Estrarranno il litio in 500mila ettari della Patagonia: saccheggi, inquinamento e miseri profitti per le province

Traduzione dall’articolo originale “Extraerán litio en 500 mil hectáreas de la Patagonia: saqueo, contaminación y beneficios miserables para las provincias

di Lola Sanchez

È stato recentemente confermato che una società canadese inizierà l’esplorazione nel territorio patagonico con l’intenzione di sfruttare il litio [- precisamente] su una superficie di quasi 500.000 ettari distribuiti tra Río Negro, Neuquén e Chubut. L’industria del litio, arrivata in Argentina negli anni ’60 [grazie alle] multinazionali, non solo è caratterizzata da una tecnologia innovativa e concentrata nel “Triangolo del litio” (Argentina, Cile e Bolivia), ma è anche un’industria estrattiva che ha un impatto ambientale e sociale sui territori a cui lascia solo le briciole dei suoi profitti milionari. La sua domanda è in crescita grazie all’utilizzo delle batterie per i dispositivi elettronici e i veicoli. Si stima che questi tre Paesi rappresentino circa l’80% delle riserve mondiali di salamoia di litio.

La società canadese “Green Shift Commodities” opererà nell’area delimitata in collaborazione con le aziende locali “Formentera SA” ed “Electric Metals SA”, due società che realizzano progetti minerari in altri territori del Río Negro. La sede operativa del progetto sarà situata nella città di Mamuel Choique, nel dipartimento del Rio Negro di Ñorquincó.

Cosa succederà con un’industria fortemente estrattiva che espropria i territori ancestrali in una provincia che porta avanti, per l’appunto, rivendicazioni ambientali e indigene di lunga data? La resistenza delle popolazioni indigene e delle assemblee nel nord dell’Argentina forniscono indizi su come questo mega-progetto potrebbe avere un impatto su un territorio fortemente segnato dalle lotte ambientali come la Patagonia.

Già da diversi anni esistono progetti a Salta, Jujuy e Catamarca. La prima esperienza nel Sud [della Patagonia] si svilupperà su un’area di quasi 500.000 ettari distribuita tra Río Negro, Chubut e Neuquén, nelle mani della società canadese “Green Shift Commodities”.

I progetti che già funzionano nel Paese registrano enormi profitti per le multinazionali, mentre prevedono un “profitto” davvero misero e non superiore al 3% per le province.

La sua applicazione è dibattuta tra la critica al saccheggio delle multinazionali e l’opportunità di sviluppo tecnologico per il Paese. Tuttavia, anche coloro che difendono l’industria come una porta verso il futuro, riconoscono le notevoli lacune relative all’impatto ambientale e all’asimmetria di potere tra aziende e comunità, con uno Stato che non si è ancora posto come interlocutore e difensore dei diritti [delle popolazioni native].

Ad oggi, appare come un’industria promettente solo per le aziende straniere, senza alcun progetto di sovranità su una risorsa molto richiesta. Il modello è lo stesso in tutta l’Argentina: quindi la Patagonia non vedrà cambiamenti significativi nell’estrazione.

Se verrà realizzato, sarà il primo progetto di [estrazione di litio da roccia] avviato in Argentina. Sebbene riduca al minimo il rischio di intaccare la falda acquifera – a differenza dell’estrazione in salamoia – è più costosa e rappresenta un tipo di modello di estrazione mineraria che è stato ampiamente respinto in Patagonia a causa del suo impatto ambientale e sociale.

Storia recente di un’industria

Il litio viene utilizzato in una varietà di prodotti in diverse aree industriali. Gli impieghi più comuni riguardano la ceramica, il vetro e le applicazioni mediche. Negli ultimi anni, la sua domanda è cresciuta grazie all’impiego nelle batterie agli ioni di litio, utilizzate nei piccoli dispositivi elettronici come i telefoni cellulari – anche se può essere utilizzato anche per la produzione di batterie per auto elettriche e ibride.

La sua espansione nel Paese è iniziata con il boom minerario degli anni Novanta. Nel 1993 è stata approvata la Legge sugli investimenti minerari n. 24.196, che offriva una serie di misure vantaggiose per gli investitori. In generale, le norme legali sono ancora in vigore, ad eccezione delle recenti norme sulla consultazione libera, preventiva e informata delle comunità, sugli studi di impatto ambientale e sulla partecipazione attiva delle popolazioni indigene, anche se si tratta di elementi raramente rispettati nella pratica.

Il litio viene estratto in Argentina dal 1997, quando è stato avviato il progetto Fénix nelle saline di Hombre Muerto (Catamarca). La domanda globale di questo minerale ha portato, negli ultimi anni, ad un’espansione delle esplorazioni da parte di aziende canadesi, cinesi e indiane nel Paese.

Secondo i dati della Direzione dell’economia mineraria, nel 2016 l’Argentina è stata la produttrice di litio più dinamica al mondo e la sua produzione è aumentata dell’11% sul mercato globale. Con l’avvio delle operazioni del progetto “Sales de Jujuy” nel Salar de Olaroz – che quell’anno ha rappresentato il 6% della produzione globale di litio – il settore è cresciuto in modo esponenziale.

L’interesse per gli investimenti nel settore è cresciuto in seguito all’eliminazione di una tassa sulle esportazioni nel 2016, tanto che a Marzo 2017 si stimavano 42 progetti in depositi di salamoia (salares) e altri cinque in depositi di pegmatite-lepidolite (roccia).

Il suo consolidamento come industria è stato nel 2011 quando l’allora presidente Cristina Fernández de Kirchner ha creato un gruppo di lavoro per promuovere la ricerca scientifica e tecnologica sul minerale. La produzione era finalizzata, tra l’altro, alla fornitura di batterie per i netbooks del programma “Conectar Igualdad”.

Nel 2012, YPF ha creato la sotto-società Y-TEC insieme al CONICET, con l’obiettivo di rafforzare il processo di industrializzazione dell’estrazione del litio. Da allora, le strategie aziendali e scientifiche intorno all’oro bianco non hanno smesso di crescere.

Argentina, più sciocca di Bolivia e Cile
Gli scenari politici ed economici del Triangolo del Litio variano da paese a paese. In Cile, lo Stato stipula un contratto di sfruttamento, poiché il litio è una risorsa strategica. In Bolivia, le società di sfruttamento sono statali. In Argentina, invece, vige un modello di concessione libera che gli è valso numerose critiche da parte di attivistu, scienziatu e avvocatu in materia ambientale.
La produzione di litio è regolata da tre leggi: l’articolo 124 della Costituzione Nazionale, che stabilisce che le risorse appartengono alle province, il Codice Minerario, promulgato nel 1887 e riformato nel 1997, e la Legge sugli Investimenti Minerari, normata nel 1993. Quest’ultima, regola l’attività e offre una struttura che avvantaggia le imprese del settore: conferisce stabilità fiscale per un periodo di 30 anni, riduce le imposte e toglie le ritenute all’attività mineraria (a partire dal Decreto 349/2016 di Maurizio Macri).
Tuttavia, gli impatti locali dell’estrazione del litio sono stati presi troppo poco in considerazione, in funzione dei diritti umani e della sostenibilità sociale e ambientale dei progetti.
Si possono citare diversi trattati e convenzioni che registrano queste violazioni nell’industria mineraria e del litio: la Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sulle popolazioni indigene e tribali, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene (DNUDPI) o linee guida dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), tra gli altri.
Attualmente, l’Argentina si posiziona come esportatrice di materie prime nell’industria del litio, con destinazione Stati Uniti, Cina e Giappone. Una delle richieste è che il paese possa nazionalizzare un’industria con un’alta richiesta e iniziare ad esportare tecnologie.

Sguardo legale

L’avvocata ambientalista Alicia Chalabe è rappresentante delle comunità di Salinas Grandes e Laguna de Guayatayoc (Jujuy). Da oltre un decennio accompagna le comunità originarie che rivendicano il loro diritto alla consultazione libera, preventiva e informata nei territori di sfruttamento [minerario].
“Abbiamo iniziato molti anni fa, quando sono iniziate le esplorazioni a Salinas Grandes. Siamo andati alla Corte Suprema chiedendo che si utilizzasse la consultazione in ogni decisione presa nel territorio”, ricorda in un’intervista a questo giornale online. “È stata data come eventualità. C’è una Cooperativa Mineraria di Salinas, composta da membri delle comunità, in cui estraggono e lavorano il sale. Sono arrivati degli investitori che volevano comprare il sedimento per una grossa somma di dollari. Le comunità, in quel momento, furono allertate, dissero di no, e cominciarono a riunirsi. Si è formato il gruppo di comunità per andare alla Corte e utilizzare il diritto di consultazione”, ha spiegato.
“L’articolo 124 della Costituzione afferma che le risorse del sottosuolo appartengono alle province. La regolamentazione per la concessione mineraria, la concessione di permessi di esplorazione e l’esplorazione stessa appartengono alla provincia. Ma se lo Stato non obbliga le imprese a svolgere le procedure di consultazione, queste non lo fanno”, sottolinea.
Ha ritenuto che il governo provinciale di Jujuy “non ha alcun interesse a proteggere i diritti delle comunità”, e ha ricordato che “è responsabilità dello Stato mettere in atto i meccanismi necessari per i diritti indigeni”. “Questo è stato denunciato dal relatore per i diritti indigeni dell’ONU, James Anaya, nel 2015, dove ha parlato della mancata attuazione dei diritti indigeni in Argentina. I diritti sono normati [ma] non attuati, ha aggiunto.
Consultata sui profitti che vanno alla provincia, ha specificato che il beneficio formale che si può controllare sono le royalties minerarie, corrispondenti al 3%, o all’1,6% nel caso di Jujuy: “Accanto a quanto vale la tonnellata di carbonato di litio, è nulla”. D’altra parte, ella rileva che vi sono “vantaggi particolari delle imprese con le comunità in modo diretto, sotto forma di prevendita, di corrispettivi. È qui che entra in gioco l’area sociale che le aziende hanno creato proprio per rendere più amichevole lo sfruttamento che portano avanti”.

Il richiamo dell’occupazione
Come in alcune regioni della Patagonia dove si è cercato di attuare o si sono già attuati dei progetti minerari, nel Nord sono comuni i discorsi che promettono posti di lavoro nelle imprese, un fattore chiave nell’accettazione sociale delle attività che portano avanti.
Nel caso di Olarov, lo sfruttamento viene portato avanti in una zona dove vivono nove comunità indigene, che hanno concordato con l’azienda diversi punti e accordi che hanno fatto”, nota Chalabe. “Il mito dell’occupazione è messa a nudo: per la quantità di risorse esportate e i profitti alle imprese, il numero di occupabilità è irrisorio”, afferma.
Chalabe sottolinea la responsabilità statale nella mancanza di richieste di studi ambientali al settore imprenditoriale: “Le aziende portano avanti lo sfruttamento con gli studi richiesti dalla provincia e che stabilisce il quadro normativo per tali fondi. Normativa che non prevede studi ambientali esaustivi.
Ricordiamo che la valutazione d’impatto ambientale che si fa non è di impatto cumulativo né strategico, non si può sapere quale impatto avranno più progetti in un territorio, si valuta individualmente. Non viene effettuata una valutazione completa nel vedere la capacità di carico dell’acqua e di estrazione in un territorio. Olarov, ad esempio, è una spoliazione, è impraticabile”, aggiunge.

Jujuy: preoccupazione per l’uso dell’acqua e profitti che vanno all’estero
Jujuy è un caso paradigmatico che evidenzia l’impatto sociale e ambientale dell’industria del litio quando non è regolamentata da rigide normative di protezione sui diritti.
Attualmente, ci sono diverse aziende straniere che si sono installate nella puna jujeña per sfruttare il minerale: Orocobre (Australia), Toyota (Giappone), Exar (Canada e Stati Uniti), Lithium Ameria Corp, Ganfeng lithium (Cina) sono alcune. Inoltre, sul territorio opera JEMSE (Jujuy Energia y Minería Sociedad del Estado), di carattere statale.
In generale, le comunità concordano sulla mancanza di previa consultazione delle persone residenti nei territori sfruttati e sulla mancanza di informazioni precise sulle attività che vi si svolgono.

L’acqua dolce in pericolo
Clemente Flores fa parte della comunità indigena Del Angosto (distretto El Moreno, dipartimento di Tumbaya) nella puna jujeña. Da oltre dieci anni guida la lotta per il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni nelle zone di sfruttamento.
La lotta è lunga, da tempo lavoriamo sul tema del litio”, commenta a “El Extremo Sur”, “per ora poche persone nelle comunità sanno cosa sia il litio. Sanno che è per le batterie, ma non è solo per quello”.
Chiarisce che la preoccupazione principale è per l’acqua dolce, “perché hanno bisogno di estrarre le salamoie che stanno nel sottosuolo, le quali vengono pompate fino alle piscine, fatte evaporare con calce viva e lasciate lassù”, e sottolinea che la produzione di litio consuma grandi quantità di risorse idriche.
“La lotta viene dal 2010. Alcuni progetti sono andati avanti, ma altri si sono fermati. Nel bacino di Salinas non sono ancora entrati, ma si stanno avvicinando. Hanno indetto una gara d’appalto di 8mila ettari. Siamo lì a resistere, con mobilitazioni”, commenta.
A seguito del lavoro svolto con le comunità della regione è nato il Kachi Yupi, un protocollo di consultazione che evidenzia i punti più rilevanti della normativa vigente in materia di consultazione preliminare, libera e informata nei casi di progetti estrattivi, in linea con la Convenzione 169 dell’OIL.
“Vogliamo che le aziende dicano cosa faranno con il territorio, decidere se vogliamo o meno sacrifici. Abbiamo già visto in alcune zone, da dove stanno estraendo il litio, che la gente non ha pecore, non ha lama, non ha nemmeno la salina, è tutto dell’azienda”, racconta Flores.
Questo dato non è solo un’impressione soggettiva. Lo condividono altri abitanti della regione e ci sono studi scientifici che dimostrano l’imminente “rischio idrico” e le “conseguenze irreparabili” per la provincia, legate all’industria dell’ “oro bianco”.

Ciò figura nelle conclusioni di uno studio elaborato dalla Fondazione Ambiente e Risorse Naturali (FARN).

L’impatto sociale ed economico
Oltre all’impatto ambientale, vi è un impatto socio-economico ineludibile sulle comunità colpite.
La comunità di Huancar (situata nella provincia di Jujuy, a 25 chilometri da Susques, con una popolazione di 130-300 persone) si sostiene, storicamente parlando, grazie all’allevamento e all’artigianato. Ma l’arrivo del litio sul territorio ha influenzato lo schema delle attività economiche. Attualmente, si stima che gran parte della popolazione abbia un lavoro legato all’estrazione mineraria.
Nella località di Pastos Chicos (con una popolazione di 250 persone, situata a 50 chilometri a sud di Susques) le attività economiche tradizionali sono l’allevamento, l’agricoltura su piccola scala e l’artigianato. Ma negli ultimi anni, un gruppo numeroso di uomini della comunità ha ri-orientato il suo lavoro verso le società di estrazione del borato. Durante gli anni ’90, la chiusura di diverse miniere ha causato una drastica perdita di posti di lavoro, che ha spinto a migrare verso città e paesi più grandi.
Flores fa riferimento anche alla vecchia promessa di questo tipo di progetti sull’occupazione: “Ci sono progetti che non sono ancora entrati perché abbiamo fatto molto rumore sulla stampa nazionale e internazionale. Ma in altri, hanno l’approvazione della comunità perché hanno fatto sì che i giovani iniziassero a lavorare in aziende, dando loro un salario, un lavoro… fanno lavorare la gente”.
Lo studio di FARN ha intervistato una decina di abitanti e ha rilevato una marcata differenza dei punti di vista della popolazione verso le aziende di litio: da un lato, un gruppo si concentra sulle opportunità di lavoro, mentre un altro si preoccupa principalmente degli impatti dell’estrazione del litio nell’ambiente.

Così, le loro aspettative per il prossimo futuro sono diverse a seconda della loro attenzione per l’occupazione o gli impatti ambientali”, chiarisce lo studio.
Anche se spesso danno lavoro ai cittadini dei territori sfruttati, l’esperienza dei progetti minerari nel paese dimostra che si tratta di opportunità transitorie.
“Il Progetto Chinchillas è iniziato nel 2000. La gente ha iniziato a lavorare, si diceva fosse per 30 anni. Nel 2007 è stato chiuso. E ora siamo preoccupati per l’impatto ambientale, per come hanno lasciato il territorio”, afferma Flores.

Non c’è più niente nelle province
Inoltre, il profitto collettivo è esiguo rispetto ai profitti delle multinazionali: “Pensando a quanto costa una tonnellata d’oro, e sapendo che [ne vengono estratte] circa 200mila tonnellate, ci chiediamo dove sia il denaro. Non siamo economisti, ma vediamo che quel profitto non è qui. Le imprese prendono tutto e non rimane niente nella provincia”, esprime Flores.
Alla domanda sulle azioni del governo di Gerardo Morales nel proteggere i diritti degli abitanti, Flores sostiene che “dicono che lo stanno facendo, ma non è così”. E racconta che gli abitanti non percepiscono nemmeno i benefici dell’industria: “Abbiamo un Parco Solare nella Puna e i popoli usano i gruppi elettrogeni.
“Quando parliamo di consultazione, c’è sempre la questione delle imprese, non dello Stato. Ed è un obbligo statale assicurare la consultazione [con i popoli nativi], non con le imprese”, ha rimarcato.
Per quanto riguarda le alternative più sostenibili per estrarre il litio, Flores riconosce che ci sono dibattiti, ma non ci sono progetti futuri: “Dicono che si può fare senza acqua, ma sono commenti e nulla è reale. Non ci sono progetti. Se non abbiamo nulla, non possiamo sostenere che sia possibile estrarre litio senza acqua”.

Il futuro di Chubut
Anche se non si sa esattamente come andranno i progetti in Patagonia, l’avvocata Chalabe spiega che “il modello che si ripete nel paese è lo stesso, ci sono vani tentativi di nazionalizzare il litio e di dichiararlo risorsa strategica per il paese, ma per la riforma della Costituzione del 1994, la decisione di sfruttamento è delle province”.

Ci sono situazioni che si verificano in ogni provincia, e ha a che fare con la decisione che prende ognuna di esse; ma vedo un consenso [unanime] nello sfruttare Mansalva per ottenere risorse”, descrive e mette in discussione questa idea: “Noi non vogliamo mettere a rischio l’acqua, crediamo che l’acqua valga più del litio, i popoli non vogliono essere zone di macellazione. Vogliamo che si discuta di questo: l’idea fallace -basata su premesse false- che il litio sia per tutti”.

È sempre possibile pensare ad altri scenari”, sostiene Chalabe di fronte ai discorsi che cercano di posizionare l’industria del litio come un’opportunità strategica, “ma oggi la realtà è che se il quadro normativo non cambia, le aziende non devono rispettare altre premesse”.

L’azienda va, presenta i suoi documenti come richiede la provincia e secondo il procedimento legale, e, dopo essere stata approvata, inizia lo sfruttamento. Il problema è che oggi le comunità sono sempre invitate a conversare come terzi, come aggregati, come un altro punto di vista. Ma sono i proprietari del territorio, in senso giuridico, sono l’attore principale che si sta ignorando, le loro decisioni non possono mai essere un mero punto di vista”, ha concluso l’avvocata.

 

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Questione migranti. Situazione dal confine polacco-bielorusso – 3

dal canale Telegram di “No Borders Team”

–Il Parlamento polacco cerca di rendere più difficile la vita dei richiedenti asilo proponendo modifiche alla Legge sugli Stranieri

Il nuovo atto, creato all’interno del Ministero dell’Amministrazione e degli Affari Interni, è stato approvato il 26 Gennaio 2023 dalla commissione parlamentare e poi votato da 228 deputati. 27 erano contrari e 194 si sono astenuti dal voto.
Questo emendamento dovrà ora essere dibattuto al Senato, che può ancora rifiutarlo. Ma lo faranno?
Alcuni dei cambiamenti più allarmanti sono i seguenti:
1. I ricorsi contro una decisione negativa nel caso [giuridico] riguardante una persona migrante non saranno più trattati dall’Ufficio stranieri, ma dal capo della Guardia di frontiera, cioè da qualcuno che fa parte della stessa istituzione che ha dato il parere negativo iniziale.
2. Il tempo massimo di detenzione in una struttura chiusa e sorvegliata sarà aumentato a 18 mesi.
3. Possibilità di detenere fino a 7 giorni una persona straniera, compreso lu bambinu, a cui è stato rifiutato l’ingresso in Polonia. Senza una decisione del tribunale.
4. Riduzione da 14 a 7 giorni per presentare ricorso contro le decisioni sull’obbligo di rimpatrio, le decisioni negative sul permesso di soggiorno per motivi umanitari o il soggiorno tollerato.
Per molte persone, [questa misura] le priverebbe essenzialmente della possibilità di presentare un ricorso.
5. Riduzione del tempo a disposizione per un “rientro volontario” da 15 a 8 giorni.
6. Inoltre, la persona straniera può essere costretta ad andarsene durante la procedura amministrativa in corso, cioè prima che venga emessa la decisione di concedere (o meno) la protezione internazionale.
7. Il Comandante in capo della Guardia di frontiera sarebbe la figura che organizza il “rimpatrio volontario” e decide il trasferimento della persona straniera in un altro Stato membro dell’UE competente per l’esame della domanda di protezione internazionale (Regolamento di Dublino).
8. L’istituzione di un nuovo sistema per lo scambio di informazioni sulle decisioni di rimpatrio tra i Paesi dell’UE – SIS, il Sistema d’Informazione Schengen.
Il sistema è destinato a consentire l’identificazione delle persone sottoposte a tale decisione, che si sono nascoste e sono state fermate in un altro Stato membro. Verrebbe utilizzato per verificare se hanno lasciato il territorio di un determinato Stato e per utilizzare i dati raccolti col fine di rifiutare l’ingresso.
9. L’obbligo di avere una conoscenza confermata della lingua polacca ad un livello superiore rispetto a prima, come condizione per ottenere un permesso di soggiorno UE a lungo termine.
Le modifiche menzionate, se entreranno in vigore, toglieranno alle persone migranti la possibilità di lottare per loro stesse di fronte ad una legislazione già disumana.
La riduzione del tempo per presentare ricorso contro le decisioni negative dovrebbe essere un percorso diretto verso i “ritorni volontari”. L’estensione del tempo di detenzione in un centro sorvegliato dovrebbe spezzare ulteriormente le persone detenute e dissuadere gli individui in movimento dal tentare di farsi strada in Polonia – il “famoso” rispetto dell’UE per i diritti umani!
Inoltre, le modifiche proposte concederebbero al capo della Guardia di frontiera un potere quasi assoluto nel decidere il destino delle singole persone.
Muri, respingimenti, detenzioni e ora questo…
Polonia, non abbiamo parole, eccetto che non smetteremo di cercare di aiutare chi ne ha bisogno – sebbene questo emendamento, se applicato, renderà più difficile [tutto ciò].
Chi cerca rifugio dall’oppressione e dall’odio non sarà mai solu!

–Sewar è libero!
Finalmente buone notizie! A seguito di una richiesta del gruppo per la parità di trattamento dell’ufficio del difensore civico, il capo dell’ufficio per gli stranieri ha emesso una decisione per il rilascio di Sewar dal centro di detenzione.
In contrasto con la legge che vieta la detenzione di persone che si presume abbiano subito violenze, il giovane siriano è stato collocato in un centro chiuso a Bialystok. Inizialmente vi è rimasto per due mesi e all’inizio di Gennaio ha saputo che la sua permanenza era stata prolungata di altri quattro mesi, cioè fino a metà Maggio. Poco dopo ha iniziato uno sciopero della fame, poi sospeso in circostanze ambigue, è stato tenuto in isolamento – tutto questo mentre le sue condizioni di salute peggioravano. (Vedi precedenti aggiornamenti Post originale su TelegramPost tradotto in italiano)
La scorsa settimana (30 Gennaio-5 Febbraio 2023, ndt) Sewar è stato trasportato in ospedale, dopo l’ennesimo tentativo di suicidio. Si è ripreso abbastanza in fretta, ma la minaccia di tornare in prigione era ancora in agguato.
Questo martedì (7 Febbraio, ndt), presso il Tribunale regionale di Bialystok, è stata fissata la data di appello contro la decisione del tribunale di primo grado [riguardante il] prolungamento della sua detenzione.
La legge polacca sulla concessione della protezione agli stranieri sul territorio della Repubblica di Polonia consente, in determinate circostanze, una decisione d’ufficio sul rilascio da un centro sorvegliato. Secondo la documentazione raccolta, Sewar soddisfa questi requisiti; il capo dell’Ufficio stranieri ha emesso un documento di rilascio e il tribunale ha dovuto respingere la richiesta di prolungare la detenzione – la lotta per i diritti del nostro amico siriano ha finalmente avuto effetto.
Lo stesso giorno le guardie di frontiera sono venute a prenderlo in ospedale e si sono offerte di portarlo prima nel luogo in cui ha trascorso le ultime settimane in isolamento, il centro di detenzione di Białystok, per prendere i suoi effetti personali. Sewar si è opposto fermamente, dicendo di voler dimenticare questa struttura.
“Mi hanno spezzato il cuore lì dentro più volte”, ha detto.
Ora Sewar è finalmente libero e ha trovato posto in un centro aperto a Dębak, vicino a Varsavia.
Questo successo è dovuto agli sforzi congiunti di diverse persone – attivistu, avvocatu, Ufficio del Mediatore e naturalmente singoli individui – che hanno cercato di fare pressione sulle Guardie di frontiera e su qualsiasi istanza decisiva.
Naturalmente, tutto questo non sarebbe necessario se non esistesse la questione dei confini, ma per ora festeggiamo. Domani torneremo a combattere.

Lettera di Nazar

Il 7 Febbraio, Nazar, originario dell’Iraq, ha iniziato uno sciopero della fame presso il Centro sorvegliato per stranieri di Przemyśl. Ha 26 anni. Imprigionato in questa struttura, ha già trascorso un anno e mezzo, poiché le decisioni sulla sua detenzione prolungata vengono regolarmente rinnovate ogni pochi mesi dal tribunale.
In questo sistema crudele, gli esseri umani non contano, ed è per questo che gridiamo forte insieme:
“Libertà per Nazar e per tuttu lu detenutu!!!”
Di seguito pubblichiamo la lettera in cui annuncia l’inizio della protesta.
AL COMANDANTE
Caro signore/signora
Voglio informarla che da oggi, 7 Febbraio 2023, inizio uno sciopero della fame.
Desidero informarla del fatto che non voglio infrangere in alcun modo nessuna regola. La mia attuale situazione mi sta portando a farlo ed ho perso il mio appetito.
Sono stato in questo centro di detenzione per più di 18 mesi, e ciò è ingiusto.
Sono fuggito dal mio paese a causa delle brutte esperienze e della violenza che lì ho incontrato. Sono venuta in Europa sperando di poter vivere una vita normale per un essere umano, ma mi ritrovo a soffrire ancora.
Vedo molte persone portate in questo campo e poi rilasciate e non so nulla riguardo ciò che avviene nel mio caso e del perché. Per questa ragione vado in sciopero della fame!!!
Con rispetto.
Nazar Ibrahim”

–La frontiera si è presa un’altra vita: questa volta si tratta di una giovane donna etiope.

Era in viaggio con il marito e altri due uomini. Preoccupati per le sue condizioni, due uomini hanno lasciato la foresta per cercare aiuto, sacrificando la possibilità di rimanere in Europa e tutti gli sforzi fatti per attraversare il confine. Purtroppo, la polizia e le guardie di frontiera hanno ignorato le loro richieste di aiuto e hanno rimandato gli uomini in Bielorussia.

Dopo qualche tempo, lu attivistu al confine sono statu contattatu da un terzo uomo – il marito della donna, rimasto con lei nella foresta. Si è scoperto che è già in Bielorussia e che la moglie è ancora nella foresta. Probabilmente quando i primi due membri del gruppo non sono tornati, ha deciso di cercare aiuto lui stesso, è incappato nella Guardia di frontiera [polacca] o nella polizia e ha incontrato lo stesso destino: ha chiesto di salvare la persona che amava ed è stato preso dai servizi [di polizia] e respinto in Bielorussia.

Il 12 Febbraio, lu attivistu hanno trovato il corpo di una donna nel bosco.

Mentre la tragedia si consumava al confine, i leader dell’Unione Europea si sono riuniti a Bruxelles per discutere della crisi migratoria. Tuttavia, le discussioni sono state incentrate sul problema piuttosto che sulle opportunità o sui diritti umani. I leader hanno celebrato il successo del loro approccio globale alla migrazione, sviluppato nel corso degli anni per allinearsi ai principi e ai valori dell’UE. In realtà, però, l’unico risultato di questo approccio è stata l’ennesima morte alle frontiere esterne. L’Unione Europea dà apertamente la priorità ad un’azione esterna di ampio respiro, che comprende la pressione sui Paesi del Sud globale per fermare la migrazione, e la protezione delle frontiere esterne dell’UE ad ogni costo.

La legalizzazione dei respingimenti da parte del governo polacco viene tenuta nascosta e l’Unione Europea non affronta la questione. Potrebbe sembrare che l’UE dia priorità ai diritti umani, ma finanzia la costruzione di dighe ai suoi confini esterni e investe in infrastrutture, tecnologia e armi per mantenere il cosiddetto stile di vita europeo. Le azioni dell’UE suggeriscono la volontà di privilegiare le apparenze rispetto a un’autentica preoccupazione per i diritti umani.

Ogni confine uccide, quindi combatteremo efficacemente il mito della cosiddetta fortezza Europa. Non dimenticheremo nessuna delle sue vittime, né perdoneremo [chi le ha uccise].

 

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Nuova procedura per la riserva: a Kharkiv i commissariati militari hanno aumentato la mobilitazione presso le imprese oltre a consegnare le convocazioni per strada

Traduzione dall’originale “Новый порядок бронирования: харьковские военкомы усилили мобилизацию на предприятиях помимо раздачи повесток на улице”

Dodici soldati con tablet si sono schierati all’entrata e all’uscita della stazione della metropolitana “Turboatom” la mattina del 24 Gennaio. Foto di testimoni oculari

Nota
Per rendere scorrevoli determinate frasi e termini, abbiamo fatto qualche lieve modifica, aggiungendo, dove ritenevamo opportuno, delle parentesi quadre.
Pur non essendo madrelingua e tanto meno dei russist*, abbiamo utilizzato come materiali di studio:
-“Dizionario essenziale Russo-Italiano Italiano-Russo a cura di Edigeo”, Zanichelli, 1990; “Dizionario Russo-Italiano, Italiano-Russo”, edizioni “Perun”, 2002.
-“Grammatica russa. Manuale di teoria” di Claudia Cevese e Julia Dobrovolskaja del 2018
-Wiktionary versioni inglese e russa

 

Il primo mese del 2023 è stato caratterizzato dalle informazioni sulla mobilitazione reciproca delle due parti in guerra. I tecnici del Cremlino hanno persino creato falsi canali Telegram per diffondere il panico sulle convocazioni [in Ucraina], inventando quattro nuove stazioni della metropolitana a Kiev e confondendo la Gosprom di Kharkiv con la Gazprom – con i commenti chiusi, in modo che nessuno potesse dire che si trattava di una bufala. [La cosa fa] ridere, ma la faccenda puzza davvero di cherosene: entrambi gli eserciti stanno subendo pesanti perdite e si preparano, comunque, ad avanzare, nonostante questi sperino in una svolta finale della guerra a proprio favore. I patrioti vengono sostituiti qua e là da patrioti volontari coatti – pena essere perseguiti penalmente o, semplicemente, perché non riescono a sfamare le loro famiglie nella vita civile. L’intrigo principale di questo periodo è quale dei due regimi dittatoriali crollerà rapidamente a causa [della guerra].

Il 20 Gennaio, le amministrazioni statali di Podil e di Dnipro a Kiev hanno rivolto ai capi degli enti statali, delle ditte, delle istituzioni e delle aziende la richiesta di fornire i dati sul personale soggetto a richiamo [militare] entro il 31 Gennaio al TCCSP (Centro Territoriale del Personale e Assistenza Sociale, ndt) della città di Kiev e di assicurarne l’arrivo al Centro.

In primo luogo, la classe operaia si ritrova nel fuoco incrociato del Capitale. Da un lato, per evitare il fastidio di catturare le vittime per strada, è più facile recarsi in una qualsiasi azienda lavorativa ed emettere convocazioni a chi si vuole, oppure si chiede agli imprenditori di fornire gli elenchi. Allo stesso tempo, molte persone delle grandi imprese sono state mobilitate da tempo, mentre nelle piccole e medie imprese non sono ufficialmente registrati [negli uffici di arruolamento militare]; quindi i safari per strada non si fermeranno.

Ieri ne hanno presi cinque da una fabbrica vicino alla fabbrica Shevchenko. Non erano riusciti a prelevare all’ATB, al mercato e all’incrocio [della strada]; quindi si sono diretti verso le aziende. [Possono agire legalmente] sul luogo di lavoro”, ha riferito il 12 Gennaio la rete di intelligence dell’Assembly. “Finora questi ragazzi sono stati mandati alla commissione medica, anche se sono contrari. Quelli della nostra azienda che volevano arruolarsi sono già in servizio, alcuni da Febbraio [dello scorso anno]. Vi è lì un ragazzo che lavora come caricatore; se lo portano via, il magazzino rimarrà senza un conducente di carrelli elevatori, e non si potrà assumere chiunque lì: il sistema di scaffalature è complicato. Nel 2014-15 è stato lo stesso: quando si fa domanda di lavoro, si presenta una copia del certificato di registrazione militare e l’ufficio del personale trasmette il tutto all’ufficio di arruolamento militare.”

Il 25 Gennaio, il dipartimento del personale dello stabilimento di “Pivdenkabel” avevano portato le convocazioni compilate per i dipendenti di età compresa tra i 30 e i 50 anni. “[Ad un] anziano non avevano dato 58 anni; avevano esaminato [lo stato militare] e non l’età”.

In precedenza, alla “Ipris-Profil Ltd.”, [i militari] sono andati all’ufficio del personale e hanno preso i dati di tutti i dipendenti maschi dai 18 ai 60 anni. Allo stabilimento di cuscinetti “HARP”, dove sono rimaste 250 persone, hanno chiesto le liste delle riserve e hanno inviato più di 100 convocazioni. Questa mattina c’è stata un’incursione nei pressi della “Agromol” di Rogan: “C’erano 6 persone in piedi, 2 pattuglie. Presso la fabbrica di carne di Rogan [vi è] la stessa storia: all’entrata vi è gruppo [che controlla] chi passa. Poi hanno iniziato a camminare lungo la zona industriale tra il birrificio e l’impianto di lavorazione della carne”. Di recente sono venuti anche alla fabbrica di piastrelle, consegnando convocazioni a tutti quelli che avevano il turno lavorativo. Il 13 Gennaio, il servizio stampa di Kharkivgaz ha riferito su Facebook che i figli di 30 colleghi mobilitati hanno ricevuto regali dall’azienda. Ne consegue che nemmeno lo status di lavoratori delle infrastrutture critiche possano salvare i genitori dalla leva…

Sempre il 25, dieci persone sono state prelevate dalla fabbrica di gelati “Khladoprom” e il giorno successivo altre dieci sono state “spinte su un autobus come un branco di pecore”. Alla “Svitlo Shakhtarya”, il 26 Gennaio, sono state prelevate 25 persone e c’era un piano per prenderne altre 75. “Finora non li hanno portati via: hanno consegnato le convocazioni e le persone si sono recate personalmente all’ufficio di registrazione e arruolamento militare [ – questo] solo chi ha già prestato servizio, come [avvenuto] in altri stabilimenti. E quando superano la commissione medica, vanno al fronte alla prima chiamata. Potrebbe essere tra una settimana o un mese. L’armatura fu data prima agli uomini e poi tolta.1 Si dice anche che i membri del TCCSP siano già stati in questa fabbrica e abbiano preso quelli che volevano.

Controllano regolarmente l’ingresso della [fermata] “Turboatom”. Secondo la nostra fonte ben informata, un avvocato è stato schedato ma il 20 Gennaio ha ricevuto una convocazione al posto di blocco: “Hanno detto che non era stato schedato in questo modo, anche se era stato fermato un centinaio di volte in metropolitana e per strada. Una settimana dopo era andato all’ufficio di arruolamento; non era affatto preoccupato. Nessuno gli aveva dato retta e il computer non era stato avviato. Lunedì 30 doveva recarsi alla commissione medica. Che confusione!” Non solo, è stato registrato nel distretto di Kyev, ma è stato accettato e registrato nel distretto di Nemyshlianski (distretto urbano della città di Kharkiv, ndt).

Poiché dalla fine dell’anno scorso sono stati rafforzati i doveri dei datori di lavoro nel facilitare la mobilitazione – fino a concedergli il diritto di consegnare personalmente le convocazioni -, i padroni temevano di rimanere senza forza lavoro. Come previsto da “Assembly”, nella riunione del 27 Gennaio il Consiglio dei Ministri ha approvato la procedura per la riserva dei coscritti militari, da tempo richiesta dalle imprese, nonché i criteri per l’identificazione delle imprese essenziali per il funzionamento dell’economia.

Secondo la nuova procedura, è possibile [rendere] riservisti fino al 50% dei dipendenti necessari al funzionamento di un’azienda. Un’impresa è considerata essenziale in base all’importo totale di tasse e imposte pagate (oltre 1,5 milioni di euro), ai guadagni in valuta estera (equivalenti a 32 milioni di euro), all’ “importanza strategica per l’economia e la sicurezza del Paese”, all’ “importanza per le esigenze della comunità territoriale”, nonché [essere registrata presso la] “Diia City”2.

Un 55enne residente a Kharkiv ha pagato 3.000 dollari ad un contrabbandiere usando una termocamera, in modo da andare dalla Transcarpazia all’Ungheria. Per attraversare il fiume Tibisco, gli ha dato una muta. Le guardie di frontiera li hanno presi nei primi giorni di Gennaio a 600 metri dal confine […]

In previsione di queste restrizioni, gli uffici di arruolamento militare sono aumentati, sebbene abbiano lasciato spazio per le attività lavorative.

Ci sono informazioni dove tutte le imprese di Kharkiv hanno detto ai propri reparti del personale di preparare delle liste di uomini essenziali per l’azienda e che il numero totale di uomini dell’azienda mobilitati sia il 20%. I lavoratori di molte grandi imprese li avevano convocati presso il Centro territoriale di reclutamento e sostegno sociale di Kharkiv e questo è stato l’annuncio. Informazioni di prima mano, per così dire. Coloro che non hanno presentato la domanda entro il 20 di questo mese, verranno multati con una piccola [ammenda] e ci sarà una forte incursione nell’azienda – che abbiamo già cominciato a vedere. Saranno prese in esame tutte le imprese della città con più di 50 dipendenti. L’ufficio del personale sarà chiamato e consegnerà [le liste] già compilate, senza i militari, poiché l’azienda firmerà per loro. Il tempo ci dirà se sceglieranno quelle più piccole”, ci ha detto il 27 una fonte di una delle principali aziende private di Kharkiv.

Un altro interlocutore ha [consigliato] una scappatoia: Nel 2014 ho lavorato in una fabbrica molto famosa di Kharkiv, che funziona ancora oggi; il punto è che i dipendenti di questa fabbrica, il 70%, avevano un grado militare (dipartimento militare), compreso me, e questa azienda aveva un proprio ufficio di registrazione. Anche a noi è stata consegnata una pila di convocazioni e ci è stata data una settimana di tempo, al termine della quale l’ufficio del personale è stato costretto a riferire. L’hanno portata ai capi reparto e ai rappresentanti sindacali, tutti; tante persone si sono dimesse, e l’ufficio del personale ha poi presentato un rapporto all’ufficio di reclutamento in cui si affermava che i dipendenti erano stati convocati ma non si erano presentati al lavoro. Di conseguenza sono stati licenziati in seguito alla convocazione. All’epoca funzionò, ma l’azienda perse molti dipendenti, me compreso. Non so cosa sia successo dopo, e credo che adesso il problema sia lo stesso. Non è così semplice. Se si firma e non si va, si viene multati di una o due volte il salario massimo e poi denunciati penalmente. Se non firmate, redigono un rapporto su di voi e possono licenziarvi o consegnarvi all’ufficio arruolamento. Un [mio] conoscente [mi ha detto che] la sua azienda aveva ricevuto [un rapporto] una settimana fa: dal vicedirettore al capo officina, dall’ingegnere energetico all’operaio. Hanno detto che le multe erano molto alte e che “la [loro] camicia è più vicina al [proprio] corpo3. [Le multe erano dirette] a 120 persone, 20 delle quali erano dirigenti. Ecco perché si licenziavano dall’azienda: non presentandosi al lavoro, non potevano ricevere una notifica di arruolamento e l’azienda non pagava le tangenti. Poi, se l’azienda li apprezzava, poteva assumerli con un contratto o con uno stipendio in grigio”.

E c’è un’altra storia dal canale “Subpoena Kharkiv” -quello vero, non un IPSO4:

Un amico del quartiere di di Saltivka è stato portato via domenica (29 Gennaio – n.d.r.) per un addestramento. Prima di allora, ha ricevuto una convocazione in autunno e non è stato preso, anche se ha superato una visita medica. Non ha voluto prestare servizio, l’hanno solo iscritto nel registro. Poi ha trovato un lavoro come bidello in una scuola e pensava che questo [lavoro] gli avrebbe dato una protezione; ma di recente gli è arrivata una convocazione al lavoro e allora lo hanno preso sul serio. Si è presentato, i militari lo hanno fermato e, dopo una breve conversazione, gli è stata data la possibilità di scegliere tra fanteria e truppe d’assalto aviotrasportate. Ha scelto la fanteria. Gli è stato detto che avrebbe trascorso un paio di settimane nel campo di addestramento e che, se si fosse dimostrato all’altezza, sarebbe potuto diventare sergente, e in un paio di mesi avrebbe potuto essere riqualificato come ufficiale – aveva un’istruzione superiore. Non aveva mai prestato servizio [nell’esercito], aveva una biglietto bianco 5 e, secondo lui, aveva un’inidoneità. Divertente. Ma in tutta onestà, tra i miei conoscenti, questo è il primo caso. Quelli che non dovrebbero prestare servizio non sono stati portati via. Forse ora qualcosa è cambiato. Personalmente, non credo che portino tutti nell’esercito perché non digeriranno una simile situazione e saranno un peso morto.

Nel frattempo il gatto randagio Stepan del distretto di Saltivka è già a Monaco, mentre tu continui a stare chiuso in una gabbia e sei tenuto a prestare servizio militare – senza poter comprare la tua libertà

La cosa principale che le persone inidonee devono avere è il timbro del capo del TCCSP. Senza il timbro, non si tratta di una convocazione ma di una semplice lettera. Se si viene fermati e viene emessa una citazione in giudizio perché non c’è il timbro, si deve andare al centro di reclutamento per ottenerlo e mostrare così che possono cancellarvi [dalle liste]. Dopodiché, se mostrate questo documento di inidoneità per strada, dovrebbero lasciarvi andare senza ulteriori domande – anche se, come abbiamo visto sopra, dipende anche dalla persona che vi ferma. Un tecnico del servizio di emergenza dell’azienda Gorgaz ci ha detto che ha una multa nonostante tale documento e il suo capo si è mosso: come nel caso dell’avvocato [fermato a] “Turboatom”, l’essere inidoneo non funzionava più – anche se prima andava bene. Potete essere multati di 3400 grivne (pari a 86 euro, ndt) se siete convocati e non vi presentate nel vostro luogo di residenza o di lavoro – la legislazione non prevede altre modalità AL MOMENTO.

Coloro che sono idonei, si possono ricordare dell’esperienza dello “Yuzhnoye” di Dnipropetrovsk durante la mobilitazione dell’estate 2015. All’epoca c’erano molti giovani e i lavoratori si mettevano in guardia dalle compagnie militari camuffate vicino alla portineria principale. Nell’azienda vi era un sistema di chiamate quando questi apparivano – e si aspettava fino a quando andavano via, specie se qualcuno [entrava e/o usciva] dalla fabbrica. E, naturalmente, non dimenticate la pubblicità mediatica. Tra l’altro, questa funzionato per il mancato pagamento dei salari, come dimostrato dall’azione contro MR520 di Kharkiv.

Nella guerra dei ricchi per diventare ancora più ricchi, la cosa principale per la gente comune non è vincere. L’importante è non prendervi parte!

Note del Gruppo Anarchico Galatea

1L’armatura è una sorta di differimento dalla coscrizione militare per quei lavoratori che svolgono lavori essenziali e vitali per l’economia di un paese in guerra. Il termine viene usato nel mondo russo e ucraino.

2La “Diia City” è un regime legale e fiscale speciale che crea condizioni favorevoli per lo sviluppo del business informatico, oltre a introdurre una serie di incentivi affinché l’Ucraina diventi uno Stato digitale ad alta tecnologia.

3È un proverbio russo che significa “il proprio benessere e quello dei propri cari è più importante degli interessi delle altre persone.” Il proverbio deriva da un verso della commedia latina “Trinummus” (“Le tre dracme) di Plauto: “Tunica propior pallio est”. Fonte: “Le Commedie di M. Accio Plauto con traduzione e note (testo latino a fronte). Volume Unico”, Tip. di Giuseppe Antonelli, Venezia, 1847, pagg. 109-110. Link: https://archive.org/details/le-commedie-di-m.-accio-plauto-con-traduzione-e-note-1847

4Acronimo di “Operazione informativa e psicologica”. Utilizzata dal governo russo, serve per attaccare informaticamente, disinformare, propagandare ed esagerare alcune informazioni o minimizzarne altre.

5Il biglietto bianco è un documento di registrazione militare rilasciato alle persone non idonee al servizio militare causa motivi di salute e/o altre problematiche.

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Turchia: disastro a tutto spiano

Il disastro e i morti

Il 6 Febbraio, due terremoti di magnitudo 7,7 e 7,6 della scala Richter hanno colpito le province turche di Kahramanmaraş e Gaziantep e parte della Siria del Nord. Entrambi i terremoti sono stati avvertiti in buona parte del Mediterraneo Orientale; nelle aree colpite, invece, continuano a verificarsi numerose scosse di assestamento. 1

Per Adam Pascale, capo del Centro di Ricerca Sismologico australiano, “queste scosse di assestamento continueranno per anni con magnitudini minori. Ma quelli che causeranno movimento e scuotimento del suolo, creando problemi per i soccorsi, continueranno probabilmente per giorni, se non settimane”. 2

Fino a questo momento, 8 Febbraio, vi sono stati circa 11mila morti e 37mila feriti.

Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato un “lutto nazionale per sette giorni” mentre il ministro degli Interni Süleyman Soylu ha affermato: “Tutte le nostre squadre sono in stato di massima allerta. Abbiamo emesso un’allerta di livello 4. Si tratta di un’allerta che include l’assistenza internazionale.”

I soccorsi, composti da oltre 24mila persone, sono stati difficili a causa della vasta area geografica, delle cattive condizioni meteorologiche, dei danni agli edifici pubblici, alle strade e alle infrastrutture.

Nonostante le dichiarazioni rassicuranti dei funzionari statali, i rapporti dalla regione colpita mostrano come gli sforzi di soccorso sono principalmente nei centri urbani, mentre i paesi e/o villaggi non hanno ancora ricevuto aiuti.

Il sindaco della municipalità metropolitana di Gaziantep, Fatma Şahin, che ha partecipato telefonicamente al canale Youtube del giornalista Cüneyt Özdemir, ha risposto così alla domanda “Siete riusciti a determinare quanti edifici sono crollati?”: “Più della metà del distretto [di İslahiye], con una popolazione di 60.000 abitanti, è scomparsa. C’è un disastro completo”.3

Gli ospedali pubblici, l’aeroporto di Hatay, gli edifici comunali, le condutture del gas naturale, le infrastrutture elettriche e molte strade interurbane sono stati danneggiati dal terremoto. Le condizioni meteorologiche nevose stanno influenzando l’intervento degli aiuti e riducono le speranze di salvare le persone ancora vive e sotto le macerie.

Il sindaco della città metropolitana di Hatay, Lütfü Savaş, è intervenuto telefonicamente nel programma “Teke Tek” del canale televisivo Habertürk: “La situazione ad Hatay è molto grave. Purtroppo abbiamo problemi sia in termini di perdite di vite umane che di macerie edilizie. Circa 1200 edifici sono crollati. Per lo più nel centro della città. Stessa situazione ad Antakya, Kırıkha e İskenderun. Stiamo cercando di salvare [le persone] con i nostri mezzi. Non possiamo far entrare le attrezzature edilizie in modo eccessivo. Le attrezzature da costruzione possono danneggiare le persone intrappolate. Ci stiamo dirigendo verso le persone che possiamo salvare con urgenza. Ci sono persone che hanno scritto i nomi alla nostra squadra di soccorso dicendo: “Ho un parente lì”. Lo facciamo con i nostri mezzi dalle 5 del mattino. È un disastro che il comune non può gestire. Abbiamo bisogno di squadre di ricerca e soccorso in tempi rapidi. Sia le persone che gli strumenti e le attrezzature. Fuori ci sono 2-3 gradi. Sta piovendo. Le persone possono perdere la vita a causa dell’ipotermia”4

Le responsabilità e le opportunità borghesi

Il fatto che le conseguenze devastanti dei due terremoti fossero del tutto prevedibili e prevenibili sottolinea come il governo Erdoğan e le municipalità locali e le istituzioni statali competenti abbiano chiuso gli occhi di fronte all’imminente disastro.

Le dichiarazioni del geologo turco Naci Görür, rilasciate a Fox TV, dimostrano l’intento premeditato omicida statale: “Ho saputo del terremoto verso le 4 del mattino e ho iniziato a piangere involontariamente, non riuscivo a tornare in me. Tutti i geologi sani di mente, me compreso, hanno detto mesi e anni fa che questo terremoto era imminente. Quando si è verificato il terremoto di Elazığ, [le provincie di] Çelek, Ermenek e Kahramanmaraş sono diventati gli obiettivi [dei nuovi e futuri terremoti]. Sebbene lo avessimo detto tra il 2020 e il 2023, non abbiamo ricevuto alcuna reazione dagli amministratori locali di quell’area. Nessuno di loro ha detto “cosa stai dicendo””. Abbiamo previsto che si sarebbero verificati dei terremoti sulla faglia anatolica orientale. Ho visto che la gente di Elazığ non si rendeva conto di vivere in una città terremotata e abbiamo tenuto conferenze in città. Ho tenuto discorsi all’Università di İnönü e mi sono rivolto al pubblico di Malatya. A questo punto abbiamo preparato un progetto coinvolgendo il Comando generale per mappare [l’area]. L’abbiamo presentato all’urbanistica, al TÜBİTAK 5, ma è stato respinto. […] In questo c’è una matematica molto semplice: quando è avvenuto il terremoto di Elazığ, Elazığ era avanzata in avanti. La frattura di questo terremoto ha raggiunto [la provincia di] Malatya. La parte da Malatya a Kahramanmaraş non si era rotta. Quando una [parte di] faglia trascorrente (o strike-slip fault, ndt) [come quella Anatolica Orientale] si rompe, trasferisce energia alla parte non rotta. Sulla base di questo semplice dato scientifico, abbiamo detto: “Ora la provincia del Kahramanmaraş è minacciata, fate attenzione!”” Faccio qui un altro esempio eclatante: quando c’è stato il terremoto del 17 Agosto 1999, i geologi, compreso me, hanno detto “Attenzione alla provincia di Düzce! Attenzione a Marmara!” Lo abbiamo detto subito dopo il 17 agosto. Poiché abbiamo detto attenzione “a Düzce”, a Düzce sono stati fatti immediatamente i preparativi per il terremoto. Tre mesi dopo, dopo il nostro avvertimento, è arrivato il terremoto e 803 persone sono morte perché era di magnitudo 7.2. Stiamo ancora aspettando Marmara. Non c’è stato ancora alcun terremoto. Insomma, questo è il nostro monito scientifico! Non è “l’uomo ha detto questo!” Questa è scienza! Questa è una previsione scientifica e sta accadendo. Non facciamo cartomanzia.”6

L’indifferenza del governo turco e del partito di maggioranza sulla questione prevenzione e terremoti, si era palesata un paio di mesi fa con Kayseri Mehmet Özhaseki, ex ministro dello Sviluppo e Pianificazione Urbana e attuale deputato e vicepresidente dell’AKP per le amministrazioni locali. Il parlamentare turco, dopo il terremoto del distretto di Buca del 4 Novembre 2022 (magnitudo 4,9 della scala Richter, 2 morti e 20 edifici lesionati), aveva detto che “in un contesto di crescente prosperità e sviluppo, tutti hanno il diritto di vivere in case belle. […] negli ultimi cento anni, il numero di terremoti di magnitudo pari o superiore a 6 in Turchia è arrivato quasi a 60. Il numero di persone uccise è di 82 mila. Abbiamo perso 82 mila vite a causa dei terremoti. È la legge della natura, Dio l’ha creata così, c’è un movimento nel sottosuolo. È necessario agire di conseguenza. Siamo musulmani. Ma Allah ha anche dato agli esseri umani la saggezza. La scienza esiste. Se in Giappone c’è un terremoto di magnitudo 7-7,5 e tutti dormono al caldo nelle loro case, e se nel nostro Paese c’è un terremoto di magnitudo 5-6 e la gente si butta fuori e va incontro alla morte, non possiamo chiamare questo risultato destino. La colpa è nostra. Pertanto, dobbiamo rendere le nostre case resistenti ai terremoti.”7

Il progetto governativo a cui alludeva Özhaseki è quello sulla trasformazione urbana: da anni il governo turco e l’AKP, per incentivare l’economia nazionale, hanno normato e avvallato una serie di misure atte ad abbattere, ricostruire, restaurare e/o costruire edifici multipiani.

La dichiarazione e i progetti in corso avevano fatto arrabbiare, e non a torto, il citato geologo turco: “Le persone che vivono in 50 mila edifici di Istanbul rischiano di morire da un momento all’altro a causa dei terremoti. [Il governo dovrebbe dire] prima di tutto [la seguente:] renderò questi 50 mila edifici sicuri dal punto di vista sismico, poi costruirò e vi darò gli alloggi per gli altri. Allora avrei capito [una politica del genere]. Invece il governo non dice questo, dice solo costruirò 250 mila case e le venderò.””8

La velleità del profitto e della speculazione si inserisce nell’attuale contesto del terremoto: le aziende produttrici di cemento quotate presso la Borsa di Istanbul (quali Konya Çimento, Çimbeton, Afyon Çimento, Oyak Çimento e Nuh Çimento) hanno visto aumentare i loro guadagni tra il 16,5% e il 20,5% nei giorni del 6 e 7 Febbraio,.9

L’annullamento delle negoziazioni dei giorni 6 e 7 Febbraioe la chiusura della Borsa di Istanbulper una settimanada parte del governo, non è stata per una questione di decenza o atto umanitario: è servita solo per evitare danni di immagine (e quindi economici) verso quelle imprese fondamentali per la ricostruzione e i progetti edili del governo.

I miliardi di dollari di danni provocati da questi due terremoti (in cui sono annesse le scosse di assestamento) in territori che contribuivano all’8,5% delle esportazioni e al 6,7% delle importazioni nazionali, si tradurrebbe in una spartizione di futuri appalti governativi per la ricostruzione (specie infrastrutture stradali e ferroviarie) tra le grandi aziende edili e il mondo politico turco.

Chi pagherà pegno di questa situazione saranno le comunità locali che, oltre ad essere state decimate dal terremoto e controllate attualmente dall’esercito, verranno deportate nel breve e/o medio termine in altri luoghi – e possibilmente pericolosi a livello geologico.

Così il sistema di poteri turco, utilizzando artifici retorici – come divinità, progresso, unità nazionale e natura -, riesce a nascondere la propria responsabilità criminale su questa ennesima catastrofe e, al tempo stesso, tenere stretto i privilegi economici in una situazione nazionale disastrata – tra inflazione galoppante, salari ai minimi storici 10e svalutazione monetaria.

Note

2“Relief workers brave Türkiye-Syria aftershocks to aid quake response”, Channel New Asia, 7 Febbraio 2023. Link: https://www.channelnewsasia.com/world/turkey-syria-earthquake-turkiye-aftershocks-relief-workers-humanitarian-aid-3260291

3“Fatma Şahin “60 Bin kişilik ilçede evlerin yarısı yok oldu” | Cüneyt Özdemir | Gaziantep Depremi.” Nella descrizione del video vengono riportati i seguenti punti: metà di una città di 60.000 abitanti distrutta; abbiamo urgentemente bisogno di pane e di coperte; un milione di persone stanno passando la notte per strada; tutte le strutture sociali aperte ai cittadini Link: https://www.youtube.com/watch?v=0NZlaH0OZvk

4“Hatay Büyükşehir Belediye Başkanı Lütfü Savaş: 1200 civarında bina yıkıldı”, haberturk.com, 6 Febbraio 2023. Link: https://www.haberturk.com/hatay-buyuksehir-belediye-baskani-lutfu-savas-1200-civarinda-bina-yikildi-3563012

5Acronimo di “Türkiye Bilimsel ve Teknolojik Araştırma Kurumu”; traduzione di “Istituto di Ricerca Scientifica e Tecnologica della Turchia. È un’agenzia statale della Turchia il cui obiettivo è sviluppare politiche di “scienza, tecnologia e innovazione”, sostenere e condurre attività di ricerca e sviluppo (in linea con le priorità nazionali) e svolgere un ruolo di primo piano nella creazione di una cultura scientifica e tecnologica nel paese. Il TÜBİTAK funge anche da agenzia di consulenza per il governo turco e funge da segretariato del Consiglio supremo per la scienza e la tecnologia, il più alto organo decisionale scientifico e tecnologico in Turchia.

6“Naci Görür FOX TV canlı yayınında böyle isyan etti: ‘Fay hattı için projemiz reddedildi!’”, cumhuriyet.com.tr, 6 Febbraio 2023. Link: https://www.cumhuriyet.com.tr/turkiye/naci-gorur-fox-tv-canli-yayininda-boyle-isyan-etti-fay-hatti-icin-projemiz-reddedildi-2048935

7“Özhaseki’den deprem açıklaması”, kayserianadoluhaber.com.tr, 5 Novembre 2022. Link: https://www.kayserianadoluhaber.com.tr/ozhaseki-den-deprem-aciklamasi/84482/

8“Prof. Dr. Naci Görür durdu durdu sonunda patladı: Sadece inşaat yapıldığını duyuyoruz”, yenicaggazetesi.com.tr, 7 Novembre 2022. Link: https://www.yenicaggazetesi.com.tr/prof-dr-naci-gorur-sonunda-patladi-sadece-insaat-yapildigini-duyuyoruz–594888h.htm

9“Allah belanızı versin. Çimento hisseleri bugün de tavan yaptı. Bu toplum ne zaman böyle kötü oldu”, yenicaggazetesi.com.tr, 7 Febbraio 2023. Link: https://www.yenicaggazetesi.com.tr/cimento-hisseleri-bugun-de-tavan-yapti-627131h.htm

10“Aumentano gli scioperi e le proteste per i salari mentre l’inflazione cresce in Turchia”. Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/10/13/aumentano-gli-scioperi-e-le-proteste-per-i-salari-mentre-linflazione-cresce-in-turchia/

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L’organizzazione anarchica in tempo di guerra e di crisi

Traduzione dall’originale “Анархическая организация во время войны и кризиса”

Nota introduttiva del Gruppo Anarchico Galatea

La sfiducia verso i governi e gli Stati, qualsiasi essi siano, non è mai di natura puramente ideologica o un atto di fede (religiosamente parlando): trae origine, semplicemente, dall’incapacità di queste strutture nel salvaguardare la vita e i bisogni delle persone che abitano in determinati territori. Una guerra guerreggiata tra due o più Stati esacerba maggiormente questa sfiducia.

Quel che avviene in Ucraina è la dimostrazione di tutto ciò.

L’articolo che presentiamo è stato scritto il 5 Marzo 2022 dall’anarchico ucraino Saša Kaluža.

In questa prima fase del conflitto, lu compagnu analizza la diffidenza della popolazione verso le strutture governative ucraine e la relativa tragedia della guerra, concentrandosi su pratiche di mutuo aiuto e difesa anarchica contro le violenze dei due Stati – tra cambi di fronte, propaganda martellante da ambo le parti, massacri di civili e distruzioni di intere città –, superando de facto il campismo e altre imbecillità imperanti e tipiche del mondo occidentale (o da “primo mondo”) – veicolate dai mass media tradizionali e parte della cosiddetta “controinformazione compagnesca”.

Guerra tra due Stati

Il 24 Febbraio, le truppe della Federazione Russa hanno lanciato una cosiddetta operazione in Ucraina con l’obiettivo ufficiale di smilitarizzare e denazificare il paese e rovesciare l’attuale presidente e il resto delle autorità che operano in Ucraina. Vale la pena notare che nelle dichiarazioni ufficiali, la Russia non usa la parola guerra: utilizza, invece, il termine “operazione”, mentre le autorità ucraine la chiamano “guerra” – sebbene non abbia ufficialmente dichiarato guerra alla Russia. Entrambe le parti, tramite la propaganda e la disinformazione, utilizzano le parole guerra, occupazione, invasione, liberazione, smilitarizzazione e tante altre con lo scopo di elevare [e/o suscitare] sentimenti patriottici e nazionalisti. Questo è un modo moderno per falsificare i concetti e condurre la retorica sulla guerra.

Se questa è un’operazione, non una guerra, le cifre fornite sulle vittime militari o civili potrebbero non sembrare così spaventose.

Se questa è un’occupazione, suona più spaventoso di un attacco; il che significa che l’attacco non finisce in una sconfitta ed è seguito da qualcosa di più lungo termine. I termini fascismo e nazismo risuonano da ambo le parti, perdendo il loro significato originale.

Direzioni di attacco delle Forze armate russe (1 Marzo 2022, ndt)

L’attacco dell’esercito russo all’Ucraina è un buon esempio di guerra non convenzionale moderna, in cui non esistono confini e linee del fronte ben definite; le tattiche di cattura e conquista non sono utilizzate ovunque, ma principalmente in luoghi strategicamente importanti, e viene utilizzata un’ampia gamma di armi tecnologiche moderne e di contromisure ad esse.

Nei primi giorni, le politiche repressive di occupazione e distruzione totale sono state sostituite daastute strategie di occupazione dinamiche e di passaggio dei siti più importanti dell’Ucraina (diga di Kherson, centrale nucleare di Chernobyl, blocco delle grandi città, sequestri dei campi d’aviazione, importanti snodi logistici, autostrade, snodi stradali e così via dicendo) che possono essere immediatamente utilizzati per una maggiore pressione politica ed economica e per la propaganda.

Nell’applicazione di queste intense tattiche di passaggio, la campagna, che occupa un’enorme parte dell’Ucraina, rimane poco o per nulla controllata se non vi sono importanti e grandi basi militari o strutture strategiche. La creazione di strutture di contrapposizione partigiana o di guerriglia nelle campagne e l’uso attivo delle tattiche da “mordi-e-fuggi” fin dai primi giorni della guerra, avrebbe potuto alterare in modo significativo l’equilibrio di potere nelle prime fasi e ridurre in modo significativo la velocità di avanzata delle truppe russe. Tuttavia, il governo e le forze armate ucraine hanno deciso di agire nel modo classico, formando strutture armate volontarie, principalmente nei centri urbani, e concentrando lì la maggior parte delle forze militari – forse perché il governo voleva proteggere ciò che era più prezioso, più vicino e più comprensibile per loro, o perché mancava di comprensione del mondo militare. In pratica, agendo in questo modo nella prima settimana di combattimenti tutte le grandi città dell’Ucraina orientale e centrale, compresa Kiev, sono state circondate dalle truppe russe e nel prossimo futuro potrebbe verificarsi un blocco completo su di esse.

Un’altra caratteristica distintiva degli eventi delle ultime settimane è stata la cosiddetta “guerra cibernetica”, che per la prima volta si sta svolgendo su vasta scala e coinvolgendo molte risorse da entrambe le parti, con l’obiettivo sia di ottenere dati compromettenti o di intelligence sia di ostacolare le risorse e le infrastrutture statali e civili.

Si tratta, quindi, di un’intensa e globale guerra dell’informazione che proviene da tutte le direzioni e da tutti gli angoli del mondo – come di solito accade quando le guerre vengono combattute all’interno dell’Europa mentre le guerre e i conflitti in Medio Oriente, in Africa e in altre parti del cosiddetto Terzo Mondo non sono più di interesse per i media europei o per i media di quelle stesse regioni.

Soldato delle forze armate russe con la bandiera dell’Impero russo

Situazione di crisi

Fin dai primi giorni di ostilità, la popolazione ucraina ha potuto osservare tutti i fattori connessi alla guerra: il panico su larga scala, la mancanza di informazioni aggiornate e veritiere, la fuga delle persone dal Paese, il conseguente collasso dei trasporti, i colpi alle strutture civili e l’interruzione delle infrastrutture di trasporto e logistiche, le numerose vittime civili e la mancanza di assistenza e supporto a queste ultime. Lo Stato ucraino, come qualsiasi altro in una situazione del genere, non è in grado di sostenere la sua popolazione e di provvedere ai suoi bisogni immediati, poiché tutte le risorse sono state dirottate verso la difesa e il confronto con la Russia. Di conseguenza, la gente comune ucraina non si fida del governo. La situazione è stata esacerbata da decisioni impulsive del governo e dell’esercito, come la consegna poco controllata delle armi e le conseguenti sparatorie di civili e dei soldati provocate da una “caccia alle streghe” e l’aumento del banditismo e dei saccheggi nelle strade – che le forze di sicurezza statali non sono più in grado di controllare pienamente. Non ci sono nemmeno iniziative statali che coinvolgono i volontari, come la “difesa territoriale” che fa parte delle forze armate ucraine e le cui decisioni e ordini vengono presi dall’alto.

La “difesa territoriale” è un buon esempio di come le strutture di volontariato avviate e controllate dallo Stato, possano svolgere funzioni di supporto assistenziale solo all’interno della struttura statale con metodi burocratici e solo per proteggere l’istituzione stessa. [La “difesa territoriale”] non fornisce assistenza alla popolazione nel campo della sicurezza e di altri bisogni primari derivanti da situazioni di crisi – il che provoca una fuga ancora maggiore di persone dal Paese e un aumento delle vittime.

(Video violento) Azioni della “difesa territoriale” a Kiev

Le rassicurazioni delle fonti filogovernative ucraine sul fatto che la Russia non possa combattere a lungo, che dobbiamo concentrarci sul sostenere l’esercito e impegnarci nella difesa territoriale, sono in realtà miopi. Il governo russo ha piani, modi e risorse maggiori per sconfiggere la crisi interna rispetto al governo ucraino. La fornitura di armi e finanziamenti da parte dei Paesi europei all’Ucraina non cambia il fatto che le infrastrutture militari, civili e logistiche, strategicamente vitali, continuano a essere distrutte dagli attacchi militari russi e la loro riparazione richiederà molto tempo e vaste risorse di cui il governo ucraino non dispone al momento. La guerra minaccia di far precipitare l’Ucraina in una profonda crisi umanitaria e di rendere il Paese una landa desolata e inabitabile per gli anni a venire.

Azione anarchica

Situazioni di crisi come quella attualmente in corso in Ucraina contribuiscono sempre a modificare l’autostima e la consapevolezza della società, a perdere la fiducia o a ripensare il potere e il sistema statale – che si tratti dello Stato ucraino o di quello russo. Quando c’è una perdita di fiducia, un senso di inganno o di abbandono, la società è più propensa all’auto-organizzazione, all’iniziativa e alla creazione o alla partecipazione a strutture o iniziative alternative allo Stato, create orizzontalmente, con possibilità di partecipazione aperta a tuttu, in base ai loro desideri o alle loro capacità e fornendo gli aspetti più importanti della vita e i bisogni urgenti che la società sta vivendo al momento.

Ad esempio, garantire la sicurezza nel proprio quartiere, città o villaggio, mantenere il personale e le strutture vitali come centrali elettriche, impianti idrici, caldaie, ospedali, stazioni dei pompieri; nonché strutture logistiche come negozi e aziende alimentari e farmaceutiche. Garantire la sicurezza degli spostamenti in città, nel territorio e sulle strade, adottando misure contro il banditismo, le rapine, gli attacchi, sia da parte di bande criminali organizzate sia da parte di individui, forze militari o di sicurezza di qualsiasi Stato ed entità presenti sul territorio.

Un’ideologia anarchica che rifiuta qualsiasi forma di potere, di dominio e di discriminazione e che implica la creazione di alternative orizzontali, l’auto-organizzazione, l’autosufficienza e l’auto-difesa della società – in cui chiunque sia disposto a partecipare da pari a pari, indipendentemente dal genere o dall’etnia -, e a svolgere pienamente il proprio ruolo, può essere applicata con successo nella situazione attuale in Ucraina.

Come già detto, molte persone stanno perdendo la fiducia in un governo che non è in grado di provvedere alla loro sicurezza e ai loro bisogni primari e quindi cercano attivamente tutti i tipi di alternative per organizzarsi, sia di propria iniziativa che su iniziativa di altru. Lu anarchicu possono prendere questa iniziativa, nonostante lo Stato ucraino, [negli ultimi] 8 anni, abbia sviluppato una propaganda patriottica, un culto militare, sostenuto organizzazioni e movimenti nazionalisti e fascisti e represso il movimento anarchico.

Iniziando ad agire in modo organizzato, a livello locale, partendo da piccoli quartieri e gruppi, il risultato sarà già visibile: l’accettazione e il sostegno di una società auto-organizzata senza potere e senza Stato. Un buon esempio in cui mi sono imbattuto è stato a Melitopol: le persone residenti locali hanno organizzato una riunione quotidiana presso la casa della cultura locale e hanno iscritto chiunque fosse disposto a pattugliare la città e a monitorare la sicurezza; si sono divisi in gruppi di 5 persone in base alla zona di residenza, hanno nominato un leader per ogni gruppo, hanno scelto un orario di servizio e hanno iniziato a pattugliare i quartieri e le strade. È stato istituito un numero telefonico di emergenza separato, attivo 24 ore su 24, che è stato distribuito alle persone residenti. In sostanza, è stata creata un’alternativa alla polizia, che non funzionava più in città, senza il coinvolgimento di alcuna istituzione pubblica.

OP Melitopol – gruppo di volontari per la sicurezza e l’ordine gruppo per evitare predoni e disordini in città (attualmente Melitopol è occupata dalle truppe russe, ndt)

Con l’avanzare della guerra e della crisi, si moltiplicheranno gli esempi di questo tipo e il movimento anarchico potrà assumere un ruolo guida nell’organizzazione di tali esempi ed esperienze.

Vale la pena andare in giro per un quartiere, un villaggio, una città e chiedere alle persone residenti (se non lo sapete già) quali sono i loro maggiori bisogni e che tipo di aiuto sia necessario. Dopodiché si riuniscono con altre persone che la pensano allo stesso modo e cercano di capire come risolvere insieme queste esigenze, organizzandosi con il resto delle persone residenti.

[Ad esempio: ] come garantire l’approvvigionamento di cibo in modo organizzato sotto i bombardamenti e ridurre al minimo il rischio di essere uccisu; come ripristinare le forniture d’acqua, riparare le linee elettriche interrotte o trovare fonti alternative per il riscaldamento e l’elettricità; come raccogliere medicinali salvavita per chi ne ha bisogno o fornire assistenza medica quando le strutture sanitarie non funzionano.

La conoscenza di questi temi può essere fornita da noi stessu e dalle persone che vivono nel nostro quartiere. Non abbiamo bisogno dello Stato e del potere di qualcunu per risolvere questi problemi. Organizzandosi in questa situazione, la comunità di persone sarà in grado di raggiungere l’autosufficienza, soddisfacendo i propri bisogni primari, senza coinvolgere forze esterne – siano esse gli aiuti umanitari della Federazione Russa o dell’Unione Europea, e di dare un esempio di auto-organizzazione di successo allu altru.

Senza collaborare con nessuno Stato, senza cadere nel patriottismo e nella russofobia che i media ucraini mettono in atto con tanta facilità: [il tutto] organizzato secondo i principi e i metodi dell’anarchismo, innanzitutto tra le persone più bisognose e sofferenti dalla guerra tra i due Stati – possiamo dare un esempio di pratica anarchica alla gente comune abbandonata al proprio destino dallo Stato.

Iniziative come il “Comitato di resistenza” si formano all’interno della struttura militare dello Stato ucraino. Non si tratta di un’iniziativa anarchica, anche se la maggior parte delle persone coinvolte sono anarchiche. Tutte le strutture di difesa territoriale sono controllate dalle Forze Armate ucraine e le loro azioni e capacità sono limitate alla strategia e alle politiche dello Stato e del Ministero della Difesa. Possiamo avere un dialogo o un compromesso con lo Stato solo quando abbiamo forza e sufficiente sostegno da parte del popolo; altrimenti finiremo repressu nelle prigioni o distruttu da una qualsiasi forza avversaria – che si tratti delle forze armate ucraine e le formazioni nazionaliste dalla loro parte o le forze armate russe e del FSB (Servizio federale per la sicurezza della Federazione Russa, ndt). Forse nel prossimo futuro vedremo esempi più positivi di organizzazione anarchica in Ucraina, sia in ambito militare che civile.

L’obiettivo dello Stato ucraino e delle sue strutture militari in questa guerra è quello di mantenere il proprio potere, mentre l’obiettivo dello Stato russo e delle sue strutture militari è quello di prendere il potere. La partecipazione dellu anarchicu alle strutture di uno di questi Stati non rende la situazione più facile per il popolo ucraino sofferente a causa della guerra. Tutte le parole sull’esercito che difende il popolo, la società e il territorio sono solo parte della propaganda di Stato e la storia ne è un esempio.

La guerra può essere fermata solo opponendosi ad entrambi gli Stati.

Quando inizieremo a praticare modi organizzativi anarchici e a mostrare allu altru come possiamo organizzarci, potremo vedere quanto ampio sarà il sostegno, sia da parte delle persone con cui ci organizziamo, sia da parte dellu anarchicu stranieru e di altru che desiderano aiutare e partecipare alle iniziative anarchiche. Invece della politica di distruzione e annientamento tipico degli Stati, creiamo politiche di ricostruzione, autodifesa, partecipazione e assistenza. Possiamo farlo credendo in noi stessu, organizzandoci e lavorando con lu altru.

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Podemos denuncia la repressione in Perù, ma arma il regime peruviano contro le persone lavoratrici

Traduzione dall’originale “Podemos bemoans crackdown in Peru, but arms Peru’s regime against the workers”

Nota del Gruppo Anarchico Galatea
Nella traduzione che presentiamo, nella parte iniziale si parla di “colpo di Stato” attuato da Boluarte ai danni di Castillo.
Qualcunu potrà dire e/o pensare che la piattaforma “wsw” sostenga in modo indiretto ed implicito il precedente regime di Castillo; in realtà, il sito si è sempre posto in termini critici contro il precedente presidente peruviano, presentandolo come sostenitore della santità della proprietà privata e degli interessi delle multinazionali minerarie, le [le cui] politiche saranno dettate dalla borghesia peruviana e dai mercati internazionali, mentre la destra peruviana e i militari preparano un colpo di Stato.
Chi porta avanti queste logiche borghesi, oggi giorno, è Boluarte a suon di arresti, incarceramenti e morti.
La specifica che facciamo è fondamentale per chiarire come non vi siano sostegni indiretti a determinati regimi e, soprattutto, per affermare che la differenze tra dittatura e democrazia, specie nella cosiddetta America Latina, riguarda l’utilizzo più o meno esplicito della violenza statale (in prevalenza militare e poliziesca) e del Capitale ai danni delle persone marginalizzate e sfruttate (popolazioni native, persone lavoratrici, donne, persone non eterosessuali).

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La sanguinosa repressione poliziesca scatenata contro le persone giovani e lavoratrici peruviane dal regime di Dina Boluarte, insediatosi con un “colpo di Stato” sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, sta mettendo nuovamente a nudo il partito di pseudo-sinistra spagnolo Podemos.

Le proteste sono proseguite per sette settimane dall’insediamento del regime di Boluarte, che ha risposto con una sanguinosa repressione. Sono in corso arresti di massa. Più di 60 persone sono state uccise, compresi i minorenni, e quasi 1.000 sono rimaste ferite quando il regime peruviano ha scatenato la polizia armata di gas lacrimogeni, proiettili di gomma e veicoli blindati contro le persone manifestanti.

La coalizione di governo spagnolo tra Partito Socialista (PSOE) e Podemos è fermamente schierata dalla parte del golpe contro le persone lavoratrici peruviane.

La scorsa settimana, il deputato di Podemos e primo segretario del Parlamento, Gerardo Pisarello, ha pubblicamente ribadito che il suo governo era scioccato e costernato dalla violenza in Perù. Ha dichiarato: “Non posso iniziare il mio discorso sulla politica estera senza prima esprimere la nostra profonda preoccupazione per la violenza repressiva che si è scatenata contro la popolazione civile in Perù nelle ultime settimane”. Ha invitato “il governo di Dina Boluarte a porre fine alla repressione e alla persecuzione dei leader delle comunità e a garantire il legittimo diritto dei peruviani a protestare.”

Si è trattato di un esercizio di controllo cinico e bugiardo dei danni politici, dopo che Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui mostrava come il regime peruviano usasse attrezzature antisommossa vendutegli dal PSOE e da Podemos per reprimere le persone giovani e lavoratrici peruviane.

Amnesty International stima che tra il 2017 e il Giugno 2022 il governo PSOE-Podemos abbia esportato in Perù armi per milioni di euro, tra cui 4,7 milioni di euro in armi leggere, 2,4 milioni di euro in munizioni e quasi un milione di euro in armi antisommossa. Nello stesso periodo, ha rilasciato licenze che autorizzano l’esportazione di 184 milioni di euro di armi in Perù, di cui circa 40 milioni di euro di materiale antisommossa.

Ciò è avvenuto quando il PSOE e Podemos erano al potere, prima in un governo di minoranza guidato dal PSOE e sostenuto da Podemos dal 2018 al Gennaio 2020 e, successivamente, in un governo di coalizione.

Il WSWS ha riferito nel 2021 che il governo Podemos-PSOE è “leader nell’esportare gli equipaggiamenti antisommossa per la polizia, mentre l’aristocrazia finanziaria globale affronta l’opposizione sociale di massa alle sue politiche di austerità, militarismo e negligenza maligna di fronte alla pandemia da COVID-19”. Queste armi vengono ora usate contro le persone lavoratrici in Perù.

Amnesty International ha chiesto la sospensione di queste esportazioni in una lettera indirizzata al Segretario di Stato spagnolo per il Commercio, Xiana Margarida Méndez. Chiede, in conformità con il Trattato sul commercio delle armi, che obbliga a non autorizzare le esportazioni quando esiste un rischio sostanziale di gravi violazioni dei diritti umani, che il governo PSOE-Podemos revochi l’autorizzazione all’esportazione di materiale letale e anti-sommossa. Questa lettera è stata ignorata.

L’esportazione di materiale antisommossa sotto Podemos non è stata una svista o un errore passeggero di questo partito di pseudo-sinistra. Infatti, Podemos ha posto al centro delle sue politiche economiche le richieste di esportazione di massa delle armi letali verso le dittature militari e i regimi di destra.

Nell’Ottobre 2020, il portavoce di Podemos per la Difesa, Roberto Uriarte, è intervenuto al Forum dell’Informazione sulla Difesa in Parlamento per chiedere la diversificazione delle esportazioni e una maggiore ricerca nell’industria degli armamenti. L’industria non dovrebbe “mettere tutte le uova in un solo paniere”, ha detto. Al contrario, ha aggiunto, “l’industria della difesa deve basare la sua crescita sulla diversificazione delle soluzioni e sulla ricerca di nuovi mercati all’estero, in modo che il Ministero della Difesa non sia l’unico cliente dell’industria bellica”.

Uriarte ha invitato la Spagna a esportare armi ai regimi di tutto il mondo. “Non dovremmo vendere [armi] in modo mono-culturale solo alle monarchie del Golfo Persico”, ha detto. La Spagna, ha insistito, deve “attuare politiche pubbliche e facilitare l’internazionalizzazione” delle vendite di armi. Ha chiesto di investire nella ricerca e nello sviluppo, che richiede “politiche a lungo termine, poca demagogia e molto sacrificio e dedizione”.

Podemos ha dato seguito alla sua richiesta di espandere, in modo massiccio, le esportazioni di armi in Spagna.

Sotto Podemos, la Spagna è passata dall’undicesimo esportatore di armi al mondo nel 2016 al settimo nel 2020, posizione che detiene ancora oggi. È solo in ritardo rispetto ai principali Paesi imperialisti come Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Francia e a potenze mondiali come Russia e Cina.

Il complesso militare-industriale spagnolo è un pilastro della sua economia, con 21.000 dipendenti e un fatturato annuo di 6,2 miliardi di euro.

Nel 2020, mentre la pandemia COVID-19 uccideva centinaia di migliaia di persone in Spagna e in Europa, il governo PSOE-Podemos ha autorizzato vendite di armi per un valore record di 22,5 miliardi di euro.

In un contesto di rapida escalation della guerra della NATO con la Russia in Ucraina, Podemos sta lavorando per aumentare le vendite di armi.

L’industria degli armamenti spagnola è destinata a registrare profitti record dopo che il governo PSOE-Podemos ha approvato il bilancio 2023, con il più grande aumento della spesa militare nella storia della Spagna. La spesa ammonterà a oltre 12,8 miliardi di euro il prossimo anno, rispetto ai circa 10 miliardi di euro del 2022. Ciò è in linea con l’impegno assunto da Madrid nei confronti della NATO nell’aumentare il bilancio della difesa al 2% del PIL entro il 2029.

Secondo i dati del Centro Delàs per gli Studi sulla Pace, la spesa militare reale di Madrid – che include, oltre al bilancio del Ministero della Difesa, altri articoli di natura militare acquistati dal governo spagnolo – sarà di 27 miliardi di euro, pari a 75,7 milioni di euro al giorno. Gran parte di questa spesa, 4,9 miliardi di euro, è destinata a “programmi speciali di ammodernamento”, che vanno per lo più alle aziende spagnole produttrici di armi.

Il quotidiano La Vanguardia, con sede a Barcellona, ha pubblicato di recente un articolo intitolato “Una spinta storica all’industria della difesa”, in cui si salutava [favorevolmente] l’escalation militare lanciata da Podemos. Produttori di armi come Airbus, Navantia, GDELS-Santa Bárbara e Indra sono quelli che il governo PSOE-Podemos “vuole trasformare nella punta di diamante di un’operazione nazionale a lungo termine per rafforzare il settore”. Per loro ci sarà una pioggia di milioni di euro.

Ha salutato l’aumento delle elargizioni statali ai produttori di armi lanciato da Podemos, aggiungendo: “L’opportunità è senza precedenti. Mai prima d’ora l’industria spagnola della difesa, della sicurezza, dell’aeronautica e dello spazio ha affrontato la sfida di crescere e modernizzarsi con un contributo di denaro statale così potente”.

L’ansia di Podemos di esportare armi per la repressione di Stato a livello internazionale era chiaramente legata alla sua ormai consolidata esperienza nell’uso di tali armi contro le persone scioperanti della stessa Spagna.

Nel Novembre 2021, il governo PSOE-Podemos ha inviato la polizia a sparare spray al peperoncino, gas lacrimogeni e proiettili di gomma contro i metalmeccanici in sciopero a Cadice, schierando persino autoblindo nelle aree operaie per terrorizzare la popolazione.

Ha lanciato un dispiegamento senza precedenti di 23.000 poliziotti per interrompere lo sciopero dei camionisti dell’Aprile 2022 e di 20.000 agenti di polizia armati di 6.000 cartucce taser per reprimere le proteste contro il vertice NATO dello scorso Giugno.

All’estero, appoggiando Boluarte a Lima, Podemos mira a salvaguardare la prosecuzione dell’estrazione delle ricchezze minerarie strategiche del Perù – in particolare rame, zinco e gas naturale liquefatto – e gli interessi aziendali delle banche spagnole BBVA e Banco Santander e di multinazionali come Telefónica e Zara.

È necessario trarre lezioni politiche fondamentali dal militarismo anti-operaio di partiti come Podemos – che le élite al potere promuovono falsamente come “[partito di] sinistra”. L’evoluzione di Podemos, dalla sua fondazione nel 2014, non è il risultato di un errore tattico o di errori della sua leadership di partito.

Parlando a nome di strati benestanti e filo-imperialisti della classe media, Podemos si è impegnato nel costruire un ampio movimento di sinistra e a realizzare un cambiamento democratico attraverso la macchina statale capitalista spagnola.

L’utilizzo di questa macchina ha comportato la difesa degli interessi finanziari e strategici del capitalismo spagnolo contro la classe operaia. La violenza della polizia all’estero e in patria è il risultato inevitabile di questa politica fallimentare.

Il sostegno di Podemos alla repressione poliziesca in Perù dimostra che la costruzione di una lotta internazionale e rivoluzionaria contro l’austerità, la guerra e la dittatura dipende dalla mobilitazione della classe operaia contro tutti i partiti capitalisti reazionari, in particolare le varianti “populiste di sinistra” come Podemos. [Dobbiamo assumere] questa lezione critica.

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Pacificazione brasiliana?

Dopo l’assalto al parlamento e ai palazzi istituzionali brasiliani (8 Gennaio), sono state avviate delle indagini su Bolsonaro e i suoi alleati. Nella casa dell’ex ministro della Giustizia bolsonarista, Anderson Torres, è stata trovata una bozza di decreto che permetteva al governo di destra di istituire uno “Estado de Defesa” – che andava oltre la “Garantia da Lei e da Ordem” (GLO) 1 – sul Tribunal Superior Eleitoral (TSE).

La presenza di una parte dei militari in questo tentativo di golpe, ha spinto Lula e il suo entourage a porre rimedio su una situazione potenzialmente esplosiva.

In un’intervista rilasciata a Globonews, Lula ha dichiarato che l’argomento centrale dell’incontro del 20 Gennaio tra lui e i comandanti militari sarebbe stato il “rafforzamento dell’industria della difesa in questo Paese.2

Spiegando l’ordine del giorno della discussione, il presidente brasiliano ha detto: “Ho chiesto a ciascuna forza di presentarmi le difficoltà che stanno incontrando dal punto di vista della struttura funzionale di ciascuna forza: cosa manca all’Aeronautica, cosa manca alla Marina, cosa manca all’Esercito, in modo da poter avere un processo di ricostruzione della capacità produttiva, capite? Compreso l’utilizzo della tecnologia militare per costruire un’industria della difesa più forte e più moderna, capite? E credo che questo sarà importante per il Brasile. Per darvi un’idea, ho chiesto a Josué [Gomes], il presidente della FIESP 3, che ha un progetto per l’industria della difesa, di venire all’incontro […] vogliamo effettivamente mettere in pratica il funzionamento di un’industria della difesa in modo da poter rinvigorire i brevetti che abbiamo pronti per l’esercito, rinvigorire [l’industria dei] sottomarini nucleari e rinvigorire altre cose di cui il Brasile ha bisogno […] per essere un Paese rispettato. Le nostre Forze Armate devono essere preparate. E l’altra cosa di cui vorrei parlare è la seguente: non politicizzare le Forze Armate.

L’invito di Gomes a questo incontro con i militari è stato fatto in funzione di ingraziarsi la borghesia brasiliana ed evitare possibili intralci alle politiche luliane – come era successo sette anni prima con Dilma Rousseff. 4

Contemporaneamente, il partito al governo (il Partito dei Lavoratori (PT)) e il presidente Lula hanno iniziato ad epurare una parte “infedele” – e potenzialmente destabilizzante – della classe militare brasiliana e intavolare un dialogo con il resto della medesima per evitare, stando a livello mediatico, le gravi mancanze operative che si sono manifestate durante l’azione dei golpisti. 5

Nell’incontro del 20 Gennaio tra il presidente della Repubblica e i comandanti militari, il giornale di destra “Estado de São Paulo” ha riportato in modo entusiasta e positivo l’incontro, sottolineando come durante il mandato di Lula, le tre Forze armate hanno avuto il programma di rinnovamento più spettacolare degli ultimi decenni; ma i comandanti hanno anche altre richieste più soggettive: non cambiare i curriculum degli istituti e dei collegi militari, i criteri di promozione, la parità tra il personale attivo e quello di riserva, la sicurezza sociale e le riforme amministrative riguardanti i militari. In altre parole: l’incontro di oggi è un patto di coesistenza. Da un lato, i comandanti si impegnano ad agire con fermezza contro i complottisti e la bolsonarizzazione delle caserme. Dall’altro, Lula promette di studiare le richieste delle tre forze. Non si tratta di codardia da una parte o dall’altra. È il contrario: il coraggio di fare la cosa giusta.6

L’accordo, seppur fragile e non esente da possibili e futuri “golpe” dei militari, pone il paese sudamericano in una posizione di stabilità sia interna che, soprattutto, esterna – specie dopo la partecipazione del ministro dell’economia brasiliana Fernando Haddad al World Economic Forum di Davos. 7

In questo, la sinistra locale ed internazionale supporta l’attuale governo: dalla condanna all’assalto fascista e borghese dell’8 Gennaio al supportare le favole sociali ed economiche luliane (come l’innalzamento, poi non avvenuto, del salario minimo).

Ma la vera funzione del PT, così come quella del presidente Lula, è quello di proseguire i piani di investimento e profitto capitalistico in un territorio dove la diseguaglianza e la violenza sociale (specie di genere e razziale) ed economica è più che palpabile.

In mezzo a questo marasma fallace analitico da un lato e di accordi tra compagini di potere (borghesia, militari e politici) dall’altro, le logiche alienanti e distruttive dell’attuale modello economico vengono camuffate e fatte accettare come forma di progresso e miglioramento dell’individuo, impedendo in tal senso qualsiasi forma di cambiamento e/o stravolgimento di questo sistema iniquo.

Note

1La GLO, normata dall’articolo 142 della Costituzione Federale, dalla Legge Complementare 97 del 1999 e dal Decreto 3897 del 2001, consente alle forze militari di svolgere provvisoriamente e sotto ordine della Presidenza della Repubblica Federale Brasiliana le funzioni di polizia “fino al ripristino della normalità”.

3Acronimo di “Federação das Indústrias do Estado de São Paulo”. La FIESP è affiliata alla Confederazione Nazionale dell’Industria (CNI) e riunisce 52 unità rappresentative nello stato di San Paolo – che rappresentano 133 sindacati dei datori di lavoro e 130.000 industrie. L’attuale presidente è Josué Gomes da Silva

4Nel Settembre del 2015 il FIESP creò la piattaforma “Não Vou Pagar o Pato” (tradotto: “Non pagherò l’anatra”) per opporsi all’aumento delle tasse e, in particolare, contro il ritorno del “Contributo Provvisorio alla Movimentazione o Trasmissione di Valori e Crediti e Diritti di Carattere Finanziario” (in portoghese: “Contribuição Provisória sobre a Movimentação ou Transmissão de Valores e de Créditos e Direitos de Natureza Financeira” (CPMF)) – presentato dal governo di Dilma Rousseff come un modo per risollevare l’economia scossa dalla crisi economica del 2014. Le campagne mediatiche del FIESP e le sue opposizioni contro il CPMF divennero sempre più accese all’atto che partì il processo di impeachment verso la presidente brasiliana (Dicembre 2015-Agosto 2016).

5Come si evince sempre dall’intervista rilasciata da Lula il 18 Gennaio: “[…] le persone che sono venute qui erano professionisti, persone che conoscevano il Planalto (Palazzo presidenziale, ndt), persone che conoscevano [il Palazzo della Giustizia], persone che conoscevano la Camera dei Deputati. Non sono stati degli analfabeti politici a fare irruzione qui. Era gente che aveva pianificato [il tutto], da molto tempo. Non hanno avuto il coraggio di fare nulla durante l’inaugurazione [presidenziale] […] Sono partito da qui venerdì con l’informazione che c’erano solo 150 persone nel campo, che tutto era tranquillo, che non avrebbero permesso l’ingresso di altri autobus, che non avrebbero permesso l’ingresso di nessun altro, ho viaggiato verso Sao Paolo in tutta tranquillità.[…] Qui abbiamo l’intelligence dell’Esercito, l’intelligence del GSI, l’intelligence della Marina, l’intelligence dell’Aeronautica, cioè la verità è che nessuna di queste intelligence è servita ad avvertire il Presidente della Repubblica di ciò che sarebbe potuto accadere.”

6“Militares prometem agir contra bolsonarização e golpistas; Lula vai estudar as reivindicações”, 20 Gennaio 2023. Link: https://www.estadao.com.br/politica/militares-prometem-agir-contra-bolsonarizacao-e-golpistas-lula-vai-estudar-as-reivindicacoes/

7“Lula to recalibrate pace of reforms after pro-Bolsonaro riots, finance minister says”, FT, 19 Gennaio 2023. Link: https://www.ft.com/content/4b1a74b3-4615-40bd-b2e6-08892219b330

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L’obiettivo di lasciare Putin senza soldi per la guerra non è stato raggiunto

Traduzione dall’originale “Цель оставить Путина без денег на войну не достигнута

L’Occidente si è rifiutato di acquistare direttamente il petrolio russo e ha fissato un prezzo massimo per il resto del mondo. Allo stato attuale, questa situazione non ha impedito alla Russia di continuare la guerra. Ma mette fine al suo futuro.

Il crollo delle entrate energetiche della Russia è ciò che potrà fermare la macchina da guerra russa”, ha dichiarato il primo ministro estone Kaja Kallas dopo l’entrata in vigore dell’embargo e le restrizioni sul prezzo, “ogni dollaro conta. Abbassare [i ricavi dati dall’esportazione] di un dollaro [significa] ridurre le entrate della Russia di 2 miliardi di dollari [all’anno]”

Questa [mossa] non ha fermato la macchina da guerra russa, non ha distrutto l’economia, ma l’ha privata di (parecchio) denaro.

Combinare le incompatibilità

In Occidente si è parlato di privare la Russia delle sue rendite petrolifere subito dopo lo scoppio della guerra. Il problema, stando alle parole di Tatiana Mitrova, docente invitata da Sciences Po, sembrava insormontabile. Era necessario ridurre notevolmente il flusso di petrodollari verso la Russia senza ridurre la circolazione di petrolio proveniente dalla Russia, e nel frattempo trovare una sostituzione per le 111 milioni di tonnellate di petrolio all’anno che l’UE importava dalla Russia – più di un terzo del suo consumo. La sostituzione è stata in gran parte una questione tecnica (Norvegia, Stati Uniti e Medio Oriente l’hanno trovata); serviva il tempo per concludere i contratti. Ma il tetto sul prezzo…

La Russia ha subito avvertito che non avrebbe fornito petrolio a quei Paesi che rispetteranno il tetto, il che potrebbe portare ad un collasso del mercato e ad un aumento dei prezzi. Non erano parole vuote. La Russia è il secondo fornitore di petrolio al mondo: se tagliasse drasticamente la produzione, l’equilibrio globale sarebbe sconvolto. Una delle banche più importanti del mondo, JP Morgan, ha scioccato tutti durante l’estate calcolando che un taglio della metà della produzione da parte della Russia – causato dal tetto [sul prezzo] -, avrebbe spinto il prezzo del petrolio fino a 380 dollari al barile. L’Occidente “ha fatto tutto il possibile per evitare che le esportazioni di petrolio russo diminuissero”, afferma Oleg Itzhoki, professore dell’Università della California di Los Angeles: “L’Europa era sostanzialmente pronta, perché i prezzi dell’energia erano già aumentati in modo folle e l’America in Aprile aveva fermato l’Europa [dal porre alla Russia] un embargo più rapido – avevano paura [che il prezzo schizzasse a] 200 dollari al barile”.

Infine, l’embargo doveva essere applicato: far sì che il maggior numero possibile di paesi non comprasse il petrolio russo per più di 60 dollari al barile.

Tra le correnti

[L’UE,] il principale mercato della Russia, ha rifiutato la maggior parte del petrolio russo. Dal 5 Dicembre l’UE non acquista più greggio dalla Russia via mare (fanno eccezione Bulgaria e Croazia). Il petrolio degli oleodotti può essere acquistato, ma la maggior parte dei Paesi dell’Unione si è rifiutata di comprarlo.

La risposta era ovvia: se l’Europa si fosse accordata con qualcuno per sostituire la Russia, alcuni consumatori sarebbero rimasti senza petrolio. È lì che la Russia ridirigerà i volumi che l’Europa si è rifiutata di acquistare. Andranno via mare; questo è stato il modo principale di consegnare [il petrolio] prima dell’embargo – la maggior parte delle esportazioni di petrolio russo passano attraverso i porti marittimi.

Principali canali di esportazione del petrolio russo nel 2021

Sono indicati i canali di esportazione verso i Paesi non CSI.

Volume totale delle esportazioni : 230 milioni di tonnellate

Canale

Volume delle esportazioni (in milioni di tonnellate)

In % delle esportazioni totali

Estensione dell’oleodotto «ESPO» (*) alla Cina

40

17,4%

Oleodotto «Druzhba»

37

16,1%

Porti del Mar Baltico

60

26,1%

Porti del Pacifico

35

15,2%

Porti del Mar Nero

19

8,3%

Totale delle Esportazioni verso i Paesi non CSI

191

83,04%

Fonti: FCS, Ministero dell’Energia, Argus

(*)«Siberia orientale – Oceano Pacifico»

Il «Gruppo dei Sette», l’UE e l’Australia hanno limitato il prezzo; hanno introdotto il cosiddetto tetto – un barile di petrolio russo trasportato via mare non dovrebbe costare più di 60 dollari (il tetto sarà periodicamente rivisto).

Come si può vietare alle aziende provenienti da altri paesi di fare qualcosa? Ecco come. Il tetto si applica a tutti i servizi relativi al trasporto di petrolio russo: se il prezzo è superiore ai 60 dollari, sarà impossibile trasportare il petrolio, assicurare le petroliere che lo fanno (secondo i regolamenti internazionali le navi dovrebbero essere assicurate). Più della metà del petrolio russo è stato trasportato da navi greche; è improbabile che i loro proprietari violino il divieto. Il 95% dell’assicurazione per le navi cisterna è venduto dai membri del Gruppo Internazionale di P&I Clubs.

Alle aziende colte in violazione di queste restrizioni verrà imposto un divieto di tre mesi: non potranno utilizzare i servizi elencati per 90 giorni. Se una petroliera viene sorpresa a trasportare petrolio russo ad un prezzo superiore ai 60 dollari al barile, la società proprietaria non potrà trasportare nulla per 90 giorni.

In risposta, la Russia ha assemblato una flotta che trasporterà petrolio sotto sanzioni, comprando più di 100 petroliere (circa la metà di quello che era necessario), per lo più vecchie e che stavano per essere demolite, e negoziare e farsi aiutare da “vettori grigi” per aggirare le sanzioni contro il Venezuela e l’Iran.

Guerra lampo

L’idea era chiara, ma era difficile prevedere a cosa avesse portato: a livello internazionale, non era mai stato utilizzato nulla di simile ad un tetto sul prezzo. Inoltre, misure simili sono in arrivo per i prodotti petroliferi russi: l’embargo UE (dal 5 Febbraio) e il massimale del prezzo (la data non è ancora determinata, l’ultima offerta è di 100 dollari per barile di diesel). Una vivida illustrazione dell’incertezza è la previsione della Banca Centrale Russa per il 2023: un calo dell’1-4% del PIL. Una discrepanza così ampia «non è tipico per le nostre previsioni», ha dichiarato il direttore del Dipartimento di Politica Monetaria della Banca Centrale Kirill Tremasov, ma non era chiaro quanto avrebbe perso la Russia in termini di produzione, esportazione, raffinazione ed entrate.
L’inizio sembra un trionfo per le sanzioni. Il prezzo del greggio degli Urals si è ridotto ben al di sotto del tetto massimo, e le forniture sono diminuite; inoltre “le restrizioni a Dicembre hanno rallentato il riorientamento delle forniture dalla Russia ai paesi asiatici”, dice la Banca centrale.

Il prezzo medio del greggio degli Urals dall’inizio dello scorso anno, secondo il Ministero delle Finanze, non era sceso al di sotto dei 68 dollari al barile, ma a Dicembre era a 50,47 dollari. Dal 15 Dicembre al 14 Gennaio era a 46,82 dollari; ad un certo punto il barile valeva 37 dollari.
Le esportazioni marittime si sono quasi dimezzate nella prima settimana dell’embargo – 1,6 milioni di barili al giorno contro una media di 3 milioni. Sono emerse delle difficoltà con le spedizioni. A Dicembre, la greca Avin International e il più grande operatore marittimo cinese, China Cosco Shipping, si sono rifiutati di trasportare il petrolio russo proveniente dall’oleodotto ESPO: era più costoso del tetto massimo.
Secondo le valutazioni del “Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita” (CREA), la combinazione del «tetto sul prezzo più embargo UE» ha privato la Russia di 160 milioni di euro giornalieri. È ormai un esercizio popolare calcolare quanto denaro perderà la Russia. Tra le ultime: circa 100 miliardi di dollari di ricavi da esportazione quest’anno.
Il sacrificio principale e ovvio – il bilancio: è stato calcolato per il 2023 sulla base di 70,1 dollari al barile. Altri tipi di petrolio russo sono stati più cari degli Urals; ma le sue quotazioni sono importanti per il bilancio: le tasse e i dazi sono calcolati su di esso. A Dicembre, il deficit di bilancio ha raggiunto il record di 3,9 trilioni di rubli. Si tratta in parte di sottigliezze contabili, ma anche di una conseguenza diretta del crollo delle entrate derivanti dal petrolio e dal gas. Quest’anno continua: a Gennaio, il Ministero delle Finanze prevede un deficit di 54,5 miliardi di rubli rispetto al piano [del bilancio]. A Febbraio, se il prezzo non sale, aumenterà considerevolmente. L’anno è appena iniziato e il ministro delle Finanze Anton Siluanov ha già definito, come opzione ottimistica per il bilancio federale, un’entrata di 8,9 trilioni di rubli provenienti dalla vendita di petrolio e gas (il 37% di tutte le entrate). Il Ministero delle Finanze ora ritiene che i ricavi del petrolio e del gas ammonteranno a 8 trilioni di rubli.

Un’altra vittima è il rublo. Il calo dei ricavi delle esportazioni di petrolio è stata la causa della caduta del rublo a Dicembre, nota la Banca centrale. Quando le restrizioni sui prodotti petroliferi entreranno in vigore, il rublo sarà di nuovo in difficoltà, avverte la capo economista dell’Alfa-Bank Natalia Orlova. Tuttavia, il bilancio trarrà vantaggio da questo: le entrate petrolifere sono fissate in dollari, e per ogni rublo in più nel suo corso dà circa 100 miliardi di rubli annui al tesoro. Le autorità si sono lamentate a lungo del rublo troppo forte, affermando che il tasso di cambio di 70 rubli circa per un dollaro fosse giusto. Ciò che non hanno potuto ottenere in sei mesi, le sanzioni lo hanno fatto in un solo mese.

Il crollo delle entrate non significherà che la Russia spenderà meno per la guerra, dice il direttore degli investimenti «Loko-Invest» Dmitry Field: si prenderanno più prestiti e si preleverà dal Fondo sovrano.

Sembra che questa situazione si adatti a Putin. Conferma di questo – un decreto che vieta le forniture di petrolio ai paesi che rispettano il tetto [sul prezzo]. È apparso solo alla fine di Dicembre e, nonostante tutte le affermazioni sinistre, si è rivelato abbastanza inutile: funzionerà solo dal 1 Febbraio, contiene molte eccezioni e non ha influenzato i prezzi.

Loro [l’Occidente] ottengono quello che vogliono: un mercato ben fornito e una riduzione dei ricavi russi”, riassume Ben Cahill del Centro americano per gli studi strategici e internazionali.

Costi provvisori

La questione è quanto durerà questa situazione. Le perdite astronomiche sono calcolate partendo dal presupposto che gli Urals rimarranno a buon mercato per tutto l’anno. Ad esempio, la stima di 100 miliardi di dollari citati sopra, ipotizza che lo sconto degli Urals rispetto al Brent rimarrà del 30-40%.

Le autorità russe sperano che si tratti di un fenomeno temporaneo e che il divario si riduca, come è avvenuto la scorsa primavera. In Marzo-Aprile, molti cominciarono a rinunciare al petrolio russo, le catene di approvvigionamento stabilite si ruppero e lo sconto sugli Urals superò il 30%. Ma gradualmente si sono formate nuove catene e lo sconto è stato ridotto della metà. Anche se, naturalmente, questo è parecchio.

Se il prezzo medio degli Urals non sarà inferiore ai 60 dollari al barile e la produzione non diminuirà, allora «non ci sarà alcun disastro per il bilancio», afferma il professor Yitzhoki. [Una cosa del genere potrebbe avvenire] se il prezzo medio degli Urals sarà sotto i 40 dollari.

È ancora alto [il prezzo], e la produzione non è ancora caduta. Le spedizioni via mare dopo la debacle di Dicembre sono aumentate. Solo gli acquirenti sono diversi. I principali sono la Cina e l’India, e anche… gli sconosciuti.

Questo è un modo diffuso per aggirare l’embargo, a giudicare dall’esperienza dell’Iran e del Venezuela: in acque neutrali, il petrolio viene trasferito a un’altra petroliera (possibilmente mescolato con petrolio di altra origine); sulla carta cessa di essere russo e viene consegnato all’acquirente. Vengono inventati altri schemi. Singapore è diventato uno dei principali centri di elusione legale delle sanzioni: i commercianti prendono prodotti petroliferi russi lì e li mescolano con altre varietà. «Riciclato» ciò, non vi sono rischi sanzioni: possono tranquillamente consegnare ovunque la miscela ottenuta.

La Russia è riuscita a reindirizzare la maggior parte del suo petrolio in altri paesi oltre l’Europa”, afferma Natalia Zubarevich, docente dell’Università Statale di Mosca. Il paese è stato in grado di sopportare l’impatto delle sanzioni europee, ha riconosciuto Bloomberg.

Secondo il “Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita”, la Russia, nel suo primo mese di attività sotto embargo e con il tetto sul prezzo, ha guadagnato 3,1 miliardi di euro con le esportazioni petrolifere.

Inoltre gli Urals non corrispondono a tutto il petrolio russo. Altre varietà, come notato, sono più costosi, e alcuni più costosi del tetto imposto. “Nei porti del Pacifico il limite del prezzo sembra non funzionare”, – dice l’esperto indipendente di petrolio e gas Sergey Vakulenko: la quotazione del petrolio ESPO spedito dal porto di Kozmino “supera costantemente i 70 dollari”, e “i volumi lì non sono affatto 800 mila barili al giorno”. Il totale di esportazioni verso l’Estremo Oriente (compreso l’oleodotto verso la Cina) è di circa 1,6-1,8 milioni di barili al giorno, ricorda Vakulenko.

Questione di prezzo
Il prezzo del petrolio russo è un concetto molto creativo. Gli Urals non sono mai stato scambiati, il suo valore viene calcolato da agenzie di prezzi secondo metodologie proprie, ma riconosciute dai mercati. Un barile di Urals nell’oleodotto «Transneft», in una petroliera nel porto di Novorossiysk o [verso] Gujarat (ora il principale mercato del petrolio russo, dice Vakulenko), ha costi diversi.
Le cifre che il Ministero delle Finanze ci fornisce – in cui vengono considerate le tasse -, riguardano il prezzo del petrolio a bordo di una petroliera in un porto russo. Questo petrolio deve essere consegnato all’acquirente e il prezzo aumenterà [a causa del] costo del trasporto. In passato, le petroliere partivano dal porto baltico di Primorsk dirigendosi principalmente nei porti dell’Europa settentrionale; adesso vanno in Asia. Per andare a Rotterdam ci vogliono sette giorni; per andare verso lo Stato di Gujarat ci vogliono in media 31 giorni (e altrettanti per tornare). Il sovrapprezzo aumenta di conseguenza. A ciò si aggiungono tutti i rischi associati alla Russia. In Gujarat, il petrolio russo è scambiato con uno sconto di 6-10 dollari al barile rispetto al Brent, dice Vakulenko.
Quindi si scopre che il prezzo del petrolio russo è crollato, ma allo stesso tempo non è crollato. Inoltre, prendendo in considerazione tutti i recenti shock (rottura di legami consolidati, riluttanza a rivelare dati etc) le quotazioni calcolate dalle agenzie di prezzo non corrispondono alla realtà, nota Vakulenko. “Se parliamo del prezzo di vendita del petrolio russo, non è 46-50 dollari, ma 70 o 75 dollari. Viene pagato più o meno come il petrolio arabo o iraniano”, conclude.
“Le sanzioni non hanno ancora distrutto l’industria petrolifera russa. Il problema è quanto si guadagna da essa. Con gli sconti che ci sono, è possibile pompare grandi volumi ma si guadagna molto meno”, riassume Zubarevich.
Quindi chi guadagna dalla differenza tra i 50 dollaria Primorsk e i 70 dollari in Gujarat?

Questo calo del prezzo ufficiale è una grande perdita per il bilancio russo. In teoria, gli acquirenti petroliferi dovrebbero trarne vantaggio, ma in realtà questo non accade spesso”, sostiene Vakulenko.

I commercianti, i trasportatori e chi aggira le sanzioni sono quelli che fanno la differenza. Secondo Bloomberg, i profitti dei trader di Singapore sono raddoppiati rispetto al solito: fino al 20% contro la media del 10-12%. Molti sono probabilmente legati alla Russia.

Secondo Vakulenko, i vincitori potrebbero essere le società russe, che “mantenendo l’immagine di vendere petrolio a basso costo, ne traggono beneficio”: meno tasse, e in più si può lasciare parte del ricavato nei conti di “società amiche fuori dalla Russia e utilizzarle per transazioni che sarebbero difficili condurre a proprio nome in un clima di sanzioni”.

Questo ricorda molto gli “anni ‘90”, quando le compagnie estrattive vendevano il petrolio a basso costo ai commercianti per pagare meno tasse, e i commercianti lo vendevano poi a caro prezzo, ma pagavano anche poche tasse, perché il centro del profitto era nei Paesi con le aliquote più basse. La lotta contro questi schemi ha portato alla fine a legare le tasse alle quotazioni di mercato.

Ma c’è un’importante differenza rispetto agli anni ’90: ora lo Stato può voltarsi dall’altra parte – naturalmente, se vede dove e verso chi fluisce il denaro, può controllare almeno una parte di questi flussi, ritiene Vakulenko. È possibile pensare a molti modi per spendere quella “parte di denaro ottenuta”. Ad esempio, per comprare qualcosa per la guerra, per finanziare “le attività di gruppi filorussi o semplicemente anti-sistema al di fuori della Russia”, o anche per iniziare a raccogliere “l’oro del partito” che garantirà “un’esistenza confortevole dopo la sconfitta in guerra”.

Perdite costanti

Non è solo per i soldi. Il Tesoro statunitense ritiene che il tetto [sul prezzo] funzioni e funzioni bene, scrive il professor Konstantin Sonin dell’Università di Chicago a seguito di una tavola rotonda con il vice segretario al Tesoro Ben Harris, responsabile delle sanzioni, aggiungendo che l’effetto del tetto potrebbe non essere la cosa più importante. Le sanzioni non vengono mai introdotte per punire i colpevoli e ristabilire immediatamente la giustizia, osserva Mitrova: “Hanno un altro compito: strangolare lentamente ma inevitabilmente l’economia sotto sanzione, togliendo [così] non il flusso di denaro corrente ma le prospettive di sviluppo.”

Sono in arrivo un secondo embargo UE e un secondo tetto sul prezzo dei prodotti petroliferi. Saranno un test più serio per la Russia. Sarà più difficile ri-orientare i prodotti petroliferi verso l’Asia che il petrolio stesso: i Paesi asiatici hanno una capacità di raffinazione in eccesso – e, quindi, hanno bisogno di petrolio [da raffinare].

Gli esperti stanno discutendo se l’attacco all’Ucraina rappresenti la fine della storia della Russia come potenza energetica, dice Sonin: “La fornitura di petrolio e gas all’Europa occidentale è stata interrotta, apparentemente, per sempre. Daniel Yergin, autore del famoso “Il premio. L’epica corsa al petrolio, al potere e al denaro”, pensa che la Russia rimarrà un fornitore principale dopo la guerra, ma non giocherà un ruolo importante”.

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Appunti sopra un breve viaggio a Cuba

Articolo scritto da Boris per il Gruppo Anarchico Galatea

Potrei raccontare questa storia, le mie esperienze di questo viaggio, con la pretesa di obiettività di un articolo giornalistico o, semplicemente, rispettare il mio impegno etico con la realtà e la mia impossibilità di discostarmi dai pregiudizi che ho, come abitante della capitale, rispetto al resto di Cuba. Ho scelto di non stilare una cronologia esaustiva, ma di contrapporre le mie impressioni alle narrazioni stabilite dai poli del potere sulla realtà cubana.

Il 12 Dicembre siamo partitu per Matanzas. Il piano originale prevedeva di andare direttamente a Ciego de Ávila, ma c’è stato un ritardo imprevisto a causa del furto subito da Caterina da parte di un un uomo fermo al semaforo all’uscita dell’aeroporto, a cui ha dato un passaggio per solidarietà, sapendo che cosa significa stare ore e ore ad aspettare un autobus che non arriva (abbiamo in seguito scoperto che questo è il modus operandi di bande criminali il cui target sono lu turistu con le auto a noleggio). La perdita del denaro e dei documenti di viaggio ci ha costrettu, in primo luogo, a fare una denuncia alla polizia per ottenere un documento che sostituisse la patente di guida e, in secondo luogo, fermarci per farci prestare da un’amica un po’ di soldi (500 dollari statunitensi) per coprire le spese di viaggio. Il ritardo è stato di quasi 24 ore, giacché la polizia, come del resto dappertutto, lungi dall’essere veramente utile per difendere e proteggere, è specializzata nell’essere incompetente e nel rivittimizzare chi ha subito un sopruso.

A Matanzas non abbiamo avuto modo di interagire con la popolazione locale al di là di semplici transazioni commerciali. Un secondo incidente è avvenuto nel comprare del cibo in un paladar (vale a dire un ristorante privato, non statale): il proprietario ha creduto che una delle banconote da cento dollari fosse falsa. La preoccupazione era dovuta al fatto che poche ore prima l’uomo ne aveva ricevuta una, il che ha scatenato la sua paranoia quando ha visto una banconota vecchia ancora in circolazione. Esempio di un fenomeno che abbiamo notato anche in seguito, a Ciego de Ávila: chi ha qualcosa da perdere ha molta paura di essere truffatu o di avere a che fare con le autorità. Invece (cosa fino a poco tempo fa inaudita) persino perfettu sconosciutu, appartenenti a classi più popolari, dopo cinque minuti che ci si parlava insieme, si lamentavano del governo in modo molto aspro ed esplicito.

Abbiamo attraversato diverse province intermedie (Cienfuegos, Villa Clara, Sancti Spíritus), potendo così osservare lungo la strada diversi paesi e insediamenti minori, nei quali si può notare la ripetizione di impianti urbani divenuti disfunzionali dopo il crollo del modello clientelare sovietico. Ciego de Ávila, la provincia dove abbiamo trascorso due giorni, è una suddivisione che anteriormente faceva parte della provincia di Camagüey.

La persona che ci ha accolto e che ci ha fatto da guida è un funzionario pubblico, vecchio amico di Caterina, che tre anni fa si allineava alle posizioni ufficiali e difendeva il regime, mentre oggi si è mostrato veementemente insoddisfatto su molti aspetti della situazione attuale. Mentre ci faceva da guida, commentando il contesto storico e attuale della città e della campagna dei dintorni (Ciego de Ávila è una provincia agricola), l’accento era sul deterioramento e lo sfacelo generale.

Quando siamo arrivatu, abbiamo dovuto consegnare i documenti di identificazione allu proprietariu dell’alloggio, come da prassi nell’industria turistica mondiale. Non eravamo a conoscenza del fatto che a Cuba i documenti stranieri potessero essere riportati in un database online. Caterina era entrata con il passaporto messicano, che le era stato rubato, e quindi ha mostrato il passaporto italiano. A causa di questa circostanza, il numero del passaporto consegnato non compariva nel database. Secondo caso di paranoia in cui ci siamo imbattuti: lu proprietariu dell’alloggio (evidentemente di classe media agiata, dimostrata dalle condizioni della casa, la disponibilità di cibo abbondante e l’attività di cambio di dollari), invece di aspettare che tornassimo dalla festa a cui eravamo andatu, si sono immediatamente allarmatu e hanno chiamato la polizia migratoria denunciando il caso di una straniera irregolare. Ciò ha provocato controlli su cubanu che viaggiavamo con lei, uno dei quali è un noto attivista dissidente, coinvolto nelle proteste del 2021. È stata quindi citata per un interrogatorio dalla polizia migratoria a Ciego de Ávila, in cui le hanno chiesto con insistenza come e perché ci conoscesse, con enfasi sull’attivista in questione (anche se, ovviamente, senza spiegarlo esplicitamente). Le è stato inoltre rimproverato, facendole firmare un avvertimento ufficiale, di aver violato i termini del visto turistico soggiornando all’Avana in una casa privata gratuitamente, facendo donazioni di medicinali al di fuori dei canali ufficiali statali, e partecipando ad attività culturali senza autorizzazione ministeriale. La sera stessa, ritornati a l’Avana, ha ricevuto una chiamata diretta dalla polizia migratoria, in cui la citavano il giorno seguente per un ulteriore interrogatorio. I termini dello stesso, anche se di nuovo non espliciti, sono stati volti ad accertare un suo eventuale legame con la dissidenza cubana.

Tornando al nostro soggiorno a Ciego de Ávila, in contrasto con l’alloggio turistico, la casa rurale in cui siamo statu invitatu a passare la prima serata mostra i segni di un’evidente precarietà costruttiva. La strada di ingresso è sterrata e piena di buche, la casa è un misto di materiali industriali e legno non trattato, gli impianti sono approssimativi e carenti. Il proprietario è un anziano agricoltore la cui figlia è recentemente partita per gli Stati Uniti. Il ricevimento è stata una piccola celebrazione informale a cui hanno partecipato amici e lavoratori dell’anfitrione. L’atmosfera era di fiducia e la conversazione verteva sul malessere generale causato dalla precarietà economica e dall’inefficienza governativa, anche se questi argomenti venivano evitati in presenza del funzionario sopracitato.

In generale, Ciego de Ávila è progettata per essere un centro economico funzionale come qualsiasi modello di città moderna; ma è da notare che la vita notturna è quasi inesistente. Nessuno apre dopo le 17 e, ad eccezione di piccoli gruppi di giovani e di passanti occasionali, non si vedono persone per strada. L’altra persona che abbiamo incontrato e con cui abbiamo trascorso del tempo è un’intellettuale, riconosciuta scrittrice e libraia. La sua casa, un’immensa dimora del secolo scorso, mostra chiari segni della precarietà in cui vive e anche lei ha manifestato un profondo malcontento sulla situazione.

La prima cosa che viene smontata semplicemente percorrendo le strade cubane o, addirittura, le città, è che i problemi di Cuba siano tutti causati dall’embargo. La quantità di terreni inutilizzati è impressionante. Le erbacce crescono ovunque e solo occasionalmente si osservano spazi coltivati.

Parlando con l’agricoltore di Ciego de Ávila diventa evidente come l’adozione dei modelli di produzione agroindustriale siano risultati insostenibili in un Paese sottosviluppato come Cuba.

L’industria agricola che si è sviluppata negli anni ’70 e ’80 del XX secolo si affidava ai sussidi e ai sostegni materiali da parte dell’URSS e del CAME (Consejo de Ayuda Mutua Económica, ndt); un tale livello di produttività potrebbe essere recuperato solo con forti investimenti nel settore che, ancora una volta, riprodurrebbero le condizioni di un’enclave agricola gestita da un apparato burocratico/militare per conto di un potere o di una corporazione transnazionale – che in larga misura è già una realtà in quasi tutti i settori produttivi del Paese. È molto più facile, e persino più economico, ottenere prodotti cubani al di fuori di Cuba che nel mercato nazionale stesso, dove i prodotti arrivano a prezzi gonfiati a causa della precedenza data agli investitori stranieri rispetto ai consumatori locali.

Perché non ci sono produttori? Si potrebbe pensare che, dopo una totale smobilitazione della forza produttiva, questa possa essere riciclata nel lavoro agricolo. In questo caso sono in gioco problemi sia culturali che economici. Il modello agroindustriale è concepito per il lavoro salariato e, alla fine, per soddisfare determinati standard di consumo. Un produttore indipendente – o una cooperativa – non ha sempre i mezzi per portare la sua produzione sul mercato, essendo quindi costretto a vendere la sua produzione a intermediari i cui prezzi sono regolati dallo Stato. L’altra opzione è quella di vendere a quest’ultimo ad un prezzo inferiore, con il rischio di ritardi nei pagamenti. Il supporto in termini di tecnologia e mezzi di produzione è scarso o nullo. I produttori di successo finiscono per diventare capitalisti e per loro è difficile generare un senso di appartenenza alla realtà rurale. Possiamo concludere che falliscono tutte le istanze del processo produttivo/distributivo, dalla forza lavoro alla commercializzazione.

Il motivo per cui lo Stato non promuove modelli di produzione agro-ecologici può essere facilmente intuibile: perderebbe il controllo dei produttori. In effetti, le esperienze di permacultura e agro-ecologia sono casi marginali e molto specifici, nonostante vengano utilizzate dallo Stato come propaganda per gli eredi occidentali del movimento no-global. È stato annunciata con grande clamore dai media l’introduzione di colture geneticamente modificate (in particolare mais e soia). È noto anche l’uso di sostanze chimiche per accelerare la maturazione della frutta.

Quello che è successo alla massa di lavoratori che un tempo lavoravano in agricoltura è visibile nelle molteplici testimonianze di criminalità che si sentono in tutto il Paese – riflesso di un impoverimento accelerato ed un aumento delle disuguaglianze nei settori più vulnerabili. Nel caso delle città, il fenomeno è legato allo smantellamento e alla privatizzazione del settore dei servizi e all’inflazione. Nelle zone rurali, entrambi i fattori si sommano al crollo dell’industria agricola. In tutto questo c’è una marcata componente razziale che si riferisce alla struttura di classe precedente al trionfo della Rivoluzione. In sostanza, i neri passarono dall’essere tagliatori o lavoratori della canna da zucchero a braccianti agricoli coperti da un sistema di welfare state, mentre la maggior parte degli emigranti spagnoli, soprattutto dalle Isole Canarie, continuò a possedere piccoli appezzamenti di terreno e a vivere uno stile di vita rurale. L’arretramento dello Stato ha portato all’emergere di fenomeni, ancora in divenire, come il gangsterismo e, nelle zone rurali, il furto di bestiame.

La risposta degli organi repressivi è insufficiente o inesistente. È molto difficile che una denuncia porti a un arresto e non è rara la rivittimizzazione da parte della burocrazia poliziesca. Nelle zone rurali è comune che le persone siano disarmate, anche se i furti di solito hanno una maggiore componente di violenza quando includono armi bianche. La forza repressiva e punitiva si concentra nei maggiori nuclei urbani e si potrebbe dire che la percezione generale su di essa è quella di un organismo essenzialmente politicizzato e radicalmente insicuro sull’autorità che detiene. È comune che proliferino i reati di oltraggio all’autorità o quelli economici a livelli non strutturali (puniti in senso esemplare); ma sono rari gli arresti per reati contro l’integrità fisica o per corruzione.

Non si può parlare di un sostegno all’attuale gestione o all’autorità, ma di un timore di ritorsione. È più che evidente che l’attuale governo non ha una figura carismatica come Fidel Castro (che rimane ancora il riferimento politico principale nell’immaginario collettivo), ma non ha nemmeno un modello di gestione capace di vedere oltre la propria discorsività. Potremmo dire, in modo poetico, che il discorso ufficiale non è in contatto con la realtà. Per i funzionari, l’astrazione ideologica e strutturale è un ostacolo alla gestione della situazione reale e crea un rapporto profondamente nevrotico con la politica: la difesa ad oltranza del modello sociale ed etico, da un lato, e, dall’altro, una prassi politica che si muove tra la corruzione e l’opportunismo. Tale comportamento diventa sempre più evidente quanto più sono lontani dal cittadino comune; più che dal sistema di premi o privilegi, sono mossi da una serie di auto-inganni. Fondamentalmente, questi funzionari hanno già posto le basi di una transizione capitalista nei loro figli; quindi è improbabile che subiranno grandi perdite economiche. In sintesi, pochissimi sarebbero legittimamente punibili in caso di transizione demo-liberista. Ma è sempre più comune che i quadri di partito, e persino i militari e i membri degli organi di sicurezza di basso rango, emigrino negli Stati Uniti.

L’emigrazione ha sicuramente una motivazione prevalentemente economica, ma non si può negare che la motivazione politica, sebbene minoritaria, sia aumentata drasticamente negli ultimi tre anni. C’è anche un fenomeno che si nota viaggiando, anche solo di sfuggita, attraverso qualsiasi insediamento di piccole o medie dimensioni in tutto il Paese: l’identità di questi luoghi, come a Ciego de Ávila, è stata segnata più dalle attività economiche che dalla storia, poiché la maggior parte di essi è stata fondata come parte di una macchina economica che coinvolgeva l’intero Stato/nazione.

I problemi di Cuba qui analizzati sono propriamente sistemici e non possono essere imputati a fattori esterni. Rimarrebbero da analizzare le situazioni che potrebbero avere radici nel tessuto delle relazioni internazionali. Sarebbe persino interessante osservare l’evoluzione del capitalismo nazionale, poiché in futuro porrà una mappa dei settori più sensibili da mobilitare per l’emancipazione sociale.

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Sulla repressione e lo Stato contro-insurrezionale in Perù

Traduzione dall’originale “Sobre la represiòn y el estado contrainsurgente en el Perù

-Papà, i poliziotti mangiano carne umana?
-Allora perché uccidono le persone in questo modo?
(“Redoble por Rancas” di Manuel Scorza)

Contesto internazionale

Il momento attuale è caratterizzato dall’intensificazione della lotta di classe a livello mondiale. Questa lotta si acuisce in modo direttamente proporzionale all’aggravarsi della crisi del capitale e all’aggravarsi della miseria della classe operaia. Osserviamo una recessione tecnica per due trimestri consecutivi soprattutto nei settori produttivi dei paesi imperialisti (ad esempio, Stati Uniti, Germania e Inghilterra), che è legata all’aumento del tasso di disoccupazione in specifici settori del settore degli idrocarburi, miniere, gas e impianti petroliferi, oltre all’aumento dell’occupazione nel settore dei servizi. Inoltre, si stanno verificando alti tassi di inflazione, soprattutto nei settori alimentari e abitativi, aspetti che colpiscono maggiormente la classe operaia. D’altra parte, la guerra inter-imperialista insita nella crisi porta ad un aumento del prezzo del petrolio e del gas, generando un effetto domino sui prezzi di tutti i prodotti a livello mondiale. La carenza di fertilizzanti si traduce in una minore produzione nei settori agricoli a livello globale, mentre le grandi aziende legate alla lavorazione e alla vendita di carburante e alle banche falliscono o entrano in crisi. Tutto ciò ha come conseguenza diretta l’aumento del costo della vita per la classe operaia. Sebbene si registrino miglioramenti in alcuni settori e una minima riduzione dell’inflazione in alcuni Paesi, si prevede che nei prossimi mesi il rallentamento economico generale si aggraverà e un terzo dell’economia mondiale entrerà in recessione.

Per questo motivo, le persone lavoratrici di tutto il mondo sono le più colpite e hanno protestato maggiormente. Ciò si è visto in modo più evidente nel Gennaio 2022 in Kazakistan; dopo la guerra inter-imperialista del 24 Febbraio, abbiamo assistito a lotte in Iraq, Sudan, Spagna, Albania, Perù, Sri Lanka, ecc. tra Marzo e Aprile; in Ecuador, Germania, Inghilterra, Sri Lanka, Bruxelles, Tunisia, Belgio, ecc. tra Giugno e Luglio; in Francia, Spagna, Grecia, Germania, Italia a Ottobre; e in Perù, Turchia, Cina, Iran, ecc. tra Dicembre e Gennaio 2023.

La crisi in Perù

Il Perù è un Paese che dipende dalle importazioni di combustibili, fertilizzanti e prodotti alimentari; d’altra parte, la sua economia di esportazione primaria lo rende sensibile agli shock economici esterni. Pertanto, tutti questi aumenti dei prezzi incidono direttamente sul costo della vita della popolazione (ad esempio, con l’aumento del costo dei trasporti, tutti i beni trasportati aumentano di prezzo). La mancanza di fertilizzanti porta a una minore produzione e l’alto costo dei fertilizzanti fa aumentare il prezzo dei prodotti agricoli. Allo stesso tempo, la sua moneta è stata svalutata, tra gli altri fattori, dall’aumento dell’inflazione e dal rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve statunitense, i cui effetti si sono fatti sentire maggiormente negli ultimi mesi. A questo possiamo aggiungere che l’impatto della guerra ha avuto l’effetto opposto a quello previsto, riducendo il prezzo dei minerali. Tutto ciò ha generato un aumento dell’inflazione di oltre 2 punti, raggiungendo il livello più alto degli ultimi 26 anni con l’8,46% e oltre il 15% nei prodotti alimentari. Ciò significa che i prodotti fondamentali per il consumo della classe operaia – come le patate, ad esempio -, sono aumentati, a livello di prezzo. di oltre il 100%. La crescita trimestrale del Prodotto Interno Lordo nel 2022 è diminuita – con un calo dal 3,8% all’1,7% nell’ultimo trimestre.

Il capitalismo peruviano ha, tra i suoi tratti fondamentali, quello di compensare la bassa produttività del suo capitale nella competizione globale con un sfruttamento raddoppiato della forza lavoro. Ciò è reso possibile dalla persistenza strutturale di un esercito di contadini disoccupati e semi-proletarizzati, che partecipano regolarmente alle economie “informali”, alla produzione agricola su piccola scala e alle economie illegali con l’obiettivo primario di riprodurre la propria esistenza. È questo processo che spiega – a grandi linee – l’esplosività della lotta di classe.

Le persone lavoratrici peruviane sono sottoposte al giogo capitalista, sia per l’impossibilità di vendere la loro forza lavoro, sia perché, se lo fanno, sono sottoposte ad un maggiore sfruttamento, che si esprime in orari di lavoro che in alcuni casi, come nell’agroindustria, superano le 15 ore al giorno. Le persone lavoratrici delle regioni più in difficoltà, come Apurímac, hanno un reddito mensile di 714 Sol peruviani (pari a 171 euro, ndt); a Puno, invece, il reddito medio è di 805 Sol peruviani (pari a 193 euro, ndt). Ciò equivale rispettivamente a 189 e 213 dollari statunitensi al mese, anche se è probabile che tali redditi siano ancora più bassi. Nelle regioni dell’altopiano meridionale del Perù, è notevole anche l’alto tasso di anemia nei bambini, con un’incidenza di circa il 50% in Apurimac e Ayacucho e del 70% a Puno.

I problemi economici, sociali e sanitari di queste regioni povere, inoltre, hanno come altra caratteristica un forte razzismo che è intrinseco alla violenza strutturale del capitalismo in Perù.

Quello che abbiamo vissuto nell’ultimo mese in Perù è stato il passaggio dalle lotte tra due frazioni che rappresentano la borghesia nazionale ad uno scenario di lotta di classe in cui la classe operaia si confronta con i rappresentanti statali della borghesia e si è spinta fino ad un attacco diretto alla proprietà borghese. In questo senso, sosteniamo che I) la crisi politica in Perù è un’espressione della crisi mondiale del capitale; II) lo sviluppo delle lotte attuali ha implicato il passaggio dalle dispute inter-borghesi nello Stato a un’incipiente manifestazione di lotta di classe (lavoro contro capitale), dovuta all’intervento diretto delle persone lavoratrici contro i rappresentanti statali della classe borghese e, in alcuni casi, direttamente contro i mezzi di produzione della borghesia; III) che la repressione brutale è consustanziale al carattere di classe dello Stato capitalista peruviano, indipendentemente da chi ricopre il ruolo di personale politico, e IV) che le condizioni e l’intensità dell’escalation della violenza poliziesca e militare ci permettono di fare riferimento ad uno Stato di contro-insurrezione, il cui carattere renderemo esplicito in seguito.

Ripercorriamo gli eventi più rilevanti di questo processo di lotte con le vene ancora aperte.

Il 12 Dicembre sono stati segnalati sei morti ad Apurímac e uno ad Arequipa. La tredicesima è stata significativa perché la maggioranza delle persone lavoratrici sono passate dall’attacco alle istituzioni governative locali e nazionali all’attacco contro la proprietà borghese stessa. Il 15 Dicembre, 10 persone sono state uccise nella regione di Ayacucho. Il 16 si contano 3 morti a Junín, 3 a La Libertad e altri 3 a Cusco. Le lotte continuano, ma sono rallentate dalle vacanze di fine anno, che significano più lavoro e vendita di prodotti. Dopo queste date, le mobilitazioni sono riprese con le persone lavoratrici organizzate autonomamente che sono tornate a prendere il comando – soprattutto quelle di Puno, Ica e Cusco. Subito dopo Natale, le lotte hanno ricominciato a farsi sentire nelle regioni meridionali del Perù. Il 4 Gennaio, le principali regioni del macro-sud del Perù hanno iniziato uno sciopero a tempo indeterminato.

Lo sviluppo delle mobilitazioni contro il governo ha ricevuto una risposta brutale dalle forze repressive dello Stato capitalista. Il 9 Gennaio, quando alcuni contingenti di persone lavoratrici della città di Juliaca si sono spostati nei pressi dell’aeroporto Inca Manco Capac, la polizia ha iniziato le sue azioni repressive, sparando direttamente sui corpi delle persone manifestanti. Secondo il personale medico che ha assistito le persone ferite e ispezionato i morti, i proiettili usati dalla polizia non erano comuni pallettoni, ma MUNIZIONI MILITARI, in particolare proiettili espansivi noti come “dum dum”. Questo tipo di munizioni ha la particolarità di espandersi nel corpo dopo l’impatto, causando danni agli organi interni. Inoltre, sono state lanciate bombe lacrimogene e pellet dagli elicotteri. Così, gli oltre 17 morti che si sono registrati fino al momento della stesura di questo comunicato (11 Gennaio, ndt) e le numerose persone ferite sono state vittime di un’aggressione sproporzionata che, senza dubbio, è avvenuta sotto la compiacenza della coalizione borghese che sostiene la famigerata Dina Boluarte. Tra le persone cadute vale la pena menzionare una madre con un marito epilettico, incapace di lavorare a causa della sua condizione, che avevano perso il figlio di 17 anni, unico appoggio per il loro sostentamento. Inoltre, un medico è stato ucciso a tradimento mentre soccorreva uno dei feriti.

Critica alla sinistra capitalista

La sinistra capitalista ha mostrato la sua analisi emblematica dell’attuale lotta di classe riducendo tutto ad una questione di identità o di autonomia politica. Questo non fa che dimostrare la sua posizione meccanica sulla realtà, che si basa sulla frammentazione reificata del politico con l’economico. Nella sua variante più istituzionalista abbiamo assistito ad analisi che servono solo alla prassi della classe dirigente.

Per Nicolás Lynch “la gente è venuta a chiedere il reintegro di Castillo [come presidente], e non è per identità politica, ma per identità sociale o sociologica; la gente si è identificata come cholo (meticcio, ndt), insegnante”. Secondo lui, il “popolo” non aveva un’identità politica con il programma o le azioni politiche di Castillo, ma piuttosto un’identità sociologica.

Da parte sua, come fenomenologo francese, Guillermo Lumbreras ha sottolineato che “la divisione del Perù in due parti è la divisione tra Noi che abbiamo la Costituzione dalla nostra parte e gli Altri che non ce l’hanno (…) quello che sta accadendo è che gli Altri si stanno sollevando, in molti casi si tratta di una rivolta di classe, ma non qui; qui va molto oltre, è un’opposizione tra coloro che sono nel sistema e coloro che non vivono nel sistema.”

Per il “grande” politologo Martin Tanaka, “il dramma è che ci troviamo attualmente in una sorta di momento pre-hobbesiano: il puro confronto”. Secondo lui, la lotta germoglierebbe in uno “stato di natura” dove gli individui, in condizioni di parità, sono in una lotta di tutti contro tutti; un “analisi” molto comoda per giustificare la repressione della classe dominante. Non è un caso che questo ingenuo pasquino sia pubblicato da uno dei media più allineati agli interessi borghesi.

Altri, come Juan Carlos Ubilluz, hanno seguito il postmodernismo di Negri e Hardt: “La protesta sociale è multiforme (…) È un’entità che, come uno sciame, agglutina più elementi e svolge un’azione politica prima di disperdersi. La moltitudine è un gruppo aperto di cittadini che, da prospettive politiche diverse, si materializzano per rifiutare una specifica ingiustizia”. In breve, non ci sono classi, non ci sono lotte, e i politici non hanno alcun legame con la classe capitalista peruviana, non ci sono interessi politici, né alcun significato nelle lotte. Al contrario, l’identitario e il politico hanno la precedenza, ringiovaniti dalla terminologia strutturalista, dalla fenomenologia francese e dal postmodernismo.

Héctor Béjar aggiunge fattori economici alla questione: “Questo popolo emergente non è più il proletariato dei vecchi termini industriali: ora ha un proprio capitale (piccolo o medio che sia), proprie fonti di finanziamento e ha perso la paura verso gli strumenti della repressione del vecchio potere dominante (…) Credo che ora ci sia una vera e propria nuova situazione in Perù.” Tuttavia, le sue argomentazioni sono lontane dalla realtà: la maggior parte della popolazione peruviana può garantire la propria vita e quella delle proprie famiglie solo vendendo la propria forza lavoro; una piccola impresa o un “capitale” non interferiscono con la caratteristica fondamentale e predominante della classe operaia, soprattutto nel suo legame e nella sua dipendenza dalla riproduzione capitalistica globale. Il “capitale” è tale, in senso proprio, solo se possiede la capacità di espandere la propria scala di produzione. Pensare a un lavoratore “capitalista” senza “capitale” è come pensare ad un samurai senza spada o a un cavaliere senza armatura.

Allo stesso modo, organizzazioni riformiste come il “Movimiento por la Unidad Popular” (MUP), “Nuevo Perú”, “Convergencia Socialista”, “Partido Comunista Peruano” e “Patria Roja” hanno sottolineato che “il comportamento di Dina Boluarte [è] l’espressione concreta del tentativo di fermare l’attuale processo di democratizzazione generato dal basso (…) che si esprime nella lotta per il rispetto della volontà popolare, l’uguaglianza del voto e il rifiuto della discriminazione razzista e di classe che si esprimono nel disinteresse e nel disprezzo dei peruviani”. Gran parte di queste organizzazioni sono vagoni di coda di Castillo e delle fazioni borghesi da lui rappresentate. Finiscono per appellarsi ai meccanismi borghesi di dominio per cambiare il dominio della borghesia. Capisca chi può! Non solo, ma agiscono come una “maglia democratica” che fissa e racchiude tutto sul piano della prassi borghese; e navigano persino nel mare della confusione categoriale, indicando come “fascismo” ciò che non ha né progetto né potere di essere tale. Il loro obiettivo: la conciliazione di classe.

La sinistra capitalistica e i suoi operatori politici nelle organizzazioni sociali e nei centri sindacali sono stati caratterizzati da un vergognoso quietismo nelle ultime ore di fronte agli assassinii del 9 Gennaio. Il caso più paradigmatico è quello della CGTP, guidata dal PCP-UNIDAD stalinista. In un primo momento, non solo ha pensato di incontrare Dina Boluarte, ma, invece di mobilitare i propri iscritti contro il massacro perpetrato dal suo governo, il sindacato si è limitato a chiedere una “veglia contro la repressione a Juliaca”. Allo stesso tempo, tra i partiti che chiedono di mantenere la mobilitazione contro Boluarte, c’è l’interesse a incanalare la rivolta proletaria in un processo costituente che, in altre parole, non sarà altro che un riassetto delle fazioni capitaliste e la continuazione dello sfruttamento.

Lo Stato contro-insurrezionale

Ci schieriamo contro la visione borghese dello Stato peruviano – la quale borghesia vede lo Stato come un organo incompiuto o privo di semplici riforme politiche e istituzionali per il suo buon rapporto con la cosiddetta “società civile”. Intendiamo lo Stato come un organo che sintetizza le relazioni sociali capitalistiche e garantisce l’accumulazione del capitale in tutte le sue fasi. Non è il grande risolutore di conflitti, né esercita la sua funzione di mediazione della contraddizione capitale/lavoro senza ricorrere permanentemente alla violenza. La presunta fragilità istituzionale dello Stato, osannata dalle posizioni liberali e riformiste, nasconde la sua funzione essenziale nel modo di produzione capitalistico.

Ora, la particolarità dello Stato peruviano è espressione della particolarità del suo capitalismo; i suoi limiti e le sue possibilità sono imposti dalla 1) forma di organizzazione economica, 2) dall’estrazione del plusvalore e 3) dalla lotta di classe. Si tratta di elementi costitutivi dei progetti borghesi che hanno trionfato nel XX secolo e che si sono radicalizzati nel XXI secolo; la lotta di classe è il fattore più dinamico in questo scacchiere di determinazioni, risponde alla forma di accumulazione nazionale e alle condizioni di organizzazione della classe borghese, soprattutto in tempi di crisi economica e politica.

Lo Stato è influenzato dalla lotta di classe, soprattutto nei momenti critici di mobilitazione della classe operaia. Quello che osserviamo oggi in Perù è l’escalation repressiva della risposta dello Stato all’insurrezione della classe operaia, dove non c’è spazio o tolleranza per l’opposizione politica alla frazione dominante della classe borghese che ora coopta lo Stato rappresentato da Dina Boluarte. La violenza dello Stato è imposta perché 1) gli interessi economici della classe capitalista peruviana sono minacciati, 2) la borghesia non è in grado di controllare la risposta proletaria alla crisi economica e politica, 3) il miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia è un’impossibilità sistemica e 4) non può più sostenere l’istituzionalità borghese come [accade] in condizioni “normali” (o tranquille, ndt). Contrariamente al rifiuto politico della grande borghesia, il movimento proletario tende a trascinare settori che fino a quel momento erano rimasti smobilitati; finché la classe operaia sarà l’unica a poter imporre le proprie richieste conquistando altri strati della popolazione, la classe borghese tenderà alla contro-insurrezione e al terrorismo di Stato. Questo è uno dei fattori che spiega perché nei Paesi dipendenti (dove la politica e l’economia dipendono da fattori esterni, ndt) la violenza è la regola e non l’eccezione, perché il grado minimo di consenso sociale non può essere raggiunto con un miglioramento riguardante le condizioni di vita, ma solo attraverso il costante appello alla violenza.

Quello che sta accadendo oggi in Perù è ben lontano dal fascismo, perché il fascismo implica un progetto sostenuto [dalla borghesia], capace di aderire politicamente e corporativamente alle masse lavoratrici e di imporsi sulla democrazia borghese; in Perù non abbiamo la negazione di questo tipo di democrazia, ma la sua affermazione. Lo Stato di diritto è costantemente affermato dai principali organi della grande borghesia e da ingenui democratici; è l’aspirazione ultima dei riformisti che lo contrappongono al “fascismo”.

Cosa significa questo per la nostra classe? La grande giustificazione storica della conciliazione di classe e la nebulosità delle contraddizioni che sostengono lo sfruttamento del capitale sul lavoro. Per questo aderiamo alla categoria di Stato contro-insurrezionale per esplicitare il contenuto dell’escalation di violenza e repressione popolare in Perù, attualizzandola nei suoi termini corretti, perché la classe operaia che si mobilita non lo fa in modo ordinato e programmatico, non esistono le condizioni storiche per generare questo tipo di organizzazione. La sconfitta storica della sinistra, il neoliberismo e, soprattutto, le nuove forme di organizzazione della produzione a livello mondiale e il suo sviluppo concreto in Perù ci consegnano un proletariato atomizzato, profondamente eterogeneo, ma non per questo meno proletario. Non entriamo nel disorientamento teorico che implica il ricorso al caos e al nonsenso come spiegazioni valide; lasciamo i dilemmi esistenziali agli intellettuali piccolo-borghesi.

Il momento attuale dello Stato in Perù è quello della contro-insurrezione, dell’esaurimento di tutte le forme in cui una mera istituzionalità liberale potrebbe manifestarsi. La difesa dello Stato borghese avviene attraverso l’annientamento diretto e premeditato della popolazione mobilitata. Significa che la grande borghesia al potere sente l’imperiosa necessità di ricorrere a metodi di guerra che sono stati istituzionalizzati in America Latina con l’addestramento diretto dell’imperialismo statunitense; il ricorso alla radicalizzazione della violenza di fronte alla massiccia mobilitazione della popolazione lavoratrice risponde alle contraddizioni capitalistiche che essa stessa non può controllare a causa del suo carattere subordinato ai flussi economici dell’accumulazione globale. Questa risposta della classe operaia aggrava le condizioni di gestione e appropriazione capitalistica che hanno cercato di riaggiustarsi dopo il licenziamento di Pedro Castillo e la messa all’angolo delle fazioni borghesi che rappresentava.

La criminalizzazione del movimento operaio, qualunque sia la sua forma, e il cinismo dei rappresentanti del potere statale rivelano l’intolleranza dell’opposizione all’interno dello schema generale del dominio in Perù, poiché il livello di interrogazione sociale ha raggiunto la negazione stessa dello Stato e dei suoi rappresentanti politici. Le azioni intraprese da chi è al potere ci ricordano i tempi della nostra storia in cui i meccanismi militari cercavano di annientare il movimento operaio generale attraverso il ricorso diretto al terrore militare. La contro-insurrezione in Perù si sta svolgendo a causa dell’evidente protagonismo del potere militare e delle Forze Armate nelle azioni dello Stato. Di fronte a questa unità annichilente dobbiamo opporci [attraverso] l’unità della classe operaia!

Le nostre proposte

Di fronte alla brutale repressione dello Stato capitalista, chiediamo di mantenere l’organizzazione autonoma delle persone lavoratrici e le misure di lotta e resistenza contro la politica repressiva di Dina Boluarte e dei poteri militari.

Solo la mobilitazione indipendente delle persone lavoratrici può aprire un orizzonte in grado di garantire la vittoria delle loro lotte immediate e, con il progressivo sviluppo della loro coscienza, orientarsi verso la trasformazione delle condizioni di sfruttamento imposte dal modo di produzione capitalistico.

Le persone lavoratrici devono aderire agli appelli generali alla lotta e sviluppare delle forme e metodi per sostenere il movimento della loro organizzazione indipendente.

Gli organismi che nascono da questa mobilitazione possono essere i semi di un’istanza superiore che avanza e sviluppa un programma che esprime gli interessi storici della classe operaia, al di là delle soluzioni istituzionali e democratiche oggi predominanti. La soluzione costituente e la richiesta di nuove elezioni sono solo palliativi, che possono solo riprodurre in altri termini il dominio di classe che esiste solo a causa della contraddizione capitale/lavoro.

Mantenere la solidarietà di classe e rafforzarne l’organizzazione in base agli interessi storici della classe è il compito fondamentale che si apre con questo nuovo ciclo di lotte.

L’umanità non insegue mai chimere sciocche o irraggiungibili; l’umanità corre dietro a quegli ideali la cui realizzazione sente vicina, sente matura e sente possibile” (José Carlos Mariátegui).

Tutto il potere alla classe operaia!

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