplosivi. Nelle mega miniere, l’uso di milioni di litri d’acqua è inevitabile per trasportare i minerali e lavare la roccia. “Minera Alumbrera” ha un permesso di estrazione dell’acqua di 1.100 litri al secondo. Per la prima fase del progetto “Agua Rica”, noto come MARA (Agua Rica-Alumbre), la società è stata autorizzata a utilizzare 20.000 litri di acqua del fiume Minas al giorno per un anno in cambio di un canone annuale minerario di 3.650 dollari.

Il progetto MARA è tre volte più grande di La Alumbrera e ha come appaltatori principali le società “Yamana Gold”, “Glencore” e “Newmont” per l’estrazione di rame, oro e argento. Sul web si annuncia che “non è necessario costruire una nuova infrastruttura, il che lo rende unico per le sue dimensioni.” Non è necessario costruire strade, linee elettriche, oleodotti o linee ferroviarie, a differenza di altri progetti. Ciò significa che l’impatto ambientale aggiuntivo è minimo e che i rischi per l’implementazione e le comunità sono minori.

L’affermazione è facile da verificare. A metà Ottobre, i giornalisti indipendenti insieme ai residenti della città di Choya sono saliti sulla Sierra del Aconquija; da lì hanno potuto registrare lo stato dei lavori. Anche se il progetto sfrutta parte dell’infrastruttura di La Alumbrera – la quale ha concluso le sue attività nel 2018 -, l’esplorazione e lo sfruttamento hanno occupato nuovi territori nella stessa montagna, aprendo sentieri, allestendo transenne e concentrando una presenza di polizia nel campo aziendale dove già si trovavano i dipendenti del progetto.

Il movimento delle trivelle nella montagna durante il 2021 è stato l’allarme che ha provocato fervore tra la popolazione. Anche se ancora in isolamento a causa della pandemia, il conflitto ha aperto un nuovo capitolo oltre alle proteste pacifiche di ogni sabato. La mobilitazione del 10 Aprile si è conclusa con l’incendio di un ufficio di Agua Rica, un’area liberata per diverse ore, con il sospetto della presenza di infiltrati, raid e una dozzina di arresti “illegali e arbitrari” che includevano torture denunciate dagli stessi residenti.

Il 30 Maggio hanno arrestato Enzo Brizuela, un membro dell’assemblea, per disobbedienza giudiziaria e presunte minacce, che ha tenuto uno sciopero della fame per 9 giorni protestando contro le irregolarità processuali, mentre Aldo Flores, 73 anni, è stato ricoverato in ospedale dopo aver avuto un attacco di cuore nel bel mezzo della sua testimonianza giudiziaria.

Con circa 100 residenti denunciati, negli anni si sono accumulate anche denunce e cause. Dalla prima grande repressione del 2010, da cui hanno avuto origine “le camminate della vita”, con una storica riunione popolare il conflitto si divide tra la sfera giuridica e le forze disomogenee nei territori.

Zona di sacrificio

Lo Stato provinciale annuncia con orgoglio che “la miniera di Catamarca” è un’opportunità di investimento. Pertanto, invita a sfruttare il suo “grande potenziale geologico e i suoi giacimenti di livello mondiale”. Il principale produttore di litio del Paese, con il progetto Fénix, offre opzioni per tutti i gusti: minerali metalliferi, minerali non metalliferi, rocce e pietre industriali come la rodocrosite, che ha il suo principale giacimento nelle Minas Capillitas. Il legame tra imprese, comunità e Stato, che appare trasparente nelle reti, in realtà viene messo in discussione. Silvina Reguera, insegnante e membro di Algarrobo, ha denunciato che la “pseudo-consultazione che lo Stato di Catamarca ha realizzato con la popolazione di Andalgalá è consistita in 15 minuti in cui i residenti hanno potuto leggere le 2700 pagine della Valutazione d’Impatto Ambientale che il Ministero delle Miniere della Provincia ha realizzato attraverso il Rapporto d’Impatto presentato dalla compagnia “Agua Rica” per la fase avanzata di esplorazione”. 

L’avvocata Mariana Katz, del “Servizio di Pace e Giustizia” (Servicio Paz y Justicia (SERPAJ)), un’organizzazione che segue i residenti di Andalgalá dal 2006, ha corroborato e sottolineato le leggi che vengono violate. Oltre all’articolo 41 della Costituzione – il diritto ad un ambiente sano – e alla Legge Generale sull’Ambiente 25.675, vi è anche la violazione della legge nazionale sui ghiacciai perché si trovano in una zona periglaciale dei Nevados del Aconquija, secondo i dati dell’agenzia argentina Istituto di Nivologia, Glaciologia e Scienze Ambientali (Instituto Argentino de Nivología, Glaciología y Ciencias Ambientales (IANIGLA)). La Sentenza della Corte Suprema di Giustizia della Nazione del 2016 ha accolto il ricorso di “Sergio Martínez e altri” contro “Agua Rica LLC Succ. Argentina”, dopo due accampamenti organizzati dai residenti, accompagnati dalle organizzazioni sociali, davanti all’entrata del massimo tribunale di Buenos Aires. La sentenza riconosce il diritto ad un ambiente salubre e determina la sospensione dei lavori. Inoltre [il tribunale riconosce la] violazione dell’ordinanza 029/2016, frutto della lotta della popolazione, che vieta l’attività di estrazione di metalli a cielo aperto o in galleria nel bacino superiore del fiume Andalgalá. Nel 2020 lo Stato provinciale l’ha dichiarata incostituzionale, mentre la società ha impugnato tale ordinanza per aver violato il proprio diritto alla libertà di impresa. Quest’ultimo è stato, a sua volta, impugnato dal comune e dal comune di Andalgalá, per cui i lavori dovrebbero essere sospesi fino alla risoluzione del conflitto.

La proposta di Catamarca, con l’accordo esplicito dello Stato Nazionale, è chiara: la società mineraria statale “Catamarca Minera y Energética Sociedad del Estado” (CAMYEN), cerca soci investitori per attività minerarie. Il costo socio-ambientale è minimizzato e nascosto, denuncia l’Assemblea di Fiambalá, come è successo con la compagnia cinese Liex Zijin, il cui impianto pilota è stato chiuso il 1° Novembre dalla polizia mineraria senza dare informazioni ufficiali.

Dai Popoli Catamarqueños in Resistenza e Autodeterminati (Agua Pucara) sono state diffuse informazioni su possibili irregolarità nella gestione dei rifiuti chimici e nelle norme di sicurezza e igiene, mentre i suoi abitanti hanno sofferto di febbre, vomito e dolori muscolari a causa dell’acqua contaminata. Come se non bastasse, l’azienda aveva denunce per sfruttamento e precarietà dei suoi lavoratori.

Il 9 Novembre si è tenuta alla Camera dei Deputati della Nazione una esposizione sulla situazione attuale delle miniere. Franco Mignacco, della Camera degli imprenditori minerari argentini, ha parlato delle potenzialità del Paese e ha descritto alcuni dei tredici progetti minerari in produzione. Ha detto che il paese è in una “fase di maturazione”, citando il Cile e il Perù come riferimento in termini di espansione dei progetti.

Zona di sacrificio”, è così che gli abitanti colpiti chiamano Catamarca. La comunicazione ufficiale del MARA è che è in corso una “esplorazione avanzata” per determinare dove si trovano i metalli da estrarre; ma questi lavori precedenti allo sfruttamento hanno causato problemi di salute anche nella città di Choya, a 20 chilometri da Andalgalá, che è rifornita dalle acque dei fiumi della collina Aconquija. Nel mese di Gennaio, bambini e adulti sono stati colpiti da coliche e diarrea.

Raúl Barrionuevo, 74 anni, è uno dei residenti più attivi, la sua cecità non gli impedisce di essere presente ad ogni mobilitazione. Dice che quando si è consultato per questo problema in ospedale, un medico gli ha consigliato di non bere acqua corrente poiché c’erano diversi casi come il suo. Il consiglio [che Barrionuevo aveva ricevuto] è coinciso con l’inizio dei lavori a 3500 metri di altitudine, vicino alle sorgenti del fiume Choya.

La risposta [contro il progetto minerario] è stata quella di mettere in atto delle forze per bloccare il passaggio del carburante, un “taglio selettivo” che significava lasciar passare i dipendenti e impedendo l’avanzamento dei lavori. Quella che sembrava una buona idea ha funzionato solo per un po’, perché la stessa procedura repressiva è stata attuata anche ad alta quota.

Le crepe aperte

Ximena Sinchicay è una giovane attivista di Choya, un piccolo paese di 400 abitanti nel dipartimento di Andalgalá. Lì possono stare diversi giorni senza acqua:

E se l’acqua scende, non abbiamo acqua potabile da bere. Ti fa sentire a disagio perché quando scende, scende sporca. Prima, quando le strade non c’erano, l’acqua veniva giù a pioggia e in due giorni era pulita. Oggi l’acqua è sporca per circa un mese ed è rossa a causa delle perforazioni. Non si può bere, non si può fare il bagno. Così comprano delle taniche, le riempiono e poi fanno bollire l’acqua; ma non è sufficiente. L’azienda si è occupata di coprire gran parte del canale dell’acqua, ha costruito anche una galleria di filtraggio per coprire un po’ tutto quello che potrebbe scendere dall’alto. Ma ciò non impedisce ai minerali di passare comunque. C’è sempre meno vita su quella terra. Perché prima, dove c’era acqua, c’erano zanzare, farfalle, animali. E se si guarda al fiume Minas, non ce ne sono. O perché se ne vanno o perché muoiono.”

Il 7 Aprile era il suo 25° compleanno e sapeva che un gruppo di ragazzi era già sulla collina. Invece di trascorrerlo con la sua famiglia, ha deciso di sostenere il boicottaggio andando con l’assemblea di Aguas Claras. L’accampamento è stato un test, all’inizio non avevano nulla ma hanno cominciato ad attrezzarsi: materassi, teli spessi, viveri, una pompa dell’acqua. Hanno ricevuto donazioni, solidarietà da altre regioni. In alta quota tutto diventa estremo. Il vento, la temperatura: il sole cocente, il freddo sottozero di notte. Quando è gelido, piovoso o nevoso, la salita in montagna diventa più difficile. Alcuni sono diventati esperti nella gestione dei veicoli. Con l’osservazione imparavano i turni, il movimento degli impiegati. Ogni quindici giorni c’è un ricambio, quindi il numero degli agenti di polizia aumenta. Ciò rende più probabile la repressione.

Quello che è successo il 3 Maggio è stato registrato, non solo nella memoria di chi c’era, ma anche in un video che è circolato su Internet ed è stato girato dalla stessa Ximena. Si vede un gruppo di agenti di polizia affrontare un uomo che si trova di fronte a loro e cade a terra. È Raúl Barrionuevo. La polizia continua la sua marcia e riesce a calpestarlo. Grida loro di fermarsi. Poco dopo, è stata convocata dal procuratore Martín Camps per testimoniare, con l’accusa di aver lanciato pietre contro i camion. Per dimostrare la sua innocenza, ha mostrato loro che stava filmando. Hanno trattenuto il suo cellulare e non glielo hanno mai restituito. Lo stesso procuratore è stato preso di mira per aver assunto l’incarico senza aver presentato domanda di partecipazione al concorso o senza averne i requisiti.

Choya contiene crepe come la collina.

Nel villaggio eravamo in tanti e ora siamo in pochi, la compagnia mineraria ha aperto dei posti di lavoro ed è stato triste perché i miei colleghi se ne sono andati per necessità. E li manipolano perché li fanno andare alle riunioni, li fotografano, li fanno parlare, dicono che hanno già una licenza sociale. È molto evidente il giochetto che stanno facendo.”

C’è chi passa dall’altra parte e chi resta in silenzio. Quelli che prima condividevano le sue uscite, ora non le parlano più. Ximena ha studiato infermieristica ma non riesce a trovare lavoro, è segnata. Sa di poter contare sul sostegno incondizionato della sua famiglia, del fratello che studia legge e della madre che partecipa alle attività dell’Assemblea Choya. Una volta quella madre scese dalla collina al villaggio per mettere su famiglia. Oggi tocca a Ximena fare la mossa opposta e salire sulla collina per difenderla. “Mi hanno segnata e mi è costato molto, ma ora non più. So che devo essere prudente, ma non starò zitta, perché è questo che vogliono: tenerci in silenzio. E questo significa anche che l’altra persona non capisce cosa stiamo passando. Se non salgo e non documento nessuno, non vedranno cosa sta succedendo.”

Gli attacchi sistematici mirano a togliere forza alla resistenza, sia sotto che sopra la collina. Prima della festa di Puentes de Agua, quando non c’erano, rubavano quello che avevano nell’accampamento.

Hanno tolto tutto ciò che ci copriva moderatamente dal vento e dalla pioggia. Nessuno va più lassù, è meglio non esporli, quando li chiamo e dico “non hai visto?” Per rompere, per rubare tutto, avevano bisogno di camion, perché c’erano due serbatoi d’acqua, i tetti erano pesanti teloni di camion; dovevano toglierli perché erano ben legati, perché non potessero essere spazzati via dal vento. Hanno persino tolto i forni che avevamo costruito con grandi lattine. Hanno dovuto farlo con un camion e fare diversi viaggi. Mi dirai ancora che non hai visto nulla?”

Come nella storia dei porcellini, l’idea è quella di costruire un luogo migliore, più forte, più resistente.

Penso che sia una questione di convinzione e di amore per le proprie radici e la propria terra. Insomma, non si può comprare nulla. È il nostro territorio, è qui che sono nata, è qui che sono cresciuta. Come può venire qui una multinazionale che non capisce nemmeno la cultura? Non so, un’alba a Choya, un’estate a Choya, mettere i piedi nel canale, chi può capire? […]”

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