Biagio “Gino” Cerrito, “La rinascita dell’anarchismo in Sicilia” – Seconda Parte

Prima Parte

LA POLITICA DEI FRONTI UNICI ANTIFASCISTI

Giacché la libertà vigilata dei « liberatori » non era stata prodotta da alcuna creativa lotta popolare e rivoluzionaria contro il morente regime, dopo 1’ 8 settembre 1943, si delineava in Sicilia una situazione sostanzialmente equivoca. Tutto il mondo dell’antifascismo — composto dai non molto irriducibili avversari del regime, dai numerosi intiepiditi per le persecuzioni sistematiche, dai troppi « puri » dell’ultim’ora, i quali avevano osato… ascoltare per mesi e forse per anni le trasmissioni di « Radio-Londra » nel chiuso delle pareti domestiche — svegliato dal passaggio delle camionette alleate, veniva preso dall’ansia di costituire un unico imbattibile fronte politico, per il conseguimento di quello che appariva l’obiettivo primario e fondamentale.
Dietro le formule, le bandiere, gli slogans dei partiti, dei movimenti e delle alleanze politiche si nascondevano il calcolo ed il compromesso. Tipico l’esempio del Movimento per l’indipendenza della Sicilia che sotto la direzione effettiva degli agrari riuniva centinaia di migliaia di giovani, sinceramente disposti a dare la vita « per una libera nazione siciliana », che assicurasse ai suoi cittadini la pace ed il benessere. Indicativa la costituzione di talune « associazioni », sciolte immediatamente dopo che i dirigenti delle stesse avevano ottenuto l’impiego in un qualunque pubblico ufficio, in sostituzione o meno di fascisti epurati e di donne non bisognose.
Caratteristiche, per molti versi, le numerose adesioni riscosse subito dopo il settembre dal Partito comunista, considerato generalmente come il partito dell’antifascismo e della rivoluzione proletaria organizzata; nonché la politica frontista sostenuta e bandita dai comunisti, allo scopo di dare al Partito una maggiore possibilità di pressione sullo Stato, alla direzione del quale intendeva partecipare con la borghesia.

Per gli anarchici che parteciparono con i comunisti alla costituzione dei « Fronti » antifascisti, dimenticando il fallimento delle alleanze e dei comitati centrali del primo dopoguerra, il sostanziale dualismo fra il socialismo libertario ed il bolscevismo Ani con l’essere considerato del tutto superato dalle sofferenze subite e dalle speranze nutrite per oltre un ventennio. Tanto più che la notevole differenza fra la Russia rivoluzionaria del 1917 e quella staliniana, nata e consolidata durante e dopo i grandi processi di Mosca, era generalmente ignorata.
Ma, mentre la politica del frontismo antifascista ed antimonarchico giovò ai comunisti, alla borghesia ed allo Stato, fu del tutto negativa per la rinascita del Movimento anarchico in Sicilia e l’ostacolò finoltre il 2 giugno 1946; giacché impegnò gli anarchici in una attività propagandistica generica, contradittoria, prettamente legalitaria ed affatto formativa per i giovani che a loro si avvicinavano.
D’altra parte, i numerosi anarchici fuorusciti che avevano vissuto la tragica esperienza delle giornate spagnole del maggio 1937, o quelli che nelle « isole » avevano avuto modo di non dimenticare le divergenze esistenti fra l’anarchismo e qualsiasi politica legalitaria o socialista-legalitaria, erano ancora lontani dai loro paesi di origine. Non fu quindi difficile che il bisogno di protezione di una associazione o di un partito numeroso, dopo anni di isolamento; la speranza di conseguire subito il più possibile; la certezza di contribuire alla liquidazione del fascismo e del mondo borghese, in conformità di propositi con i partiti « veramente » rivoluzionari, assumendo la « direzione » delle masse operaie, per inquadrarle e guidarle alla « meta »; talvolta la stessa pressione dei lavoratori, ineducati anarchicamente; e, sempre, la preparazione ideologica deficiente, perchè « istintivista » e non conseguente dalla storia e dai problemi propri dell’anarchismo; determinassero non poche evasioni di vecchi anarchici siciliani a Palermo, Bagheria, Agrigento, Burgio, Lucca Sicula, Sciacca, Ribera, Vittoria, Vizzini, Grammichele, Paterno, Catania, Castellammare del Golfo, Marsala, Messina e dove, dopo 1’8 settembre, mancavano i meglio preparati. [1]

Nonostante tale emigrazione, che costituì quasi ovunque i « quadri » direttivi del Partito comunista, il lievito anarchico che nel primo dopoguerra e nei primi anni della dittatura aveva influito sul comportamento dei simpatizzanti socialisti, continuò a produrre i suoi effetti per vari anni ancora fra i comunisti e i socialisti di numerosi centri dell’isola: sia favorito dall’atteggiamento di color che avevano finito per farsi organizzare, non avendo saputo o voluto associarsi fra loro, [2] sia dalla stampa libertaria dagli stessi ricevuta e diffusa, fin dalla metà del 1944. [3] Tanto più che non erano pochi quei giovani che richiedevano la tessera comunista o socialista, nella certezza di trovare in quei partiti una base teorico-pratica effettivamente rivoluzionaria, socialista ed antiautoritaria. E saranno proprio queste giovani energie, che, negli anni seguenti, per auto-maturazione politica e sociale e per propulsione dall’esterno, cioè da parte degli exfuorusciti ed exconfinati anarchici, daranno luogo ad una fioritura di gruppi anarchici siciliani, diversi e più efficienti di quelli nominali del periodo prefascista, nella misura in cui respingeranno le viete formule « istintiviste » e deporranno dall’Olimpo le « personalità » essenzialmente autoritarie ed i sacerdoti dell’ Esperienza.

Erano pochi coloro che, dopo 1’ 8 settembre, avrebbero potuto evitare in parte le defezioni di militanti anarchici, contribuendo ad una immediata rinascita del Movimento stesso. Primo fra tutti Paolo Schicchi, che rappresentava il centro, a cui facevano riferimento gli anarchici ed i simpatizzanti della Sicilia, ed intorno a cui, fin dal settembre del 1943, si raccoglievano numerosi giovani e vecchi amici, ammaliati dalla personalità dell’ Anarchico, o richiamati dalle aderenze su cui questi poteva contare a Palermo. Ma l’influenza esercitata da Paolo Schicchi fu ancora una volta dispersiva e contradittoria.
All’indomani dell’armistizio, Paolo Schicchi —- tornato dal confino di polizia nel corso del 1942, per essere ricoverato nella « Clinica Noto » di Palermo — pur sventolando il suo anarchismo individualista, negante qualsiasi metodica organizzazione-funzionale di gruppo, propugnò, in pratica, la generica politica frontista antifascista e antimonarchica, avallando, a nome de « I Libertari », proclami e manifesti redatti dai partiti politici palermitani; e riproducendo, in un numero-unico tutt’altro che libertario, dato alle stampe il 25 settembre 1943, una presunta lettera di Carlo Sforza a Vittorio Emanuele III, del novembre 1942, seguita da un ingenuo quanto libellistico e retorico commento personale. [4]

È ovvio che la politica perseguita dallo Schicchi ingenerasse una maggiore confusione sia fra gli anarchici, sia, per riflesso, nei riguardi degli anarchici. Tanto è vero che Paolo Schicchi, nel settembre 1944, sentiva il bisogno di pubblicare la seguente precisazione:

« Persone degne di fede mi chiedono se è vero che io ho consigliato ai miei compagni d’idee, e ad altri ancora, di farsi tesserare da questo o quel partito. Ebbene, per quel poco che io valgo, tengo a far sapere che, nonostante l’età (settantanove anni) e i patimenti (quarantanni tra galere, confino ed esilio), non sono ancora rimbecillito e rincarognito al punto di trasformarmi in un arrembato galoppino tesseraiuolo e in un vecchio pagliaccio da fiera nello stesso tempo, a onore e gloria di un partito qualunque… Una cosa è vera però ed è questa: che da parecchio tempo ho sostenuto e sostengo la necessità assoluta di formare, occorrendo, un unico esempio di tutte le sane forze rivoluzionarie per opporlo a qualsiasi ripresa della reazione da qualsiasi parte e con qualsiasi bandiera essa venga » [5]

In funzione di questi propositi, dal settembre 1944 al novembre 1945, pubblicava quattro volumetti di « Conversazioni sociali », in cui agitava motivi essenzialmente antifascisti e antimonarchici. [6]
Questa attività nient’affatto formativa anarchicamente, autorizzò la partecipazione degli anarchici siciliani ai fronti unici proletari e favorì, in un certo senso, l’adesione ai partiti socialista e comunista di parecchi compagni e simpatizzanti, rimasti comunque legati da vincoli affettivi al vecchio Paolo, di cui avevano seguito l’indirizzo dottrinale « individualista ». È per ciò che non scorgiamo sostanziali differenze fra l’atteggiamento sentimentalmente anarchico, ma dispersivo, incoerente e frontista di Paolo Schicchi, e il comportamento di un Giovanni Bufalo di Lucca Sicula, di un Nino Guarisco di Burgio, di un Accursio Miraglia di Sciacca, aderenti al Partito comunista, ma rimasti « sentimentalmente anarchici » e, nonostante la carica di sindaco ricoperta rispettivamente dai primi due, impegnati a svolgere come per l’avanti — cioè fuori da qualsiasi gruppo-funzionale di compagni di fede — la propaganda delle idee anarchiche antilegalitarie ed antielettorali, financo nei congressi provinciali del loro partito.
Se si escludono quegli anarchici che nel 1943 aderirono al Partito comunista o al socialista e che, nonostante ciò, continuavano ad espletare una confusa e vaga propaganda libertaria nei loro paesi; se ancora si escludono quei comunisti e socialisti che per amicizie contratte con anarchici ricevevano e diffondevano fra i loro stessi compagni e nelle Camere del Lavoro la stampa libertaria, specie nel corso del 1946; [7] bisogna affermare che per circa due anni il Movimento anarchico siciliano segnò il passo quasi ovunque.

Per quanto ci risulta, sulla base delle memorie di diversi anarchici intervistati e dello spoglio della pubblicistica libertaria del periodo in esame, fino al Congresso di Carrara del 15-20 settembre 1945, nelle provincie di Agrigento, Catania, Caltanisetta, Enna, Palermo, Ragusa, Siracusa, si assiste ad una attività individuale slegata, spesso incoerente, espletata da pochissimi militanti. Di essi ricordiamo: Calogero Aronica Pontillo di Naro e Gaetano Vinci di Calamonici, i quali solo alla metà del 1944 riuscivano a mettersi in relazione fra loro, con Palermo, con i gruppi anarchici del Nord-America e, successivamente, con Pio Turroni di Cesena, da cui ricevevano giornali e opuscoli vari;[8] Giuseppe Fiorito ed altri pochi di Catania, la cui unica attività consisteva nella diffusione di giornali libertari nell’ambito del « Circolo Umanità Nuova », costituito da elementi comunisti dissidenti, a cui i catanesi rimanevano legati anche dopo il rimpatrio di Paolo Caponetto, già combattente nelle formazioni anarchiche in Spagna, ma ormai stanco e desideroso di borghese tranquillità;[9] i fratelli Diana di Caltanissetta, attivi ed entusiasti, ma travagliati dalla quotidiana ricerca di un lavoro faticoso e mal pagato;[10] Celestino Carta di Enna, rimpatriato solo nella seconda metà del 1945; [11] Paolo Schicchi e altri di Palermo, intorno ai quali si raccoglievano molti simpatizzanti operai e studenti di Bagheria e di Palermo, dove ogni associazionismo anarchico veniva ostacolato dallo Schicchi, il che determinava l’indebolimento delle possibilità potenziali del Movimento. [12]

Alquanto diversa e varia la situazione a Mazara, a Trapani, a Castelvetrano e a Messina. A Mazara ed a Trapani, dove alla fine del 1943 erano rientrati dal confino di polizia rispettivamente Nino Catalano e Filippo Gramignano,[13] un gruppo di giovani studenti formatisi attraverso lo studio della pubblicistica anarchica posseduta dalle locali biblioteche, iniziavano in modo coordinato e continuo e relativamente fuori dalle alleanze permanenti con i partiti dell’antifascismo, una serie ininterrotta di conversazioni con relativa diffusione della stampa libertaria, che specialmente a Trapani — dove Filippo Gramignano e Gaspare Cannone [14] tennero delle pubbliche conferenze nel corso degli anni 1944 e 1945 — determinava presto la costituzione di un numeroso ed attivo gruppo anarchico.[15]

A Castelvetrano, invece, pochi giorni dopo l’armistizio, gli anarchici Rosario Diecidue, Nicolò D’Angelo, Calogero Mazaracchia e Ciccio Sammartano costituivano un « Fronte unico proletario », insieme con i comunisti, i socialisti ed i repubblicani locali, e pubblicavano un lungo volantino in cui, ai motivi genericamente antifascisti, seguiva un’affermazione di principio internazionalista.
« Le gloriose armate delle Nazioni Unite cacceranno dal suolo Italico e dall’Europa invasa la soldataglia tedesca, briaca di sangue e di sterminio, e le non meno gloriose armate bolsceviche schiacceranno inesorabilmente l’eterna insaziabile idra teutonica — scrivevano i compilatori del manifesto —. In noi vive il sentimento di nazionalità. Ma il nostro concetto di Patria non si limita alla sola nostra patria, si estende, invece, ed abbraccia tutte le altre patrie, tutta la grande famiglia umana. Questo concetto è fatto completamente d’un pensiero d’amore e di fratellanza umana…» [16] Retorica garibaldina all’Amilcare Cipriani, di cui, del resto, il vecchio Ciccio Sammartano era stato amico e seguace.

La vita del « Fronte unico proletario », consistente nella diffusione di qualche altro manifesto antifascista e nelle numerose conversazioni e conferenze tenute nei locali sociali dai gruppi politici aderenti, cessò totalmente ai primi del 1945, a causa di motivati dissidi interni e della definitiva ricostituzione dei partiti politici. Solo allora gli anarchici di Castelvetrano costituirono il « Gruppo Comunista Libertario Pietro Gori » . « Lo nominammo comunista libertario — scrive Rosario Diecidue — perchè parecchi giovani che ci seguirono avevano paura della parola anarchia

Ma in seguito ci chiamammo col nostro vero nome ». Nonostante l’inutile espediente adottato, il gruppo, formato inizialmente da venti elementi, venne ben presto abbandonato da molti di essi, « allettati dagli istrioni dei partiti socialista e comunista col miraggio di immediate realizzazioni » [17] E giacché la costituzione del « Gruppo Comunista Libertario » era stata determinata proprio dallo sfasciarsi del « Fronte unico proletario », e non mai dall’esigenza di perseguire una politica soltanto anarchica — comprendente del resto gli stessi motivi antifascisti ed antimonarchici — di educazione all’interno e di lotta contro ogni compromesso alimentato dai partiti legalitari, la diserzione di taluni giovani aderenti non serviva che a spingere ancora gli anarchici ad auspicare « contro il governo, e contro i partiti, gli individui e le istituzioni che vogliono perpetrare, sotto altro nome le vergogne e le barbarie del fascismo e impedire la rinascita del popolo; la concentrazione di tutte le forze sinceramente e disinteressatamente rivoluzionarie, in una lotta tenace e diuturna, fino all’estirpazione completa del fascismo, della monarchia e del capitalismo ». [18] Questa posizione di rinuncia di taluni principi basilari dell’anarchismo, affermata in un manifesto diffuso dal gruppo di Castelvetrano, in occasione del 1° Maggio 1945, era parzialmente conforme all’atteggiamento assunto dal settimanale anarchico Umanità Nova, nel medesimo periodo.[19]

Più che a Castelvetrano, quindi, dove la preoccupazione frontista inficiava ogni iniziativa effettivamente anarchica, è a Mazara ed a Trapani che si avverte il bisogno di coordinare gli sforzi di tutti i militanti della provincia e di estendere i contatti a quelli del resto dell’isola, onde impegnarsi uniti per la rinascita del Movimento. Questo il motivo precipuo del Convegno dei gruppi « Comunisti libertari » di Mazara, Trapani e Castellammare del Golfo, tenuto a Mazara il giorno 22 luglio 1945, a conclusione del quale i gruppi votavano il seguente ordine del giorno: «Considerata la necessità dei coordinamenti dei gruppi comunisti libertari in Sicilia, stabiliscono d’indire un convegno biprovinciale Trapani-Agrigento, da tenersi a Castelvetrano come luogo più adatto alla bisogna, per il giorno 19 agosto c.a., onde allargare i contatti con i comunisti libertari e con le altre provincie, per la istituzione della federazione comunista libertaria della Sicilia ». [20]
Ma, se l’ammissione al Convegno dei membri del pseudo-gruppo di Castellammare del Golfo era giustificata dalla speranza che questi volessero presto dimettersi dal Partito comunista a cui erano tuttavia iscritti, [21] l’auspicato convegno biprovinciale al quale si invitavano « tutte le altre rappresentanze di altre provincie », non poteva aver luogo per l’inesistenza di altri gruppi, che solo più tardi sarebbero sorti.
Parimenti iscritti al Partito comunista o al socialista erano i membri del « Gruppo Libertario Michele Bakunin » di Messina, [22] all’atto della sua costituzione, cioè nel luglio 1945; mentre era limitato a Vincenzo Mazzone ed a due vecchi comunisti il « Gruppo Anarchico Pietro Gori ».

Prima del marzo 1945, non c’era stata a Messina alcuna effettiva propaganda anarchica [23]. Rimpatriato dalla Tunisia, il Mazzone iniziava la diffusione della stampa libertaria fra alcuni giovani, che riusciva a convocare a qualche mese di distanza nella sede dell’Associazione Perseguitati politici antifascisti, da poco costituita. [24] Dato che gli intervenuti erano tutti aderenti al Partito comunista ed al socialista, le riunioni avevano carattere di clandestinità; ma la continuità di esse, durante le quali si procedeva alla lettura ed alla discussione della pubblicistica anarchica, era determinante per alcuni dei partecipanti, i quali decidevano di dimettersi dai rispettivi partiti, non prima di aver convinto altri amici a fare altrettanto. Sulla base di questo impegno, nel luglio 1945, si costituivano il gruppo giovanile libertario « M. Bakunin » cd il gruppo anarchico « P. Gori»; i quali, in data 26 luglio, senza avere effettivamente compreso il reale significato delle cose lette e commentate, in previsione del Congresso anarchico di Carrara, decidevano di adottare la deliberazione dei gruppi di Ancona, Falconara e Fano, [25] che condannava ogni tentativo tendente al revisionismo e riconfermava le deliberazioni approvate dal Convegno anarchico di Bologna del 1920, di Napoli del settembre 1944 e di Canosa del gennaio 1945; e stabilivano di partecipare al Congresso di Carrara, delegando quali propri rappresentanti i compagni Gino Cerrito e Vincenzo Mazzone.

Dal 10 agosto 1945, con preordinata successione, si dimettevano dai rispettivi partiti i giovani Gino Cerrito, Giuseppe Gullì, Teresa Di Giovanni, Michele La Spada, Tullio Procacciante, Filippo Romanengo e Filippo Valenti.[26] Alla fine di agosto, pertanto, il gruppo giovanile poteva dirsi veramente formato, ed infatti iniziava la propaganda anarchica con la diffusione di giornali e di varie centinaia di volantini dattiloscritti.[27] Di contro il gruppo anarchico « P. Gori », dato che i suoi pseudo-aderenti avevano rifiutato di disertare le file comuniste, rimaneva formato dal solo

Mazzone, che praticamente partecipava toto corde alla vita del gruppo giovanile.

Continua nella Terza Parte

NOTE
[1] Degli anarchici che aderirono ai partiti comunista o socialista si ricordano: Giovanni Bufalo di Lucca Sicula, Nino Guarisco di Burgio, Mascarella di Ribera (oggi candidato comunista al Parlamento regionale siciliano), Accursio Miraglia di Sciacca (ucciso da una scarica di « mitra » il 4 gennaio 1947. Cfr. A. FAILLA , I compagni d’Italia ai compagni d’America, e N. NAPOLITANO , Una nuova vittima, in Adunata dei Refrattari, rispettivamente dell’8 febbraio e 22 febbraio 1947, a. XXV, n. 6 e 8), Giuseppe Giorlando di Grammichele (oggi candidato del M.S.U.P. al Parlamento regionale Siciliano), Giorgio Nobilita di Vittoria, Galante Gaspare di Alcamo, Domenico Belletti e Gaetano Caglio di Agrigento, Ignazio Buttitta di Bagberia, Sebastiano La Valle di Messina.
[2] Cfr. A. FAILLA , Lettera dalla Sicilia, in Bollettino Interno della F.A.I., Bologna, giugno 1948 (a. III, n. 6).
[3] Specialmente L’Adunata dei Refrattari.
[4] Cfr. P. SCHICCHI , Chiachieppe il vittorioso, in Conversazioni Sociali (terza serie), Palermo, maggio 1945, pp. 74-83. In tale articolo lo Schicchi riproduce per intero il numero unico citato.
[5] P. SCHICCHI , Dichiarazione, in Conversazioni Sociali (prima serie), Palermo, settembre 1944, p. 46.
[6] La seconda serie usci nel febbraio e la quarta nel novembre 1945, sempre a Palermo.
[7] Oltre i giornali e le riviste Umanità Nova, Il Libertario, L’Adunata dei Refrattari, Volontà, La Rivolta, L’Amico del Popolo, L’Era Nuova ecc., si diffondevano gli opuscoli: E. MALATESTA , Al caffè e Fra contadini; F. S. MERLINO , Perchè siamo anarchici; M. F. CANOSO , Chiesa e impostura; A. CIPRIANI, Bresci e Savoia; P. GORI , Socialisti libertari e socialisti autoritari e La nostra utopia, ecc.
[8] Cfr. SOLITO VILLA , art. cit. e la collezione di Umanità Nova, 1945. Pio Turroni di Cesena era venuto una prima volta in Sicilia nell’agosto 1944, portando diverso materiale di propaganda. Ma non conoscendo alcun indirizzo oltre quello dello Schicchi s’era dovuto fermare a Palermo ; nel marzo 1945 si recava a Palermo e Trapani con giornali ed opuscoli; in seguito, ricevendo numerosi indirizzi di siciliani dall’Adunata dei Refrattari, entrava con loro in relazione.
[9] Nel settembre 1945 Paolo Caponetto teneva qualche conversazione a Messina e diverse nel circolo « Umanità Nuova » di Catania; ma erano gli ultimi sforzi, poi la stanchezza lo vinceva.
[10] I fratelli Diana di Favara, emigrati in un fondo del comune di Caltanissetta, erano stati educati all’anarchismo dal padre, che aveva lavorato con alcuni anarchici negli Stati Uniti dal 1910 al 1920. Un giorno che la malattia di mio padre si aggravò — mi scrive Gerlando Diana da Caltanissetta, in data 8 aprile 1955 —, egli ci chiamò intorno a lui e ci disse: «miei cari figli, il mondo va male, io sono stato un onesto che ho sempre lavorato e [sono stato] sempre sfruttato, chè il padrone si fa e continua ancora a farsi bagni di sangue umano. Io non vi lascio nulla perchè sono stato sempre rubato, appunto [per ciò]… lascio a voi la miseria. Però vi lascio gli occhi aperti: date uno sguardo attorno e vedrete che l’uomo che ha il figliuolo ammalato che non può curare per mancanza di mezzi, mentre c’è un altro uomo che spende lire 350 per mantenere il suo cane… ».
[11] Celestino Carta, originario di Siracusa, fu rimpatriato dalla Tunisia alla fine del 1945, e si stabilì ad Enna giacche ivi ottenne la reintegrazione nell’impiego lasciato nel 1930 a Tripoli, dov’era residente. Ad Enna non trovò alcun anarchico e, da solo, cominciò a diffondere giornali ed opuscoli libertari.
[12] La Federazione Anarchica Palermitana venne costituita nel gennaio 1947, « udito anche il parere di Paolo Schicchi ». Cfr. L’Era Nuova di Palermo, gennaio 1947 (a. II, n. 1), p. 24.
[13] Le molte persecuzioni subite durante gli anni di carcere e di confino avevano indebolito nel fisico e nella mente Filippo Gramignano, che nel 1943 era stato internato nell’Ospedale Psichiatrico di Palermo, da dove era stato dimesso subito dopo 1’8 settembre 1943.
[14] Gaspare Cannone di Alcamo era stato deportato dagli S.U.A. prima del 1922, per l’attività anarchica ivi espletata.
[15] Specialmente la Biblioteca Fardelliana di Trapani è ricca di giornali e materiale propagandistico vario del Movimento anarchico dei decenni precedenti l’avvento al potere del fascismo.
[16] Dal manifesto del 16 settembre 1943, firmato dal « Fronte Unico Proletario » di Castelvetrano, inviatomi da Rosario Diecidue.
[17] Da una lettera datata « Castelvetrano, 10-4-1955 », scrittami da Rosario Diecidue.
[18] Dal manifesto firmato « Il Gruppo Comunista Libertario – Castelvetrano », inviatomi da R. Diecidue.
[19] Cfr. Riscossa, in Umanità Nova, 11 marzo 1945 (a. XXV, n. 10). L’articolo è riprodotto nella 2a, 3a e 4a pagina del manifesto cit.
[20] Cfr. il comunicato da Trapani, in Umanità Nova, 4 agosto 1945 (a. XXV, n. 31).
[21] Galante Gaspare, che era il delegato di quel gruppo, era iscritto al P.S.I.
[22] La denominazione « Libertario » venne proposta dal Mazzone, data la scarsa maturità dei componenti il gruppo.
[23] Una prova comunque del persistere del lievito anarchico anche a Messina, dopo 1’ 8 settembre 1943, c’ è fornita dagli stessi comunisti locali, i quali educavano i giovani che si erano avvicinati al Partito mediante la lettura ed il commento degli scritti di M. Bakunin, posseduti dal Doti. Piero Mondello, e di P. Gori, posseduti da S. La Valle. Questo stato di cose veniva a cessare nel corso del 1944.
[24] Nel maggio dello stesso anno, V. Mazzone compiva un giro nelle provincie di Catania e Siracusa, dove conosceva diversi simpatizzanti ai quali inviava e faceva inviare della stampa anarchica.
[25] La deliberazione dei gruppi di Ancona, Falconara e Fano, in Umanità Nova, 11 agosto 1945 (a. XXV, n. 32). Simile quella adottata dai messinesi, e da me in copia posseduta.
[26] La prima lettera di dimissione dal P.C.I., scritta da Gino Cerrito, in Umanità Nova, 18 agosto 1945 (a. XXV, n. 33); quella di Giuseppe Gullì, in Umanità Nova, 8 settembre 1945 (a. XXV, n. 35).
[27] Tali volantini contenevano frasi tratte dai giornali anarchici del tempo, ed erano firmati dal « Gruppo Libertario Michele Bakunin ».

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