Perché i fascisti, gli autoritari e i teocrati sono i nemici della libertà riproduttiva

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Traduzione dell’articolo Why Fascists, Authoritarians, and Theocrats Are the Enemies of Reproductive Freedom

Un resoconto di un intervento e di una mobilitazione autonoma nella cosiddetta Asheville, nella Carolina del Nord, ed una copia di un testo che è stato distribuito.

La sera di martedì 3 maggio, centinaia di membri della comunità della cosiddetta Asheville, NC, hanno partecipato a una manifestazione d’emergenza in risposta all’imminente decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di rovesciare la sentenza Roe v Wade. La copertura mediatica della manifestazione è disponibile qui.

Notizie da Asheville: su autoritari e aborti
Il materiale promozionale dell’evento, organizzato dal Partito per il Socialismo e la Liberazione (PSL), presentava un linguaggio quasi identico a quello di altri eventi del partito che si svolgono in tutto il Paese. L’inquadramento trans-esclusivo di una “guerra alle donne” ha immediatamente generato obiezioni sui social media della sezione locale; durante uno scambio pubblico su Instagram, un organizzatore del PSL ha suggerito che le persone trans sono “danni collaterali” e ha ammonito che l’essere “inclusivi” sarebbe “arrivato a spese del decentramento delle donne dalla loro lotta” (un’affermazione allarmantemente male informata che riflette una mancanza di impegno con la teoria o la pratica della giustizia riproduttiva). I commenti sono stati successivamente rimossi, ma in risposta un gruppo di organizzazioni locali trans-inclusive – tra cui Mountain Area Abortion Doula Collective, We Keep Us Safe, OYE Collective, Asheville for Justice, Asheville Socialist Rifle Association, Hellbender e Firestorm Books – ha deciso di organizzare il proprio “Abortion Resource & Info Popup”. Questo popup si è svolto parallelamente alla manifestazione del PSL nel Pritchard Park del centro di Asheville.

Le dimensioni della folla hanno reso i due eventi indistinguibili e i partecipanti alla manifestazione hanno preso il microfono più volte senza incidenti. Ma un numero crescente di attivisti di Asheville sta esprimendo frustrazione per lo spazio occupato dal PSL e per la storia dell’organizzazione che afferma la propria leadership in aree in cui non ha alcuna competenza e non si occupa di organizzazione comunitaria. Per informare i partecipanti alla manifestazione sul PSL, gli anarchici hanno distribuito un volantino intitolato “Perché i fascisti, gli autoritari e i teocrati sono nemici della libertà riproduttiva”. Durante e dopo l’evento abbiamo potuto consegnare il materiale direttamente alle persone che venivano reclutate, persone che probabilmente non avevano idea che il PSL è un’organizzazione stalinista che opera in modi antitetici alla liberazione.
Mentre distribuivamo i nostri volantini, abbiamo chiesto ai partecipanti al raduno se fossero a conoscenza del fatto che Stalin avesse vietato l’aborto: la maggior parte non lo sapeva. Alla stessa domanda, un membro del PSL ha risposto semplicemente: “È un peccato”.

Perché i fascisti, gli autoritari e i teocrati sono i nemici della libertà riproduttiva

A poche ore dalla pubblicazione della decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che annulla le protezioni costituzionali per l’aborto, sono state annunciate proteste nelle città di tutti i cosiddetti Stati Uniti. Molti di questi appelli all’azione sono stati lanciati dal Partito per il Socialismo e la Liberazione (PSL), un’organizzazione politica neo-stalinista tristemente nota per le sue posizioni aberranti e per i suoi tentativi di dirottare i movimenti sociali di base. [1] Qual è dunque il rapporto tra autoritarismo e libertà riproduttiva?

Sebbene gran parte del “dibattito sull’aborto” negli Stati Uniti sia incentrato sulla religiosità, i tentativi legislativi di obbligare il parto sono sempre stati guidati dall’economia. I governi considerano la gravidanza non come una scelta individuale, ma come il meccanismo con cui la società produce futuri lavoratori e contribuenti. Quando il calo delle nascite portò il leader sovietico Joseph Stalin a vietare l’aborto nel 1936, fu chiaro: la maternità obbligatoria era “un grande e onorevole dovere” che non era “un affare privato ma di grande importanza sociale”.
Un discorso così esplicito sul sacrificio individuale potrebbe non piacere al pubblico statunitense, ma l’ansia per il calo dei tassi di natalità (e in particolare dei tassi di natalità dei bianchi) è la parte silenziosa che i politici di tanto in tanto dicono ad alta voce. A metà degli anni ’70, quando il tasso di natalità iniziò a diminuire, emerse una nuova coalizione all’incrocio tra supremazia bianca, patriarcato e cristianesimo. Proprio come i pianificatori sovietici avevano capito che la capacità economica della nazione era legata alla popolazione, i capitalisti vedevano in una cittadinanza ridotta e invecchiata una minaccia ai loro profitti e alla capacità di portare avanti guerre imperialiste all’estero. I “valori della famiglia”, quindi, non riguardano tanto la moralità quanto il ruolo centrale della famiglia eterosessuale nella riproduzione della forza lavoro e nell’imprimere i valori dello Stato patriarcale, sia esso capitalista o socialista.

La lotta per la libertà riproduttiva è una lotta tra il nostro desiderio di autonomia corporea e il desiderio di controllo dello Stato.

I divieti sull’aborto domestico mirano a promuovere il benessere economico delle élite a scapito della sopravvivenza delle persone della classe operaia, in particolare delle donne BIPOC (Black, Indigenous and People of Color) e delle persone trans che hanno meno accesso alla ricchezza e una maggiore vulnerabilità alle conseguenze legali (conseguenze che sono tutt’altro che assenti per le stesse élite). Che sia per arricchimento privato o per ambizione nazionale, dobbiamo respingere gli attacchi alla nostra libertà più fondamentale: la libertà di fare scelte sul nostro corpo.

I governi non possono concederci l’autonomia corporea, possono solo togliercela. Nessun politico o partito è qualificato per guidare questa lotta, tanto meno un’organizzazione come il PSL che ha dimostrato di essere pronta ad allearsi con gli elementi politici più reazionari e patriarcali. Come le loro controparti fasciste e teocratiche, gli autoritari di sinistra non sono amici della nostra libertà.

Nonostante l’affermazione del giudice Alito secondo cui “l’aborto non è profondamente radicato nella storia e nelle tradizioni della nazione”, l’assistenza all’aborto è precedente allo Stato coloniale che egli serve e persisterà a lungo dopo il suo sgretolamento. Un’azione efficace richiede di conoscere questa storia e di distinguere tra coloro che ne incarnano l’eredità e coloro che cercano di sfruttarla. In tutto il Paese, fondi abortisti di base e organizzazioni di mutuo soccorso stanno già combattendo e creando infrastrutture per una realtà post-Roe. Speriamo che vi uniate a loro!

Mountain Area Abortion Doula Collective – mtnabortiondoula.co
National Network of Abortion Funds – abortionfunds.org
Abortion Resource Kit – tinyurl.com/AbortionResourceKit
Abortion Pills Online – plancpills.org
Shout Your Abortion – shoutyourabortion.com

Nota
[1] Il PSL si schiera costantemente con gli autoritari “antimperialisti” e contro i movimenti per il potere dei lavoratori o i diritti democratici. Negli ultimi anni, ciò ha incluso il sostegno a Bashar al-Assad, Kim Jong-un e Vladimir Putin. È ben documentato che i leader del partito hanno negato genocidi, collaborato con i fascisti e cospirato per coprire gli abusi sessuali all’interno del loro partito.

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Biagio “Gino” Cerrito, “La rinascita dell’anarchismo in Sicilia” – Quarta Parte

Terza Parte

 

3 LA RINASCITA DEI GRUPPI
Nello sforzo di adattarsi a quella che pareva essere la realtà sociale, o indotti dalle pressioni di un ambiente più o meno avverso, parecchi militanti erano addivenuti a dei compromessi programmatici, neganti non una parte, ma tutto l’anarchismo. In genere costoro erano stati attratti al Movimento da un vago sentimento umanitario e romantico, non accompagnato da alcuna elaborazione critica; o dalla illusiva speranza di un immediato avvento rivoluzionario, il che nella fretta di realizzare li aveva trascinati alle urne e, quindi, a riconoscere allo Stato una utilità politica e sociale effettiva. Altri, provenienti dai partiti autoritari nei quali sentivano offesa la loro personalità, erano stati delusi dal contraddittorio comportamento di vecchi militanti di fronte ai fatti della vita quotidiana, o dal loro pseudo anarchismo, fondato su un estremismo parolaio ed esclusivamente demolitore.

Quasi dappertutto, insomma, si erano verificati disorientamenti e dispersioni, che rendevano necessaria ed urgente una vasta opera di chiarificazione interna, la quale sublimasse anarchicamente il vago umanitarismo dei primi, il rivoluzionarismo frettoloso dei secondi e, specialmente, le istanze verso un programma di massima di tutti gli altri. Continuare ad affermare, come non pochi « istintivisti » sostenevano, che « bisogna avanti tutto demolire quanto domani restando in piedi getterebbe la sua ombra malefica sulle nuove costruzioni» [1], senza poi chiarire la frase-fatta, prospettando la soluzione anarchica del problema del domani; o addirittura imbottire il cranio dei giovani simpatizzanti — in genere di vaga formazione mentale socialista — con le opere dello Stirner e del Nietzsche, buone solo per gli educati alle discipline filosofiche; e con ignoranti discorsi su una futura società anarchica fondata sull’individualismo, « (non quello antisociale dei superuomini), ma quello basato sui rapporti diretti tra individuo ed individuo » [2], senza rendersi conto del significato impossibile dell’enunciato, certamente avrebbe determinato nuovo disorientamento fra i giovani militanti impreparati.

Chiarire quindi, ma saper chiarire, sapere prospettare la necessità che i compagni non si specializzassero in una esclusiva propaganda anticlericale [3], o in una generica attività antifascista; e non dimenticare altresì l’urgenza della continuità della propaganda estensiva, per creare nuovi gruppi e nuove simpatie.

A questa duplice attività, alla quale si impegnarono in maniera più o meno notevole i militanti siciliani, contribuirono la Federazione Anarchica Italiana, i gruppi editori della penisola e gli anarchici del Nord-America, con aiuti finanziari e invii di opuscoli e giornali per la diffusione e di libri per la costituzione di piccole Biblioteche circolanti [4].

Cosicché, dal giugno 1946 al febbraio 1947, gli anarchici Armando Borghi, Umberto Consiglio, Giovanni Diecidue, Alfonso Failla, Salvatore dandone, Placido La Torre, Randolfo Velia, tennero 54 conferenze in 27 comuni dell’isola; e precisamente ad Agrigento, Burgio, Ciavalotta, Favara, Grotte, Lucca Sicula, Santa Margherita Belice, Villafranca Sicula, Gela, Riposto, Enna, Messina, Barcellona, Mandanici, Taormina, Palermo, Bagheria, Ragusa, Modica, Vittoria, Siracusa, Trapani, Castelvetrano, Marsala, Mazara, Partanna, Santa Ninfa [5]. Da notare che spesso tali conferenze furono organizzate da un numero esiguo di anarchici o di simpatizzanti, i quali dimostrarono una decisione ed un entusiasmo veramente rilevanti, specie dove gli ostacoli frapposti dalle locali clientele erano rappresentati dalla parte peggiore della mafia [6].

Nel medesimo periodo furono promosse altresì centinaia di conversazioni nei locali dei Circoli, delle Camere del lavoro e dei partiti politici di oltre 60 comuni siciliani [7], distribuendo ivi copiosamente periodici ed opuscoli anarchici e creando altrettanti centri di simpatizzanti per il Movimento. Più di ogni altro Alfonso Failla, viaggiando spesso a piedi, percorse decine di paesi nella provincia di Agrigento, Ragusa, Siracusa e Trapani [8], allacciò contatti con vecchi militanti isolati, tenne decine di conversazioni, diffuse dappertutto la stampa anarchica, chiarì dubbi a giovani e vecchi compagni delusi e rianimò i gruppi che nel giugno si erano disgregati [9].

Questa intensa attività provocò il consolidamento delle posizioni del Movimento in alcuni centri dell’isola, determinò la costituzione di 15 nuovi gruppi anarchici a Bagheria, Barcellona, Comiso, Enna, Gela, Grotte, Ispica, Lentini, Modica, Palermo, Ragusa, Riposto, Vittoria [10], e rese possibile che nel periodo immediatamente successivo al Convegno regionale di Palermo ne sorgessero numerosi altri, dei quali ricordiamo quello di Favara, forte di circa 50 militanti, quasi tutti braccianti agricoli [11].

In verità, specialmente nei primi mesi della loro costituzione, alcuni di questi gruppi svolgevano un’attività discontinua ed a volte contraddittoria, la quale produceva un periodico flusso e riflusso di militanti a Gela, Ispica, Enna, Lentini, Modica [12]. Proprio a Modica, dove esisteva il gruppo più numeroso e più attivo del ragusano, questo fenomeno appariva strano ed insieme caratteristico; tanto più che il gruppo di Modica, aumentato in pochi mesi di propaganda a oltre 100 aderenti, ripartiti in quattro gruppi [13], promuoveva la formazione di quelli di Comiso, Ispica, Ragusa e Vittoria.

A Modica c’era un ambiente abbastanza favorevole verso gli anarchici, il che avrebbe potuto fruttare al Movimento una solida e determinante posizione in tutta la provincia. Ma l’attività di quegli anarchici non teneva conto dell’urgente necessità della preparazione dei nuovi militanti, alcuni dei quali rimanevano tuttavia iscritti ai partiti politici; e si svolgeva in senso esclusivamente estensivo e teorico, per giunta, sulla base delle conferenze Consiglio e Failla e della distribuzione della stampa, senza alcun pratico riferimento ai problemi della vita quotidiana. Aderire al gruppo non significava inserirsi in un anarchismo operante, ma sognare insieme ad altri una vaga società migliore, organizzare commissioni, promuovere la formazione di nuovi gruppi di « scontenti », « sentire » — senza alcuna elaborazione critica — di essere i depositari della Verità e, perchè no, sperare di potere editare un periodico anarchico, accontentandosi intanto di un numero-unico, La Diana, nel quale si nota tutta la vaghezza parolaia dei redattori [14]. Per il momento, comunque, gli anarchici di Modica promuovevano la costituzione della « Federazione Anarchica della Sicilia Sud-Orientale », formata anche da gruppi esistenti solo nominalmente [15]; e, apparentemente, tutto faceva sperare che ivi il Movimento si sarebbe ulteriormente sviluppato [16].

Di contro, nel medesimo periodo, si assiste ad un diverso sviluppo dei gruppi di Siracusa, Trapani, Mazara e Messina, dove la migliore preparazione e la maggiore concretezza dei militanti determinavano un’attività continua e metodica, la quale si ripercuoteva a sua volta sui primi motivi.

A Siracusa, dopo il rientro di Alfonso Failla, « il cui dinamismo si impone efficacemente anche agli avversari » [17], l’attività si era moltiplicata estendendosi ai centri della provincia, dove alcuni membri del gruppo si recavano più volte per diffondere la stampa e dove il Failla intratteneva i simpatizzanti con continue conversazioni. In città, poi, le riunioni aperte a varie decine di amici, si alternavano con le conferenze nei locali della Camera Confederale del Lavoro e dell’ A.N.P.I., nel corso delle quali l’oratore si intratteneva sulle necessità attuali dei lavoratori, suggerendo soluzioni anarchiche e rivoluzionarie, in palese contrasto con i compromessi proposti dai dirigenti dei partiti e della C.G.I.L. [18]. La propaganda anarchica così condotta, e senza la negativa fretta di realizzare subito la forza del numero, incontrava consensi fra gli operai su cui il gruppo — che contava parecchi studenti — poggiava con solida stabilità.

La situazione del trapanese, dopo le elezioni della Costituente, è perfettamente rispecchiata dalle discussioni e dalle decisioni adottate dai gruppi di Castelvetrano, Mazara e Trapani, presenti al 3° Convegno provinciale del 28 luglio 1946 [19], dal quale mancavano, come si nota, i pseudogruppi di Castellammare del Golfo e di Alcamo, ormai chiaramente inesistenti. Nè, a tal proposito, i partecipanti ritenevano ancora utile di ripetere l’espediente dei precedenti incontri provinciali. Si impegnavano, invece, di moltiplicare i loro sforzi onde costituire altri gruppi a Marsala ed a Salemi, dove esistevano veramente le condizioni perchè le speranze si realizzassero. Ciò che maggiormente interessava il Convegno era la questione dei rapporti con il Movimento operaio, per cui i presenti stabilivano di costituire dei « Comitati di azione sindacale », che agitassero le soluzioni rivoluzionarie dei problemi dei lavoratori nelle stesse organizzazioni sindacali della C.G.I.L. L’attività successivamente svolta, specialmente a Trapani, moltiplicava gli aderenti ed i simpatizzanti e rendeva effettivamente conforme allo spirito del comunismo anarchico la preparazione di quei militanti, come si rileva dalle proposte da essi inviate, tramite Alfonso Failla, al Convegno della F.A.I., tenuto a Bologna il 29 e 30 settembre 1946 [20].

Non più inceppata dalla ossessiva propaganda elettorale antimonarchica, l’attività degli anarchici messinesi aveva assunto, dopo il giugno, un ritmo sempre più intenso e coerente, guadagnando al gruppo numerose adesioni di impiegati, studenti, liberi professionisti e operai [21] ; ed allargando il numero dei simpatizzanti fra i lavoratori della maggioranza dei sindacati organizzati nella locale Camera Confederale del Lavoro, alle cui assemblee e manifestazioni taluni anarchici non mancavano mai di assumere pubblicamente e con rilevanti effetti una posizione critica e rivoluzionaria. Nel corso delle riunioni del gruppo i militanti si intrattenevano sui vari problemi interni ed esterni del Movimento: assumevano impegni per la diffusione della stampa anche nella provincia, per la organizzazione di conversazioni nei locali del Circolo ed altrove e per il comportamento da osservare nelle agitazioni sindacali; infine, discutevano sulle tesi programmatiche dell’anarchismo, onde rafforzare la loro preparazione ideologica. E nonostante che successivamente e per vari motivi si sarebbe verificata una parziale dispersione degli aderenti, la metodica continuità del lavoro svolto avrebbe certamente garantito una sia pur saltuaria, ma sempre coerente propaganda anarchica a Messina.

Il I° Convegno anarchico regionale, troppo affrettatamente preparato non sarebbe stato la logica conclusione dell’attività svolta dagli anarchici siciliani durante i tre anni precedenti; bensì un tentativo mal riuscito di far il punto della situazione del Movimento anarchico nell’isola e di riunire in una Federazione regionale tutti i gruppi onde renderli positivamente operanti. Esso era stato richiesto dalla generalità dei gruppi partecipanti, su decisione singolarmente adottata, in seguito al giro propagandistico di Alfonso Failla, dal quale venne praticamente promosso, come attesta il comunicato di convocazione, pubblicato dalla « Federazione Anarchica Palermitana » a firma Failla-Natoli [22].
Come già alla Federazione Anarchica Palermitana, costituita nel 1947 dagli anarchici di Palermo e di Bagheria [23], Paolo Schicchi aderì e partecipò al Convegno regionale, tenuto a Palermo il 2 marzo seguente; e, pur mantenendo nel corso dei lavori un certo atteggiamento di resistenza verso ogni organizzazione anarchica — perfettamente condiviso da Nino Pino Balotta di Barcellona [24] —, non ostacolò la proposta di costituire una « Federazione Anarchica Siciliana ». Oltre Paolo Schicchi, al Convegno intervennero i rappresentanti dei gruppi di Agrigento, Bagheria, Barcellona, Castelvetrano, Mazara, Messina, Modica (per i 4 gruppi di Modica e per quelli di Comiso, Ragusa e Vittoria), Palermo, Siracusa (anche per Lentini) e Trapani. Aderirono con lettera i gruppi di Enna, Grotte, Marsala, Riposto e numerose individualità anarchiche di altre località.

« Gli intervenuti, dopo ampia discussione, allo scopo di dare maggiore impulso alla propaganda delle loro idee, stabilirono quanto segue: 1) Costituzione della Federazione Anarchica Regionale Siciliana, il coordinamento della quale, con la collaborazione delle varie federazioni e gruppi aderenti, è affidato ad un comitato di corrispondenza, con recapito presso Marcello Natoli (Piazza Principe di Camporeale 68, Palermo); e di collaborare nell’ambito del Movimento anche con quei compagni e gruppi che eventualmente non accettassero l’accordo federativo [25]. 2) Di aderire alla F.A.I., con gli stessi criteri che informano la Federazione siciliana. 3) Di dar vita ad un loro settimanale in Sicilia, ferma restando la loro solidarietà morale e materiale per la battagliera rivista Era Nuova, compilata da Paolo Schicchi, all’opera del quale si deve, principalmente, la rinascita del Movimento nell’isola [26]. 4) Ritenuto che attualmente l’organizzazione operaia, specie in Sicilia, è necessaria come primo passo sulla via dell’elevazione morale e materiale degli sfruttati, i convenuti decidono di attivizzarsi anche nella lotta che combattono i contadini siciliani contro il latifondismo, fonte della reazione in Sicilia. 5) Di dare vita ad un bollettino che serva di collegamento tra i compagni e gruppi della Sicilia, la compilazione del quale è affidata al Comitato di Palermo. 6) Di attivizzare nell’ambito regionale i compagni capaci di svolgere propaganda orale, i cui nomi sono a disposizione dei compagni che li richiedono presso la Federazione; e di proporre al Congresso della F.A.I. l’intercambio degli oratori delle varie regioni. Particolare invito è rivolto al compagno Randolfo Vella, che già iniziò il suo giro di conferenze in Sicilia, perchè si trattenga più a lungo nell’isola. 7) Udita la relazione sull’attività propagandistica svolta nella regione, i convenuti ringraziano per i loro aiuti fattivi i compagni dei gruppi riuniti d’America, dell’Europa e della Federazione Anarchica Lombarda. 8) Esaminata la relazione dell’opera svolta dai Comitati di difesa sindacale della F.A.I., per liberare l’organizzazione operaia dal centralismo monopolizzatore, ne approvano l’operato… 9) Infine fu discusso l’ordine del giorno proposto per il Congresso di Bologna e si riaffermarono i concetti teorici dell’anarchismo, e venne dato incarico ad alcuni compagni presenti al Convegno di rappresentare la Federazione Anarchica Siciliana al Congresso di Bologna» [27].

Il Convegno regionale contribuì alla rinascita: in quanto fu un incontro di esperienze diverse, una chiarificazione per certe posizioni ideologiche, un’affermazione della necessità di coordinare le possibilità e le attività locali, rivolgendole unite verso il conseguimento di obiettivi comuni, e, infine, perchè maturò il proposito di un periodico regionale, che ebbe finalmente pratica attuazione. Per tutto il resto esso costituì un fallimento, i cui motivi sono principalmente connessi alla recentissima formazione di taluni gruppi, non ancora resi efficienti dal mastice della maturità ideologico-pratica e dall’affiatamento delle individualità componenti.
Lo stesso impegno unanimamente assunto dai convenuti, in merito alla partecipazione al Movimento operaio, per liberarlo « dal centralismo monopolizzatore », sarebbe rimasto tuttavia una formale dichiarazione per la generalità degli anarchici siciliani. In pratica, infatti, domani come già ieri, solo taluni militanti avrebbero partecipato metodicamente alle quotidiane lotte operaie, prospettando per i sìngoli problemi le soluzioni suggerite dall’anarchismo; mentre tutti gli altri avrebbero continuato a vivere una vita alquanto staccata dalla realtà, impegnandosi nelle lotte dei lavoratori, allorché queste si fossero trasformate in manifestazioni di piazza o in veri e propri conflitti con i padroni e con la polizia.

Per taluni di coloro che con i fronti popolari del dopoguerra, nati e vissuti nel compromesso e per il compromesso, avevano contribuito al rafforzarsi dello Stato italiano, questo atteggiamento attuale quanto futuro, di resistenza da neo-illuministi e continuatori delle tradizioni prefasciste, era giustificato dalla preoccupazione che convivere con i social-comunisti, in un ambiente ormai da essi compromesso, sarebbe stato un imperdonabile ed inutile errore. Tanto più che quei vecchi anarchici che, dopo il settembre 1943, per esigenze « realistiche » avevano partecipato alla vita dei lavoratori, erano stati generalmente organizzati nelle file dei partiti di sinistra, diventandone i « quadri » dirigenti. A Lucca Sicula ed a Burgio, per esempio, Giovanni Bufalo e Nino Guarisco avevano finito per essere nominati sindaci dei rispettivi comuni,… per evitare che quelle cariche fossero ricoperte dai reazionari locali — come gli stessi affermavano.

Giuste preoccupazioni quindi, ma solo se non si tenesse conto che i trascinatori erano stati a loro volta trascinati verso un « praticismo » negante tutto l’anarchismo, proprio per difetto della necessaria elaborazione critica dell’ideologia: perchè non avevano saputo o voluto associarsi fra loro educando i lavoratori a quella pratica che scaturisce dall’anarchismo.

Solo a questo patto non farebbe sorridere quanto il vecchio Giuseppe Cazzola di Mandanici — preoccupato dei suoi… « torti » — riferiva ad Alfonso Failla nel gennaio 1947: « Ti devo confessare una incoerenza: io ho aderito al Sindacato dei contadini ed ho partecipato alle lotte per la rivendicazione di migliori condizioni di vita di questa categoria alla quale io appartengo» [28].

Inoltre, se tali motivi si raffrontassero all’esperienza ed all’ideologia anarchica, così come sono state vissute e formulate dal Movimento dei militanti, da Bakunin a Malatesta, si noterebbe subito tutta la debolezza della tesi « resistenzialista », come debolezza della preparazione teorico-pratica dei suoi propugnatori. Anche perchè, se il Movimento operaio già nel 1946 correva verso il sindacalismo legalitario, che sostiene e dà valore a questa società, si doveva in parte alla assenza degli anarchici dalle organizzazioni operaie. Limitata a singoli militanti, la funzione educativo-rivoluzionaria, che è propria di tutto il Movimento anarchico, non poteva dare che irrilevanti o parziali risultati; mentre ai social-comunisti permaneva tutta la possibilità di monopolizzare i lavoratori, distogliendoli dai loro obiettivi di emancipazione libertaria e socialista.

Comunque, la parziale sfiducia che si nota nella pubblicistica anarchica dell’epoca, nelle stesse decisioni del Convegno regionale siciliano e nelle diverse pratiche posizioni dei militanti, verso le organizzazioni dei lavoratori « monopolizzate dai partiti legalitari »; e la prepotente ricerca di apertura verso il Movimento operaio, come condizione della rinascita e della solidità di ogni gruppo e del Movimento anarchico nel suo insieme; se da un lato affermava il permanere di talune posizioni « istintiviste » e acritiche del prefascismo — tali posizioni erano mantenute proprio da

coloro che temevano i pericoli « insiti nel prolungarsi della pratica organizzativa… » —, dall’altro era indice di un travaglio vitale di svalutazione di qualunque negativa concezione dualistica, già superata da Errico Malatesta.

NOTE
[1] Cfr. Dateci un programma, in Umanità Nova, 2 febbraio 1947 (a. XXVII, n. 5).
[2] Ibidem
[3] Proprio dopo il 2 giugno taluni gruppi anarchici si impegnavano in attività anticlericali, costituendo « Associazioni del Libero Pensiero » e « Circoli Giordano Bruno ».
[4] In particolare la Federazione anarchica lombarda inviò per vari anni gratuitamente molti numeri de II Libertario ai gruppi siciliani; i gruppi anarchici del Nord-America resero possibile, con i mezzi messi a disposizione di A. Borghi e di A. Failla, le conferenze tenute in Sicilia dall’agosto 1946 al marzo 1947 dai due oratori e, oltre che numerosi pacchi di libri, inviarono agli anarchici siciliani più bisognosi non lievi aiuti (pacchi vestiario, medicinali ecc.); la Federazione romagnola a mezzo Turroni fornì ai gruppi siciliani notevole quantità di materiale di propaganda; Paolo Schicchi di Palermo, Mazzucchelli di Carrara e lo stesso Failla finanziarono il giro di conferenze compiuto da quest’ultimo nel luglio-agosto 1946.
[5] Gli oratori indicati tennero rispettivamente il seguente numero di conferenze : Failla 37, Borghi 6, Consiglio 4, Velia 3, La Torre 2, Diecidue 1, Giandone 1. Ad Agrigento vennero organizzate 2 conferenze, a Burgio 2, a Grotte 2, ad Enna 3, a Messina 7, a Palermo 4, a Modica 2, a Siracusa 4, a Trapani 3, a Castelvetrano 4, a Mazara 5, in tutte le altre località citale una per parte (Cfr. le collezioni giugno 1946-marzo 1947 dei periodici Era Nuova, Il Libertario, L’Aurora, L’Amico del Popolo, Umanità Nova).
[6] In particolare a Favara, dove il Failla parlò l’11 agosto 1946, ed a Partanna, dove parlò l’11 febbraio 1947.
[7] Oltre i comuni citati, si ricordano Catania, Avola, Cassaro, Augusta, Noto, Palazzolo, Fioridia, Francofonte, Lentini, Rosolini, Salemi, Sciacca, Ribera, Porto Empedocle, Casteltermini, Canicattì, Calamonici, Centuripe, Pietraperzia, Agira, Monreale Palazzo Adriano. Le conversazioni vennero tenute sia dagli oratori già citati, sia da Carta di Enna, Cappuzzello di Modica, Cannone di Alcamo, Gramignano di Trapani, Cerrito e Timpanaro di Messina, Maniscalco di Mazara, Martorana di Bagheria, Pino di Barcellona, Sicilia di Agrigento.
[8] Nei mesi di giugno-agosto e gennaio-febbraio, in modo particolare.
[9] Prima del passaggio del Failla da Agrigento « sembrava che noi esistessimo solo come semplici individualità astratte, chiusi nel vestibolo dell’idea e al di fuori e al di sopra di tutte le beghe e le competizioni politiche… » — scriveva Antonio Sicilia, che fino al giugno 1946, non avendo saputo suggerire ai compagni del gruppo ed ai suoi concittadini la soluzione anarchica dei problemi del momento, si era invischiato in una propaganda talmente contradittoria da provocare la dispersione di quelle forze e di quelle simpatie che man mano era riuscito a raccogliere. (Cfr. Umanità Nova, 25 agosto 1946 (a. XXVI, n. 34).
[10] Per la costituzione di tali gruppi, cfr. le collezioni dei periodici citati a nota [5], . A Modica nel medesimo periodo sorsero 3 diversi gruppi anarchici.
[11] II gruppo di Favara sarà costituito nel luglio 1947. (Cfr. La Conquista del Pane, Siracusa, 10 agosto 1947, numero-unico).
[12] Particolarmente il gruppo di Ispica scomparve nel gennaio 1947, quelli di Gela e di Lentini subito dopo il Convegno di Palermo, ad Enna nonostante gli sforzi fatti dal Carta il gruppo rimase per lungo tempo instabile e sparuto.
[13] Erano in sostanza quattro gruppi di quartiere, senza alcuna differenza di principio fra gruppo e gruppo.
[14] La Diana, numero unico a cura della Federazione Anarchica della Sicilia Sud-Orientale, Modica, 19 dicembre 1946, Direttore resp. Orazio Lorefice.
[15] Dopo qualche anno i gruppi si erano notevolmente assottigliati per vari motivi.
[16] Lo stesso gruppo di Comiso annoverava vari elementi iscritti contemporaneamente ai partiti politici.
[17] Cfr. Era Nuova, luglio 1946 (a. I, n. 5), p. 23.
[18] Le conferenze del Failla a Siracusa erano settimanali. Esse non sono comprese nelle 54 citate.
[19] Cfr. Umanità Nova, 11 agosto 1946 (a. XXVI, n. 32).
[20] Per il Convegno di Bologna, a cui partecipava il Failla quale delegato di vari gruppi siciliani, cfr. Umanità Nova, 20 ottobre 1946 (a. XXVI, n. 42).
[21] Si ricordano i seguenti nuovi aderenti: Placido La Torre, Melo Timpanaro, Michela Bicchieri, Marco Parolini, Dino Minniti, Nino Santoro, Salvatore Pesti, Salvatore Cutuli, Giuseppe Tuzza.
[22] Cfr. Umanità Nova, 23 febbraio 1947 (a. XXVII, n. 8).
[23] Cfr. Era Nuova, gennaio 1947 (a. II, n. 1), p. 24.
[24] Nel dicembre del 1947, in seguito ad incidenti successi nel corso di uno sciopero spontaneo di Barcellona P. G., Nino Pino Balotta venne tratto in arresto. Presentato poi nella lista di candidati del P. C. I., per le elezioni del 1948, venne eletto deputato al Parlamento ed usci dal carcere e …dal Movimento anarchico.
[25] Cfr. in merito a quest’ultimo atteggiamento, U. CONSIGLIO , Serenità, in Umanità Nova, 6 febbraio 1947 (a, XXVII, n. 7).
[26] II primo numero del periodico, diretto da U. Consiglio e A. Failla, uscì a Siracusa il 1° maggio 1947, l’ultimo il 17 aprile 1949. Complessivamente ne vennero pubblicati 13 numeri e tutti con titoli diversi per mancanza di autorizzazione.
[27] Cfr. la relazione del Convegno, in Umanità Nova, 16 marzo 1947 (a. XXVII, numero 11).
[28] La conferenza a Mandanici venne tenuta il 14 gennaio 1947. La frase mi è stata riferita dal Failla.

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Proteste in tutti gli Stati Uniti mentre la Corte Suprema si muove per rovesciare la legge Roe vs Wade

Il leak di Politico riguardante la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di sospendere la sentenza Roe versus Wade ha riacceso una serie di proteste in tutti gli Stati Uniti. Secondo quanto riportato da realtà anarchiche ed antiautoritarie statunitensi, il rischio che si corre è non solo che l’aborto venga reso illegale in tutti gli Stati, ma che questa decisione possa fare da ariete nel bandire tutta una serie di normative legate più in generale alla salute riproduttiva, al riconoscimento dell’identità sessuale, dell’identità di genere ecc.

Abbiamo deciso di tradurre una serie di scritti, tra report ed articoli di analisi, pubblicati sul sito anarchico statunitense It’s Going Down durante il mese di maggio, per fare il punto sulla situazione e per mostrare in che modo le lotte per la difesa dell’accesso all’aborto si stanno svolgendo negli Stati Uniti, ed in che modo il movimento anarchico locale sta contribuendo.

Clicca per vedere gli articoli pubblicati

Traduzione dell’articolo Protests Erupt Across the US As Supreme Court Moves to Overturn Roe vs Wade

foto: @VPS_Reports
Migliaia di persone si sono radunate e sono scese in piazza martedì, dopo che [il sito di informazione] Politico ha fatto trapelare una bozza di relazione della Corte Suprema degli Stati Uniti che afferma: “Riteniamo che Roe e Casey debbano essere annullati. La Costituzione non fa alcun riferimento all’aborto e nessun diritto di questo tipo è implicitamente protetto da alcuna disposizione costituzionale… La Roe era clamorosamente sbagliata fin dall’inizio“. Questa sentenza è probabilmente parte di un attacco più ampio ad una serie di diritti civili protetti dal “diritto alla privacy”, che include tutto, dall’accesso ai contraccettivi, ai matrimoni gay, alla fine delle cosiddette leggi anti-sodomia e alla separazione tra Stato e Chiesa.

(Per la loro economia si deve morire di covid, per la loro economia si deve morire di povertà, per la loro economia si deve morire di complicazioni di gravidanza, per la loro economia si deve morire di armi americane, per la loro economia si deve morire di disoccupazione e di debito.)

Come scritto in un report

Oltre al diritto all’aborto, una decisione della Corte Suprema che rovesciasse la Roe aprirebbe la strada ad un attacco frontale a tutta una serie di diritti democratici consolidati, noti come “diritti non enumerati” perché non esplicitamente menzionati nel testo della Costituzione, ratificata nel 1788. La posizione di[Samuel] Alito [,giudice della Corte Suprema], secondo cui non esiste un diritto all’aborto perché non era presente nella Carta dei Diritti originale, può essere applicata altrettanto bene ad ogni altro diritto stabilito nel corso dello sviluppo della società moderna, tra cui il diritto a un difensore pubblico, l’abolizione delle leggi anti-mescolanza [razziale], il divieto di preghiera obbligatoria nelle scuole e il diritto al matrimonio gay.

Se la Roe vs Wade verrà rovesciata o drasticamente attaccata, le persone povere e della classe operaia, soprattutto nelle comunità di colore, che sono già state colpite maggiormente dalla pandemia e dalle conseguenti ricadute economiche, saranno le più colpite. Questa realtà costringerà molti a cercare metodi non sicuri e potenzialmente mortali, come molti sono stati costretti a fare in passato. Stati come il Texas, che hanno spinto per la criminalizzazione sia di chi abortisce sia di chi lo pratica, creeranno un’atmosfera di potenziale violenza di estrema destra, di repressione statale e di paura generale per un altro aspetto della vita quotidiana.

(Non voteremo per uscire da questa violenza; le organizzazioni locali, i fondi per l’aborto e i gruppi di mutuo soccorso sono valsi il vostro tempo e le vostre risorse molto più di questi vampiri elettorali.)

Come ha scritto Natasha Lennard su The Intercept:

Un numero maggiore di donne e di persone incinte soffrirà e morirà; le persone nere povere saranno colpite in modo sproporzionato… La colpa è tutta della potente destra cristiana, aiutata e sostenuta da cinici fascistoidi di destra, che da decenni hanno messo nel mirino l’autonomia corporea delle donne incinte. Non risponderanno alla nostra rabbia e alle nostre proteste. Continueranno a portare avanti il loro programma autoritario. Nonostante le rivendicazioni sui diritti degli Stati contenute nel parere trapelato, scritto dal giudice Samuel Alito, è evidente che se i repubblicani riprenderanno il Congresso a novembre, cercheranno di far passare un divieto federale sull’aborto.

Questa fuga di notizie arriva a ridosso di una raffica di proposte di legge anti-LGBTQ e anti-aborto in tutti gli Stati Uniti, che hanno attaccato e criminalizzato la libertà riproduttiva, l’assistenza sanitaria e la comunità LGBTQ. I democratici hanno prevedibilmente risposto con appelli a donare e votare alle elezioni di metà mandato del 2022, rifiutando al contempo di emendare l’ostruzionismo e di inserire i diritti all’aborto nella legge. Inoltre, mentre alcuni Stati potrebbero potenzialmente muoversi per proteggere l’accesso all’aborto e coloro che arrivano nello Stato per ricevere i servizi, mentre altri spingono per criminalizzarli, continuiamo a correre verso una situazione molto simile a quella che esisteva prima della guerra civile.

(I movimenti patriarcali fascisti e autoritari hanno cercato a lungo di criminalizzare l’assistenza sanitaria e l’autonomia riproduttiva.
Le stesse forze ossessionate dalla violenza e dall’omicidio di massa, che utilizzano lo Stato come strumento di repressione contro la popolazione nel suo complesso, hanno cercato di criminalizzare la salute e l’autonomia riproduttiva.)

Come ha scritto Lennard:

26 Stati sono pronti a emanare leggi per vietare l’aborto quando la Roe sarà annullata e stanno approvando modi sempre più elaborati per criminalizzare gli aborti. Più di una dozzina di questi Stati ha recentemente approvato dei divieti nelle proprie legislature; altre leggi sono precedenti alla Roe ma rimangono in vigore e potrebbero tornare in vigore. Attualmente, solo 16 Stati e Washington D.C. hanno leggi che proteggono attivamente il diritto all’aborto.
Dopo la Roe sono previste importanti battaglie giudiziarie interstatali in questo senso: dalla sorveglianza dei viaggi interstatali delle donne e delle altre persone incinte, al funzionamento dei servizi di tele-assistenza che possono prescrivere pillole abortive attraverso i confini degli Stati, alla criminalizzazione di coloro che condividono risorse e supporto materiale per favorire gli aborti.

La spinta a criminalizzare la salute riproduttiva si inserisce in un contesto di massiccio trasferimento di ricchezza e di profitti aziendali da record, dopo due anni di pandemia mortale COVID-19. Tra l’aumento dell’inflazione, l’impennata degli affitti, l’inasprimento della repressione in patria e la spinta alla guerra all’estero, oltre alla crescente crisi climatica, le élite hanno raddoppiato la spinta verso la destra, abbracciando una guerra culturale che demonizza ulteriormente una serie di minacce inventate nel tentativo di distrarre la popolazione dai suoi veri nemici.

E se e quando la legge Roe vs Wade sarà abrogata, secondo il Washington Post:

I principali gruppi antiabortisti e i loro alleati al Congresso si sono incontrati dietro le quinte per pianificare una strategia nazionale che entrerebbe in vigore se la Corte Suprema dovesse revocare i diritti all’aborto quest’estate, compresa una spinta per un rigoroso divieto nazionale della procedura se i repubblicani riprendessero il potere a Washington.
Il compito che attende coloro che scendono in piazza in difesa dell’autonomia riproduttiva è molteplice. In primo luogo, non possiamo permettere che i gruppi della sinistra burocratica facciano marciare le persone in cerchio e nel terreno – uccidendo ogni possibilità di slancio, di azione diretta e di auto-organizzazione che si generalizzi e che sia effettivamente in grado di affrontare il potere e il capitale. In secondo luogo, dovremo costruire, organizzare e diffondere una cultura di base e un’infrastruttura di aiuto reciproco e di condivisione delle risorse di fronte alla crisi. Movimenti e progetti simili del recente passato indicano già cosa è possibile fare.

 

(In risposta alla notizia che la Corte Suprema è pronta a togliere la libertà riproduttiva a decine di milioni di persone, abbiamo preparato un poster e una selezione di altre risorse.https://t.co/wm5OWRLDN6

Stampateli, incollateli e scatenate l’inferno. 🏴 pic.twitter.com/56TzxHJNpy)

Dobbiamo anche lavorare per evidenziare non solo il fallimento dello Stato nel difendere e proteggere la libertà e l’autonomia, ma anche le insidie di una strategia elettorale nel proteggere le conquiste fatte dai movimenti di massa e la “resistenza” guidata e contenuta dal complesso industriale non-profit direttamente legato al Partito Democratico. Dobbiamo farlo senza perdere la fiducia nella nostra capacità di resistere alla repressione statale e di auto-organizzarci per soddisfare i nostri bisogni.)
Come scritto da CrimethInc:
Questa catastrofe ci costringe ad affrontare la legge stessa come qualcosa di ostile a noi. Se siete una persona che potrebbe mai avere bisogno di un aborto – o se vi preoccupate di una persona che potrebbe averne bisogno – o se credete che le persone meritino l’autodeterminazione corporea, lo Stato è il vostro nemico. Questo sistema ha dato a una manciata di individui, tra cui almeno due predatori sessuali impenitenti, il potere di bloccare l’accesso all’aborto a milioni di persone in tutto il Paese. Questo è coerente con l’agenda esplicitamente misogina e anti-trans del Partito Repubblicano e con la sistematica complicità del Partito Democratico.

[…] Molte città hanno visto alcune delle più grandi proteste dai tempi della ribellione di George Floyd. A Portland, in Oregon, e ad Austin, in Texas, si sono tenute dimostrazioni molto rumorose, mentre a Los Angeles, in California, la polizia ha attaccato i manifestanti mentre venivano effettuati arresti. Nel campus della University of North Texas, gli studenti sono riusciti a respingere un gruppo di Proud Boys che fungeva da sicurezza per un gruppo di autodefinitisi “fascisti cristiani”.

Nel link originale che abbiamo tradotto vi sono una serie di tweet contenenti foto, resoconti e video.

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Aggressione omofoba a Catania

Nel pomeriggio di ieri, domenica 22 maggio, un attivista catanese ha denunciato via social di essere stato aggredito con un cacciavite durante la notte tra il 21 ed il 22 maggio.

L’attivista aggredito ha rilasciato la seguente dichiarazione su instagram di cui riportiamo gli stralci più importanti:

[…] Mi trovavo a Catania in Via Umberto a metà strada per arrivare a casa, quando ad un certo punto passa un tizio losco con una Grande Punto di colore grigio metalizzato.

Abbassa il finestrino, sporge la testa e comincia a squadrarmi dalla testa ai piedi… ad un certo punto con una brusca manovra si accosta in una viuzza di Via Umberto, scende dalla macchina e mi viene dietro chiedendomi se sapessi dove fosse una presunta via che lui doveva raggiungere.

Il problema è che questo tizio si stava avvicinando troppo e in maniera molto rapida con qualcosa in mano. Ho avuto il tempo di dire “non so dove sia la via scusi” che subito mi si è lanciato addosso tentando di pugnalarmi con un cacciavite affilato (non so nemmeno io come l’ho schivato). In seguito mi ha strappato di dosse le cuffiette.

Io ho reagito colpendolo alla faccia con un violento pugno (o schiaffo non ricordo ben)) riuscendo a riprendermi le cuffiette. Dopo aver visto che ero in grado di difenrdermi ha indietreggiato e ha cominciato a rivolgermi degli insulti omofobi affermando pure che “ormai a Catania i fr*ci siamo troppi”.
[…]
Mi ha aggredito perché nel mio zaino ho attaccato portachiavi e spille LGBTQIA+ attraverso i quali mi ha catalogato come persona non etero. Un attimo dopo l’aggressione mi sono sentito mancare l’aria, non riuscivo a respirare bene e mi sono per un attimo accasciato per terra. […]”

Episodi del genere non sono nuovi. A Catania e provincia, ma in generale in tutta la Sicilia, l’odio contro le persone che non rispecchiano l’eteronormatività imperante è forte e si fa sentire con estrema violenza.

Al di là di quello che possono esporre giornali o personaggi politici, azioni violente del genere non sono casi isolati o dovuti alla “pazzia” di singoli soggetti squilibrati, ma si innestano perfettamente in un clima culturale omolesbotransfobico che ammorba tutto il territorio insulare.

Ogni persona che non rientri nei parametri di un certo tipo di mascolinità viene isolata, derisa, bullizzata ed attaccata tanto verbalmente quanto fisicamente.

Qualsiasi individuo sia al di fuori delle categorie maschio, bianco, etero, cisgender è punito con il disprezzo socio-culturale e, nei casi estremi, con la violenza fisica.

Da qui la violenza sistematica verso persone trans binarie e non, intersex, queer, omo o bisessuali, finanché agli uomini etero rei di non apparire abbastanza mascolini, tanto fisicamente quanto psicologicamente.

L’inclusione, così come l’esclusione, con cui si riempiono la bocca le istituzioni locali – coadiuvate dal linguaggio giornalistico e social -, sono pura retorica buona per strategie politiche (specie in tempi elettorali come questi).

Persino le forze dell’ordine e armate italiane, tanto osannate in questi tempi di sindemia, sono la rappresentazione di quel machismo che perdura nella nostra società.

È più che necessario iniziare a smontare e distruggere una serie di sistemi di poteri sociali, culturali ed economici, supportando l’autodeterminazione di ogni individuo ed un mutuo aiuto immediato che, in tempi sindemici come questi, latitano sempre più a causa dell’odio spropositato ed imperante.

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[Su Rodney Álvarez ] Definitivamente: piena libertà

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Traduzione del post del 19 Maggio.

Mercoledì 18 maggio, dopo le 18, è stata pronunciata la sentenza giudiziaria: PIENA LIBERTÀ PER RODNEY ALVEREZ. Celebriamo questo momento e chiediamo la piena libertà per tutti i lavoratori imprigionati.
Quasi al termine degli 11 anni di carcere, durante i governi di Hugo Chavez e Nicolas Maduro e dopo una montatura giudiziaria dell’ex governatore dello stato di Bolivar: Francisco Rangel Gomez, appoggiato dall’intera burocrazia sindacale e da alti esponenti del partito al potere a livello nazionale, e dalla dirigenza della “Central Socialista Bolivariana de Trabajadores” (CSBT) nelle persone di: Jacobo Torres, Marco Tulio Díaz, Oswaldo Vera, Alfredo Spooner, che, attraverso diversi media, hanno indicato in Rodney Álvarez il responsabile degli spari che hanno tolto la vita a Renny Rojas e ferito altri due operai.
All’udienza, il giudice lo ha assolto da tutte le accuse a suo carico e quasi dopo undici anni, martoriato in vari modi, essendo la prima delle varie scuse e forme di ritardo procedurale, è stata riconosciuta la sua innocenza e Rodney ha ottenuto la piena libertà.
È fondamentale ricordare che era stato riconosciuto colpevole e condannato a quindici anni di carcere dopo nove processi, dove la sua dignità e integrità è rimasta, affermando sempre che non avrebbe mai accettato l’accusa di un omicidio che non aveva commesso.
Ma dobbiamo affermare che il caso non si conclude finché lo Stato non gli restituisce il posto di lavoro e non lo risarcisce per il tempo in cui è stato privato del suo stipendio.
D’altra parte, l’ingiustizia dell’omicidio dell’operaio Renny Rojas non può rimanere impunita.
L’indagine deve continuare e i responsabili di questo complotto di ingiurie devono essere arrestati.
Accogliamo con favore questa libertà e chiediamo la piena libertà per tutti i lavoratori imprigionati.

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Biagio “Gino” Cerrito, “La rinascita dell’anarchismo in Sicilia” –Terza Parte

Seconda Parte

 

2 DA CARRARA AL REFERENDUM

Al congresso anarchico italiano, riunitosi a Carrara dal 15 al 20 settembre 1945, parteciparono dalla Sicilia i soli anarchici di Messina, mediante i propri delegati Gino Cerrito e Vincenzo Mazzone. E se il Congresso servì notevolmente alla chiarificazione di idee e di metodi per tutti i militanti del Movimento italiano, per quelli di Messina esso segnò la data d’inizio di una attività sempre più conseguente anarchicamente, nella misura in cui la loro preparazione diventava più solida, attraverso le letture, le quotidiane discussioni e la partecipazione continua al Movimento operaio ed alle agitazioni dei lavoratori della città [1].

L’avvenimento rese possibile in primo luogo una più coerente preparazione ideologica del Cerrito, per le amicizie e le conoscenze acquisite, con le quali si tenne sempre in relazione epistolare, per la nuova esperienza vissuta, per le pubblicazioni anarchiche che lo stesso potè rintracciare a Carrara, a Livorno ed a Roma, e che costituirono poi la base della piccola Biblioteca sorta a Messina ed il materiale più importante per l’incremento della propaganda libertaria anche nell’ambiente operaio, dato il carattere divulgativo e popolare di molte di esse [2].

E nonostante la calunniosa azione dei dirigenti comunisti locali, contro il gruppo anarchico [3] messinese, e l’ordine categorico da essi impartito alla « base » di isolare e lottare ogni elemento libertario [4], l’attività svolta dal piccolo iniziale gruppo fruttò numerosi simpatizzanti.

I mezzi usati dagli anarchici di Messina per raccogliere simpatie e formare ideologicamente dei compagni, oltre la distribuzione della stampa, la diffusione di manifesti [5] e le conversazioni individuali nei vari ambienti cittadini, furono la costituzione di un « Circolo di Studi Sociali », con annessa Biblioteca circolante, e la occupazione di alcuni locali nel palazzo ex littorio di Messina, dove il Circolo ed il Gruppo ebbero sede per vari anni [6]. Il giorno 8 ottobre 1945, infatti, in conformità con le decisioni prese dal Congresso di Carrara, veniva fondato il Circolo [7] con il compito di « Costituire una Biblioteca fornita di opere sociali ed iniziare il prestito ai soci; stabilire un ciclo di conferenze educative chiedendo a questo scopo l’appoggio dei vari studiosi della città; mettersi in contatto con gli altri Circoli di studi sociali d’Italia, con le Università popolari, e con quanti altri enti abbiano scopi identici a quelli citati nell’art. 3 del presente statuto… creare un ambiente ricreativo differente da quello falso e borghese in atto esistente, con balli, gite ecc…. » [8] La Biblioteca circolante sorgeva qualche giorno dopo, con patrimonio iniziale di circa 400 fra opuscoli e libri a carattere sociale, posseduti da alcuni dei fondatori [9] , e veniva messa a disposizione dei 68 soci, iscritti entro il 31 gennaio seguente [10].

La reciproca fiducia dei membri del gruppo e l’affiatamento raggiunto, mediante la quotidiana convivenza nella sede sociale, agevolò la necessaria selezione degli anarchici e neutralizzò altresì l’azione di disorientamento condotta per più mesi da un « agente provocatore », riuscito a carpire la buona fede di taluni compagni. Allorché, anzi, venne scoperto il passato del famigerato Orlando Niccoli di Empoli, ex spia fascista fra i gruppi di G. L. di Firenze e fra i confinati antifascisti delle « isole », la compattezza del gruppo messinese si rafforzò, giacché i compagni divennero amici fraterni [11].

La propaganda estensiva svolta nella provincia, mediante l’ invio di pubblicazioni agli amici personali degli anarchici messinesi, non fu in verità attiva e continua, giacché l’attenzione di essi era particolarmente polarizzata dai simpatizzanti, che frequentavano la sede del Circolo, e dal Movimento operaio locale, che richiedeva la loro quotidiana presenza. Nonostante ciò, mentre Giuseppe Cazzola di Mandanici e Valentino Campanella di Venetico rimanevano ancora del tutto fuori del movimento di rinascita anarchica, fin dal novembre del 1945, uno sparuto numero di anarchici avevano iniziato da Barcellona P. G. la propaganda delle idee libertarie, agendo con particolare riguardo sugli « indipendentisti » di quel circondario.

Era ormai per molti versi chiaro che i dirigenti del M.I.S. avevano deluse le speranze della gioventù indipendentista, accettando il compromesso di una Consulta regionale, che avrebbe redatto uno statuto autonomo per l’isola. E, d’altra parte, fomentato dagli agrari e da altri ambienti reazionari siciliani, si era diffuso fra le file di quel Movimento un sentimento di apparente indifferenza verso la questione istituzionale, che nascondeva il proposito di conservare nell’isola la monarchia sabauda. Questi ed altri motivi, fra cui la condanna a morte di 22 anarchici a Cadice — agitati dal Movimento anarchico in quegli anni [12] -— venivano diffusi dal non « separatista » Germinal, « Libera voce dei Libertari Separatisti di Sicilia », numero-unico stampato « alla macchia » da Nino Pino Balotta e vari simpatizzanti di Barcellona P.G., nel dicembre 1945 [13].
Il fallimento del Convegno biprovinciale, convocato per il 29 agosto 1945 dai gruppi del trapanese, aveva determinato quegli anarchici di intensificare la propaganda nella provincia e di riunirsi in una Federazione che contribuisse all’estendersi del Movimento, specie in quei centri in cui gli anarchici fossero più deboli numericamente e più bisognevoli della solidarietà degli altri.

Anche nel trapanese le deliberazioni del Congresso di Carrara avevano giovato per una chiarificazione. Quelli di Castelvetrano, infatti, si erano convinti della necessità di abbandonare ogni negativa posizione di alleanza di tipo politico e legalitario con i partiti, e, come tutti gli altri della provincia, avevano cominciato con il denominare « anarchico » il loro gruppo, sostituendo questa parola alla precedente formula « comunista libertario »: la quale, anche se indicativa di un programma e di un metodo, avrebbe ingenerato — come già nel passato e ovunque —degli equivoci compromettenti per la coerenza anarchica. A Mazara era stato iniziato il lavoro per la fondazione di una Biblioteca circolante. A Trapani, quel gruppo « A. Giannitrapani » aveva continuata la sua attività estensiva in città — diffondendo fra l’altro un manifesto ed organizzando un pubblico comizio nel febbraio 1946, tenuto dai compagni Gramignano e Cannone —e nella provincia, onde costituire al più presto, come primo obiettivo, un gruppo ad Alcamo.

Il 14 marzo 1946, si incontravano a Trapani i gruppi di Alcamo, Castellammare del Golfo, Mazara, Castelvetrano e Trapani; e dopo avere ampiamente discusso sulla necessità di una più urgente rinascita del Movimento, deliberavano di riunirsi nella « Federazione Anarchica Trapanese Carlo Cafiero ». [14]

Per la seconda volta si erano assentati dal Convegno trapanese i compagni di Marsala e quelli di Salemi, che continuavano ad espletare una scarsa, slegata e poco efficiente attività individuale [15] : in compenso, erano stati riammessi i pseudo-anarchici di Castellammare del Golfo, tuttora iscritti al Partito comunista, ed era stato artificiosamente aumentato il numero dei gruppi della provincia, aggiungendo ai realmente esistenti il gruppo di Alcamo, formato per il momento dal solo anarchico Gaspare Cannone [16]. Tale diffusa tendenza di apparire più forti della realtà, quasi che si avesse vergogna di essere in pochi e si sentisse il bisogno di illudersi illudendo e sbandierando una forza numerica inesistente, onde polarizzare mediante questa il movimento d’opinione pubblica, per trascinarlo, più che educarlo, all’anarchismo, era determinato e determinava la erronea convinzione che la quantità fosse più importante della qualità, per cui si impegnava ogni energia al lavoro estensivo, con l’evidente risultato di un continuo flusso e riflusso nei gruppi stessi. D’altra parte, l’umano bisogno di forza, giustificato dai tempi e dalla unanime volontà di urgente rinascita del Movimento, affrettava la costituzione della Biblioteca circolante di Mazara e spingeva gli anarchici di Trapani e di Castelvetrano alla ricerca di maggiori simpatie nei rispettivi centri, mediante pubblici comizi tenuti da Filippo Gramignano, Gaspare Cannone e Rosario Diecidue [17].

Alquanto diverso fu il processo di rinascita del gruppo di Siracusa, che avrebbe influenzato una larga zona dell’isola. Nel novembre del 1945 era rientrato a Siracusa, dal « campo di sterminio » di Dachau, l’anarchico Umberto Consiglio. Convinto che fosse necessario « essere meno… pratici e più anarchici » [18]: che cioè si dovesse respingere ogni compromesso partitario, frontista e quantitativo, e collaborare solo con i vecchi anarchici nella misura in cui questi si fossero sforzati di comportarsi anarchicamente, durante e dopo il regime, Umberto Consiglio si era rifiutato di costituire a Siracusa un gruppo anarchico insieme a coloro che avevano anteposto alla dignità e al proprio ideale l’interesse ed il piacere di un vivere tranquillo [19]; preferendo rimanere solo per alcuni mesi ed espletando un’attività propagandistica coerente fra gli ex-simpatizzanti del periodo prefascista e fra i giovanissimi che a lui si erano inizialmente avvicinati, perché attratti dalla fama dell’anarchico, che aveva fra l’altro partecipato alla guerra civile spagnola, e dalla correttezza e maturità politico-sociale dell’uomo, e dal suo non comune e quindi strano comportamento.

Egli, infatti, che aveva per tanti anni sofferto le persecuzioni dei fascisti e dei nazisti e che poteva vantare per ciò meriti maggiori di molti o di tutti gli altri antifascisti della città, non solo non aveva richiesto una sistemazione in un qualsiasi pubblico ufficio, ma l’aveva altresì rifiutata quando gli era stata offerta, preferendo di fare la fame con le poche ore di lezione che privatamente impartiva, proprio per rimanere… indipendente. Era una esagerazione e come tale venne considerata. Ma commosse e guadagnò più stima al rag. Umberto Consiglio ed agli anarchici che egli rappresentava.

E pertanto, non gli fu difficile raccogliere un buon gruppo di giovani nell’ambiente operaio e studentesco siracusano, tradizionalmente favorevole all’anarchismo.

Il gruppo « Su la vetta », il cui nome indica chiaramente la tendenza dell’anarchismo del Consiglio, nacque nel gennaio successivo. Esso — scriveva Umberto Consiglio — « rimarrà attaccato al concetto tradizionale dell’anarchismo, inteso non come movimento specifico di classe, ma come movimento umanistico, che impernia la sua attività attorno al fine di elevare l’uomo alla consapevolezza di cellula sociale » [20]. Seguirono vari tentativi onde organizzare delle pubbliche conferenze; ma, sempre « all’ultimo momento, la reale sbirraglia mi ha rifiutato la… autorizzazione per …motivi di pubblica sicurezza — affermava il Consiglio —. Mi riservo di non …darmi per vinto. Si approfitta un po’ della scarsezza di compagni decisi a tutto… » [21]. Ma nel maggio il gruppo riusciva a spuntarla e Umberto Consiglio esponeva nel Teatro comunale di Siracusa il contenuto dell’anarchismo, riscuotendo numerosi consensi [22].

L’azione propagandistica ed associativa del Consiglio si estese a Modica, dove nel dicembre del 1945 Giuseppe Alticozzi aveva costituito il gruppo anarchico « 23 maggio 1921 » [23] ed a Ragusa, dove già da tempo esistevano le premesse per la nascita di un gruppo. Per il momento, però, fra i simpatizzanti di Ragusa regnava il disorientamento: alcuni di coloro che più tardi avrebbero formato il gruppo anarchico, arrestati all’indomani di quella rivolta che nel gennaio 1945 aveva turbato tutta la provincia [24], si trovavano sparsi nelle diverse carceri dell’isola o al « confino di polizia »; altri, superficialmente convinti alle dottrine rivoluzionarie e libertarie dai settimanali anarchici e da II Partigiano di Carlo Andreoni, avevano formato una sezione ragusana dell’« Unione Spartaco », aderendo poi, nel marzo 1946, alla costituenda « Federazione Libertaria Italiana », promossa da un gruppo di revisionisti provenienti dal movimento anarchico italiano e dai redattori del Partigiano, poi L’Internazionale [25].

Al Congresso di Carrara del settembre 1945, gli anarchici erano giunti non solo per il bisogno d’incontrarsi e associare gli sforzi degli individui e dei gruppi onde lottare uniti per la rinascita del Movimento, ma anche per un’ovvia esigenza di chiarificazione, dopo circa un ventennio di sofferenze e vari mesi di disorientamento, causato da tentativi più o meno chiari di revisionare il metodo ed il contenuto dell’anarchismo. Il Congresso aveva neutralizzato le mene riformistiche del gruppo Andreoni-Valeri-Perelli-Concordia, e si era chiuso con la costituzione della Federazione Anarchica Italiana — la quale era effettivamente sorta a Ponza nel 1933 [26]—. Ma la polemica fra « anarchici puri » e « comunisti libertari », alla maniera di Andreoni e compagni, i quali ventilavano la partecipazione del Movimento alle elezioni politiche, continuò sulle colonne dell’ Internazionale, che in Sicilia si diffondeva ovunque [27].

Al limitato disorientamento seguito nelle file del Movimento, rispose una estesa campagna di chiarificazione condotta dalla stampa periodica anarchica, alla quale parteciparono i militanti dell’isola con mozioni, con violenti scritti di Paolo Schicchi e con sereni e preoccupati articoli di Umberto Consiglio [28]. Ma in Sicilia, data la particolare situazione del Movimento anarchico, le tesi agitate dall’ Internazionale trovarono consensi solo presso alcuni dei vecchi fautori dei « Fronti unici », alla ricerca di motivi che potessero giustificare il loro proposito di partecipare al referendum istituzionale, e, per un breve periodo, presso pochi nuovissimi di Ragusa e di Agrigento.

Qui, Antonio Sicilia, simpatizzante anarchico di grande fede ed entusiasmo, rimpatriato dalla prigionia verso il gennaio del 1946 ed entrato in relazione epistolare con Paolo Schicchi, che aveva conosciuto anni prima al confino di Ponza, aveva costituito nel febbraio il gruppo « comunista libertario » « Mario Rapisardi », con la collaborazione del vecchio anarchico Leopoldo Castellino, del comunista dissidente Domenico Argento e di altri pochi simpatizzanti. Antonio Sicilia espletava una attività veramente diuturna, che avrebbe certamente dato notevoli risultati in tutta la provincia, nel caso in cui la sua esperienza e la sua preparazione ideologica fossero state adeguate agli obiettivi perseguiti. Egli conduceva in tutti i caffè della città quotidiane conversazioni, le quali assumevano talvolta l’aspetto di veri e propri comizi; percorreva sovente la provincia, parlando ai contadini e agli operai nei locali delle Camere del lavoro di Favara, Lucca Sicula, Burgio, S. Margherita Belice, Grotte ecc.; organizzava la lega dei netturbini di Agrigento e costituiva ivi la cooperativa edile « La libertaria » — tuttora esistente —, onde ovviare in qualche modo alla disoccupazione; diffondeva ovunque la stampa anarchica e L’Internazionale, da cui riproduceva articoli per la tabella murale che il gruppo esponeva, fin dall’aprile 1946, in una piazza della città; dava alle stampe vari manifesti murali, in cui agitava la lotta contro il capitalismo, contro la religione, e incitava gli… elettori perchè votassero contro la monarchia e i partiti reazionari.

Era insomma un’attività varia e contraddittoria, quella del gruppo agrigentino: sia che sostenesse le teorie anarchiche e di contro richiedesse la partecipazione dei cittadini alle elezioni; sia che proclamasse la propria partecipazione al movimento anarchico e contemporaneamente aderisse alla

Federazione Libertaria Italiana dell’Andreoni ; sia che s’impegnasse a dibattere i problemi reali dei lavoratori, predicando la loro emancipazione mediante l’azione diretta, e prospettasse nello stesso tempo ad essi — nella provincia siciliana di Agrigento — il peregrino problema dell’amore libero, propugnandone l’applicazione immediata [29].

Appunto per queste fondamentali contraddizioni, il gruppo di Agrigento rimaneva — nonostante l’attività del Sicilia e dei suoi disorientati compagni — ancora per molto tempo l’unico gruppo di simpatizzanti « istintivisti » e isolati dal resto del Movimento, in una provincia in cui le tradizioni internazionaliste ed anarchiche hanno gli anni del Movimento anarchico bakuniniano stesso [30].

Così come nei centri dell’agrigentino, la situazione rimaneva invariata nelle provincie di Caltanissetta, di Catania, di Enna, di Palermo, da dove Paolo Schicchi serviva comunque da punto di riferimento per gli anarchici isolati, specialmente dal mese di marzo 1946, data in cui iniziava la pubblicazione della « Rivista mensile di cultura sociale » L’Era Nuova [31].

Pertanto, il Movimento anarchico in Sicilia, alla metà del 1946, era effettivamente rappresentato dai gruppi di Trapani, Castelvetrano, Mazara, Messina. Siracusa, Modica e, se si vuole, Agrigento; oltre che da un considerevole numero di anarchici a Palermo e da varie individualità più o meno attive e coerenti a Bagheria, Marsala, Salemi, Alcamo, Burgio, Ribera, Favara, Ragusa, Catania, Caltanissetta, Enna e altrove. Si era ancora, cioè, alla prima fase della rinascita; ed è per tale motivo che la proposta di un Congresso regionale anarchico, lanciata dal gruppo di Messina, nel marzo del 1946, non poteva suscitare che un’eco molto scarsa nonostante l’ottimistico comunicato redatto dal gruppo messinese nell’aprile successivo [32]. Tanto più che l’attenzione degli anarchici siciliani, la cui preparazione — salvo talune eccezioni — era ancora lacunosa e inadeguata ai problemi propri dell’anarchismo, era attratta dal problema istituzionale, sul quale anche se il Congresso di Carrara e la stampa periodica del Movimento si erano pronunciati in conformità con lo spirito dell’anarchismo, permanevano dubbi e riserve mentali in numerosi militanti.

Sfuggire alla rumorosa messa in scena elettorale del 1946, nutrita di manifesti, giornali, radio, comizi, pubbliche manifestazioni, era estremamente difficile per dei giovani anarchici, che vivevano per la prima volta la colossale « tragicommedia » delle elezioni; specialmente quando i vecchi militanti, nei quali quelli nutrivano una fiducia che talvolta rasentava la venerazione, ritenevano che fosse utile partecipare al referendum per liquidare la monarchia ed aprire un’era nuova nella storia d’Italia: l’era della Repubblica-tocca-sana dei mali della monarchia-fascista ormai screditata, o della Repubblica-minor-male la quale avrebbe garantito pane, lavoro e libertà, evitando per giunta la reazione che la monarchia avrebbe scatenata.

Queste considerazioni, negative dell’antistatalismo anarchico, determinarono in vari centri dell’isola una intensificazione della propaganda libertaria, poggiata però su motivi puramente antimonarchici e senza alcun accenno alla soluzione antilegalitaria e rivoluzionaria del problema stesso. A Messina — per esempio — gli anarchici parteciparono con impegno a tutte le manifestazioni e le agitazioni antimonarchiche; diffusero un manifesto rivoluzionario e vari volantini dattiloscritti; tennero cinque trasmissioni con altoparlante nella principale piazza della città, trattando dei principi basilari dell’anarchismo e senza mai accennare all’astensionismo; ed infine, il 2 giugno, parteciparono al referendum, astenendosi « per principio nelle elezioni politiche » — come conferma per Castelvetrano Rosario Diecidue [33].

A Siracusa, invece, la situazione fu diversa : appunto perchè ivi Umberto Consiglio ed Alfonso Failla — rientrato da Carrara nel maggio 1946 — seppero prospettare anarchicamente ai giovani militanti il problema elettorale e seppero interessarli alla soluzione rivoluzionaria della questione istituzionale. Dopo numerosi contraddittori, conclusi spesso con incidenti e manifestazioni antimonarchiche, il 29 ed il 30 maggio Alfonso Failla tenne a Siracusa due imponenti comizi, in cui sostenne il ricorso all’azione diretta rivoluzionaria e popolare, coadiuvata dal Movimento partigiano, per l’abbattimento della monarchia e la instaurazione di una società, quale era stata preconizzata dalla « Resistenza »; ed affermò la necessità dell’astensione dalle urne, come consapevole certezza che solo mediante l’azione rivoluzionaria i lavoratori avrebbero raggiunto un obbiettivo duraturo: una migliore società di liberi e di eguali [34]. Le stesse tesi vennero sostenute a Trapani e, in particolare, a Palermo, dove il Failla aveva tenuto — prima del 29 maggio — numerosi contraddittori con monarchici, aiutato da un buon gruppo di militanti, fra i quali si ricordano Silvestro Riggio di Burgio e Angelo Puccio di Favara.

Continua nella Quarta Parte

NOTE
[1] Gli anarchici che partecipavano più attivamente alla vita sindacale erano Gino Cerrito, Filippo Romanengo, Filippo Valenti e successivamente Melo Timpanaro: rispettivamente come iscritti alle leghe degli impiegati dell’ufficio Razionamento i primi due, degli arsenalotti il Valenti e del legno il Timpanaro.
[2] Cioè quelle citate a nota [7] capitolo 1 parte “LA POLITICA DEI FRONTI UNICI ANTIFASCISTI” del presente saggio.
[3] Come si denominò a qualche mese di distanza dalla sua costituzione.
[4] Cfr., per esempio, LIBERTAS (Gino Cerrito), A Messina gli stalinisti si smascherano, in Umanità Nova, 21 ottobre 1945 (a. XXV, n. 40).
[5] II primo manifesto fu quello lanciato dal Congresso di Carrara, affisso nonostante la proibizione della P. S.: (cfr. Umanità Nova, 22 novembre 1945 (a. XXV, n. 44); nel marzo 1946 venne poi riprodotto in mille esemplari e diffuso clandestinamente l’articolo di L. GALLEANI , Viva l’Anarchia, pubblicato in Umanità Nova, 15 novembre 1945 (a. XXV, n. 43); il 1° maggio 1946 venne riprodotto ed affisso clandestinamente il manifesto lanciato dalla F. A. I. e pubblicato in Umanità Nova, 1° maggio 1946 (a. XXVI, n. 17-18).
[6] La sede sociale era indicata da una iscrizione cubitale stampata sul lato est del palazzo, che dà sul molo « Cola Pesce », riservato alle navi turistiche. Nel febbraio 1949, dopo varie vicende, la P. S. eseguì lo sfratto da tempo intimato dal Demanio dello Stato, proprietario dell’edificio.
[7] Cfr. Giornale di Sicilia, 26 ottobre 1945 (LXXXV, n. 264); Umanità Nova, 28 ottobre 1945 (a. XXV, n. 41).
[8] «Art. 3: Il Circolo si propone di creare delle simpatie, per gli studi sociali nella cittadinanza e specialmente fra le classi poco abbienti, per educarle dal punto di vista politico-sociale; ed appunto per ciò deve portare a conoscenza di tutti i trattati politico-sociali appartenenti a qualsiasi credo o dottrina e deve diffondere le idee di emancipazione nel popolo sfruttato, anche a mezzo della parola ». (Dallo Statuto del Circolo in mio possesso).
[9] I fondatori erano Vincenzo Mazzone, Gino Cerrito, Filippo Romanengo, Tullio Procacciante.
[10] Entro il dicembre 1946 gli iscritti furono 74. (Dal registro dei soci in mio possesso).
[11] Informazioni sul Niccoli le aveva fornite al gruppo messinese Alfonso Failla.
[12] Cfr. fra l’altro i vari articoli pubblicati nei quattro volumetti delle Conversazioni sociali dello Schicchi; Umanità Nova, 14 e 21 febbraio 1946 (a. XXVI, n. 7 e 8); L’Adunata dei Refrattari, 16 febbraio 1946 (a. XXV, n. 7).
[13] Diretto da tutti e da nessuno; Responsabile Esseno; (datato) Sicilia 1945, N. 000. Il gruppo di Barcellona era composto da Nino Pino Balotta, Aldo Ginebri, Domenico Perdichizzi, Longo ed altri.
[14] Cfr. Era Nuova, marzo 1946 (n. I, n. 1), pp. 27-28.
[15] A Marsala vivevano gli anarchici Masi Gandolfo, Cosimo Alagna e Domenico Stalteri; a Salemi vivevano Vincenzo Blenuda e Gaetano Marino.
[16] Alcuni altri erano solo dei simpatizzanti, ancora non aderenti al Movimento.
[17] In aprile ed il 1° maggio gli anarchici Gramignano e Cannone parlavano in pubblico comizio a Trapani. Il 1° maggio Rosario Diecidue parlava a Castelvetrano, Campobello e Partanna. (Cfr. Umanità Nova, 12 maggio 1946 (a. XXVI, n. 20).
[18] Cfr. Piccola posta — da Siracusa —, in L’Aurora, Napoli, 6 dicembre 1945, n. 9,« Supplemento per la Romagna ».
[19] Erano costoro l’Alessi, che aveva aderito al P.N.F., e il Di Mauro, inviso alla popolazione come affarista arricchito.
[20] Cfr. il comunicato di costituzione compilato dal Consiglio, in Umanità Nova, 17 gennaio 1946 (a. XXVI, n. 3).
[21] Cfr. le corrispondenze del Consiglio, in Umanità Nova, 24 e 31 gennaio e 8 maggio 1946 (a. XXVI, n. 4, 5, 19).
[22] Cfr. il comunicato del Consiglio, in Umanità Nova, 30 maggio 1946 (a. XXVI, n. 22-23).
[23] Cfr. Umanità Nova, 6 dicembre 1945 (a. XXV, n. 46), 4 aprile 1946 (a. XXVI, n. 13-14).
[24]Fra i detenuti si trovava altresì Franco Leggio il quale, insieme a tutti gli altri, dopo la proclamazione della Repubblica, avrebbe usufruito della sopravvenuta amnistia. Per la rivolta e le conseguenze e le responsabilità relative di vari elementi eterogenei, cfr. specialmente A. SCIBILLA , I fatti di gennaio in provincia di Ragusa, in La Voce del Popolo, Ragusa, 28 marzo 1954 (a. I, n. 3) e segg.
[25] L’Internazionale iniziava le pubblicazioni il 24-30 marzo 1946 (a. IV, n. 1), come « nuova serie » del Partigiano. In tale numero, l’annuncio della costituzione della F. L. I., con sede a Milano. Per la sezione ragusana cfr. L’Internazionale, 30 marzo-6 aprile 1946 (a. IV, n. 2); nonché i numeri precedenti del Partigiano, dove sono riportati i nomi di vari abbonati di Ragusa.
[26] Era stata costituita a Ponza dai confinati Alfonso Failla di Siracusa, Rino Milanesi e Vincenzo Capuana di Spezia, Giovanni Bidoli di Trieste ed altri ancora, diffondendosi poi nelle varie « isole ».
[27] Cfr. le cronache dell’Unione Spartaco e la Piccola posta dell’Internazionale, nelle collezioni del Partigiano e dell’ Internazionale di quegli anni.
[28] Cfr. particolarmente L’Aurora, 15 febbraio 1946, n. 11, « Supplemento per la Romagna»; Era Nuova, marzo 1946 (a. I, n. 1); e l’annata 1946 di Umanità Nova.
[29] Per l’attività del gruppo di Agrigento, cfr. L’Internazionale, 30 marzo-6 aprile 1946 (a. IV, n. 2); Umanità Nova, 12 maggio 1946 (a. XXVI, n. 20).
[30] Cfr. G. CERRITO , Saverio Friscia nel primo periodo di attività dell’Internazionale in Sicilia, in Movimento Operaio, maggio-giugno 1943 (a. V, n. 3) e bibliografia ivi citata.
[31] Per i contatti dello Schicchi con i vari anarchici siciliani, cfr. l’annata 1946 della rivista.
[32] Cfr. i comunicati da Messina e da Siracusa, in Umanità Nova, 14 e 21 marzo e 11 aprile 1946 (a. XXVI, n. 11, 12, 15).
[33] La frase è riportata dalla lettera cit. di Rosario Diecidue.
[34] Per i due comizi tenuti a Siracusa, cfr. Umanità Nova, 6 giugno 1946 (a. XXVI, n, 25).

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Violenze in El Salvador

dall’Editoriale della Rivista Anarchica “El Machete” di El Salvador, n. 7, Maggio 2022

[Nell’editoriale di] questo mese vogliamo denunciare l’obiettivo nefasto delle “Nuevas Ideas” del presidente della destra tradizionale, dello squadrone della morte e del testardo Nayib Bukele, i cui obiettivi strategici pubblicitari consistono nella falsità di “sradicare le bande”, un problema di violenza strutturale legato all’estrema povertà e alla mancanza di lavoro a cui ci hanno condotto le classi politiche ed economiche del paese inventato in cui siamo nati ancorati.

Molte persone innocenti sono state colpite e detenute ingiustamente in questa “crociata” contro le strutture criminali, finanziate dai governi precedenti e dalla “Comisión de Reconstrucción del Tejido Social” (Commissione per la ricostruzione del tessuto sociale) dell’attuale governo. In questo senso, il presidente ha annunciato che ci sono 70.000 membri delle bande, di cui più di 20.000 sarebbero stati catturati fino ad oggi. Così le statistiche dei detenuti vengono annunciate ogni giorno, per arrivare a dire: “le bande sono state estirpate”, “abbiamo tutti i membri delle bande in prigione”….

Tuttavia, al governo salvadoregno interessa che tutto ciò che fa sia visto come “il migliore”, “il più grande”, perché è l’unico modo per “fare la storia”. Ecco perché non ci si può accontentare di catturare il 25% dei membri delle bande, perché l’obiettivo assoluto sarebbe il 100%. Ma la cosa brutta è che vengono catturate persone INNOCENTI, cosa che i media difendono dicendo che è solo l’1%. Così si minimizza il danno causato, accusando gli oppositori di insistere su una questione che considerano ingrata.

La violenza genera violenza e le misure adottate dal governo ultraconservatore di Bukele non fanno altro che accelerare un vortice di violenza che sarà inarrestabile una volta raggiunti gli obiettivi mediatici. Chi pensate che abbia pagato il prezzo di queste misure se non il popolo salvadoregno?

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Morire per il profitto

Stando alle notizie del mainstream locale e nazionale, sull’autostrada A19 Palermo-Catania, all’altezza di Enna, due operai sono precipitati da un ponteggio.
Uno dei due operai è morto, mentre l’altro, di 63 anni, ha riportato un grave trauma addominale.

I lavori che stavano svolgendo i due operai erano finalizzati alla manutenzione straordinaria delle pile della carreggiata in direzione Catania del viadotto Mulini.

Stando all’ANAS, la società per cui lavoravano i due operai è la campana Consorzio Stabile Medil, impegnata in Sicilia nella manutenzione della Palermo-Catania, oltre che nella costruzione della Metropolitana della città etnea.

Il sequestro del cantiere e la ricostruzione, da parte dell’autorità giudiziaria, della dinamica dell’incidente pongono in evidenza una serie di problemi legati a questo settore lavorativo.

L’imprenditoria edile, con in testa l’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE), dichiara una crisi continua da decenni e richiede aiuti di Stato.

Tutto questo per nascondere la difesa del profitto e la lotta costante di questi signori nell’accapararsi una serie di appalti milionari: la ristrutturazione e/o costruzione di infrastrutture residenziali, stradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali.

Incidenti, mortali o meno, sono parte di questo schema. Quel che però risalta, anche a livello mediatico, è la sicurezza non ottimale in questi cantieri come già successo, nel caso siciliano, nell’Ottobre dello scorso anno quando un operaio morì schiacciato in un viadotto della Palermo-Messina.

Il tema della sicurezza sul lavoro, in una economia che produce per il profitto (e quindi al di là dello specifico settore edile) è un paravento che le istituzioni usano per far finta di proteggere la vita delle persone che lavorano.

In realtà, questa tematica (con le sue norme da applicare) viene usata da istituzioni ed imprenditori per far accettare a lavoratori e lavoratrici un modello di vita basato sullo sfruttamento con una retribuzione economica che non restituirà gli sforzi dati in un determinato lavoro.

Nel caso del settore edile, il rinnovo del CCNL per i lavoratori dipendenti delle imprese edili ed affini e delle Cooperative del 3 Marzo 2022 ha portato ad un aumento della retribuzione dovuto agli attuali fattori inflazionistici.
Ma all’atto pratico, questo aumento dice poco quando i turni e gli orari di lavoro sono tali da essere massacranti ed usuranti per il fisico e la mente dell’individuo.

Non bisogna dimenticare inoltre che, chi dovrebbe far rispettare questa supposta sicurezza sul lavoro, si ritrova spesso ad avere le mani in pasta insieme a tutti gli altri. Non dimentichiamo, a titolo di esempio, quanto successe con l’Ispettorato del Lavoro di Catania nel 2018: un’inchiesta della Guardia di Finanza mise in luce un sistema di tangenti che aveva come attori principali funzionari dell’ispettorato ed imprenditori locali. O ancora, di un caso analogo avvenuto l’anno precedente nel siracusano.

Nella vulgata comune l’Ispettorato del Lavoro dovrebbe fornire una serie di tutele ai lavoratori e alle lavoratrici per quanto riguardo le norme di sicurezza ed il lavoro nero. All’atto pratico, ciò non avviene, o per i casi di collusione del catanese e del siracusano, o perché, come lamentato nel palermitano, il numero di funzionari è drammaticamente basso. In un caso o nell’altro, queste istituzioni non possono fare le veci dei lavoratori e delle lavoratrici perchè il ruolo dell’ispettorato è difendere gli interessi della parte imprenditoriale.

Di fronte a situazioni di lutto come quella di ieri, occorre riportare sul tavolo la possibilità di una lotta di lavoratori e lavoratrici che esca fuori dal carattere istituzionale, o, per usare un termine ad hoc, interclassista, volta ad una liberazione da questo sfruttamento mortale e mefitico.
Oggi più che mai, lottare contro questa società significa lottare per la vita.

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Biagio “Gino” Cerrito, “La rinascita dell’anarchismo in Sicilia” – Seconda Parte

Prima Parte

LA POLITICA DEI FRONTI UNICI ANTIFASCISTI

Giacché la libertà vigilata dei « liberatori » non era stata prodotta da alcuna creativa lotta popolare e rivoluzionaria contro il morente regime, dopo 1’ 8 settembre 1943, si delineava in Sicilia una situazione sostanzialmente equivoca. Tutto il mondo dell’antifascismo — composto dai non molto irriducibili avversari del regime, dai numerosi intiepiditi per le persecuzioni sistematiche, dai troppi « puri » dell’ultim’ora, i quali avevano osato… ascoltare per mesi e forse per anni le trasmissioni di « Radio-Londra » nel chiuso delle pareti domestiche — svegliato dal passaggio delle camionette alleate, veniva preso dall’ansia di costituire un unico imbattibile fronte politico, per il conseguimento di quello che appariva l’obiettivo primario e fondamentale.
Dietro le formule, le bandiere, gli slogans dei partiti, dei movimenti e delle alleanze politiche si nascondevano il calcolo ed il compromesso. Tipico l’esempio del Movimento per l’indipendenza della Sicilia che sotto la direzione effettiva degli agrari riuniva centinaia di migliaia di giovani, sinceramente disposti a dare la vita « per una libera nazione siciliana », che assicurasse ai suoi cittadini la pace ed il benessere. Indicativa la costituzione di talune « associazioni », sciolte immediatamente dopo che i dirigenti delle stesse avevano ottenuto l’impiego in un qualunque pubblico ufficio, in sostituzione o meno di fascisti epurati e di donne non bisognose.
Caratteristiche, per molti versi, le numerose adesioni riscosse subito dopo il settembre dal Partito comunista, considerato generalmente come il partito dell’antifascismo e della rivoluzione proletaria organizzata; nonché la politica frontista sostenuta e bandita dai comunisti, allo scopo di dare al Partito una maggiore possibilità di pressione sullo Stato, alla direzione del quale intendeva partecipare con la borghesia.

Per gli anarchici che parteciparono con i comunisti alla costituzione dei « Fronti » antifascisti, dimenticando il fallimento delle alleanze e dei comitati centrali del primo dopoguerra, il sostanziale dualismo fra il socialismo libertario ed il bolscevismo Ani con l’essere considerato del tutto superato dalle sofferenze subite e dalle speranze nutrite per oltre un ventennio. Tanto più che la notevole differenza fra la Russia rivoluzionaria del 1917 e quella staliniana, nata e consolidata durante e dopo i grandi processi di Mosca, era generalmente ignorata.
Ma, mentre la politica del frontismo antifascista ed antimonarchico giovò ai comunisti, alla borghesia ed allo Stato, fu del tutto negativa per la rinascita del Movimento anarchico in Sicilia e l’ostacolò finoltre il 2 giugno 1946; giacché impegnò gli anarchici in una attività propagandistica generica, contradittoria, prettamente legalitaria ed affatto formativa per i giovani che a loro si avvicinavano.
D’altra parte, i numerosi anarchici fuorusciti che avevano vissuto la tragica esperienza delle giornate spagnole del maggio 1937, o quelli che nelle « isole » avevano avuto modo di non dimenticare le divergenze esistenti fra l’anarchismo e qualsiasi politica legalitaria o socialista-legalitaria, erano ancora lontani dai loro paesi di origine. Non fu quindi difficile che il bisogno di protezione di una associazione o di un partito numeroso, dopo anni di isolamento; la speranza di conseguire subito il più possibile; la certezza di contribuire alla liquidazione del fascismo e del mondo borghese, in conformità di propositi con i partiti « veramente » rivoluzionari, assumendo la « direzione » delle masse operaie, per inquadrarle e guidarle alla « meta »; talvolta la stessa pressione dei lavoratori, ineducati anarchicamente; e, sempre, la preparazione ideologica deficiente, perchè « istintivista » e non conseguente dalla storia e dai problemi propri dell’anarchismo; determinassero non poche evasioni di vecchi anarchici siciliani a Palermo, Bagheria, Agrigento, Burgio, Lucca Sicula, Sciacca, Ribera, Vittoria, Vizzini, Grammichele, Paterno, Catania, Castellammare del Golfo, Marsala, Messina e dove, dopo 1’8 settembre, mancavano i meglio preparati. [1]

Nonostante tale emigrazione, che costituì quasi ovunque i « quadri » direttivi del Partito comunista, il lievito anarchico che nel primo dopoguerra e nei primi anni della dittatura aveva influito sul comportamento dei simpatizzanti socialisti, continuò a produrre i suoi effetti per vari anni ancora fra i comunisti e i socialisti di numerosi centri dell’isola: sia favorito dall’atteggiamento di color che avevano finito per farsi organizzare, non avendo saputo o voluto associarsi fra loro, [2] sia dalla stampa libertaria dagli stessi ricevuta e diffusa, fin dalla metà del 1944. [3] Tanto più che non erano pochi quei giovani che richiedevano la tessera comunista o socialista, nella certezza di trovare in quei partiti una base teorico-pratica effettivamente rivoluzionaria, socialista ed antiautoritaria. E saranno proprio queste giovani energie, che, negli anni seguenti, per auto-maturazione politica e sociale e per propulsione dall’esterno, cioè da parte degli exfuorusciti ed exconfinati anarchici, daranno luogo ad una fioritura di gruppi anarchici siciliani, diversi e più efficienti di quelli nominali del periodo prefascista, nella misura in cui respingeranno le viete formule « istintiviste » e deporranno dall’Olimpo le « personalità » essenzialmente autoritarie ed i sacerdoti dell’ Esperienza.

Erano pochi coloro che, dopo 1’ 8 settembre, avrebbero potuto evitare in parte le defezioni di militanti anarchici, contribuendo ad una immediata rinascita del Movimento stesso. Primo fra tutti Paolo Schicchi, che rappresentava il centro, a cui facevano riferimento gli anarchici ed i simpatizzanti della Sicilia, ed intorno a cui, fin dal settembre del 1943, si raccoglievano numerosi giovani e vecchi amici, ammaliati dalla personalità dell’ Anarchico, o richiamati dalle aderenze su cui questi poteva contare a Palermo. Ma l’influenza esercitata da Paolo Schicchi fu ancora una volta dispersiva e contradittoria.
All’indomani dell’armistizio, Paolo Schicchi —- tornato dal confino di polizia nel corso del 1942, per essere ricoverato nella « Clinica Noto » di Palermo — pur sventolando il suo anarchismo individualista, negante qualsiasi metodica organizzazione-funzionale di gruppo, propugnò, in pratica, la generica politica frontista antifascista e antimonarchica, avallando, a nome de « I Libertari », proclami e manifesti redatti dai partiti politici palermitani; e riproducendo, in un numero-unico tutt’altro che libertario, dato alle stampe il 25 settembre 1943, una presunta lettera di Carlo Sforza a Vittorio Emanuele III, del novembre 1942, seguita da un ingenuo quanto libellistico e retorico commento personale. [4]

È ovvio che la politica perseguita dallo Schicchi ingenerasse una maggiore confusione sia fra gli anarchici, sia, per riflesso, nei riguardi degli anarchici. Tanto è vero che Paolo Schicchi, nel settembre 1944, sentiva il bisogno di pubblicare la seguente precisazione:

« Persone degne di fede mi chiedono se è vero che io ho consigliato ai miei compagni d’idee, e ad altri ancora, di farsi tesserare da questo o quel partito. Ebbene, per quel poco che io valgo, tengo a far sapere che, nonostante l’età (settantanove anni) e i patimenti (quarantanni tra galere, confino ed esilio), non sono ancora rimbecillito e rincarognito al punto di trasformarmi in un arrembato galoppino tesseraiuolo e in un vecchio pagliaccio da fiera nello stesso tempo, a onore e gloria di un partito qualunque… Una cosa è vera però ed è questa: che da parecchio tempo ho sostenuto e sostengo la necessità assoluta di formare, occorrendo, un unico esempio di tutte le sane forze rivoluzionarie per opporlo a qualsiasi ripresa della reazione da qualsiasi parte e con qualsiasi bandiera essa venga » [5]

In funzione di questi propositi, dal settembre 1944 al novembre 1945, pubblicava quattro volumetti di « Conversazioni sociali », in cui agitava motivi essenzialmente antifascisti e antimonarchici. [6]
Questa attività nient’affatto formativa anarchicamente, autorizzò la partecipazione degli anarchici siciliani ai fronti unici proletari e favorì, in un certo senso, l’adesione ai partiti socialista e comunista di parecchi compagni e simpatizzanti, rimasti comunque legati da vincoli affettivi al vecchio Paolo, di cui avevano seguito l’indirizzo dottrinale « individualista ». È per ciò che non scorgiamo sostanziali differenze fra l’atteggiamento sentimentalmente anarchico, ma dispersivo, incoerente e frontista di Paolo Schicchi, e il comportamento di un Giovanni Bufalo di Lucca Sicula, di un Nino Guarisco di Burgio, di un Accursio Miraglia di Sciacca, aderenti al Partito comunista, ma rimasti « sentimentalmente anarchici » e, nonostante la carica di sindaco ricoperta rispettivamente dai primi due, impegnati a svolgere come per l’avanti — cioè fuori da qualsiasi gruppo-funzionale di compagni di fede — la propaganda delle idee anarchiche antilegalitarie ed antielettorali, financo nei congressi provinciali del loro partito.
Se si escludono quegli anarchici che nel 1943 aderirono al Partito comunista o al socialista e che, nonostante ciò, continuavano ad espletare una confusa e vaga propaganda libertaria nei loro paesi; se ancora si escludono quei comunisti e socialisti che per amicizie contratte con anarchici ricevevano e diffondevano fra i loro stessi compagni e nelle Camere del Lavoro la stampa libertaria, specie nel corso del 1946; [7] bisogna affermare che per circa due anni il Movimento anarchico siciliano segnò il passo quasi ovunque.

Per quanto ci risulta, sulla base delle memorie di diversi anarchici intervistati e dello spoglio della pubblicistica libertaria del periodo in esame, fino al Congresso di Carrara del 15-20 settembre 1945, nelle provincie di Agrigento, Catania, Caltanisetta, Enna, Palermo, Ragusa, Siracusa, si assiste ad una attività individuale slegata, spesso incoerente, espletata da pochissimi militanti. Di essi ricordiamo: Calogero Aronica Pontillo di Naro e Gaetano Vinci di Calamonici, i quali solo alla metà del 1944 riuscivano a mettersi in relazione fra loro, con Palermo, con i gruppi anarchici del Nord-America e, successivamente, con Pio Turroni di Cesena, da cui ricevevano giornali e opuscoli vari;[8] Giuseppe Fiorito ed altri pochi di Catania, la cui unica attività consisteva nella diffusione di giornali libertari nell’ambito del « Circolo Umanità Nuova », costituito da elementi comunisti dissidenti, a cui i catanesi rimanevano legati anche dopo il rimpatrio di Paolo Caponetto, già combattente nelle formazioni anarchiche in Spagna, ma ormai stanco e desideroso di borghese tranquillità;[9] i fratelli Diana di Caltanissetta, attivi ed entusiasti, ma travagliati dalla quotidiana ricerca di un lavoro faticoso e mal pagato;[10] Celestino Carta di Enna, rimpatriato solo nella seconda metà del 1945; [11] Paolo Schicchi e altri di Palermo, intorno ai quali si raccoglievano molti simpatizzanti operai e studenti di Bagheria e di Palermo, dove ogni associazionismo anarchico veniva ostacolato dallo Schicchi, il che determinava l’indebolimento delle possibilità potenziali del Movimento. [12]

Alquanto diversa e varia la situazione a Mazara, a Trapani, a Castelvetrano e a Messina. A Mazara ed a Trapani, dove alla fine del 1943 erano rientrati dal confino di polizia rispettivamente Nino Catalano e Filippo Gramignano,[13] un gruppo di giovani studenti formatisi attraverso lo studio della pubblicistica anarchica posseduta dalle locali biblioteche, iniziavano in modo coordinato e continuo e relativamente fuori dalle alleanze permanenti con i partiti dell’antifascismo, una serie ininterrotta di conversazioni con relativa diffusione della stampa libertaria, che specialmente a Trapani — dove Filippo Gramignano e Gaspare Cannone [14] tennero delle pubbliche conferenze nel corso degli anni 1944 e 1945 — determinava presto la costituzione di un numeroso ed attivo gruppo anarchico.[15]

A Castelvetrano, invece, pochi giorni dopo l’armistizio, gli anarchici Rosario Diecidue, Nicolò D’Angelo, Calogero Mazaracchia e Ciccio Sammartano costituivano un « Fronte unico proletario », insieme con i comunisti, i socialisti ed i repubblicani locali, e pubblicavano un lungo volantino in cui, ai motivi genericamente antifascisti, seguiva un’affermazione di principio internazionalista.
« Le gloriose armate delle Nazioni Unite cacceranno dal suolo Italico e dall’Europa invasa la soldataglia tedesca, briaca di sangue e di sterminio, e le non meno gloriose armate bolsceviche schiacceranno inesorabilmente l’eterna insaziabile idra teutonica — scrivevano i compilatori del manifesto —. In noi vive il sentimento di nazionalità. Ma il nostro concetto di Patria non si limita alla sola nostra patria, si estende, invece, ed abbraccia tutte le altre patrie, tutta la grande famiglia umana. Questo concetto è fatto completamente d’un pensiero d’amore e di fratellanza umana…» [16] Retorica garibaldina all’Amilcare Cipriani, di cui, del resto, il vecchio Ciccio Sammartano era stato amico e seguace.

La vita del « Fronte unico proletario », consistente nella diffusione di qualche altro manifesto antifascista e nelle numerose conversazioni e conferenze tenute nei locali sociali dai gruppi politici aderenti, cessò totalmente ai primi del 1945, a causa di motivati dissidi interni e della definitiva ricostituzione dei partiti politici. Solo allora gli anarchici di Castelvetrano costituirono il « Gruppo Comunista Libertario Pietro Gori » . « Lo nominammo comunista libertario — scrive Rosario Diecidue — perchè parecchi giovani che ci seguirono avevano paura della parola anarchia

Ma in seguito ci chiamammo col nostro vero nome ». Nonostante l’inutile espediente adottato, il gruppo, formato inizialmente da venti elementi, venne ben presto abbandonato da molti di essi, « allettati dagli istrioni dei partiti socialista e comunista col miraggio di immediate realizzazioni » [17] E giacché la costituzione del « Gruppo Comunista Libertario » era stata determinata proprio dallo sfasciarsi del « Fronte unico proletario », e non mai dall’esigenza di perseguire una politica soltanto anarchica — comprendente del resto gli stessi motivi antifascisti ed antimonarchici — di educazione all’interno e di lotta contro ogni compromesso alimentato dai partiti legalitari, la diserzione di taluni giovani aderenti non serviva che a spingere ancora gli anarchici ad auspicare « contro il governo, e contro i partiti, gli individui e le istituzioni che vogliono perpetrare, sotto altro nome le vergogne e le barbarie del fascismo e impedire la rinascita del popolo; la concentrazione di tutte le forze sinceramente e disinteressatamente rivoluzionarie, in una lotta tenace e diuturna, fino all’estirpazione completa del fascismo, della monarchia e del capitalismo ». [18] Questa posizione di rinuncia di taluni principi basilari dell’anarchismo, affermata in un manifesto diffuso dal gruppo di Castelvetrano, in occasione del 1° Maggio 1945, era parzialmente conforme all’atteggiamento assunto dal settimanale anarchico Umanità Nova, nel medesimo periodo.[19]

Più che a Castelvetrano, quindi, dove la preoccupazione frontista inficiava ogni iniziativa effettivamente anarchica, è a Mazara ed a Trapani che si avverte il bisogno di coordinare gli sforzi di tutti i militanti della provincia e di estendere i contatti a quelli del resto dell’isola, onde impegnarsi uniti per la rinascita del Movimento. Questo il motivo precipuo del Convegno dei gruppi « Comunisti libertari » di Mazara, Trapani e Castellammare del Golfo, tenuto a Mazara il giorno 22 luglio 1945, a conclusione del quale i gruppi votavano il seguente ordine del giorno: «Considerata la necessità dei coordinamenti dei gruppi comunisti libertari in Sicilia, stabiliscono d’indire un convegno biprovinciale Trapani-Agrigento, da tenersi a Castelvetrano come luogo più adatto alla bisogna, per il giorno 19 agosto c.a., onde allargare i contatti con i comunisti libertari e con le altre provincie, per la istituzione della federazione comunista libertaria della Sicilia ». [20]
Ma, se l’ammissione al Convegno dei membri del pseudo-gruppo di Castellammare del Golfo era giustificata dalla speranza che questi volessero presto dimettersi dal Partito comunista a cui erano tuttavia iscritti, [21] l’auspicato convegno biprovinciale al quale si invitavano « tutte le altre rappresentanze di altre provincie », non poteva aver luogo per l’inesistenza di altri gruppi, che solo più tardi sarebbero sorti.
Parimenti iscritti al Partito comunista o al socialista erano i membri del « Gruppo Libertario Michele Bakunin » di Messina, [22] all’atto della sua costituzione, cioè nel luglio 1945; mentre era limitato a Vincenzo Mazzone ed a due vecchi comunisti il « Gruppo Anarchico Pietro Gori ».

Prima del marzo 1945, non c’era stata a Messina alcuna effettiva propaganda anarchica [23]. Rimpatriato dalla Tunisia, il Mazzone iniziava la diffusione della stampa libertaria fra alcuni giovani, che riusciva a convocare a qualche mese di distanza nella sede dell’Associazione Perseguitati politici antifascisti, da poco costituita. [24] Dato che gli intervenuti erano tutti aderenti al Partito comunista ed al socialista, le riunioni avevano carattere di clandestinità; ma la continuità di esse, durante le quali si procedeva alla lettura ed alla discussione della pubblicistica anarchica, era determinante per alcuni dei partecipanti, i quali decidevano di dimettersi dai rispettivi partiti, non prima di aver convinto altri amici a fare altrettanto. Sulla base di questo impegno, nel luglio 1945, si costituivano il gruppo giovanile libertario « M. Bakunin » cd il gruppo anarchico « P. Gori»; i quali, in data 26 luglio, senza avere effettivamente compreso il reale significato delle cose lette e commentate, in previsione del Congresso anarchico di Carrara, decidevano di adottare la deliberazione dei gruppi di Ancona, Falconara e Fano, [25] che condannava ogni tentativo tendente al revisionismo e riconfermava le deliberazioni approvate dal Convegno anarchico di Bologna del 1920, di Napoli del settembre 1944 e di Canosa del gennaio 1945; e stabilivano di partecipare al Congresso di Carrara, delegando quali propri rappresentanti i compagni Gino Cerrito e Vincenzo Mazzone.

Dal 10 agosto 1945, con preordinata successione, si dimettevano dai rispettivi partiti i giovani Gino Cerrito, Giuseppe Gullì, Teresa Di Giovanni, Michele La Spada, Tullio Procacciante, Filippo Romanengo e Filippo Valenti.[26] Alla fine di agosto, pertanto, il gruppo giovanile poteva dirsi veramente formato, ed infatti iniziava la propaganda anarchica con la diffusione di giornali e di varie centinaia di volantini dattiloscritti.[27] Di contro il gruppo anarchico « P. Gori », dato che i suoi pseudo-aderenti avevano rifiutato di disertare le file comuniste, rimaneva formato dal solo

Mazzone, che praticamente partecipava toto corde alla vita del gruppo giovanile.

Continua nella Terza Parte

NOTE
[1] Degli anarchici che aderirono ai partiti comunista o socialista si ricordano: Giovanni Bufalo di Lucca Sicula, Nino Guarisco di Burgio, Mascarella di Ribera (oggi candidato comunista al Parlamento regionale siciliano), Accursio Miraglia di Sciacca (ucciso da una scarica di « mitra » il 4 gennaio 1947. Cfr. A. FAILLA , I compagni d’Italia ai compagni d’America, e N. NAPOLITANO , Una nuova vittima, in Adunata dei Refrattari, rispettivamente dell’8 febbraio e 22 febbraio 1947, a. XXV, n. 6 e 8), Giuseppe Giorlando di Grammichele (oggi candidato del M.S.U.P. al Parlamento regionale Siciliano), Giorgio Nobilita di Vittoria, Galante Gaspare di Alcamo, Domenico Belletti e Gaetano Caglio di Agrigento, Ignazio Buttitta di Bagberia, Sebastiano La Valle di Messina.
[2] Cfr. A. FAILLA , Lettera dalla Sicilia, in Bollettino Interno della F.A.I., Bologna, giugno 1948 (a. III, n. 6).
[3] Specialmente L’Adunata dei Refrattari.
[4] Cfr. P. SCHICCHI , Chiachieppe il vittorioso, in Conversazioni Sociali (terza serie), Palermo, maggio 1945, pp. 74-83. In tale articolo lo Schicchi riproduce per intero il numero unico citato.
[5] P. SCHICCHI , Dichiarazione, in Conversazioni Sociali (prima serie), Palermo, settembre 1944, p. 46.
[6] La seconda serie usci nel febbraio e la quarta nel novembre 1945, sempre a Palermo.
[7] Oltre i giornali e le riviste Umanità Nova, Il Libertario, L’Adunata dei Refrattari, Volontà, La Rivolta, L’Amico del Popolo, L’Era Nuova ecc., si diffondevano gli opuscoli: E. MALATESTA , Al caffè e Fra contadini; F. S. MERLINO , Perchè siamo anarchici; M. F. CANOSO , Chiesa e impostura; A. CIPRIANI, Bresci e Savoia; P. GORI , Socialisti libertari e socialisti autoritari e La nostra utopia, ecc.
[8] Cfr. SOLITO VILLA , art. cit. e la collezione di Umanità Nova, 1945. Pio Turroni di Cesena era venuto una prima volta in Sicilia nell’agosto 1944, portando diverso materiale di propaganda. Ma non conoscendo alcun indirizzo oltre quello dello Schicchi s’era dovuto fermare a Palermo ; nel marzo 1945 si recava a Palermo e Trapani con giornali ed opuscoli; in seguito, ricevendo numerosi indirizzi di siciliani dall’Adunata dei Refrattari, entrava con loro in relazione.
[9] Nel settembre 1945 Paolo Caponetto teneva qualche conversazione a Messina e diverse nel circolo « Umanità Nuova » di Catania; ma erano gli ultimi sforzi, poi la stanchezza lo vinceva.
[10] I fratelli Diana di Favara, emigrati in un fondo del comune di Caltanissetta, erano stati educati all’anarchismo dal padre, che aveva lavorato con alcuni anarchici negli Stati Uniti dal 1910 al 1920. Un giorno che la malattia di mio padre si aggravò — mi scrive Gerlando Diana da Caltanissetta, in data 8 aprile 1955 —, egli ci chiamò intorno a lui e ci disse: «miei cari figli, il mondo va male, io sono stato un onesto che ho sempre lavorato e [sono stato] sempre sfruttato, chè il padrone si fa e continua ancora a farsi bagni di sangue umano. Io non vi lascio nulla perchè sono stato sempre rubato, appunto [per ciò]… lascio a voi la miseria. Però vi lascio gli occhi aperti: date uno sguardo attorno e vedrete che l’uomo che ha il figliuolo ammalato che non può curare per mancanza di mezzi, mentre c’è un altro uomo che spende lire 350 per mantenere il suo cane… ».
[11] Celestino Carta, originario di Siracusa, fu rimpatriato dalla Tunisia alla fine del 1945, e si stabilì ad Enna giacche ivi ottenne la reintegrazione nell’impiego lasciato nel 1930 a Tripoli, dov’era residente. Ad Enna non trovò alcun anarchico e, da solo, cominciò a diffondere giornali ed opuscoli libertari.
[12] La Federazione Anarchica Palermitana venne costituita nel gennaio 1947, « udito anche il parere di Paolo Schicchi ». Cfr. L’Era Nuova di Palermo, gennaio 1947 (a. II, n. 1), p. 24.
[13] Le molte persecuzioni subite durante gli anni di carcere e di confino avevano indebolito nel fisico e nella mente Filippo Gramignano, che nel 1943 era stato internato nell’Ospedale Psichiatrico di Palermo, da dove era stato dimesso subito dopo 1’8 settembre 1943.
[14] Gaspare Cannone di Alcamo era stato deportato dagli S.U.A. prima del 1922, per l’attività anarchica ivi espletata.
[15] Specialmente la Biblioteca Fardelliana di Trapani è ricca di giornali e materiale propagandistico vario del Movimento anarchico dei decenni precedenti l’avvento al potere del fascismo.
[16] Dal manifesto del 16 settembre 1943, firmato dal « Fronte Unico Proletario » di Castelvetrano, inviatomi da Rosario Diecidue.
[17] Da una lettera datata « Castelvetrano, 10-4-1955 », scrittami da Rosario Diecidue.
[18] Dal manifesto firmato « Il Gruppo Comunista Libertario – Castelvetrano », inviatomi da R. Diecidue.
[19] Cfr. Riscossa, in Umanità Nova, 11 marzo 1945 (a. XXV, n. 10). L’articolo è riprodotto nella 2a, 3a e 4a pagina del manifesto cit.
[20] Cfr. il comunicato da Trapani, in Umanità Nova, 4 agosto 1945 (a. XXV, n. 31).
[21] Galante Gaspare, che era il delegato di quel gruppo, era iscritto al P.S.I.
[22] La denominazione « Libertario » venne proposta dal Mazzone, data la scarsa maturità dei componenti il gruppo.
[23] Una prova comunque del persistere del lievito anarchico anche a Messina, dopo 1’ 8 settembre 1943, c’ è fornita dagli stessi comunisti locali, i quali educavano i giovani che si erano avvicinati al Partito mediante la lettura ed il commento degli scritti di M. Bakunin, posseduti dal Doti. Piero Mondello, e di P. Gori, posseduti da S. La Valle. Questo stato di cose veniva a cessare nel corso del 1944.
[24] Nel maggio dello stesso anno, V. Mazzone compiva un giro nelle provincie di Catania e Siracusa, dove conosceva diversi simpatizzanti ai quali inviava e faceva inviare della stampa anarchica.
[25] La deliberazione dei gruppi di Ancona, Falconara e Fano, in Umanità Nova, 11 agosto 1945 (a. XXV, n. 32). Simile quella adottata dai messinesi, e da me in copia posseduta.
[26] La prima lettera di dimissione dal P.C.I., scritta da Gino Cerrito, in Umanità Nova, 18 agosto 1945 (a. XXV, n. 33); quella di Giuseppe Gullì, in Umanità Nova, 8 settembre 1945 (a. XXV, n. 35).
[27] Tali volantini contenevano frasi tratte dai giornali anarchici del tempo, ed erano firmati dal « Gruppo Libertario Michele Bakunin ».

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Biagio “Gino” Cerrito, “La rinascita dell’anarchismo in Sicilia” – Prima Parte

 

Nelle ultime settimane abbiamo assistito agli effetti globali provocati dal conflitto tra la Federazione Russa e l’Ucraina iniziato a fine Febbraio.
Come abbiamo visto qui in Sicilia, questa situazione guerreggiata ha portato ad un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, in primis alimentari, ma anche dei prezzi energetici, scatenando scene di panico per l’accaparramento di una serie di prodotti.
Il problema inflattivo lo si potrebbe definire “congiunturale”, un problema che va ad aggravare una situazione locale che da diversi decenni presenta problemi cronicizzati: infrastrutture stradali e ferroviarie ridotte a colabrodo o pessime, disoccupazione endemica, tassi di emigrazione alti, spopolamento dei centri urbani più piccoli ed isolati (come nella zona centrale dell’isola) ed impoverimento generale che fa sì che sempre più persone debbano rivolgersi ad enti assistenziali per mettere insieme il pranzo con la cena.
Per rendere ancora più chiara questa situazione, non dimentichiamoci che dopo pochi giorni di lockdown, due anni fa in piena fase emergenziale dovuta alla pandemia, a Palermo ci fu un vero e proprio assalto verso i supermercati.
Senza dimenticare, rimanendo nell’ambito dei problemi di questa regione, che nelle realtà paesane siciliane vi è una mentalità “depoliticizzata” a causa di una combinazione di fattori: il fatalismo tipicamente siciliano, quello che porta ad accettare supinamente il potere costituito; un familismo che porta al “tutti amici tutti” di facciata e ad una lotta infida alle spalle; lo stretto contatto tra sfruttati e sfruttatori nell’ambito di relazioni amicali/familiari; un disprezzo aperto per donne ed individui non etero e non cisgender, e via di questo passo.
In un contesto del genere vi sono una serie di interventi espansivi economici e sociali delle borghesie nazionali ed internazionali: dalla borghesia maltese nella zona del ragusano alla Compagnia delle Opere che erode il potere politico di Sicindustria, fino agli accordi tra le borghesie arabe e cinesi con le amministrazioni comunali delle città metropolitane.
Tutta questa situazione fa gola alle varie fazioni politiche-borghesi regionali in lotta fra loro nell’accaparrarsi sia i favori delle associazioni e gruppi di potere economici nazionali ed internazionali che i fondi provenienti da Bruxelles.
Alle fazioni citate poco importa se alle ultime elezioni regionali del 2017 l’astensione aveva superato abbondantemente il 50%.
Il dato è l’accaparramento continuo e la difesa dei privilegi fino ad ora ottenuti. Indipendentemente dall’attuale situazione sindemica e di stagnazione economica.
Al tempo stesso, il malcontento sociale è stato cavalcato da movimenti come i Forconi e da partiti istituzionali come il Movimento 5 Stelle che hanno promesso una serie di contentini alle fasce più basse della popolazione.
Oggi che il tappo sembra essere saltato, questi gruppi politici non riescono più a frenare l’emorragia sociale di votanti e sfiduciati.
I movimenti che sono emersi in questi anni si sono, via via, assottigliati per una serie di problemi dovuti alle vite personali dei singoli e/o alle velleità manifeste elettorali di tanti altri.
Il deserto politico, sociale e culturale che si è venuto a creare è, quindi, palpabile.
Il movimento anarchico siciliano odierno, si può dire senza timore di smentita, è ridotto al lumicino.
Dal punto di vista della memoria storica, personalità e gruppi vissuti decenni or sono risultano completamente sconosciuti alla generazione di compagni/e più giovani ed in via di formazione; questo perchè le strutture si contano sulle punte delle dita di una mano e i cataloghi per la consultazione o non sono di pubblico dominio o non sono completi.
Da un punto di vista della prassi, l’azione degli sparuti gruppi anarchici siciliani si concentra principalmente nelle principali città e centri urbani, di solito capoluoghi di provincia, mentre i paesi rimangono completamente scoperti.
Ma anche dove sono presenti, le azioni di propaganda e pratica di tali gruppi sono molto ridotte.
Di fronte a tutto questo allora, ci auguriamo che la pubblicazione dell’opuscolo del compagno Gino Cerrito possa essere fonte di stimoli per ravvivare una situazione di depressione culturale, sociale e politica come quella odierna.
Nel suo opuscolo, Cerrito riporta minuziosamente le attività di gruppi ed individualità anarchiche tra il primo ed il secondo dopoguerra: da reduci di esperienze vissute in campi di concentramento come Umberto Consiglio a quelli di lotta armata partigiana durante la guerra come Alfonso Failla, passando alle azioni di Paolo Schicchi durante il periodo fascista.
L’anarchico messinese mostra come questi compagni si organizzavano e giravano in varie zone della Sicilia per portare avanti teorie e pratiche anarchiche, nonostante l’esiguità dei mezzi materiali e delle risorse monetarie allora a disposizione.

Collana Porro, Edizioni RL, Napoli, 1956, 42 p.

Prefazione

La storia del Movimento anarchico italiano, dei fatti e delle idee che l’hanno caratterizzato in circa un secolo di vita e del contributo da esso apportato all’umano progresso, non è stata ancora scritta. Salvo la monografia di Max Nettlau, su « Bakunin e l’Internazionale in Italia dal 1864 al 1872 » (Ginevra, 1928), integrata dal « Mazzini e Bakunine » di Nello Rossellini (Torino, 1927), esistono pochi mal riusciti tentativi cronachistici e memorialistici e talune insufficienti biografie apologetiche, licenziati alle stampe a scopo del tutto propagandistico. Si sente quindi il bisogno di un’opera sistematica sul Movimento anarchico italiano, condotta opportunamente sulle fonti, la quale colmi questa grave lacuna storiografica. Il compito non è dei più semplici: in quanto le difficoltà della ricerca dei materiali necessari sono innumerevoli. Non si tratta solo di utilizzare quanto già pubblicato in opuscoli e libri di propaganda, ma di sfogliare attentamente le collezioni dei quotidiani e dei periodici anarchici e non anarchici (per i periodi di maggior interesse storiografico) e di attingere copiosamente ai dibattiti parlamentari, alla raccolta delle leggi e decreti, ai documenti di archivio, ai processi politici innumerevoli celebrati contro gli anarchici, e di inquadrare gli avvenimenti nella storia generale del paese, per scorgere i limiti del contributo dato dal Movimento anarchico alla causa della libertà.

È stato scritto che « L’anarchismo, che cinquantanni fa aveva una sua vitalità necessariamente correlativa agli altri moti sociali in atto, si trova ora come in un vacuo.

In un vacuo che ha per pareti gelatinose bugie »; che « Gli anarchici, e non solo in Italia, stanno faticosamente cercando strade su cui sia possibile un’azione sociale caratteristica ed efficace » (L. Fabbri , Sotto la minaccia totalitaria, Napoli, 1955, Prefazione degli editori, p. 5). Ebbene, solo mediante una obiettiva esposizione degli avvenimenti vissuti in un secolo di vita del Movimento anarchico italiano, si potranno trarre gli elementi positivi per convalidare e sostanziare la sua attuale ripresa, per risolvere l’immobilismo che attualmente lo travaglia, e per confutare, con le esperienze vissute, l’accusa più volte lanciata contro « l’anarchismo tradizionale ormai superalo ed esautorato dagli avvenimenti ed anchilosati durante gli ultimi decenni nella commemorazione delle proprie date storiche e nella seminagione di proclamazioni fallite » (Un trentennio di attività anarchica, Cesena, 1953, Presentazione degli editori, p. 5).
È con l’augurio che questa esigenza storiografica, profondamente sentita dentro e fuori del nostro Movimento, venga al più presto soddisfatta, che diamo alle stampe questo breve saggio sulla « Rinascita del Movimento anarchico in Sicilia » (cioè sulle esperienze vissute dagli anarchici siciliani dal settembre 1943 al 2 marzo 1947, data del primo Convegno regionale anarchico), già pubblicato in tre puntate dalla rivista «Volontà» (l°luglio-1° settembre 1955, n. 1-3 4, 5, an. IX).
G.C.

1
I
NTRODUZIONE

Per renderci conto delle difficoltà, che ostacolarono la rinascita del Movimento anarchico in Sicilia, immediatamente dopo l’ 8 settembre 1943, è necessario risalire indietro nel tempo e soffermarci brevemente sulla reale consistenza dei gruppi anarchici siciliani, all’indomani della prima guerra mondiale : mettendo in rilievo la dispersiva azione persecutoria compiuta dai governi Mussolini ed i peculiari motivi che inficiavano lo sviluppo del Movimento anarchico stesso [1].

Bisogna tener presente che, fino all’avvento della dittatura fascista, gli anarchici siciliani mancavano d’un indirizzo teorico chiaro e di un metodo associativo idoneo alle condizioni ambientali dell’isola. Essi aderivano, cioè, alle concezioni antiorganizzative, allora presenti nel Movimento italiano, accentuandone le caratteristiche, per quell’individualismo proprio delle genti di Sicilia. « Io sono se non asocievole, — scriveva uno dei più attivi anarchici di Sicilia, nell’anno 1924 [2] — un animale di difficile socievolezza, ciò non toglie che io abbia trovato un gruppo di persone al quale, oltre da una infinita reciproca tolleranza, sono legato dalla comunione di vedute di molti problemi, nelle linee schematiche. Da questo gruppo di amici sorsero i Figli dell’Etna. Noi siamo individualisti nel senso più radicale, cioè istintivisti. Proclamiamo la libertà dell’individuo di soddisfare tutti i suoi bisogni… Anarchici perchè irriducibili nemici di ogni manifestazione autoritaria, noi rivendichiamo il diritto di dirci tali di fronte al movimento o partito comunista-anarchico, in quanto l’accettazione della verità antiautoritaria non implica l’accettazione di tutta quella roba che alcuni uomini — sia pur rispettabilissimi… — han voluto ricamarci sopra» [3].

La dottrina di costoro — continuava il Di Mauro — di anarchico « non ha che la sovrastruttura ed il coronamento… In forza di quanto abbiamo scritto, insistiamo nella esistenza di due anarchismi, lontanissimi dalle origini — l’uno ha le sue radici nel fatto economico, l’altro nel fatto morale — che s’incontrano sul terreno antiautoritario: quello comunista che va assumendo forme sempre più pratiche, concrete, realizzatrici, come tale compreso nel ciclo storico degli esperimenti sociali e destinato a scomparire tosto che si sarà sperimentato — quello individualista destinato a sopravvivere a tutte le società in quanto di queste sarà sempre l’elemento componente ».

In forza di queste idee, parzialmente comuni agli anarchici siciliani e chiaramente contradittorie, si rifuggiva dal partecipare ad una metodica attività di gruppi federati, come si respingeva una costante partecipazione al Movimento operaio, accontentandosi — salvo qualche eccezione — di impegnarvisi a fondo, quando le campagne per le rivendicazioni salariali o per l’occupazione della terra si trasformavano in veri e propri conflitti con le forze di polizia.
I motivi di queste deficienze caratteristiche — riscontrate nella pubblicistica anarchica siciliana del tempo — scaturivano dalla formazione mentale essenzialmente romantica e, pertanto, dati i tempi e le esigenze, retorica dei numerosi intellettuali siciliani, che aderivano al Movimento anarchico, distogliendolo spesso da quelle reali e conseguenti idee-azioni, che riaffioravano solo periodicamente e in virtù della pressione interna dell’elemento operaio ed esterna delle masse popolari.

La figura di maggiore rilievo che allora dominava — possiamo dire — con la sua prestigiosa ed energica personalità gli anarchici di Palermo e che influenzava notevolmente tutto il Movimento dell’isola, era Paolo Schicchi di Collesano, la cui vita si identifica ed è tutt’uno con la vita dell’anarchismo a Palermo.[4] Istintivista e nemico di ogni organizzazione di gruppo e di ogni metodica attività continuativa, Paolo Schicchi viveva nella lotta e per la lotta, rischiando molto spesso la vita e la libertà e pagando sempre di persona. Per temperamento esuberante, riteneva un’ imperdonabile vigliaccheria sottrarsi al pericolo, sotto qualunque forma esso si presentasse.

Era ed è sempre rimasto un vecchio anarchico dell’ «Epoca eroica » e, da buon siciliano, nutriva un profondo senso dell’onore, inteso alla maniera siciliana, che lo trascinava ad emettere sentenze troppo arrischiate e soggettive; e non solo nei riguardi dei nemici dell’anarchismo, ma altresì di quegli anarchici che avessero assunto atteggiamenti più o meno contrari al suo modo di concepire l’anarchismo. Diventava a volte, in altre parole, il sacerdote che approva e condanna; e tuttavia, trasudava da lui quella manifesta buona fede e quella profonda e rude lealtà, che lo rendevano caro a chiunque lo conoscesse.
Nel primo dopoguerra, Paolo Schicchi prestava un’attività propagandistica individuale intensissima: oltre i contatti costanti con i compagni di ogni centro dell’isola, ai quali forniva giornali, opuscoli e consigli — particolarmente richiesti in quei difficili momenti —, e le ininterrotte corrispondenze con parecchie individualità della penisola e dell’estero; presenziava, insieme con altri anarchici di Palermo,[5] alle innumerevoli agitazioni operaie e contadine che avevano luogo nel suo circondario e trovava il tempo, altresì, per pubblicare e diffondere vari numeri-unici, prima, ed un periodico quindicinale, poi, il quale veniva soppresso definitivamente nell’ottobre 1923.

Dalla seconda metà del 1920 ai primi del 1921, venivano pubblicati a Palermo o a Collesano, per la redazione di Paolo Schicchi, i numeri unici La Zolfara, il Piccone e La Zappa, i cui titoli danno sufficienti ragguagli sulle lotte che lo Schicchi ed i suoi collaboratori sostenevano; [6] il 6 giugno 1921, iniziava le pubblicazioni quindicinali II Vespro Anarchico, compilato da Paolo Schicchi e Nino Napolitano, con la collaborazione di Ugo Fedeli, e diffuso in Sicilia da numerosi anarchici e socialisti, entusiasti dello stile barricatiero del giornale e legati sentimentalmente al « Leone di Collesano », come lo Schicchi veniva designato dagli amici. [7]
L’occupazione della terra da parte dei contadini, il problema delle zolfare siciliane, gli abusi delle clientele locali, i vizi « costitutivi » della monarchia e della casa Savoia, l’azione provocatoria delle « squadre fasciste » e l’incitamento all’azione diretta popolare e rivoluzionaria erano i principali motivi agitati dal periodico; e, pertanto, le persecuzioni della P. S. contro i suoi redattori e diffusori ed i sequestri ordinati dalla Magistratura furono tali, da dare al Vespro Anarchico quel carattere di semi-clandestinità, che molto spesso provocava richieste maggiori da parte degli operai.

Questa attività individuale dello Schicchi, comunque viziata e contraddittoria — specialmente perchè tendente, intorno al 1921-1923, al fronte di tutte le forze rivoluzionarie per stroncare il nascente fascismo —, arricchiva di nuove reclute, più o meno mature politicamente e socialmente, il Movimento anarchico che già di per sè annoverava estese simpatie in tutto il Movimento socialista diciannovista isolano, alimentato in parte rilevante dalla pubblicistica libertaria e agitante, per ciò appunto, i motivi dell’anarchismo.

Proprio per le deficienze « istintiviste » degli anarchici, caratterizzate da una miriade di azioni rivoluzionarie slegate, e perciò più facilmente represse dalle forze di polizia, era comunissimo il caso del nominale ma non effettivo gruppo locale, costituito intorno a qualche forte personalità, la quale praticamente impediva qualsiasi metodico impegno associativo-funzionale fra i gruppi e nel gruppo, conformandosi alla posizione di Paolo Schicchi, che per molti versi rappresentava l’ Anarchico. Era questa, in fondo, la realtà del Movimento anarchico siciliano, ovunque esistessero gruppi nominali: a Palermo, come a Bagheria, a Casteldaccia, a Collesano, a Trapani, a Castelvetrano, a Mazara, a Salemi, ad Alessandria della Rocca, a Burgio, a Lucca Sicula, a Naro, a Ribera, a Sciacca, a Caltanisetta, a Terranova, a Vittoria, a Lentini, a Francofonte, a Catania, a Grammichele, a Paterno, a Vizzini, a Messina, a Librizzi, a San Piero Patti ed altrove.
Dove, invece, — come a Girgenti, a Marsala, a Modica e, particolarmente, a Siracusa — i gruppi annoveravano un numero notevole di operai politicamente e socialmente maturi e, quindi, aderenti alle locali esigenze e possibilità e necessariamente impegnati nella partecipazione al Movimento operaio, ivi le affermazioni dottrinali proposte da un Di Mauro e superficialmente accettate dagli altri, venivano accantonate e superate da una coordinata attività propagandistica e rivoluzionaria, che trovava nelle masse lavoratrici il proprio naturale terreno di diffusione.

A Siracusa, l’anarchismo cominciò a diffondersi immediatamente dopo la prima guerra mondiale, per la propaganda espletata da alcuni socialisti, fra i quali circolavano le opere della piccola biblioteca del vecchio anarchico Emanuele Maieli, da poco rimpatriato dal Brasile, ed ai quali pervenivano giornali ed opuscoli anarchici, spediti loro dal siracusano Francesco Cappuccio, emigrato a Firenze. Il bracciante agricolo Maieli ed il pittore-decoratore Cappuccio contavano numerosi amici fra gli operai ed i contadini iscritti alla locale sezione del Partito socialista, e, nonostante fosse opinione comune fra i socialisti — i quali coltivavano genericamente e propagandavano i principi anarchici — che le condizioni dell’isola imponessero a tutti i lavoratori di rimanere nelle file del Partito, per ovvi motivi tattico-ambientali, fu proprio da costoro che vennero fuori i primi anarchici siracusani. Pertanto, il Movimento anarchico nacque e prosperò negli anni più critici del primo dopoguerra, cioè all’epoca dei grandi movimenti contadini per l’occupazione delle terre e della prima formazione del Partito fascista. Ad esso aderirono, oltre che vari operai salariati e braccianti agricoli, un gruppo di intellettuali e di studenti. Fra essi si ricordano il rag. Umberto Consiglio,[8] la prof. Eva Ballariano, gli studenti Totò Di Mauro ed Elio Vittorini, gli operai Marcello Cicero, Giuseppe Burgio, Agostino Fugali, Corrado Alessi, Luigi Catania e Giuseppe Sirugo e il giovanissimo Alfonso Failla.
Ben presto, vennero costituiti i gruppi anarchici « Bakunin » ed « I Figli dell’Etna », i quali s’impegnarono in una attività propagandistica intensa e coordinata, svolta in città e nelle campagne adiacenti, con continue conversazioni nelle sezioni socialiste e nelle Camere del lavoro e con distribuzione di migliaia di copie di giornali ed opuscoli, dei quali si ricorda particolarmente il « Fra contadini » di Errico Malatesta, edito nel 1922 da Giovanni Repetto a Rivarolo Ligure, per essere diffuso fra i contadini del meridione d’Italia. In merito alle numerose simpatie di cui godevano i gruppi di Siracusa, è indicativa la costituzione di una Biblioteca anarchica, nei medesimi locali di quella Camera Confederale del Lavoro.

Con l’avvento al potere di Benito Mussolini, a Siracusa come altrove, gli anarchici siciliani furono compatti nella lotta armata contro le squadre fasciste, a fianco dei lavoratori e dei socialisti, ed in prima linea nella difesa delle Camere del Lavoro e delle sedi dei giornali e dei partiti politici antifascisti. Essi si battevano sia mediante l’azione diretta, nel senso più largo del termine, alla quale chiamavano tutto il popolo; sia mediante la diffusione di volantini, di periodici e di numeri-unici, molti dei quali stampati « alla macchia » nello stesso periodo in cui veniva pubblicato a Palermo II Vespro Anarchico, e dopo la sua stessa soppressione, l’arresto e la fuga dall’isola di Paolo Schicchi, avvenute rispettivamente nell’ottobre 1923 e alla metà del 1924. [9]
Vennero pubblicati, fra l’altro, diversi numeri del periodico II Piccone, edito dal gruppo di Catania e compilato da Giovanni Consalvo, nella prima metà del 1922 ;[10] il 1° maggio dello stesso anno i gruppi di Siracusa stamparono a Noto il numero-unico Bandiera Nera, diffuso nonostante il sequestro ordinato dalla Magistratura; e dopo qualche mese, con una piccola macchina tipografica gelosamente custodita a Lentini, il picconiere Francesco Martinez iniziò la pubblicazione periodica de II Seme Anarchico, che uscì con una certa regolarità per circa due anni.[11]

Nel medesimo periodo, il gruppo anarchico « Rupe Athenea » di Girgenti [12] diede alle stampe un numero unico, di cui c’è stato impossibile conoscere il titolo; nel 1924, Gaetano Di Bartolo Milana di Terranova di Sicilia,[13] pubblicò ivi La Fiaccola Anarchica, numero-unico poligrafato; mentre gli anarchici di Siracusa davano alle stampe due volumetti di versi libertari di intonazione individualista di Renzo Novatore,[14] i quali contribuivano in quei critici momenti alla propaganda per l’azione diretta rivoluzionaria. Perduta poi ogni speranza di pubblicazione della rivista II Maglio, progettata da « I Figli dell’Etna », nel 1924 gli anarchici di Siracusa compilavano e diffondevano il numero-unico ciclostilato L’Anormale, « giornaletto dattiloscritto dedicato ai normali ».[15]

Dal 1925, all’incrudire delle persecuzioni fasciste, rispose da una parte l’assottigliarsi dei gruppi anarchici in ogni località dell’ isola;[16] dall’altra un inasprimento della lotta degli anarchici rimasti, contro le « squadre punitive » e contro la P. S. Vari episodi di sangue caratterizzarono quegli anni, che videro rapidamente stroncata ogni istanza di libertà e di miglioramento sociale. Vanno particolarmente ricordati i conflitti contro la reazione governativa, a cui parteciparono variamente, finoltre il 1926, gli anarchici di Palermo, e per essi Paolo Schicchi, Marcello Natoli e Salvatore Tavormina; quelli di Alcamo e di Trapani, dei quali si citano il giornalista Gaspare Cannone e il rag. Filippo Gramignano; quelli di Castelvetrano e di Marsala, fra cui Rosario Dieci due, Ciccio Sammartano, Masi Gandolfo e Cosimo Alagna; quelli di Naro, che intorno al 1923 perdettero, in seguito ad un conflitto con i fascisti, l’avv. Gaetano Pontillo; quelli di Caltanisetta, dei quali si ricordano il ferroviere Raffaele Frugis e il calzolaio Michele Mongione; quelli di Terranova, con alla testa Gaetano Di Bartolo Milana; quelli di Catania, e fra essi Giovanni Consalvo e l’universitario Pietro Basile; quelli di Vizzini, con l’agricoltore Francesco Bruno Curiale; quelli della provincia di Messina, e fra essi Nino Puglisi, morto in seguito alle persecuzioni, Leone Mannozzi, Natale Fusco, Leo Giancola, emigrato in seguito ad incidenti che ebbero luogo durante un’agitazione di contadini, e l’allora giovane simpatizzante Vincenzo Mazzone; quelli di Modica, con i contadini Vacirca e Polara, i quali, il 29 maggio 1921, alla testa dei lavoratori furono falciati dal piombo fascista; quelli di Lentini, e particolarmente il picconiere Francesco Martinez, lungamente perseguitato; quelli di Siracusa, infine, i quali, nel corso del 1925, costituito un gruppo di azione rivoluzionaria — comprendente Umberto Consiglio, Marcello Cicero, Giuseppe Burgio, Alfonso Failla, Giuseppe Sirugo e numerosi simpatizzanti —, riuscirono a trascinare centinaia di lavoratori, stanchi degli abusi fascisti, contro le « spavalde centurie », che periodicamente giungevano a Siracusa dalla Romagna per imbarcarsi per Tripoli, e indussero il governo, in seguito ai numerosi scacchi inflitti alla Milizia fascista, a fare imbarcare da Napoli le « Camice nere ».

Con l’istituzione del « Tribunale Speciale per la difesa dello Stato » e delle « Commissioni provinciali per l’assegnazione del Confino di Polizia »[17] per gli anarchici la vita divenne estremamente difficile. Coloro che per varie ragioni non avevano potuto lasciare l’Italia,[18] venivano arrestati e confinati; mentre i rimasti erano guardati a vista, continuamente fermati, diffidati, ammoniti.[19] Nonostante ciò, la propaganda in Sicilia venne ancora svolta per vari anni dai pochissimi, isolati o riuniti in gruppetti clandestini, in regolare corrispondenza di propositi con quelli di altri centri della penisola e con gli emigrati a Tunisi, a Parigi, a Ginevra e negli Stati Uniti d’America.
Dall’estero, dove rinascevano le iniziative anarchiche stroncate ad una ad una dalla violenza fascista in patria, e dove si avvertiva la primarietà della liquidazione del fascismo delle « squadre punitive » e del « confino di polizia », si mantenevano vive le intese con i rimasti alla mercè dei nemici, si inviava loro materiale di propaganda antifascista e rivoluzionario,[20] si animavano ed incitavano i compagni di tenersi pronti per il momento della riscossa.
Intorno al 1930, date le larghe amicizie e le estese simpatie di cui godevano in patria i componenti siciliani della colonia anarchica di Tunisi. Paolo Schicchi si prefisse di suscitare con l’esempio della propria audacia un moto di ribellione, che avesse inizio nelle provincie di Palermo e di Trapani. Tramite marinai francesi o italiani, che facevano la spola fra i porti della Sicilia e quello di Tunisi, lo Schicchi intensificò la corrispondenza epistolare con gli anarchici rimasti nelle due provincie, e riallacciò le relazioni con alcuni gruppi di simpatizzanti provatamente sicuri. Alla metà del 1930, le sollevazioni popolari contro le tassazioni e la disoccupazione, che ebbero luogo in vari paesi della Sicilia centro-occidentale, lo convinsero che mai sarebbe giunto momento più opportuno, per realizzare lo sperato moto rivoluzionario [21]. E, senz’altri indugi, avvertiti i gruppi clandestini dell’isola, s’imbarcò per Palermo insieme con i trapanesi Salvatore Renda e Filippo Gramignano. Traditi dallo stesso capitano della nave che li trasportava, i tre anarchici vennero catturati nel porto di Palermo e condannati rispettivamente a dieci, otto e sei anni di reclusione. [22]
Contemporaneamente vennero arrestati molti componenti dei gruppi rivoluzionari promossi dallo Schicchi, fra i quali gli anarchici Calogero Aronica Pontillo di Naro e Nino Guarisco di Burgio, allora a Palermo, e l’insegnante antifascista Enrico Soresi di Partinico.[23]

Dopo il fallimento di questo progetto di rivolta collettiva e organizzata, e dopo la fuga a Tunisi dell’ultimo attivo e funzionale nucleo anarchico siracusano — composto da Giuseppe Burgio, Marcello Cicero, Luciano Miceli, Giuseppe Politi e Salvatore Vaccaro[24] — , la situazione gene­rale interna veniva caratterizzata, fino al 1943, dall’isolamento sempre più accentuato dei perseguitati — indicati col termine generico di antifascisti, sovversivi o bolscevichi — e dall’affollamento dell’isola di Ponza, di Ventotene, di Tremiti, dove si ripensavano gli errori del diciannovismo e si formavano politicamente e socialmente i più giovani. Mentre l’attenzione dei fuorusciti era polarizzata per più anni dalla Spagna repubblicana e rivoluzionaria, per la quale lottarono gli anarchici siciliani Paolo Caponetto di Francofonte, Vincenzo Mazzone di Messina, Giovanni Fontana di Pantelleria, Celestino Carta di Enna, Giuseppe Burgio, Giuseppe Politi, Giuseppe Livolsi e Umberto Consiglio di Siracusa.[25]

Continua nella Seconda Parte

Note
[1] Per la compilazione della presente esposizione critica mi sono servito delle fonti a cui farò riferimenti nelle note e nelle memorie dei seguenti anarchici che ho avuto modo di intervistare: Giuseppe Alticozzi di Modica, Celestino Carta di Enna, Marcello Cicero di Siracusa, Gerlando Diana di Caltanissetta, Rosario Diecidue di Castelvetrano, Alfonso Failla di Siracusa, Filippo Gramignano di Trapani, Franco Leggio di Ragusa, Vincenzo Mazzone di Messina, Salvatore Siracusa di Agrigento, Pio Turroni di Cesena. Ringrazio particolarmente Rosario Diecidue ed Alfonso Failla per la documentazione fornitami. Per quanto riguarda la rinascita del Movimento anarchico dal Congresso di Carrara al Convegno regionale di Palermo mi sono giovato anche di personali memorie e di documenti in mio possesso.
[2] T. DI MAURO , Appendice, in R. NOVATORE , Al di sopra dell’arco. Arte libera di uno spirito libero, ed «I Figli dell’Etna» di Siracusa, Roma, 1924, pp. 82-3.
[3] Si riferisce particolarmente a Errico Malatesta ed al patto federativo approvato nel Convegno anarchico di Bologna del 1920.
[4] Paolo Schicchi morì a Palermo il 12 dicembre 1950. Per una breve biografia dello stesso rimandiamo a Seme Anarchico, Torino, 1 dicembre 1952 (A. I, n. 12), e agli altri giornali anarchici dell’epoca della morte.
[5] Particolarmente con Marcello Natoli, Nino Napolitano, Salvatore Tavormina.
[6] Cfr. U. FEDELI , Giornali, riviste, numeri unici anarchici stampati in italiano dal 1914 al periodo clandestino, in Movimento Operaio, giugno-luglio 1950 (A. II, n. 9-10).
[7] Sul Vespro Anarchico, cfr. U. FEDELI, cit.
[8] Umberto Consiglio è uno degli attuali redattori di Umanità Nova, settimanale anarchico edito a Roma.
[9] Cfr. Un trentennio di attività anarchica (1914-1945), ed. L’Antistato, Torino, 1953, p. 80; SOLITO VILLA (Calogero Aronica Pontillo), Le peripezie d’un compagno sotto il fascismo, in L’Adunata dei Refrattari, New York, 6 gennaio 1945 (a. XXIV, n. 1).
[10]Cfr. U. FEDELI , cit.
[11] II Fedeli, nell’art. cit., riferisce erroneamente che il periodico usci a Catania e solo per pochi mesi. Il redattore del giornale, F. Martinez, lungamente perseguitato, morì durante il ventennio; gli aderenti al gruppo da lui animato si iscrissero nel 1943 al P. C. I.
[12] II gruppo di Girgenti (l’attuale Agrigento) era composto da Gaetano Caglio, Leopoldo Castellino, Vincenzo Ferlisi, Ignazio Mattiolo, Vincenzo Piazza ed altri.
[13] Gaetano Di Bartolo Milana di Terranova (l’attuale Gela), alla fine del 1924 propose la fondazione di un partito anarchico e incontrò l’opposizione di Errico Malatesta, che pubblicò degli articoli in Pensiero e Volontà del medesimo periodo. Il Di Bartolo inviò corrispondenze all’Adunata dei Refrattari, sotto lo pseudonimo di Nunzio Tempesta, fino al 1932; scoperto, venne inviato a Ponza per 5 anni.
[14] II secondo volumetto di versi del Novatore porta il titolo Verso il nulla creatore.
[15] Per II Maglio, cfr. T. DI MAURO , Appendice cit., pp. 86-7; per L’Anormale cfr. U. FEDELI , art. cit.
[16] Molti anarchici emigrarono (Salvatore Battaglia di Agrigento, Giuseppe Gloriando di Grammichele, Eva Ballariano di Siracusa, Michele Abbate di Casteldaccia, poi abusivamente catturato a Tunisi dai fascisti e internato a Ponza dove morì, ecc.), altri si allontanarono dal Movimento per vari motivi (I. Buttitta di Bagheria, T. Di Mauro ed Elio Vittorini di Siracusa ecc.).
[17] Cfr. la Gazzetta Ufficiale dell’8 novembre 1926.
[18] Nel 1926 e negli anni seguenti altri anarchici lasciarono l’Italia: Umberto Consiglio di Siracusa, Giuseppe Fiducia di Siracusa, Filippo Gramignano e Salvatore Renda di Trapani, Nino Napolitano e Marcello Natoli di Palermo, Vincenzo Mazzone di Messina ecc.
Nel 1926, Nino Puglisi di Librizzi, scriveva a Leo Giancola a Miami: «Dopo tanti anni trascorsi dacché tu ti allontanasti dalla terra su cui si sono abbattute migliaia di bufere, colgo l’occasione per scriverti, per dirti che ancora sono al mio posto di battaglia. Nessuno valse a farmi piegare la fronte. Errante di paese in paese, dopo che terminai quella che la società attuale chiama condanna restrittiva: in un momento di mesto raccoglimento, rifaccio tutto il mio passato; e ripensando attraverso un sogno vago giorni di mia vita politica trascorsi insieme a le ed altri, il cuore mi sanguina, e mi domando: dove siete fuggiti? Resto ramingo e solo in questa terra, culla millenaria di imposture, che il sangue di tanti martiri non è valso a cancellare, qui, dove gli uomini più abietti, in forma di una immensa piovra, succhiano il sangue di un popolo… » (cfr. L. GIANCOLA, Gli sconosciuti, in Adunata dei Refrattari, 3 marzo 1945 (a. XXIV,n. 9). Nino Puglisi morì durante il ventennio nel Manicomio criminale di Barcellona, dov’era stato rinchiuso dal regime.
[19] Ricordiamo i confinati Nino Catalano e Vincenzo Marzo di Mazara, Michele Mongione di Caltanissetta, Alfonso Failla di Siracusa; ed i variamente perseguitati Gaetano Caglio di Agrigento, Raffaele Frugis di Foggia, residente a Caltanissetta, Gaetano Miano di Messina, Calogero Aronica Pontillo di Naro, Nino Guarisco di Burgio, Giovanni Bufalo di Lucca Sicula.
[20] II materiale veniva inviato sia ad amici poco conosciuti dalla polizia, sia indiscriminatamente ad indirizzi tratti dalle guide telefoniche, per generare confusione nelle autorità.
[21] Si verificarono sollevazioni a Borgetto, Castiglione, Linguaglossa, Pachino, Partinico, Randazzo e in vari altri paesi, sempre per i tradizionali motivi.
[22] Cfr. Un trentennio di attività anarchica, op. cit., pp. 96 sgg. Dei tre condannati il Renda chiese, poco dopo, la grazia e fu posto in libertà.
[23] Cfr. SOLITO VILLA , art. cit.
[24] II gruppetto fuggì a Tunisi in motopeschereccio.
[25] Giuseppe Livolsi cadde il 12 novembre 1936 nell’attacco di Almudevar (Aragon), (cfr. Un trentennio…. op. cit., p. 186).

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