Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Quattordicesima Parte

Tredicesima Parte

I cruciali commissari politici
Il governo Negrín ha in serbo un’altra importante novità e la vara nell’ottobre 1938: la riforma del ruolo di commissario politico nelle formazioni combattenti. Nelle milizie dell’estate 1936 esiste già un incaricato preposto a sorvegliare l’affidabilità dei tecnici militari, non certo quella dei combattenti volontari e motivati. Con il passar del tempo, la stabilizzazione delle istituzioni e la nascita dell’Ejército Popular, con leve obbligatorie di massa, il loro compito si trasforma: diventano di fatto un organo di propaganda (spesso filocomunista) e di controllo delle idee politiche e delle manifestazioni di insofferenza e dissenso dei soldati. Il modello, anche in questo aspetto, è la figura del commissario politico propria dell’esercito sovietico. Tuttavia in Spagna (e la cosa succede per numerose disposizioni governative), la definizione esatta delle sue funzioni non è mai raggiunta. Il decreto dichiara che lo scopo è quello di «rafforzare e incrementare la capacità di lotta dei combattenti, instillare nei soldati e nei comandanti lo spirito di un’elevata disciplina militare e dar vita a un clima di abnegazione, sacrificio e amore per la lotta» [12]. In pratica un ruolo di supervisione sul funzionamento della gerarchia e di collaborazione con il comando militare. Infatti il commissario politico, in quanto «rappresentante del governo», è addetto alla propaganda e a tener alta la volontà di combattere. Inoltre si istituisce, a livello ministeriale, un organo di direzione gerarchica, un commissariato politico direttamente nominato dal ministro della Guerra. Poiché il potere del PCE in queste strutture va ampliandosi di continuo, non è errato considerare i commissari come degli agenti più del PCE che dello stesso governo.
Nell’estate del 1938 inizia l’ultima grande offensiva repubblicana, quella sul fiume Ebro, con l’obiettivo di conquistare un corridoio di collegamento con la Catalogna. I repubblicani mobilitano centinaia di migliaia di soldati e riescono, ma solo per qualche tempo, a occupare territori oltre il fiume. Lo sforzo eccezionale del fronte termina, verso la fine del 1938, con l’accettazione della sconfitta, cioè con il ritiro a sud del fiume e le conseguenti grosse perdite in uomini e materiali. Infine, il cedimento democratico a Hitler, siglato a Monaco nel settembre 1938, mostra che né Francia né Gran Bretagna intendono opporsi con la forza all’espansione del nazifascismo. Le residue speranze di aiuti da parte delle democrazie europee svaniscono del tutto.

Il partito «necessario»
Nel frattempo, dentro l’anarcosindacalismo si sviluppa un dibattito sulle prospettive politiche e organizzative che rimanda a questioni teoriche di non poco conto. In molti articoli, ospitati dalla rivista «Timón» diretta da Diego Abad de Santillán, Horacio Prieto, dirigente della CNT del nord trasferita in Catalogna dopo la caduta delle Asturie, presenta una serie di considerazioni critiche verso la CNT e la FAI . Il «comunismo libertario» previsto dal congresso di Saragozza andrebbe valutato come un’aspirazione lontana e in sostanza l’anarchismo costituirebbe solo «una morale e una filosofia». Sarebbe perciò necessario pensare a una lunga «fase di transizione» durante la quale attrezzarsi, con il metodo «dell’opportunismo e della flessibilità», per gestire senza titubanze fette di potere statale legislativo. In più, sarebbe conveniente presentarsi alle elezioni sotto le vesti di un Partito socialista libertario. «L’apoliticismo libertario è morto» sentenzia Prieto, che si definisce totalmente «possibilista» e giunge ad accusare la FAI di «gesuitismo»[13].
Trasformarsi in partito, secondo Prieto, sarebbe la naturale evoluzione della FAI , anzi, se non lo facesse, il movimento specifico non avrebbe ragione di esistere, sarebbe «un fantasma, un grido di guerra, un distintivo dell’infantilismo rivoluzionario» [14]. Un Plenum delle federazioni regionali del Movimiento Libertario, che si svolge nell’ottobre 1938 a Barcellona, discute questa proposta ma si ferma sulla strada della metamorfosi completa. Si accetta fino in fondo l’inevitabile impegno politico derivante dalla situazione eccezionale, dovuta a una crisi bellica sempre più irrisolvibile, ma alla fine si respinge la prospettiva di una futura collaborazione stabile con i partiti e lo Stato. Dopo un paio di mesi la tendenza di Prieto si diffonde nelle fila confederali tramite apposite pubblicazioni, ma il 26 gennaio 1939 i franchisti giungono a Barcellona e nella lunga colonna di quasi 500.000 persone che si dirige dalla metropoli catalana al confine francese non vi è un clima adatto per le dispute teoriche.

Resistere senza speranza

In rosa l’area controllata dalle truppe franchiste. In blu quella controllata dai repubblicani

Ai primi di febbraio del 1939 la Spagna lealista controlla ancora circa il 30% del territorio conteso e, sulla carta, dispone di un esercito di 3-400.000 soldati. Naturalmente la caduta della Catalogna provoca un terremoto politico e sociale nei vertici istituzionali. Da un lato Negrín e il PCE dichiarano, con grande enfasi propagandistica, di voler resistere fino all’ultimo uomo in quanto considerano prossimo un conflitto mondiale in cui la Spagna legittima, cioè repubblicana, potrebbe partecipare a fianco degli Alleati. Con questo intento, il governo effettua il richiamo di molti giovani e giovanissimi, fino ai 17 anni, che sono popolarmente chiamati «la quinta del biberón». La mobilitazione massiccia dei soldati rende ancora più drammatica la scarsità di armi e munizioni. Sull’altro versante si forma un fronte, non ben definito, di chi non ritiene logico, né possibile, sostenere ulteriormente i sacrifici bellici e pensa sia il caso di cercare una via d’uscita, patteggiando con Franco una soluzione onorevole e ottenendo condizioni umanitarie per le truppe repubblicane sconfitte. La FAI matura una posizione di duro attacco al governo Negrín, considerato responsabile del fallimento complessivo e dell’inganno perpetrato ai danni dell’opinione pubblica: i contatti con l’estero, lungi dall’essere promettenti come dichiarato nel giugno 1937, non offrono la minima speranza, gli approvvigionamenti sono scarsi e incerti e il fronte arretra pericolosamente. In più, Negrín decide di dichiarare lo «stato di guerra», cioè di affidare tutto il potere ai militari, un provvedimento che era sempre stato rinviato in quanto le forze sindacali e politiche non volevano, sin dal luglio 1936, sottostare ai comandi militari di cui si fidavano poco.

Nei primi mesi del 1939 la FAI sembra distinguersi dalla linea filo-governativa della CNT , legata sempre di più alla UGT . L’organizzazione anarchica specifica intanto ha aumentato la presenza di propri esponenti ai vertici militari delle divisioni superstiti e ne ha incrementato i collegamenti. Si è inoltre impegnata nella difesa dei propri militanti dallo stillicidio di aggressioni ed eliminazioni condotte da elementi del PCE attraverso le Checas, tanto che si valuta la possibilità di dotarsi di Controchecas che agiscano sullo stesso piano, e pare che il progetto si sia concretizzato [15].

A metà febbraio 1939, il responsabile della Difesa della FAI invia un messaggio interno nel quale ribadisce la «ferma intenzione di vincere o morire» espressa dai comandanti militari vicini o interni alla federazione. Tuttavia, nelle stesse giornate viene spedito a Segundo Blanco, l’unico ministro della CNT in carica nell’ultimo governo Negrín, un messaggio riservato, firmato sia dalla FAI che dalla CNT , nel quale si afferma a chiare lettere l’urgenza di «salvare la nostra militanza» prevedendo l’arrivo di «navi straniere per imbarcare i militanti antifascisti» [16]. La Montseny, García Oliver e Vázquez, vale a dire i principali dirigenti della FAI e della CNT , nonché membri del Comité Ejecutivo e della Comisión de Asesoría Política, hanno dei contatti con Azaña per esplorare la possibilità di trattare con Franco, che ormai può contare, di lì a poco, sul riconoscimento diplomatico di Francia e Gran Bretagna.

Una tardiva alleanza anticomunista
In questo contesto esplode un violento conflitto tra Negrín, sostenuto dai comunisti, e un insieme di forze che si riconoscono nel colonnello Sigismundo Casado, leader apartitico ma anticomunista. Il governo Negrín sta procedendo alla nomina, quali comandanti militari di ciò che resta dell’esercito, di personaggi notoriamente comunisti come il neogenerale Juan Modesto.

Con la motivazione di cercare un’auspicata intesa, il governo invita Casado a recarsi a Yuste, in una fortezza difesa da formazioni comuniste di provata fede. Casado ritiene, non a torto, di trovarsi di fronte a una trappola e, dopo essersi assicurato l’appoggio delle efficienti forze armate confederali agli ordini di Cipriano Mera, convoca il 3 marzo a Madrid vari esponenti militari e politici. In quella riunione si vara un nuovo governo, denominato Consejo Nacional de Defensa, e si dichiara decaduto Negrín. Un proclama emesso attraverso Radio España informa che il potere risiede ora nel Consejo al cui vertice si trova il generale José Miaja, già responsabile militare della difesa della capitale, con Casado alla Difesa e Julián Besteiro agli Affari Esteri. Quest’ultimo è un docente universitario, esponente dell’ala del PSOE più diffidente verso il PCE , poco avvezzo alle manovre politiche, ma anche lui ritiene che sia venuto il momento di cercare una soluzione che comporti il minimo sacrificio possibile per giungere a una pace con Franco. Da parte sua Negrín mobilita immediatamente le truppe ancora fedeli per respingere il «golpe Casado».
Nelle strade di Madrid avvengono, per poco più di una settimana, accesi scontri armati tra divisioni filocomuniste, che hanno abbandonato la linea del fronte, e altre di varia composizione, tra le quali si distinguono quelle confederali di Cipriano Mera. Le forze ribelli al Consejo cedono dopo qualche giorno e circa 30.000 loro appartenenti vengono fatti prigionieri, ma in base agli accordi con i vincitori sono subito rimandati al fronte. Vengono condannati a morte e uccisi solo alcuni ufficiali filocomunisti, come Luis Barceló, che avevano fucilato militari schierati a favore di Casado. Nella lotta tra antifascisti, una sorta di riproposizione del maggio barcellonese ma di segno e risultato opposto, si contano circa 2.000 morti, e gli eventi di questi giorni segnano la crisi dell’egemonia comunista e moscovita sulla Repubblica. Tuttavia, il fronte interno anticomunista è in definitiva molto composito e l’elemento comune più rilevante è il tentativo di mitigare le conseguenze della imminente disfatta.

L’inevitabile tragedia

Le ripetute proposte di pace a Franco, che Casado si illude di convincere presentandosi come un anticomunista e un militare di professione, si basano su una sorta di riedizione dell’«Abrazo de Vergara», dal nome del villaggio basco dove nel 1839 si firmò l’accordo tra un generale liberale e uno carlista che poneva fine alla guerra civile che durava da sette anni. Ma l’intesa tra comandanti militari, in un certo senso corporativa e antipolitica, questa volta non può essere raggiunta per evidenti ragioni di disparità di forze in campo e non solo.
Alla fine di marzo, il Consejo Nacional de Defensa decide di mettere in atto l’evacuazione della capitale. L’obiettivo è di concentrare soldati e civili nei porti mediterranei in attesa dell’arrivo delle navi inglesi e francesi per l’espatrio di migliaia di repubblicani. Per vari motivi, tra cui la presenza minacciosa della flotta franchista, le compagnie di navigazione che avevano fin lì garantito l’imbarco ad Alicante, ultimo porto rimasto sotto il controllo repubblicano, non fanno arrivare le imbarcazioni promesse. La massa di repubblicani, valutata attorno alle 15.000 unità [17], che affolla le banchine del porto da una settimana nell’attesa di una soluzione più volte riconfermata, vede infine avvicinarsi due navi, ma resta esterrefatta: sono due navi militari franchiste. Tra i futuri prigionieri dei fascisti e dei franchisti vi sono coloro i quali non vogliono accettare le sicure umiliazioni e le torture psicologiche e fisiche che, ne sono sicuri, li aspettano per molti anni. Non si sa esattamente quanti siano stati i suicidi tra le banchine, ma di sicuro alcuni militanti preferiscono questa estrema forma di protesta a un futuro di galera o al probabile plotone di esecuzione. Máximo Franco, comandante di Divisione, Evaristo Viñuales, già membro del Consejo de Aragón, sono tra quelli che si suicidano subito. Un militante di vecchia data come Mauro Bajatierra, invece, pochi giorni prima si è rifiutato di abbandonare Madrid e ha deciso di morire combattendo: spara dalla propria casa contro le truppe franchiste che invadono la capitale.

Buona parte dei militanti catalani sono già in esilio in Francia da fine gennaio, sistemati in campi di concentramento improvvisati e umilianti. Altri sono riusciti a fuggire con mezzi di fortuna in Algeria o restano nascosti per anni in rifugi più o meno sicuri. È evidente che il movimento anarchico spagnolo, e di conseguenza quello mondiale, non sarà più lo stesso dopo questo drammatico triennio di storia sconvolgente.
Il generale Franco dichiara terminata la guerra il 1° aprile 1939. Subito dopo il papa Pio XII spedisce al Caudillo un telegramma di felicitazioni per la «vittoria della Spagna cattolica» [18].

Fine del VI Capitolo

Note al capitolo
[12] J. Peirats, La CNT …, cit., vol. 4, p. 353.
[13] C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles…, cit., p. 238 e seguenti.
[14] Ivi, p. 239, nota.
[15] J. Peirats, La CNT …, cit., vol. 4, p. 263.
[16] Ivi, p. 278.
[17] Resta valido il classico L. Romero, El final de la guerra, Ariel, Barcelona, 1976. Tra i lavori sintetici, utili per un’introduzione al labirinto della guerra civile, vi è il libro, più volte rieditato, di P. Preston, La guerra civile spagnola, Mondadori, Milano, 2006.
[18] Dal quotidiano « ABC », 2 aprile 1939, riportato dal testo divulgativo di A. Beevor, La guerra civile spagnola, Rizzoli, Milano, 2006, p. 452.

Pubblicato in Estratti di Libri | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Quattordicesima Parte

Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Tredicesima Parte

Dodicesima Parte

Una quasi unità sindacale
Il 18 marzo 1938 si concretizza un importante Pacto de acción tra CNT e UGT . Già in precedenza vi erano state lunghe ed estenuanti trattative in quanto la UGT era diretta da elementi filocomunisti che temevano ogni accordo con gli anarchici della CNT . La spinta decisiva, anzi obbligata, ad accelerare la quasi unificazione viene dalla grave situazione militare. Nell’estate del 1937 infatti la Repubblica perde lo strategico fronte nord con la conquista franchista dei Paesi Baschi, di Santander e delle Asturie. Anche le offensive repubblicane di Belchite e Brunete falliscono dopo qualche iniziale avanzata. Nel mese di agosto l’iniziativa delle formazioni comuniste in Aragona, che vogliono mostrare agli anarchici come si conduce una guerra, viene bloccata e battuta dall’esercito golpista. En passant, le truppe di Lister e di Vidali, come già ricordato, distruggono le collettività libertarie e il Consejo de Aragón. Verso la fine del 1937 i repubblicani scatenano un attacco su Teruel, nell’Aragona meridionale, conquistando la città, per poi perderla nel febbraio 1938 con decine di migliaia di combattenti morti. Allo scadere del 1937 l’esercito franchista sta ormai invadendo l’Aragona e la provincia catalana più vicina, quella di Lleida. Nella primavera del 1938, con l’arrivo dei franchisti sulla costa mediterranea e la conseguente separazione tra la Catalogna e il resto della Spagna repubblicana, la supremazia in armi e uomini dei golpisti appare ormai netta. I dirigenti politici e sindacali repubblicani cercano di correre ai ripari anche con il superamento, sia pure tardivo e parziale, delle laceranti divisioni esplose nel maggio 1937.

Nelle trattative che seguono la CNT ottiene sulla carta la legalizzazione delle collettività, mentre cede sulla richiesta di una significativa partecipazione sindacale nei ministeri. Il governo demanda la decisione sull’ingresso sindacale ai vertici politici ai partiti del Frente Popular. In effetti sembra che la mossa unitaria faciliti il rientro al governo di un esponente della CNT , scelto da Negrín in una terna proposta dal sindacato libertario. Segundo Blanco riceve così in gestione un ministero in quel contesto abbastanza secondario come Istruzione e Sanità. È rivelatrice la valutazione apertamente ottimista del sostenitore principale di tale patto, Horacio Prieto, che lo considera un «trionfo senza precedenti dell’anarchismo spagnolo» e «la sua sconfitta definitiva come ideologia economicista e apolitica». E aggiunge:
Si è riconosciuto ufficialmente lo Stato nazionale; la dottrina è stata sacrificata alle circostanze, a una realtà popolare che non distingue le sottigliezze teoriche, che è praticista e piccolo borghese nelle sue aspirazioni economiche. […] L’inefficienza economica delle collettività era notoria […] però erano tra le poche cose che funzionavano in Spagna. E i loro nemici ufficiali non hanno avuto altra soluzione che cercare di canalizzare il movimento collettivista: da qui è nato il patto CNT – UGT” [5]

Altri passi verso il centralismo
Un ulteriore mutamento dell’anarchismo, ormai irretito dalla logica istituzionale e bellica, si compie ai primi di aprile del 1938 in occasione di un’assemblea regionale di delegati della CNT , della FAI e della FIJL . Il discorso iniziale di García Oliver delinea un quadro a fosche tinte: ogni Comité libertario si comporta a modo proprio, la UGT aumenta gli iscritti, il governo e i partiti agiscono per eliminare progressivamente la forza tuttavia consistente della CNT.

Per far fronte a questa situazione di pericolo sarebbe necessario porre fine all’indisciplina che sopravvive malgrado la militarizzazione. La soluzione è indicata nella creazione di un Comité Ejecutivo delle tre organizzazioni fuse in un più ampio e coerente Movimiento Libertario, per il momento attivo solo in Catalogna. La funzione di tale Comité è quella di esercitare un’effettiva autorità sulla molteplicità di gruppi e strutture quasi indipendenti. In special modo si decide di affidargli il controllo della stampa, delle truppe confederali e dell’economia, oltre al potere di espellere individui ed entità collettive che non eseguano le sue direttive.

Per C.M. Lorenzo, questo nuovo passo verso l’autoritarismo organizzativo sarebbe stato approvato anche dalla «vestale dell’anarchismo» Federica Montseny e da altri «anarchici puritani» quali Germinal Esgleas e José Xena [6]. Questa trasformazione in atto in Catalogna viene però bloccata dal Comité Nacional della CNT in un evidente braccio di ferro tra gruppi di pressione e orientamenti diversi all’interno della stessa organizzazione. Alla fine il delegato del Comité Ejecutivo catalano non viene riconosciuto e gli organi centrali della CNT decidono di accettare quale unico rappresentante dell’organizzazione il Comité Regional nominato dai congressi e non da riunioni di soli delegati. Secondo Lorenzo, che non ha un’opinione positiva di leader come la Montseny o Esgleas, «i puritani catalani erano saltati da un estremo all’altro, dall’anarchia alla dittatura» [7].
Prosegue intanto il rafforzamento del legame CNT – UGT . Il 18 aprile 1938 viene sottoscritto un nuovo Pacto de unidad de acción a conferma della stretta collaborazione tra i due sindacati, che insieme «perseguiranno e denunceranno gli imboscati, i disertori e i loro complici» e aiuteranno «l’epurazione delle retrovie, denunciando gli elementi della Quinta Colonna, i disfattisti, gli accaparratori e gli speculatori» [8].
Poche settimane dopo il Comité de Enlace CNT – FAI , su suggerimento di una Comisión de Asesoría Política formata da Montseny, García Oliver e Vázquez, prende posizione sui «13 punti» di Negrín, cioè sul nuovo programma di governo, reso noto il 1° maggio 1938, che prevede un accordo con i generali golpisti, quindi con Franco, in nome dei superiori interessi nazionali. I temi centrali sono quelli dell’indipendenza spagnola e del rafforzamento dello Stato repubblicano, che sarebbe investito della necessaria autorità da un previsto voto popolare a suffragio universale. Si delinea poi la piena affermazione dei diritti civili e sociali, tra cui quello di proprietà, e un’autonomia regionale moderata. Il Comité Peninsular della FAI esprime delle riserve sul senso del programma di Negrín, visto come un’accelerazione del processo di restaurazione del regime precedente al 19 luglio 1936. Nondimeno accetta la «scelta forzosa, la necessità imposta da superiori esigenze» [9], anche se si rammarica della presa di posizione della CNT giudicata troppo remissiva.

In questi stessi mesi, al di là dell’intesa ufficiale fra la CNT anarchica e la UGT socialista, ma ormai con elevata influenza stalinista, i conflitti fra le truppe confederali e quelle comuniste si aggravano sul fronte di Lleida e poi dell’Ebro. Si fa sentire ancora l’onda lunga della perdita di Malaga del febbraio 1937, in seguito alla quale un tribunale dell’Ejército de Andalucia, controllato dai comunisti, aveva condannato a morte il militante della CNT Francisco Maroto. La sentenza poi non era stata eseguita per l’opposizione minacciosa delle truppe confederali.
Per resistere all’avanzata dell’esercito franchista, lenta ma inesorabile, il Comité Peninsular della FAI propone, nel maggio 1938, di ricorrere alle azioni di piccoli gruppi di guerriglia che agirebbero dietro le linee nemiche per fomentare disordini nella retroguardia. Non si tratta di sostituire l’Ejército Popular, ormai un dato accettato e indiscusso, ma di affiancarlo con queste piccole formazioni di guerriglieri. Nell’occasione si recuperano dal passato spagnolo esempi concreti da attualizzare: «Imitiamo i nostri leggendari eroi della guerra di Indipendenza» [10]. In realtà si valorizza così un episodio classico della storia nazionale, la guerriglia del 1808-1814 contro le truppe napoleoniche, che la retorica statale aveva ripetutamente celebrato come un movimento popolare patriottico. Lo Stato spagnolo ne aveva infatti esaltato i contenuti antirivoluzionari in quanto antifrancese, plaudendo al ruolo di attivi agitatori svolto da diversi frati e religiosi che avevano combattuto in prima persona contro l’ateismo francese. La proposta della guerriglia, che forse avrebbe avuto qualche possibilità concreta nell’estate del 1936, è rifiutata di fatto dagli alti comandi militari, orientati a evitare azioni armate troppo autonome, e infine abbandonata dallo stesso anarchismo spagnolo.

Nel corso del maggio 1938, mentre diventa palese il prossimo esito negativo della guerra, traspare un evidente dissenso tra le posizioni nettamente collaborazioniste della CNT e quelle più defilate della FAI . In pratica molti militanti specifici, cioè faístas, iniziano a chiedersi se abbia ancora senso seguire una linea che «all’obiettivo finale della vittoria ha sacrificato tutto il possibile (le vite dei militanti e i principi più sacri) fino a subire le più indicibili umiliazioni» [11].
Il patto CNT – UGT cerca di condizionare le scelte governative, ma vi riesce solo parzialmente e temporaneamente. Ad esempio, nell’agosto 1938 Negrín dà vita a un Consejo del Trabajo il cui compito è normalizzare la situazione del lavoro in tutti gli aspetti e in tutti i campi. Ciò significa che il governo Negrín invade il tipico terreno sindacale e lo fa in modo esplicito e dirigista. Tra i trentuno membri di tale Consejo vi sono infatti sette rappresentanti dello Stato, dodici della Patronal e dodici dei due sindacati: nemmeno nei Comités Paritarios della dittatura di Primo de Rivera o nei Comités Mixtos della Repubblica, contro i quali la CNT aveva condotto una battaglia frontale, vi era questa sproporzione di forze a favore dello Stato e del padronato.
Un altro punto di attrito fra governo e sindacati si ritrova nella nazionalizzazione delle industrie di guerra. Negrín fa approvare nell’agosto 1938 tre decreti che stabiliscono la confisca delle fabbriche belliche, la riforma del commissariato incaricato di sorvegliarle e la militarizzazione dei porti. In parte i provvedimenti ricalcano quanto stabilito dal patto CNT – UGT qualche mese prima, ma escludono gli esponenti sindacali dai corrispondenti organi direttivi. Se la UGT approva tali decreti, la CNT si limita ad astenersi da ogni critica. Chi invece si ribella a tale ulteriore centralizzazione, denunciando l’erosione delle conquiste autonomiste, è il rappresentante basco insieme a quello catalano: entrambi si dimettono dal governo in segno di protesta. In questo caso gli autonomisti democratici, più o meno borghesi, adottano un comportamento più radicale dei sindacati dei lavoratori.

Continua nella Quattordicesima Parte

Note al capitolo
[5] Ivi, p. 237, n. 13.
[6] Ivi, p. 237, n. 14.
[7] Ivi, p. 238.
[8] J. Peirats, La CNT …, cit., vol. 3, pp. 295-296.
[9] Ivi, p. 323.
[10] Ivi, p. 317.
[11] Ivi, p. 338.

Pubblicato in Estratti di Libri | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Tredicesima Parte

Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Dodicesima Parte

Undicesima Parte

VI. Dal declino politico alla rivolta finale

Risalire la china filogovernativa

La CNT cerca a questo punto di recuperare il terreno perduto nel Mayo sangriento di Barcellona, rafforzando l’accordo con la UGT in vista di un governo «operaio e rivoluzionario». Il 15 maggio 1937, a dieci giorni dalla fine degli scontri, i due sindacati firmano una dichiarazione comune nella quale fissano due punti irrinunciabili: il riconoscimento della loro estraneità agli scontri e il rifiuto di ogni governo non diretto da Largo Caballero. La crisi politica provocata dalle dimissioni dal governo dei ministri del PCE , con tutte le conseguenze in fatto di armi e munizioni, permette a Manuel Azaña di disfarsi dello scomodo e perdente Largo Caballero per affidarsi a Negrín, socialista gradito al PCE . Questi fissa le condizioni dell’accordo politico: esclusione della CNT , soppressione del POUM , irrigidimento dell’apparato repressivo repubblicano. La CNT protesta vivamente contro l’emarginazione e minaccia di «sabotare il governo della controrivoluzione», ma un mese dopo intavola le trattative per rientrare a farne parte.
La presa di posizione nuovamente collaborazionista suscita notevoli critiche sul piano internazionale, cioè della AIT , l’associazione che raggruppa i sindacati libertari di una ventina di paesi. Il Plenum della AIT , che si tiene a Parigi l’11 giugno 1937, attacca la delegazione della CNT per il riproporsi della linea filogovernativa. In alternativa, l’organizzazione internazionale, che conta però adesioni limitate, promette che, se la CNT opterà per una scelta antigovernativa, essa proclamerà uno sciopero mondiale di solidarietà rivoluzionaria. Il segretario spagnolo, Mariano R. Vázquez, considera questa prospettiva con marcato sarcasmo: sarebbe una «tonteria che si può forse raccontare agli abitanti di Marte, ma che è troppo poco seria per essere pronunciata in un Plenum» [1]. D’altronde, la realtà anarcosindacalista internazionale non offre molte speranze per un’effettiva mobilitazione su scala europea date le ridotte forze operaie che, escludendo la Spagna, si riconoscono nella AIT .

Helmut Rüdiger, che come delegato della stessa associazione in Spagna conosce la situazione reale e valuta positivamente la linea della collaborazione governativa, fa invece rilevare come sia assurdo, da parte dell’ AIT , denigrare l’unico movimento di massa di cui dispone. Inoltre è convinto che, su un piano più generale, la rivoluzione non sia «una coraggiosa azione di qualche migliaio di uomini», bensì un movimento di dimensioni estese e radicate tanto da vincere su potenti oppositori. Dal suo punto di vista, se la CNT avesse portato a fondo la lotta armata a Barcellona nel famoso Maggio, si sarebbe trovata nella stessa situazione dell’8 dicembre 1933, quando aveva tentato un’insurrezione che ben presto si era dissolta perché isolata e destinata alla sconfitta.
La progressiva decadenza dell’anarcosindacalismo è confermata dalla facile espulsione della CNT dalla Generalitat: è finito il clima magico del 20 luglio 1936 con le dichiarazioni esaltanti e suadenti di Companys, il capo dell’Esquerra, più o meno sincero e leale. A ogni modo, sarà lo stesso Companys a perdere l’autonomia dal governo centrale, a fine ottobre 1937, quando quest’ultimo, sempre guidato da Negrín, deciderà di stabilirsi a Barcellona e assorbirà varie funzioni della Generalitat. L’intero governo catalano, dopo aver collaborato con i comunisti per ridimensionare l’influenza della CNT – FAI , si trova di fatto emarginato in un ruolo più formale che reale. Lo stesso è successo a Indalecio Prieto, socialista incaricato di gestire il cruciale ministero della Guerra, che si è schierato con Negrín e il PCE nella formazione di un governo senza CNT – FAI . A lui è attribuita, soprattutto dai comunisti, la responsabilità delle gravi sconfitte militari e viene quindi estromesso dalla sua carica ministeriale nella primavera del 1938. Il capo del governo, ovvero Negrín, assume su di sé anche il ministero della Guerra.
Le tappe del declino si possono analizzare attraverso i numerosi Plenum della CNT , della FAI e poi del Movimiento Libertario che comprende anche l’organizzazione giovanile, la FIJL . A meno di un mese dalle tragiche giornate di Barcellona, si svolge a Valencia un Plenum Nacional della CNT che manifesta una tendenza sempre più orientata verso il centralismo organizzativo e sempre più militarizzata. Ormai il comando «unico e implacabile», nonché «sottoposto a una stretta gerarchia» [2], è considerato positivo e auspicabile. Si profila inoltre il recupero dell’alleanza CNT – UGT , anche se con posti istituzionali di secondaria importanza, quale correttivo di un governo dove aumenta a vista d’occhio il potere del PCE . Tra le decisioni di questo Plenum, una novità consiste nella richiesta alle istituzioni statali di riconoscere l’esistenza di tre settori ideologici – marxista, repubblicano, libertario – nell’alleanza antifascista. A tutti e tre, sostiene il vertice della CNT , si dovrebbe dare lo stesso spazio, quanto meno nella nomina di funzio-nari statali addetti all’ordine pubblico e all’attività diplomatica.
Tali orientamenti sono confermati dal Plenum della FAI dei primi di luglio del 1937, nel corso del quale si ristruttura anche l’organizzazione interna abolendo i piccoli gruppi di affinità fondati su un’intesa politica e personale degli aderenti e su una considerevole autonomia di azione. Al loro posto subentrano le agrupaciónes, cioè sezioni territoriali più ampie, con centinaia di militanti, sottoposte agli organi di controllo e a una direzione centrale che può imporsi sui gruppi in nome della disciplina. In un certo senso la FAI liquida il faísmo, quel metodo di lotta antistatale e di organizzazione federativa che seguiva fin dalla sua nascita nel 1927. Il faísmo si basava infatti sul riconoscimento di un notevole livello di indipendenza personale e di gruppo, moderato solo dal senso di solidarietà militante. Anche quest’ultima era fondata sulla coscienza individuale, al di fuori di ogni forma di gerarchia organizzativa. Il nuovo funzionamento da partito non costituirebbe, stando ai deliberati del Plenum, una rinuncia ai valori dell’anarchismo, bensì esattamente il contrario, in quanto rafforzerebbe la difesa e l’incisività dell’Organizzazione. Si precisa inoltre che un affiliato alla FAI deve essere pronto a occupare qualsiasi carica pubblica e a rispondere del suo comportamento più o meno soddisfacente di fronte agli «órganos adecuados de la Organización» [3].
Nel giro di un anno e mezzo gli appartenenti alla FAI aumentano in modo molto consistente a causa della sempre più assillante emergenza bellica e della mobilitazione permanente in ogni settore sociale. Da circa 30.000 dei primi di luglio del 1936 si passa a più di 150.000 alla fine del 1937. Non si riesce però a definire se e quanto questa massiccia affiliazione sia dovuta a una effettiva scelta di idealità e di militanza, oppure derivi dalla crescente necessità di sopravvivenza e di protezione in un contesto eccezionalmente pericoloso.

Revisione dei principi
Nel Plenum Nacional della CNT di metà settembre 1937 si procede alla ridefinizione dei principi stabiliti nel quarto congresso di Saragozza del maggio 1936. Da allora sono intervenuti molti e profondi cambiamenti, soprattutto a causa della guerra, e secondo alcuni esponenti, tra i quali Horacio Prieto, ex segretario nazionale e leader della sezione catalana, tutto o quasi andrebbe rivisto e revisionato. La delibera finale, che non viene resa pubblica immediatamente per evitare contraccolpi interni, contiene in effetti principi e scelte che rafforzano la svolta in atto. Si prevedono diverse innovazioni, fra cui la fusione tra la CNT e la UGT e l’istituzione di una Repubblica socialista e democratica su base federale dopo elezioni generali alle quali partecipi pure l’organizzazione libertaria. Inoltre si prospetta la formazione di un governo nel quale siano rappresentate tutte le tendenze antifasciste in proporzione alla loro forza reale. Manca davvero poco per la costituzione di un vero e proprio partito politico emanazione del Movimiento Libertario. [4]

Horacio Prieto comincia a far circolare definizioni perentorie: il comunismo libertario sarebbe solo un’utopia, la CNT dovrebbe possedere una struttura simile a quella dello Stato, servirebbe una stretta unità fra azione politica istituzionale e azione economica e sociale attraverso la conquista di almeno una parte del potere legislativo ed economico. La sfida tra le nuove posizioni integrate nel potere statale e quelle classiche di rifiuto della collaborazione con lo Stato si ripresenta, a metà gennaio 1938, in un Plenum economico ampio, aperto cioè a molti delegati delle federazioni locali o di una comarca (una quasi provincia che raccoglie in media una ventina di comuni), accanto a quelli consueti delle federazioni regionali. Oltre ai rinnovati accordi sulla partecipazione al governo, si decide di ristabilire, nei posti di lavoro, una tangibile gerarchia di compensi salariali tra il personale tecnico specializzato e quello esecutivo. Particolarmente significativa è la svolta centralista della CNT , che prevede tra l’altro la «riduzione del numero di periodici e riviste libertarie», un vero e proprio attacco al tradizionale pluralismo e decentramento del movimento e dei suoi strumenti di propaganda.

Continua nella Tredicesima Parte

Note al capitolo
[1] J. Casanova, De la calle…, cit., p. 228.
[2] C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles…, cit., p. 227.
[3] Ivi, p. 229.
[4] Ivi, pp. 230-231.

Pubblicato in Estratti di Libri | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Dodicesima Parte

La catena elettorale – Seconda Parte

Prima Parte

 

-L’apatia politica come rassegnazione e vittoria del potere

Secondo “LoZingarelli. Vocabolario della lingua italiana”, l’apatia è “indifferenza, inerzia, mancanza di volontà e di interesse di fronte alla vita, ai sentimenti.

Nel contesto politico, il sociologo Morris Rosenberg spiega che l’apatia degli individui derivi principalmente da tre fattori: “1) La politica viene evitata a causa di sentimenti di inadeguatezza o debolezza psicologica; 2) Si evita la politica perché i valori culturali producono reazioni negative nei suoi confronti; 3) Si evita la politica perché non riesce a soddisfare i bisogni positivi e pressanti dell’individuo.” [13]

Questi tre fattori, secondo Rosenberg, traevano origine dall’impotenza e dal fatalismo.

L’impotenza, secondo il sociologo statunitense, è data dalla “nostra società di massa” dove “gli individui si dedicano a compiti minuscoli e specializzati, inseriti nel complesso tessuto della nostra economia. I grandi blocchi economici e di potere, rappresentati dalle grandi aziende e dai sindacati, spingono l’individuo a subire pressioni troppo forti per poter resistere. Di conseguenza, è probabile che l’individuo si senta sopraffatto e impotente. In base a questa sensazione, l’idea che la sua debole forza possa competere con i giganti è assurda e l’individuo sente di non poter fare nulla per cambiare il modo in cui il mondo è gestito. Sollevare la sua debole voce contro l’enorme fragore dei mass media e dei giganti della politica è inutile.” [14]

Il fatalismo, invece, è un atteggiamento “psicologico che deriva dalla prolungata frustrazione di bisogni urgenti”, in cui gli obiettivi non raggiunti (che spesso sono irrealistici o irrealizzabili) portano l’individuo ad “arrendersi [e a] smettere di cercare di incidere sul mondo. Questo atteggiamento fatalista trova espressione generale nell’idea che ci saranno sempre guerre, depressioni, corruzione e pregiudizi e che non ha senso cercare di fare qualcosa al riguardo; questo è il modo del mondo e, forse, la legge della natura. Perché preoccuparsi di cercare di porre rimedio ai mali sociali con l’azione politica? In forme estreme questo può assumere la veste di un rifiuto religioso del mondo, semplicemente dando a Cesare quel che è di Cesare e andando avanti per i fatti propri.” [14]

Certi aspetti descritti da Rosenberg non si discostano da quel che avviene oggi giorno

Le performance di un Letta cameriere di PizzAut, una Meloni e un’attivista LGBT su un palco, un Salvini e un Berlusconi su TikTok per apparire giovani e al passo con i tempi, sono tutte mosse comunicative politiche atte a creare un mix di emozioni contrastanti (attrazione, supporto, ostilità, repulsione) dove gli individui, assistendo a rappresentazioni del genere, diventano spettatori di questi commedie e indotti passivamente ad attendere l’intervento delle persone specializzate. [15]

Una degna rappresentazione di questo stato di cose in Italia, a livello fumettistico la troviamo per esempio in opere come il manga e anime “Capitan Harlock” (1977-1979): l’umanità è completamente assuefatta dal benessere e la compagine politica è rilassata e indolente al pericolo incombente (l’invasione aliena del popolo delle Mazone).

Per poter capire al meglio come si arriva a questo punto, è necessario analizzare le attuali mosse comunicative politiche.

Nel periodo storico in cui viviamo, la tecnologia si è sviluppata velocemente, portando le notizie dalle reti cartacee e audiovisive (radio e TV) a quelle internet.

Le reti internet (siti, social network, forum etc) hanno fornito agli individui delle scelte comunicative maggiori rispetto a fino a trent’anni fa – quando erano disponibili soltanto canali radiofonici e/o cartacei.

Se però con i media tradizionali vi era una maggiore ricezione delle notizie riportate– in quanto erano gli unici mezzi disponibili -, con la rapida ascesa e lo sviluppo di Internet e dei social media, coadiuvato da una massiccia liberalizzazione dei canali radio-televisivi, le informazioni riportate possono essere scelte a secondo del proprio pensiero e/o stato d’animo.

Gli individui, quindi, non sono più costretti a guardare un programma destinato al grande pubblico. Le reti internet rendono tutto ancora più flessibile rispetto alla radio e alla televisione: basta seguire uno o due siti affini al proprio modo di vedere il mondo, chiudendo quelle pagine web giudicate noiose o monotone.

In mezzo a questo “mare” di canali informativi, i professionisti dei mezzi di comunicazione puntano sostanzialmente su tre punti riguardo i contenuti da veicolare: la scelta delle informazioni, mettere in risalto le notizie e il contesto dei fatti avvenuti.

Attraverso questi tre punti, i mezzi di comunicazione determinano la direzione dei pensieri e delle conversazioni degli individui, concentrandosi su specifici argomenti o eventi e dando una percezione e comprensione binaria (buono o cattivo, giusto o sbagliato etc) di quest’ultimi.

Nel rapporto politico-mass-mediatico, le informazioni riportate vengono trasmesse attraverso determinati mezzi di informazione (tradizionali e nuovi che siano) ed interpretate e presentate da chi li trasmette. In tal modo si può orientare l’opinione pubblica e definire un agenda politica atta a raccogliere consensi da parte degli individui. [16]

Secondo Ivana Čerkez, il rapporto tra politica e mezzi di comunicazione ha principalmente tre funzioni:
-informazioni limitate: “i media non si limitano a informare il pubblico, ma hanno anche una sorta di limitazione da parte dello Stato, perché non tutte le attività pubbliche sono pubbliche. I mass media, con i cambiamenti e la velocità della loro azione, si pongono nei confronti del pubblico in modo diverso. Da mediatori dell’opinione pubblica diventano i loro creatori. Sebbene l’ambito delle cose che vengono divulgate al pubblico si espanda a quelle che non sono solo politiche, il pubblico vero e proprio si restringe, perdendo la sua precedente funzione critica”;

-formativo pubblico: “i media partecipano anche alla formazione e al mantenimento del pubblico come punto di controllo per il governo. I media che hanno una funzione di controllo si collocano tra il pubblico e lo Stato. A volte sono più vicini all’uno e a volte all’altro. Il principio del pubblico (basato sull’osservazione critica del governo politico) è sostituito dal principio della “pubblicità”, basato [a sua volta] sul principio del conformismo e del consenso prodotto. […] nei mass media [questo] serve a produrre l’ “immagine” diretta all’auto-presentazione[…]”;

-capitalistico: “i media giocano una partita di mercato e come tali devono rispettare la legittimità del mercato, poiché l’obiettivo di un’entità commerciale è quello di ottenere un profitto. Oggigiorno il ruolo dei media come strumento di conoscenza civica del potere e delle istituzioni democratiche diventa sempre più discutibile. Le influenze economiche nei Paesi a democrazia sviluppata hanno un ruolo crescente nel funzionamento dei media. Il possesso di un numero sempre maggiore di azioni e di quote di grandi colossi economici rappresenta una minaccia per il ruolo indipendente dei media – che viene distrutto. I media, in quanto informatori del pubblico e correttori del governo, diventano ostaggi di alcuni gruppi di interesse.” [17]

Le modalità comunicative così create hanno lo scopo di inviare notizie di parte spacciate per essere oggettive ed equidistanti, ponendo i personaggi politici in chiave o positiva o negativa.

Gli obiettivi di queste forme comunicative sono principalmente due: da un lato si fa accettare un tipo di comunicazione dove la delega e i privilegi sono il vero progresso e ricchezza di una società; dall’altro si “spegne” l’individuo portandolo ad accettare una situazione descritta da Rosenberg.

Di fronte ad un sistema di poteri basato sul consenso, sulla delega, sullo sfruttamento e sulla conservazione dei privilegi, come si può invertire la rotta vigente?

-L’astensionismo elettorale anarchico


Il rifiuto di votare in fase elettorale da parte del movimento anarchico trae origine da quel che è il regime democratico.

La democrazia, considerata come il massimo grado di sviluppo sociale a livello storico, è diventata una sorta di moderno fondamentalismo religioso basata sulla tolleranza, sul pluralismo, sulla non violenza, sul consenso, sul dialogo e sull’uguaglianza.

La base della legittimità democratica sta nel presentarsi come un sistema in grado di riflettere la volontà di una presunta maggioranza e di dialogare con la minoranza sconfitta.
Questa maggioranza e minoranza, però, sono intese a livello “legale” e non a livello strettamente numerico.

Una coalizione di partiti può vincere le elezioni al di là delle leggi elettorali vigenti, di chi si astiene passivamente o vota per un altro partito. Un esempio calzante sono le elezioni regionali siciliane del 2017 dove la coalizione di centrodestra riuscì a vincere con il 39,85% dei voti su un’affluenza che si aggirava intorno al 46,76%.

Vincendo le elezioni, la maggioranza “legale” con annessa minoranza sarà suscettibile di atti corruttivi e di compromessi; questi cambiamenti di posizione e di prospettive non derivano da presunti tradimenti ma da evoluzioni di prospettive (camaleontismo o trasformismo, per usare termini ad hoc) nel difendere i privilegi politici acquisiti.

I candidati, prima delle elezioni, si affannano a tener comizi e discorsi per illustrare il “programma” del loro partito”, scriveva Emilia Rensi, in “Elezioni…in vista”[18] , “per spiegare quali benefici riceveranno gli elettori se daranno loro il voto […] La gente ascolta, e crede che i nostri facondi oratori siano veramente preoccupati del suo benessere, mentre in realtà ai partiti non importa nulla né di saggia amministrazione, né di leggi favorevoli al popolo, né di giustizia: pensano solo a beneficiare se stessi col danno altrui, a mandar avanti i loro, sfruttando gli altri. E per questo scopo si preparano a tutti i casi possibili. Non si contano i compromessi che compiono pur di arrivare al sospirato traguardo. […] Perciò i programmi sbandierati dai partiti in lotta, durante la campagna elettorale, sono soltanto lo specchio per le allodole: non appena la faticosa meta è stata raggiunta, il programma viene “adeguato” alle circostanze, che possono richiedere mutamenti, o capovolgimenti complessi. E a chi venisse in mente di “reclamare” il compimento delle promesse si risponderebbe che è privo di senso politico, altrimenti capirebbe, come capiscono coloro che sono dotati di “squisito intuito”, che si debbono accettare le rinunzie necessarie, in vista del supremo bene: il potere.”

Insieme a questa classe politica, vi sono coloro che controllano l’accesso ai mezzi necessari per produrre ciò di cui si ha bisogno per vivere – mentre tutto il resto deve vendere la propria forza lavoro per guadagnare un salario (accettando le condizioni che i datori di lavoro ritengono opportune).

Le basi e la legittimità democratica, quindi, non sono altro che dei miti e dei dogmi con cui si è costruito lo Stato e difeso l’attuale modello economico capitalistico.
Per la classe borghese, la democrazia è un modello vantaggioso rispetto ai precedenti regimi dittatoriali (fascisti, militari, comunisti) in quanto i tre poteri fondamentali dello Stato democratico (legislativo, esecutivo e giudiziario) sono i garanti di questo sistema economico che, in nome del progresso, della civiltà e della libertà, uccide e devasta per il profitto.

L’individuo plasmato in un contesto del genere è un essere che opera come cittadino quando lo Stato lo riconosce come tale, elettore quando si vota, lavoratore quando produce, cliente quando acquista, soldato quando vi è una guerra.

La manipolazione dello Stato e dello Capitale fa sì che l’individuo non possa fare a meno di queste due cosiddette entità.
Per questi motivi il movimento anarchico rifiuta il voto elettorale in quanto con esso non si può aspirare ad un modello sociale ed economico diverso da quello attuale.

L’astensione elettorale anarchica è un’occasione perfetta per attaccare il principio di autorità nella sua espressione democratica (le elezioni) e scuotere dal torpore chi vota o meno.

L’invito alla lotta costante da parte del movimento anarchico, senza delegare la propria volontà ai politici e ai politicanti, oltre che a qualsiasi istituzione, significa conquistare un’autonomia che è sempre stata negata.

Imparare a vivere – e non a “sopravvivere a discapito degli altri”, come insegnatoci nelle scuole e in famiglia fin dall’infanzia – è un primo passo nel superare dei concetti di potere che consideriamo normali (come la delega e i vari binarismi di buono e giusto), iniziando così a conquistare un’autonomia che viene sempre più negata sotto forma di violenza statale, culturale ed economica.

Vuoi la cultura, la libertà, l’uguaglianza, la giustizia? Vai a conquistarle se non vuoi che gli altri te le tolgano. La forza che tu non metti, rimarrà così e rimarrà solo la volontà. Questa politica della provvidenza non ha realizzato nulla e nulla realizzerà. La tua emancipazione sarà opera tua se non vorrai restare schiavo per sempre. ” (Ricardo Mella, “Vota, pero escucha”, “Solidaridad Obrera”, Gijón, 25 Dicembre 1909)

Note
[13] Rosenberg Morris, “The meaning of politics in mass society”, pubblicato in “Public Opinion Quarterly”, Vol. 15, n. 1, Primavera 1951, pag. 8

[14] Ibidem, pagg. 9-10

[15] Pur essendo differente dall’ “Effetto spettatore” da noi descritto in “Come si uccide un essere umano”, l’attesa passiva che un qualcuno (l’eroe o gli eroi) salvi la situazione da un pericolo incombente può essere applicato in qualsiasi campo (in questo caso politico elettorale)
Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/08/06/come-si-uccide-un-essere-umano-prima-parte/

[16] Questa modalità viene spiegata con l’esempio statunitense nel paragrafo “Functions of the Mass Media forthe Political System” in Janda Kenneth, Berry Jeffrey e Goldman Jerry, “The Challenge of Democracy American Government in Global Politics”, Wadsworth, Boston, 2012, Undicesima Edizione, pagg. 190-199

[17] Čerkez Ivana, “Osnovna obilježja medijske komunikacije u demokratskoj kulturi” (trad: “Caratteristiche di base della comunicazione dei media nella cultura democratica”), pubblicato su “Socijalna ekologija”, Vol. 18, n. 1, 2009, pag. 31
Link: https://hrcak.srce.hr/file/64293

[18] Pubblicato su “Volontà. Rivista Anarchica Mensile”, n. 4, Aprile 1968, pagg. 197-200

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su La catena elettorale – Seconda Parte

La catena elettorale – Prima Parte

Le dimissioni di Mario Draghi da presidente del Consiglio dei Ministri (21 Luglio) e di Nello Musumeci da Presidente della Regione Sicilia (5 Agosto) hanno portato ad un grosso fermento all’interno delle forze politiche istituzionali.

Nell’ultimo mese, personalità come Meloni, Salvini, Letta, Berlusconi, Calenda e Conte, si sono esposti a livello pubblico in comizi cittadini, talk show e social network per accaparrare consensi e tornare, così, a gestire la cosa pubblica secondo gli interessi dei gruppi di potere economico che stanno dietro costoro.

Il momento storico che affrontiamo, però, è diverso da quello delle precedenti elezioni nazionali (2018): la guerra russo-ucraina, i rialzi dei prezzi dei beni energetici e una speculazione finanziaria a tutto spiano hanno impoverito la massa cosiddetta elettorale, spingendola a disaffezionarsi ancor di più al mondo politico.

Nel caso sia siciliano che catanese, le dimissioni di Draghi e Musumeci – a cui si aggiungono anche quelle del sindaco sospeso di Catania, Salvo Pogliese (28 Luglio) -, hanno di fatto aumentato questo disinteresse al mondo politico. [1]

Gli slogan delle varie personalità politiche – da Meloni a Salvini, da Letta a Conte e via dicendo -, palesano una retorica dialettica vuota di un mondo politico istituzionale incapace di rispondere ai bisogni della popolazione.

Una panoramica succinta di questa situazione possiamo vederla nelle varie rilevazioni statistiche di fine Agosto-Primi di Settembre riportate dagli enti di ricerca [2] :
-per l’Istituto Demopolis il 67% dei 2004 rispondenti (su 6020 contattati) andrebbero a votare;
-per la “SWG Spa”, esperta in ricerche di Mercato, Sociali e di Opinione, il 39% dei 1200 rispondenti (su 4702 contattati) non si esprime su quale partito andrebbe a votare;
-per la “Tecné srl” il 44,1% dei 2000 rispondenti si astiene o è incerto.

Come scritto da Pietro Vento, direttore di Demopolis, si ipotizza che con queste elezioni di Settembre, rispetto a quelle precedenti del 2018, vi sarà più di un quinto degli italiani che non andrà a votare e/o sarà indeciso. [3]

In questo articolo cercheremo di entrare nel dettaglio su questa disaffezione, analizzando in modo critico le questioni socio-economiche e politico istituzionali e, al tempo stesso, spiegando perché l’anarchismo punti all’astensionismo attivo.

Il quadro socio-economico
I dati provvisori sull’inflazione forniti dall’ISTAT, indicano come nel mese di Agosto l’inflazione si aggiri intorno all’8,4% su base annua, con un aumento dello 0,8% su base mensile.

L’accelerazione inflazionistica è dovuto principalmente ai prezzi dei prodotti energetici che passano dal 42,9% di Luglio a 44,9% di Agosto. L’aumento dei prezzi di questi prodotti è da imputare al mercato libero dell’energia elettrica e del gas: il primo passa dal 109,2% di Luglio al 135,9% di Agosto; il secondo dal 42,8% di Luglio al 62,5% di Agosto.

Le conseguenze non si sono fatte attendere: rispetto all’Agosto del 2021, i prezzi dei beni alimentari (in cui sono inclusi quelli lavorati e non lavorati) sono aumentati del 10,2%. [4]

Rispetto ai dati che riportammo a Marzo [5], il peggioramento della situazione economica coincide con quella sociale.

Seppur i dati di Giugno riportino come l’occupazione sia salita al 60,1% (con un incremento dello 0,2% rispetto a Maggio) e i Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro siano stati rinnovati con aumenti retributivi (in particolare per settori metalmeccanici, artigianato ed edile) tra Marzo-Giugno, i salari e il Reddito di Cittadinanza non riescono a coprire le numerose spese – specie con l’aumento inflazionistico di beni alimentari ed energetici -, che la popolazione deve sostenere.

Ma vi è un profondo divario in tutta questa situazione: le aziende che si sono trovate avvantaggiate nei primi sei mesi di questo 2022 sono state quelle dei servizi energetici, petroliferi e della Distribuzione Organizzata.

Prendiamo i dati di ENI, ENEL e di NielsenIQ:
-l’ENI ha chiuso con un utile per il suo gruppo di 11,3 miliardi di euro (+293% rispetto al primo semestre del 2021), mentre per i suoi azionisti l’utile è stato di quasi 7,4 miliardi di euro (+671% rispetto al primo semestre del 2021) [6];
-l’ENEL ha avuto un ricavo di 67 miliardi (+85,3% rispetto al primo semestre del 2021) ma con un utile di gruppo di quasi 1,7 miliardi [7] – causato principalmente dall’importazione di energia elettrica dall’estero, oltre che dalle difficoltà strutturali nell’avviare e/o potenziare le infrastrutture energetiche rinnovabili (in particolare il comparto idroelettrico);
-le aziende della Grande Distribuzione Organizzata, secondo i dati di NielsenIQ, registrano nel solo mese di Luglio un fatturato di 9,5 miliardi euro (+10,4% rispetto al Luglio del 2021); chi fattura di più in tale ambito sono i Discount (MD, Penny, Eurospin etc) con un incremento dell’11,9% [8], facendo arrancare colossi come Carrefour e Coop (in particolare nel Sud Italia).

In un contesto di crisi e di difesa a spada tratta dei propri privilegi, gli imprenditori e i loro alleati politici si prodigano non solo nel mantenere in auge questa differenza sociale e (soprattutto) economica ma proclamano anche delle “crociate” mediatiche contro i percettori del reddito di cittadinanza e chi non accetta contratti considerati vantaggiosi.

A sostegno della guerra contro questi cosiddetti “fannulloni”, vi sono testate giornalistiche come “La Repubblica”, “Il Messaggero”, “Il Sole24Ore” etc, oltre i vari programmi televisivi (specie sui canali Mediaset).

L’esempio calzante di questa violenza mediatica, borghese e politica lo troviamo nel settore turistico italiano.

Dai dati pre-pandemici, il turismo corrispondeva al 6,2% del PIL nazionale e al 6,7% dell’occupazione italiana (dato ISTAT del 2019). Il biennio pandemico (2020-2021) ha messo a dura prova i profitti aziendali (spesso e volentieri basati sull’iper-sfruttamento del personale e pagamenti irregolari o in nero). Con l’inizio del 2022, la situazione sembra volgere a favore di questo settore – seppure enti ed istituzioni come il Ministero del Lavoro, Banca d’Italia e Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL) vedano degli indebolimenti strutturali derivanti dal precedente crollo pandemico. [9]

L’inizio dell’estate 2022 ha visto un’affluenza turistica maggiore rispetto all’anno passato: nello studio “Panorama Turismo-Mare Italia” dell’Osservatorio italiano JFC viene previsto un fatturato pari a quasi 32 miliardi di euro – superiore sia al biennio pandemico 2020-2021 che a quello pre-pandemico. [10]

Lo studio citato è stato pompato dall’ANSA e da una serie di giornali (in particolare da “IlSole24Ore”) con l’obiettivo di dimostrare come i soldi e il lavoro ci siano e chi si è rifiutato di lavorare per 1300 euro al mese (come esternato da Federalberghi nel Maggio di quest’anno) è un fesso che si è fatto abbindolare dal Reddito di Cittadinanza.

Il punto, però, è come questa modalità comunicativa alimenti lo sfruttamento lavorativo stesso e non risolva il problema della mancanza del personale.

Il paradosso così creato viene riportato sotto forma di dato dal World Travel and Tourism Council (WTTC): ad Agosto, 250mila posti di lavoro nel settore turistico in Italia sono rimasti vacanti nonostante il terzo mese di picco.

La Presidente e CEO del WTTC, Julia Simpson, ha affermato per il caso italiano che “se questi posti rimarranno scoperti, si attenueranno ulteriormente le possibilità di rilancio delle imprese del settore viaggi e turismo in tutta Italia, che hanno lottato per più di due anni nello sfuggire all’impatto della pandemia”. [11]

Questo esempio sul turismo e sulle comunicazioni tossiche e violente possono essere applicate a qualsiasi settore lavorativo in cui vige una gerarchia lavorativa specifica e piramidale.

La giustificazione di questo approccio da parte della borghesia, deriva dal fatto che determinati settori economici italiani sono strategici (l’energetico) e/o coprono ampie percentuali del PIL (come il terziario e il terziario avanzato che corrispondono al 72,6% del PIL (dato del 2021)).

In questo modo, le mosse applicate sul piano comunicativo sono essenzialmente due: la prima è un attacco contro chi minaccia l’integrità economica interna del paese (percettori del reddito di cittadinanza, persone che non accettano cosiddetti lauti contratti etc); la seconda è una difesa verso chi porta lavoro e ricchezza (le associazioni di categoria).

Nella logica della propaganda capitalistica, il cosiddetto “eroe e sfruttato da compatire se fallisce” è l’imprenditore, non chi percepisce un compenso basato su una concertazione tra sindacati e gruppi di potere economico specifico al settore in cui si ricade.

Questo capovolgimento di ruoli si inserisce in una fase di forte abbassamento culturale (dato dalle ultime riforme scolastiche e dai media tradizionali e nuovi) e della citata crisi economica; la logica che ne deriva, a livello comunicativo e lavorativo, è quello di illudere gli individui (specie quelli salariati) su come il Capitalismo sia una forma di progresso e ricchezza alla portata di tutti – quando invece è solo alla portata di pochi privilegiati.

Il quadro socio-politico


La caduta del governo Draghi e la maggioranza che ha sostenuto fino a quel momento l’esecutivo (Movimento 5 Stelle, Lega, Forza Italia, Partito Democratico, Italia Viva, Insieme Per il Futuro, Liberi e Uguali e altri partiti minori che hanno dato l’appoggio esterno) ha chiuso la diciottesima legislatura.

La legge elettorale con cui erano stati votati deputati e senatori il 4 Marzo 2018 è nota come “Rosatellum Bis” o “Legge 3 novembre 2017, n. 165” [12] che ha sostituito la precedente legge elettorale (la cosiddetta “Italicum”).

Proposta da Ettore Rosato, all’epoca capogruppo alla Camera del “Partito Democratico” (passato successivamente nel 2019 nel partito “Italia Viva” di Matteo Renzi), la legge elettorale vigente prevede un sistema misto per Camera e Senato: proporzionale e maggioritario. Per maggioritario si intende quel candidato che in un collegio è riuscito a conquistare la maggioranza dei voti, mentre per proporzionale si intende un’assegnazione dei seggi in base ai voti che ciascuna coalizione o lista di partiti ha preso in un collegio.

Secondo questa legge, il 37% dei seggi verranno assegnati con un sistema maggioritario, il 61% dei seggi verranno ripartiti in modo proporzionale tra le coalizioni e le singole liste (effettuate a livello nazionale per la Camera e a livello regionale per il Senato), mentre il 2% dei seggi è destinato al voto degli italiani residenti all’estero e assegnato con un sistema proporzionale.

L’inghippo di questa legge elettorale risiede nel fatto che vi è un controllo dei partiti istituzionali attraverso: la distribuzione dei voti non solo per il candidato ma per tutto il listino proporzionale; la presenza di candidati in diversi collegi circoscrizionali (massimo 5); l’obbligo dell’alternanza di genere; la soglia di sbarramento elettorale nazionale per i singoli partiti (devono ottenere almeno il 3 %) e per le coalizioni (devono raggiungere il 10%).

I nomi e i seggi così dati sono blindati e i leader dei partiti possono, per l’appunto, controllare gli eletti – salvo che poi gli eletti e le elette cambino schieramento politico, con il rischio potenziale per una loro futura ricandidatura alle successive elezioni nazionali.

Come visto nel 2018, all’atto pratico questa legge elettorale non ha portato ad una vera e propria maggioranza ma ad una sorta di tripartitismo dove Lega, Cinque Stelle e Partito Democratico si sono alternati nei primi due governi Conte. Successivamente, questi tre partiti insieme ad altri (con l’esclusione di Fratelli d’Italia e del gruppo misto) hanno costituito il governo Draghi.

I critici del “Rosatellum” hanno definito questa legge come una forma di democrazia limitata dove chi comanda sono i leader di partiti che possono candidare e blindare i propri candidati in diversi collegi.

Il punto della questione, però, non è se la legge elettorale funzioni o, quanto meno, sia indice di democraticità; essa è l’espressione degli interessi di frange di potere economico e politico, dimostrando come la democrazia, di base, sia limitata di suo.

Ma c’è di più: in un contesto elettorale del genere, si conferisce ad un gruppo di persone (la cosiddetta e celebre “maggioranza”) la capacità del proprio agire e volere. In sintesi: si delega la propria volontà ad altri individui.

La funzione della delega politica in un contesto dove vi è un minimo di welfare state e presenza di enti di assistenza (esempio: la Caritas), porta gli individui a diventare passivi e indolenti di fronte a qualsiasi stravolgimento governativo (come quello avvenuto col governo Draghi) o addirittura economico.

La disaffezione e l’apatia, quindi, sono dietro l’angolo e gioca a favore dei partiti politici e delle compagini economiche.

Continua nella Seconda Parte

Note
[1] “Tecnè srl”, istituto di ricerca ed elaborazione strategica, nel periodo che va dal 26 al 29 Agosto ha chiesto ad un campione di 2000 persone residenti in Sicilia su chi avrebbero votato alle prossime elezioni regionali. Ben il 52% degli intervistati ha risposto di essere incerto e/o di astenersi.

[2] Vedere:
– “Barometro Politico dell’Istituto Demopolis: il peso dei partiti a 30 giorni dal voto” del 26 Agosto;
– “Tecné srl. Verso le elezioni Politiche” del 31 Agosto”;
– “SWG spa. Intenzioni di voto” del 30 Agosto.
Link: http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/ListaSondaggi.aspx?st=SONDAGGI

[3] “Il consenso ai partiti a 30 giorni dal voto: Barometro Politico dell’Istituto Demopolis”. Link: https://www.demopolis.it/?p=10473

[4] “Prezzi al consumo. Agosto 2022. Dati Provvisori”. Link: https://www.istat.it/it/files//2022/08/CS_Prezzi-al-consumo_Prov_Agosto2022.pdf

[5] “Dati Istat e dichiarazione del CNEL” in “Inflazione e povertà: dramma nazionale, dramma regionale”. Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/04/14/inflazione-e-poverta-dramma-nazionale-dramma-regionale/

[6] “Eni: risultati del secondo trimestre e del semestre 2022”, pagg. 23-24
Link: https://www.eni.com/assets/documents/press-release/migrated/2022-it/07/eni-secondo-trimestre-2022-claudio-descalzi-amministratore-delegato-eni-commenta-risultati.pdf

[7] “ENEL: Investimenti a 5,9 miliardi di euro nel primo semestre, in aumento del 22,4%, per accelerare ulteriormente la transizione energetica”, pagg. 1-3; 7
Link: https://corporate.enel.it/content/dam/enel-common/press/it/2022-luglio/Enel%20Risultati%201H%202022.pdf

[8] “Esplode il costo della spesa. L’analisi di NielsenIQ sui consumi degli italiani a Luglio 2022”, gdonews del 30 Agosto 2022. Link: https://www.gdonews.it/2022/08/30/esplode-il-costo-della-spesa-lanalisi-di-nielseniq-sui-consumi-degli-italiani-a-luglio-2022/

[9] “Il mercato del lavoro: dati e analisi”, Luglio 2022.
Link: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/comunicazioni-obbligatorie/mercato-del-lavoro-2022/Mercato-del-lavoro_luglio-2022.pdf

[10] “Panorama Turismo-Mare Italia”, Luglio 2022, pag. 17

[11] “WTTC: 250,000 Vacancies in Italy’s Travel & Tourism Sector to Remain Vacant”, schengenvisainfo.com del 3 Agosto.
Link: https://www.schengenvisainfo.com/news/wttc-250000-vacancies-in-italys-travel-tourism-sector-to-remain-vacant/

[12] “Legge 3 novembre 2017, n. 165. Modifiche al sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali”, pagg. 1-26.
Link: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2017/11/11/264/sg/pdf

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su La catena elettorale – Prima Parte

Messico: Nel governo di AMLO, quasi 29.000 persone in più sono entrate in carcere. Il 58% di loro non ha un processo o una condanna.

Il Centro di reinserimento sociale di Apodaca, nel Nuevo León, ha ampliato le sue strutture per dare spazio a più di 900 detenuti, dopo la chiusura del carcere di Topo Chico a Monterrey. Il governo statale ha visitato le nuove celle e i campi sportivi per i detenuti.
Foto di Gabriela Pérez Montiel

Traduzione dell’articolo “En el gobierno de AMLO, casi 29 mil personas más han ingresado a prisión; el 58% de ellas no tiene juicio ni sentencia”

In questi sei anni, la popolazione delle carceri federali e statali è aumentata di 28.928 unità. Oggi la Corte Suprema inizierà a discutere i disegni di legge che propongono l’eliminazione della custodia cautelare ufficiosa o automatica.

[Dagli ultimi due anni del presidente Peña Nieto (2017-2018) fino all’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador (dal 2018 ad oggi), ] la popolazione carceraria in Messico è passata da 197.988 persone a 226.916, per un totale di 28.928 nuovi detenuti nei centri statali e federali

La maggior parte, il 58% di coloro che sono detenuti, sono persone in detenzione preventiva, senza processi o condanne che dimostrino la loro colpevolezza.

I dati degli allegati al “Quarto Rapporto governativo” mostrano che nell’attuale amministrazione, la popolazione di persone in custodia cautelare ufficiosa o giustificata è cresciuta di 17.565 unità, raggiungendo un totale di 92.595. Questo ha fatto sì che, attualmente, almeno 4 su 10 perone (donne e/o uomini) incarcerati in Messico, siano presunti colpevoli senza condanna.

Questo lunedì (5 Settembre, ndt), la Suprema Corte de Justicia de la Nación (SCJN) discuterà sull’azione di incostituzionalità 130/2019 e l’applicazione della revisione 355/2021, e con esso, la fattibilità della misura della custodia cautelare ufficiosa o automatica, che è una delle modalità con cui le autorità imprigionano le persone senza bisogno di un processo.

I dati del governo federale mostrano che la maggior parte della popolazione carceraria del Paese si concentra nelle prigioni statali. Solo nel 2014, questi luoghi hanno raggiunto la cifra record di 206.767 detenuti.

Nei quattro anni successivi, questa cifra è scesa a 165.213, con una riduzione di 41.554 unità.

Tuttavia, a partire dal 2019, con l’arrivo di López Obrador, il numero di persone in questi centri di detenzione è aumentato nuovamente a 197.734.

[Tutto questo] coincide con le date in cui l’Esecutivo ha presentato diverse riforme in materia penitenziaria, approvate da tutti i partiti e che hanno permesso di aggiungere all’articolo 19 della Costituzione una ventina di reati che meritano la detenzione automatica.

Al contrario, la popolazione penitenziaria federale ha avuto un calo costante dal 2014 al 2021, passando da 48.871 detenuti a 28.652, una tendenza interrotta fino a quest’anno, in cui si registra un aumento di 530 persone arrivate in queste carceri (da settembre 2021 a giugno 2022).

 

Detenuti trasferiti dalle carceri statali a quelle federali per “depressurizzazione.”

Un’altra delle azioni che l’amministrazione di López Obrador ha evidenziato nel suo “Quarto Rapporto” riguarda la “depressurizzazione” delle carceri statali in 24 Stati – una strategia per il “recupero e la dignità delle carceri” in Messico.

Dal 1° settembre 2021 al 30 giugno 2022, sono state trasferite nei Centros Federales de Readaptación Social (Ceferesos) 3210 persone che, secondo il governo federale, “rappresentavano un rischio” nelle carceri [in cui erano rinchiuse].

Il 21 aprile, durante la conferenza stampa mattutina, un giornalista ha interrogato il presidente su questi trasferimenti, affermando che alcuni genitori sono disperati perché i loro figli sono stati trasferiti in carceri lontani, rendendo difficile per loro sapere in quali condizioni si trovano i propri figli.

Il presidente ha risposto: “C’è una situazione carceraria che oggi stiamo analizzando. Poiché le carceri degli Stati sono sovraffollate e ci sono condizioni in cui i diritti umani vengono violati a causa del sovraffollamento e delle strutture inadeguate, è stato applicato un programma per il trasferimento dei detenuti dalle carceri statali in quelle federali, [precisamente in quelle che] si sono assunte [l’incarico di ospitare parte di questa popolazione].

Tuttavia [il presidente] ha assicurato che il governo cercherà di assistere le famiglie dei detenuti in modo che sappiano dove sono e in quali condizioni si trovano. “Naturalmente, cerchiamo di garantire che non ci siano violazioni dei diritti umani, che non ci siano maltrattamenti”, ha detto.

Il “Quarto Rapporto” afferma che il maggior numero di trasferimenti dai centri statali a quelli federali è stato registrato nello Estado de México, dove sono state trasferite 1357 persone. Seguono Guanajuato, Chihuahua, Guerrero e Puebla, da cui sono stati trasferiti rispettivamente 318, 176, 158 e 150 detenuti.

Come detto, a giugno 2022, la popolazione detenuta nel Paese ammontava a 226.916 persone, di cui l’8,3% in questi centri federali. Ovvero 18.749 persone, di cui quasi il 40% (7394) “procesadas” (ovvero condannati dopo un processo, ndt).

Il governo vanta, come un aspetto positivo, che la quantità totale di detenuti in queste carceri federali rappresenti un tasso di occupazione del 65,7% – dato che a livello nazionale si registra un sovraffollamento di 9.787 detenuti nelle 289 carceri (la cui capacità è di solo 217.129 persone).

Nel 2021, la Comisión Nacional de los Derechos Humanos (CNDH) ha pubblicato lo studio “Diagnóstico Nacional de Supervisión Penitenciaria”, in cui concludeva che “c’è una diffusa negligenza istituzionale da parte delle autorità” nelle carceri del Paese – che si evidenzia nelle condizioni di questi luoghi.

Lo studio ha segnalato diverse carenze nel garantire un’alimentazione sufficiente e adeguata ai detenuti; la mancanza di aree mediche adeguatamente attrezzate; la mancanza di acqua e di drenaggio all’interno dei centri detentivi; personale di guardia e custodia insufficiente, oltre ad altre irregolarità che violano il diritto dei detenuti a condizioni di vita dignitose.

Ha anche documentato la mancanza di un’effettiva separazione tra detenuti condannati e imputati, il che significa che uomini e donne vivono insieme senza distinzione all’interno delle carceri.

 

I progetti della Corte vanno contro la detenzione ufficiosa, il governo vuole mantenerla

Il 17 agosto, durante la sua conferenza stampa mensile, il ministro Arturo Zaldívar, presidente del SCJN, ha annunciato che nelle prossime settimane il più alto tribunale del Paese discuterà due questioni riguardanti la convenzionalità e la costituzionalità della detenzione preventiva ufficiosa.

Queste questioni sono di enorme importanza, possono cambiare la storia della vita di migliaia di persone e possono anche cambiare il paradigma sopra il quale si è basato il perseguimento dei crimini in Messico”, ha detto.

In ripetute occasioni, Zaldívar ha insistito sul fatto che nel Paese la maggior parte delle persone soggette a questa misura sono di mezzi [economici] limitati, per cui applicare il carcere in modo automatico significa applicare “una pena senza condanna, che, come regola generale, punisce la povertà”.

Anche durante la sua storica visita a Santa Martha Acatitla, lo scorso Maggio, ha colto l’occasione per definire la sua posizione sopra l’argomento.

Si è abusato della detenzione preventiva ufficiosa; ci sono migliaia di persone senza condanna nelle carceri, ma la violenza nel paese non diminuisce e nemmeno l’insicurezza; per me questo è sufficiente per dimostrare che la misura non funziona, oltre al fatto che viola i diritti umani”, ha detto.

Animal Político, in collaborazione con l’organizzazione Intersecta, ha pubblicato nell’ottobre 2021 l’inchiesta “Detenzione preventiva: l’arma che imprigiona i poveri e gli innocenti” (in spagnolo “Prisión preventiva: el arma que encarcela pobres e inocentes”). È emerso che il 70% delle persone a cui viene applicata la misura della custodia cautelare ufficiosa dispone di risorse [economiche] limitate.

Artigiani, autisti, contadini, pescatori, venditori e negozianti, che hanno a malapena un’istruzione primaria o secondaria e che sono accusati di reati minori come piccoli furti o spaccio di droga, sono le principali vittime di questa misura.

Inoltre, la ricerca ha rivelato che le donne sono le persone più colpite da questa misura. Solo dal 2019 all’agosto 2021, il tasso di donne in custodia cautelare preventiva senza sentenza, cioè legalmente innocenti, è passato da 10,2 a 14,2 ogni 100.000 donne.

Dopo che è stato reso noto che i ministri si stanno preparando a discutere la questione e che i progetti di sentenza prospettano l’annullamento di questa misura, il governo di López Obrador ha chiesto alla SCJN di mantenere nella Costituzione la figura di custodia cautelare ufficiosa, con l’argomentazione che l’eliminazione costituisce una misura negativa per la pubblica sicurezza del paese.

È fondamentale l’esistenza della custodia cautelare ufficiosa in alcuni reati, per garantire che i presunti criminali arrestati per criminalità organizzata, gravi reati di ordine comune o crimini di “cuello blanco” (corruttori, ndt) non siano sottratti all’azione della giustizia durante il procedimento penale, tenendo conto del fatto che, in molte occasioni, l’arresto implica un grande sforzo da parte dello Stato”, ha affermato.

Il 25 agosto, proprio nel giorno in cui la Corte ha annunciato che il futuro della carcerazione preventiva in Messico sarebbe stato discusso a partire da lunedì 5 settembre, il Segretario degli Interni, Adán Augusto López, ha colto l’occasione per spingersi oltre, assicurando che l’eliminazione di questa misura rappresenterebbe la fine “dell’intera strategia di sicurezza” del governo federale.

Questo, nonostante gli organismi internazionali, le organizzazioni per i diritti umani e gli specialisti del settore abbiano criticato questa misura, ritenendo che la sua applicazione violi i diritti umani, in quanto, pur dovendo essere utilizzata come eccezione, finisce per essere la regola.

 

 

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , , , , | Commenti disabilitati su Messico: Nel governo di AMLO, quasi 29.000 persone in più sono entrate in carcere. Il 58% di loro non ha un processo o una condanna.

Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Undicesima Parte

Decima Parte

Una scrittrice alla Sanità
Meno ottimista nel valutare il proprio intervento a livello ministeriale è Federica Montseny, la prima donna ministro in Spagna e tra le prime in Europa. In quanto figlia di due noti militanti quali Federico Urales e Soledad Gustavo, giovane promessa della «Revista Blanca» e oratrice della FAI capace di infiammare gli ascoltatori, sente di doversi giustificare nel suo pubblico rendiconto a Valencia. E ripete uno dei motivi consueti: impedire l’isolamento delle collettività e delle milizie, al quale aggiunge che «bisognava evitare che gli altri, alle nostre spalle, scendessero a patti con Franco». La sua sostanziale autocritica si richiama alla coerenza teorica e al valore, spesso ricorrente, dell’onore: «Magari non fossimo intervenuti, ora non ci troveremmo storicamente e ideologicamente disonorati» [14] .
Motivi di opportunità politica e diplomatica convincono invece i dirigenti della CNT – FAI a soprassedere sulla richiesta di denominare Consejo Nacional de Defensa il governo in cui si apprestano a entrare.
Largo Caballero li persuade che seguendo quella strada formale – utile solo a «scrupoli da monaca» – si sarebbe perso un punto chiave: essere il legittimo governo spagnolo scaturito dalle libere elezioni del febbraio 1936. Per compensare l’imbarazzante contraddizione ideologica di «anarchici governativi», il leader socialista promette di aiutarli nella difesa delle collettività e nella fornitura di armi alle milizie, impegnandosi anche a evitare che «i comunisti, che sono la vostra grande paura, comincino a monopolizzare tutto con il ricatto delle armi sovietiche» [15] .
Per quanto riguarda la preparazione tecnica in campo sanitario, la Montseny non possiede una competenza specifica, ma sceglie come suoi collaboratori alcuni dei medici più impegnati da tempo nel promuovere le conoscenze sanitarie tra le classi popolari. Già nel decennio precedente, donne come Amparo Poch, riviste come «Estudios» o «Ética», psichiatri sociali come Felix Martí Ibáñez avevano fondato e gestito centri di informazione scientifica divulgativa in molte città spagnole. Era questo un terreno di forte impegno libertario proiettato verso la nascita di strutture sanitarie al servizio della popolazione, in particolare di quella più povera e debole come l’infanzia e gli abitanti degli insalubri centri urbani e industriali. In Catalogna, ad esempio, la CNT – FAI aveva spinto la Generalitat a intervenire per bonificare le vallate dei fiumi dove si riscontrava un elevato inquinamento dovuto ai lavori minerari.
L’obiettivo generale della Montseny, come di molti altri militanti anarchici, è quello di contribuire – prima al di fuori e ora dentro le istituzioni – alla modernizzazione della Spagna, superando le ingiustizie sociali e allo stesso tempo l’inefficienza dell’apparato statale. Così la nuova ministra investe nella preparazione di ricercatori e di studenti di medicina e promuove viaggi e permanenze di medici repubblicani nei paesi più avanzati per apprendere le tecniche più moderne, ad esempio nella lotta alle epidemie. In questo ambito, malgrado gli inevitabili condizionamenti bellici, si riescono a evitare recrudescenze di malattie collettive. Le strutture mediche si occupano, per la prima volta, di problemi legati alle cure mentali della popolazione e logicamente dei combattenti, per i quali vengono creati appositi centri di riposo e di riabilitazione psichica.
Altro tema delicato e cruciale è quello dell’aborto, un incubo soprattutto per le giovani di condizione proletaria. Martí Ibáñez, medico appoggiato dal ministero, di cui è sottosegretario, riesce a ottenere dalla Generalitat, il 25 dicembre 1936, la delibera di una norma ad hoc redatta in pratica da lui stesso. Sarebbe stata la donna a decidere, in base alla propria libera scelta, se continuare o interrompere la gravidanza nei primi tre mesi di embarazo. La figura di Martí Ibáñez si rivela di centrale importanza in questo sforzo di mettere l’apparato e le conoscenze mediche alla portata dei ceti subalterni. Da giovanissimo, nel 1927, aveva fondato a Barcellona l’Asociación de Idealistas Prácticos, che era stata un punto di incontro e di libero confronto fra diverse tendenze del pensiero progressista e rivoluzionario. Dal gennaio 1936, e per un anno e mezzo, il suo lavoro culturale più rilevante è tenere una rubrica regolare sulla rivista «Estudios» intitolata Consultorio Psíquico-Sexual. La rubrica, che consiste in una serie di risposte libertarie a problemi concreti legati alla sessualità e ai sentimenti amorosi, è molto seguita dai lettori, libertari e non [16] . Frequenti sono inoltre le conferenze che Martí Ibáñez tiene nella struttura culturale che apporta un contributo originale al movimento: gli Ateneos Libertarios [17].

Un ex sindacalista all’Industria
L’anarcosindacalista Joan Peiró è, insieme all’anarcosindacalista Juan López, uno dei dirigenti della CNT più convinti della necessità e dell’utilità di partecipare al governo di Largo Caballero. Già nell’agosto 1936 mette in guardia contro l’infiltrazione nelle fila antifasciste di ladri e assassini che si presentano come veri rivoluzionari [18].

Allo stesso tempo fa propria fino in fondo la logica di privilegiare la guerra sulla rivoluzione, al punto che, lui sindacalista radicale da una vita, si pronuncia contro la riduzione dell’orario di lavoro nelle fabbriche (circa quaranta ore al tempo) e l’aumento del salario. Vede inoltre lo sforzo bellico come il terreno di verifica di chi vuole fare un passo avanti sulla lunga strada della rivoluzione sociale libertaria e chi intende, magari in modo incosciente, danneggiare questo faticoso processo di liberazione per ottenere vantaggi immediati.
L’unità antifascista è, per Peiró, un metodo indispensabile di lotta e di progresso, ma non per questo risparmia dure critiche ai comunisti per la loro volontà di espandere il proprio potere a danno delle altre forze. Si pronuncia quindi per la militarizzazione delle milizie in nome della inevitabile disciplina bellica. Il suo obiettivo a breve termine non è il comunismo libertario, ma una Repubblica Sociale Federale nella quale sia garantita la possibilità di autogestione alle varie regioni spagnole. Nel bilancio pubblico dell’estate 1937, esprime comunque più rammarichi che soddisfazioni per le conquiste raggiunte.
Come titolare dell’Industria cerca di dare valore legale alle conquiste dei lavoratori della CNT , ma vi riesce solo in misura minima: non ha a disposizione i fondi necessari per dare sbocchi concreti all’entusiasmo mostrato da operai e tecnici di molte industrie per rendere più efficienti gli impianti, per innovare il funzionamento produttivo, per allargare la partecipazione al lavoro delle donne. In particolare è il ministro delle Finanze, il socialista filocomunista Juan Negrín, a porre ostacoli di natura finanziaria alle proposte di Peiró, dirette al miglioramento delle condizioni sanitarie sul posto di lavoro e, più in generale, al consolidamento dei diritti degli operai. L’unico settore nel quale l’ex sovversivo anarcosindacalista riesce a operare è quello delle industrie di guerra, settore cruciale per il governo che dunque non consente ai vari ministri di applicare freni e blocchi organizzativi. Però non riesce a fermare la fuga di capitali che gli antichi padroni e i dirigenti rimasti nei Comités di fabbrica realizzano nella più assoluta impunità. Quando lascia il ministero dell’Industria, è ormai convinto che non si possa compiere alcun passo avanti effettivo per dimostrare le capacità produttive e organizzative della classe operaia, una finalità vanificata da molte forze di governo, dai repubblicani borghesi ai comunisti staliniani.
Al di là delle critiche che riceve per certe scelte moderate, Peiró resta nella tradizione dell’anarcosindacalismo una figura di grande rilievo e di assoluta coerenza. Arrestato in Francia, dove è andato in esilio, nel 1941 viene consegnato alla polizia franchista, che lo sottopone a torture, ma anche a tentativi di corruzione: al nuovo e poco credibile sindacalismo falangista avrebbe fatto comodo avere una sua dichiarazione di consenso. Poche parole gli avrebbero salvato la vita. Viene processato e fucilato nel 1942 proprio per essere rimasto un rivoluzionario libertario e umanista, dimostrando di avere una personalità che poteva essere sconfitta ed eliminata, ma non piegata o strumentalizzata. [19]

Fine V Capitolo

Continua nella Dodicesima Parte

Note al capitolo
[14] D. Marín, Ministros…, cit., p. 173.
[15] Ivi, p. 215. La biografia più analitica è di S. Tavera, Federica Montseny. La indomable (1905-1994), Temas de hoy, Madrid, 2005. Una selezione di opere in P. Gabriel, Escrits polítics…, cit.
[16] Un volume introduttivo è J.V. Martí, A. Rey (cur.), Antología de textos de Felix Martí Ibáñez, Generalitat Valenciana, Valencia, 2004.
[17] Il lavoro più approfondito è quello di J. Navarro, Ateneos…, cit.
[18] La componente individualista è stata finora poco considerata negli studi sull’anarchismo spagnolo. Di recente è uscito un sostanzioso volume di X. Diez, El anarquismo individualista en España (1923-1938), Virus, Barcelona, 2007.
[19] J. Peiró, Perill a la reraguarda, Alta Fulla, Patronat Municipal de Cultura de Mataró, Barcelona, 1987. Un’antologia di Peiró in P. Gabriel, Escrits de Joan Peiró, 1917-1939, Ediciones 62, Barcelona, 1975

Pubblicato in Estratti di Libri | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Undicesima Parte

Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Decima Parte

Nona Parte

Echi del maggio catalano nella vicina Aragona
Le conseguenze del Mayo sangriento non si limitano alla Catalogna, ma investono le realtà libertarie dell’intera Spagna repubblicana, dalle collettività rurali e industriali ai gruppi anarchici, specialmente quelli non in linea con le posizioni ufficiali della FAI . Il governo Negrín, in cui è cresciuto il ruolo del PCE , e ancor più il presidente Azaña si apprestano a mettere un freno alle esperienze più avanzate e radicate e quindi meno controllabili.

Bandiera del Consiglio di Aragona

Il Consejo de Aragón, che malgrado la partecipazione di tutte le componenti antifasciste mantiene un’egemonia CNT – FAI , è uno dei principali obiettivi. Esso è riuscito non solo a coordinare in maniera autonoma la produzione agricola regionale, ma anche a modernizzare i metodi di coltivazione, e ha inoltre osato esportare direttamente dal porto catalano di Tarragona i propri prodotti, dall’olio alle mandorle, importando altri generi non producibili localmente.
La sfida al governo repubblicano di Valencia non può essere più sfacciata. Un Plenum del Frente Popular de Aragón dei primi di agosto del 1937 chiede l’urgente dissoluzione del Consejo e la restituzione delle terre agli antichi proprietari per riportare l’ordine dove, secondo la propaganda anticollettivista, comandano gruppi armati di incontrolados privi di scrupoli. La 11a Divisione agli ordini di Enrique Lister, di stretta osservanza moscovita, viene mandata in Aragona con il pretesto ufficiale di preparare un’offensiva bellica, ma con lo scopo effettivo di dissolvere il Consejo e le collettività rurali. Centinaia di militanti collettivisti sono arrestati e i depositi delle collettività sono occupati e presi in gestione dalle forze politiche avverse all’esperimento.

Lo stesso presidente del Consejo, Joaquín Ascaso, cugino di Francisco caduto nel luglio 1936 e di Domingo ucciso nel maggio 1937, viene arrestato.
L’intervento degli stalinisti sarà rivendicato da Lister nelle proprie memorie, pubblicate negli anni Settanta. Nei mesi successivi tutta l’Aragona diventa una retroguardia molto vicina al fronte, che si estende attorno a Teruel, e la zona è militarizzata a tutti gli effetti. Nel marzo del 1938 giunge il Corpo Truppe Volontarie italiano e tutta l’Aragona cade in mano ai franchisti e ai loro alleati. Un resoconto vivo dell’occupazione dei villaggi già collettivizzati, tra cui la nota Cretas, sarà fornito da Davide Lajolo, al tempo capitano volontario della Divisione Littorio, che ricorda un colloquio con una giovane orgogliosa, malgrado la sconfitta, di aver vissuto quell’esperienza [7].
Nelle altre regioni a produzione agricola collettivizzata il governo, attraverso il ministero competente gestito dai comunisti, conduce una politica di sostegno alla piccola proprietà e di boicottaggio delle collettività, sia direttamente che attraverso l’intervento dell’Instituto de Reforma Agraria. L’evoluzione negativa della guerra, con l’avvicinarsi del fronte e la progressiva militarizzazione dei giovani richiamati alla leva, e dell’intera società rende sempre più ardua la vita delle collettività e ne accelera il declino.
Nel bilancio delle collettività non si possono valutare solo le questioni economiche, peraltro complessivamente positive date le circostanze molto sfavorevoli, bensì va preso in esame anche il loro significato sociale. La crisi delle istituzioni repubblicane, in primis quelle repressive, è stata una conseguenza diretta della risposta popolare al golpe. Senza l’ostacolo dell’apparato poliziesco, in molti villaggi si è prodotta, con modalità più o meno spontanee, una mobilitazione economica, politica e ideale che in contesti precedenti era durata molto poco in quanto subito soffocata dallo Stato. I vecchi legami di subordinazione alle classi dominanti si sono dissolti e, per molti mesi, le classi subordinate, spesso armate, hanno sperimentato forme inedite di autogestione della produzione e dell’intera società, grazie anche alla spinta, o alla pressione, di militanti locali formatisi all’interno dei sindacati, per lo più a Barcellona [8].

Bilanci dei quattro ministri tra fallimenti e realizzazioni
Le riflessioni politiche pubbliche sull’insolita esperienza governativa si svolgono in alcuni incontri, promossi dalla CNT – FAI , nell’estate del 1937 a Valencia. Vi partecipano sia i militanti di base che i quattro leader ex ministri. Nei rendiconti presentati si parte da un punto particolarmente negativo: la fuga del governo da Madrid, il 7 novembre 1936, un paio di giorni dopo la sua nascita.

Secondo García Oliver, la CNT era stata chiamata a far parte di un’istituzione repubblicana che stava fuggendo proprio per evitare proteste e ribellioni da parte dei combattenti madrileni. I ministri libertari si sarebbero opposti a tale scelta, anche secondo la Montseny. Per Peiró invece c’era stato un sostanziale accordo. A ogni modo, quando il corteo governativo era stato fermato all’uscita orientale di Madrid da un gruppo di miliziani, appena tornati dalla sanguinosa battaglia di Sigüenza, l’intervento personale dei ministri CNT – FAI aveva evitato conseguenze più gravi.
Tra i resoconti degli ex ministri, quello di Juan López, assegnato al ministero del Commercio, appare come il più negativo. Nella scelta dei collaboratori riesce a prendere decisioni rapide e qualificate: oltre ad altri militanti cui affida incarichi di rilievo, nomina direttore generale del Commercio interno Horacio Prieto, già segretario della CNT e principale sostenitore della collaborazione istituzionale. In fin dei conti López si sente un apprendista dell’arte del gestire la macchina pubblica e, malgrado qualche decreto contro l’aumento dei prezzi, non riesce a realizzare nessuno degli importanti obiettivi desiderati. Il boicottaggio del ministero delle Finanze, gestito dal socialista di destra Juan Negrín, insieme alle resistenze a livello governativo e burocratico di quanti non vogliono mettere in discussione il sistema capitalista, rendono vani i suoi sforzi di rinnovamento. In realtà López si identifica in pieno con le tre principali finalità perseguite da Largo Caballero: creare l’Ejército Popular, mettere ordine nella vita politica del paese, sconvolta dal golpe, in nome dell’«unità e della disciplina politica», giungere a stabilire per legge una forte «unità economica posta assolutamente al servizio della guerra» [9] . Gli riesce invece, stavolta senza boicottaggi e anzi con vari appoggi, ad aprire un ufficio commerciale spagnolo nell’ URSS , che intensifica gli scambi con lo Stato dominato da Stalin. Concluso l’incarico ministeriale, López parte come portavoce della Repubblica per un giro propagandistico negli Stati Uniti e in Messico. Tornato dopo una lunga assenza, viene eletto, negli ultimi giorni della Repubblica, segretario del Movimiento Libertario ( CNT , FAI , FIJL ). La fine della guerra lo trova in Francia, dove si è recato per una missione, e da qui si dirige verso l’esilio in Messico. (Nel 1967 tornerà in Spagna con l’intenzione di cercare uno sbocco per il sindacalismo libertario, ma lo farà attraverso un’irrealistica collaborazione con elementi «sinceri» del sindacalismo falangista).

Un ex terrorista alla Giustizia
Joan García Oliver sostiene, nel suo bilancio pubblico, di aver realizzato non poche conquiste nei mesi passati da ministro della Giustizia. In un certo senso, si era già trovato in quell’ambiente avendo frequentato a lungo le aule di tribunale come imputato e le prigioni come detenuto. Nelle circostanze scaturite dal 19 luglio 1936, cerca di mettere a frutto gli anni di involontario passaggio dentro il meccanismo giudiziario e il sistema carcerario. Così, il 24 novembre 1936 emana un decreto che prevede la possibilità di difesa diretta da parte dell’imputato a tutti i livelli dell’iter giudiziario, un modo per esautorare gli avvocati, categoria di cui García Oliver diffida profondamente. Poche settimane dopo si occupa di punire chi specula sui bisogni indotti dalla guerra con l’accaparramento dei beni di prima necessità e con il mercato nero. Il 22 dicembre il ministro ex galeotto decide di abolire tutte le condanne penali per reati precedenti il 15 luglio 1936, allo scopo di cancellare la discriminazione classista subita dai condannati a causa delle condanne ricevute in precedenza. In effetti, prima dell’estate 1936, i condannati erano quasi tutti membri delle classi subalterne costretti a delinquere per pure ragioni di sussistenza. Una volta entrati nel circolo punitivo, questi pregiudicati, in realtà «criminali per necessità», ricevevano ulteriori pesanti condanne in base a quelle già accumulate, e il vortice diventava sempre più travolgente e insopportabile. Secondo García Oliver, il suo provvedimento costituisce un passo avanti verso una Spagna proletaria vincente che estromette la Spagna borghese.
A fine gennaio 1937 viene approvata un’amnistia totale che apre ulteriormente le carceri già abbandonate da molti detenuti liberati dalle azioni dirette del proletariato dopo il 19 luglio 1936. Alcune prigioni sono subito demolite, come quella femminile di Barcellona, mentre la documentazione giudiziaria e carceraria è spesso data alle fiamme nelle piazze. Una motivazione per l’amnistia è quella dell’equità territoriale, in quanto non in tutte le regioni repubblicane le porte delle prigioni erano state aperte dall’iniziativa popolare. Una seconda motivazione è quella di dare la possibilità ai detenuti di riscattarsi di fronte alla società inserendosi nelle milizie e contribuendo alla difesa della rivoluzione che li aveva liberati. È il caso, molto noto, della Columna de Hierro. Anche per molti altri militanti anarchici, quasi tutti dei ceti più poveri, la detenzione non era un’esperienza eccezionale bensì normale e a suo modo formativa. Infatti l’alfabetizzazione avveniva di frequente nelle celle dei detenuti più istruiti. Questo era stato il caso di Joan Peiró che, dopo aver scontato una condanna per motivi politici, da analfabeta diventa prima collaboratore e poi perfino direttore, negli anni Trenta, di vari fogli anarcosindacalisti. L’etichetta di «Università proletaria» per le carceri non era una definizione paradossale, bensì reale. Su questo terreno, i prigionieri politici solidarizzavano spesso con i condannati per delitti cosiddetti comuni che consideravano «compañeros de infortunio» [10]. (È peraltro curioso e indicativo che il primo Manifesto diffuso in Spagna nel 1869 dalla Prima Internazionale fosse diretto proprio agli «Hermanos en el Infortunio»).
Un’altra iniziativa nella quale García Oliver si riconosce sempre è quella dei campi di lavoro per detenuti fascisti o sospetti tali. L’idea si accompagna a una politica di relativa umanizzazione della vita nei campi e prevede la possibilità di recuperare forme di libertà attraverso l’educazione. La «coercizione morale» è un’idea libertaria di centrale importanza e costituisce un’alternativa umana alla pura repressione del «criminale». García Oliver difende questi campi, dove si puntava alla «redenzione» del fascista detenuto, ricordando che in ogni caso egli aveva esplicitamente previsto l’abolizione di ogni forma di tortura. La misura dei campi di lavoro si giustifica con una doppia finalità: utilizzare le energie fisiche dei condannati ostili al nuovo regime, nonché sottrarli alle esecuzioni di massa, le sacas, che hanno caratterizzato le prime settimane dopo la sconfitta del golpe. Particolarmente importante nel frenare e poi bloccare le esecuzioni di massa partite dalle carceri madrilene è la determinazione di un nuovo direttore del sistema penitenziario, l’anarchico sivigliano Melchor Rodríguez, nominato il 4 dicembre 1936. Egli ha già sintetizzato il proprio pensiero nella frase: «Si può morire per l’Idea, mai uccidere». In precedenza, per evitare che molti detenuti fascisti, in buona parte militari di professione di basso rango, potessero godere della eventuale caduta della capitale e unirsi alle fila dell’esercito franchista, dalle galere di Madrid erano stati fatti uscire un paio di migliaia di detenuti con la motivazione ufficiale di un trasferimento in carceri più lontane dal fronte. In realtà militari e civili, che avrebbero potuto costituire la Quinta Colonna propagandata dai golpisti, erano stati fucilati nei pressi della città e seppelliti in fosse comuni [11] . Appena nominato, Melchor Rodríguez impedisce, armi alla mano, che si continui nella pratica delle sacas, al punto che i prigionieri antirepubblicani lo definiscono «El Ángel Rojo» [12]. In occasione del primo anniversario della morte di Durruti, che cade il 20 novembre 1937, García Oliver, ex militante dei gruppi di azione e ora anche ex ministro, rivendica le proprie azioni armate dei primi anni Venti in un discorso dai toni perentori ed esaltati che tiene sulla tomba barcellonese del compagno di lotta. All’epoca, secondo le sue parole infiammate, anarchici decisi a tutto avevano vinto nella lotta all’ultimo sangue contro i sicari del padronato, i funzionari di polizia e gli esponenti più in vista del dominio reazionario. Qualche mese prima, a Valencia nel giugno 1937, lo stesso García Oliver ha pronunciato un discorso pieno di orgoglio per il proprio impegno quale ministro della Giustizia. Tra l’altro, la carica che ricopre in quel periodo riguarda direttamente la detenzione di un gruppo di anarchici italiani arrestati, nel febbraio 1937 nei pressi di Valencia, da una pattuglia agli ordini del PCE : sono accusati di essere agenti fascisti e detenuti in un carcere speciale dello stesso partito. La necessità di una soluzione istituzionale a una situazione così rischiosa è talmente evidente ai dirigenti CNT – FAI di Valencia che convincono uno degli arrestati, l’anarchico triestino Umberto Tommasini, a ritornare in carcere dopo essere riuscito a fuggire [13] .

Continua nell’Undicesima Parte

Note al capitolo
[7] D. Lajolo, Il «Voltagabbana». Una vita intensamente vissuta alla ricerca della libertà, Mondadori, Milano, 1976.
[8] L’analisi più robusta è ancora quella di W. Bernecker, Colectividades y revolución social, Crítica, Barcelona, 1982. Per una rassegna si veda C. Venza, Il sogno collettivista, «Spagna contemporanea», a. 1, n. 1, 1992.
[9] D. Marín, Ministros anarquistas. La CNT en el Gobierno de la II República: 1936-1939, Random House-Mondadori, Barcelona, 2005, pp. 229-230.
[10] Ivi, p. 215.
[11] J. Casanova in S. Juliá (cur.), Víctimas de la guerra civil, Temas de hoy, Madrid, 1999.
[12] È uscita da poco una biografia romanzata di A. Domingo, El ángel rojo, Almuzara, Córdoba, 2009.
[13] C. Venza (cur.), Umberto Tommasini. L’anarchico triestino, Antistato, Milano, 1984, pp. 368-369.

Pubblicato in Estratti di Libri | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Decima Parte

Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Nona Parte

Ottava Parte

 

V. Mayo sangriento: Barcellona 1937 e dopo

 

Una tempesta prevedibile
I «fatti di maggio», cioè lo scontro armato dentro il campo antifascista, non sono un fulmine a ciel sereno. Le avvisaglie di una crescente tensione si ritrovano, oltre che nelle uccisioni di La Fatarella di fine gennaio 1937, in un paio di incidenti nei quali muoiono due importanti esponenti delle tendenze contrapposte: CNT – FAI e POUM da un lato e PSUC ed ERC dall’altro. Il 25 aprile viene ucciso, in circostanze oscure, Roldán Cortada, esponente della UGT , del PSUC ed ex della CNT (ala treintista); due giorni dopo è la volta, nel villaggio di Puigcerdà sui Pirenei, di Antonio Martín, noto militante anarchico, che cade in un conflitto con la polizia della Generalitat.
Sempre in aprile esplodono le proteste della popolazione per le carenze alimentari, e ciò aumenta il senso di precarietà e di tensione causato soprattutto dai primi bombardamenti dell’aviazione legionaria italiana, che procurano decine di morti e notevoli distruzioni. Il Primo Maggio, tradizionale appuntamento internazionale dei movimenti dei lavoratori, non vede alcun corteo o altre iniziative di massa che, nel clima già acceso, avrebbero potuto dar luogo a provocazioni e ulteriori scontri violenti.
In quei giorni la Generalitat rinnova un ennesimo pressante invito alle Patrullas de Control delle organizzazioni operaie affinché consegnino le armi al nuovo servizio di sicurezza unificato e posto ai suoi ordini. La convinzione prevalente nella base lavoratrice è ben espressa da un articolo apparso su «Solidaridad Obrera» il 2 maggio: «Compagni, le armi valgono più dei discorsi!», cui fa seguito il coerente rifiuto da parte del «popolo in armi». Di fatto, le Patrullas continuano a operare e rendono nulla l’ingiunzione del governo catalano, al quale ricordano che quelle armi sono state conquistate a costi umani molto elevati il 19 luglio 1936 e che esse garantiscono un potere reale e non delegato, nemmeno tramite la CNT – FAI , ai vertici istituzionali. Da tempo le forze che si oppongono alle collettivizzazioni e in genere alla rivoluzione in atto hanno trovato nel PSUC il proprio referente politico. Questo partito è sorto a Barcellona nel luglio 1936 subito dopo la vittoria sul golpe, alla quale i suoi aderenti hanno partecipato molto poco, ed è cresciuto prepotentemente mese dopo mese. L’ingresso nel governo autonomo catalano gli procura inizialmente pochi posti, ma ben presto il suo spazio si espande sfruttando la popolarità dell’Unione Sovietica, l’unico paese importante ad appoggiare la Repubblica e a sbarcare nel porto catalano una certa quantità di viveri, oltre che di armi.
Il PSUC diventa in breve il referente cruciale dell’ URSS per mettere sotto controllo la situazione rivoluzionaria in Catalogna, territorio dove l’anarcosindacalismo e, sia pure in misura molto minore, il marxismo non stalinista hanno una considerevole influenza sulle masse dei lavoratori. Entrambi si permettono oltretutto di attaccare l’immagine e la politica del Cremlino, in particolare denunciando i processi staliniani in corso nel 1936. Tali critiche, che accomunano la dissidenza marxista a settori della più potente CNT , danno molto fastidio allo Stato sovietico che si presenta come la «patria del socialismo». Per sottolineare la funzione strategica del PSUC , la Terza Internazionale fa un’eccezione al principio di riconoscere un solo partito in ogni paese e concede il crisma di membro dell’Internazionale anche a questo promettente partito in cui, al di là del nome di «socialisti unificati», i comunisti dispongono di una netta egemonia.
La «guerra fratricida» tra antifascisti inizia il 3 maggio quando un gruppo di poliziotti della Generalitat, al comando di Rodríguez Salas, ufficiale appartenente al PSUC , attacca il palazzo della Telefonica nella centrale Plaza de Catalunya. Lo scopo dichiarato è insediare il delegato nominato dal governo di Companys quale responsabile della gestione di un prezioso servizio che detiene un potere di fatto. Da tempo circola la voce, verosimile, che una telefonata del presidente della Repubblica Manuel Azaña sia stata ostacolata da un centralinista cenetista che avrebbe beffato la massima personalità politica. L’offesa costituirebbe la goccia che fa traboccare il vaso già colmo della «pazienza» di Companys, che si lamenta di fronte all’indisciplina di buona parte dei militanti anarcosindacalisti. Ma l’episodio, o la sua rappresentazione, può essere letto anche come il simbolo dell’insofferenza del potere istituzionale nei confronti di un potere reale che conta sul controllo di punti strategici, quale appunto la Centrale Telefonica. Questa sede, occupata dopo un’aspra lotta dai combattenti della CNT , è gestita in regime di collettività da un suo Comité, con qualche delegato della UGT in posizione subordinata. Per molti militanti della CNT – FAI è una conquista, raggiunta il 19 luglio 1936, da non perdere.
I lavoratori armati della Telefonica si barricano nei piani superiori, mentre la polizia autonoma resta al pianoterra. La notizia circola subito nei quartieri popolari della città e in poche ore esplode uno sciopero generale spontaneo: vengono innalzate decine di barricate, simili a quelle del 19 luglio, attorno alle quali le sparatorie si moltiplicano.
Una parte notevole degli aderenti alla CNT – FAI ritiene che sia venuto il momento di porre un freno all’espansionismo del PSUC , che conta sull’alleanza con l’ ERC . Gli appelli alla calma e alla fiducia lanciati dai vertici politici e sindacali nel corso delle trattative per «risolvere l’incidente» lasciano perplessi. Alla radio si alternano, per un paio di giorni, i proclami dei leader autonomisti e comunisti affiancati a quelli dei dirigenti anarcosindacalisti. Tra questi ultimi si sentono le voci di due ministri catalani della CNT ritenuti esponenti di punta dell’anarchismo irriducibile: García Oliver e Montseny. Tutti si dicono favorevoli a porre fine alla lotta, a smantellare le barricate e a tornare al lavoro e alla calma, con la promessa che i responsabili della provocazione poliziesca alla Telefonica sarebbero stati rimossi. Ormai i morti si contano a decine e giungeranno, in tutta la Catalogna, a più di 300 [1] . Il 5 maggio si spara vicino alle sedi delle organizzazioni e si registra l’uccisione di due esponenti di primo piano delle parti in conflitto. Antoni Sesé, segretario generale della UGT e dirigente del PSUC , non riesce a prendere possesso del posto di neoministro della Generalitat in quanto cade vicino al Sindicato de la Industria del Espectáculo della CNT ; Domingo Ascaso, fratello maggiore di Francisco, l’eroe caduto il 20 luglio 1936, è colpito a morte un paio di ore dopo Sesé.
Nel frattempo il governo Largo Caballero si appropria dei servizi di ordine pubblico e di difesa della Generalitat, sopprimendo le cariche autonome catalane, manda un paio di navi da guerra nel porto e prepara la spedizione di migliaia di Guardias de Asalto per ristabilire il controllo istituzionale e l’ordine pubblico. La mattina del 6 maggio sono rinvenuti anche i corpi di Camillo Berneri e di Francesco Barbieri nei pressi di Plaça Sant Jaume, vicino alla sede del governo autonomo. Gli appelli a cessare le sparatorie ottengono infine l’effetto desiderato, e se qualche scontro continua, nel complesso l’intensità e la gravità diminuiscono sensibilmente. Un gruppo di radicali, sia libertari che marxisti, che si denomina Los Amigos de Durruti [2] cerca di innescare un movimento rivoluzionario contro la linea rinunciataria delle burocrazie delle organizzazioni libertarie, ma l’intento riesce a sopravvivere solo alcuni giorni. Il 7 maggio, secondo la Generalitat, riprende il lavoro nelle fabbriche e negli uffici, oltre che nei trasporti pubblici. La conclusione viene salutata come una vittoria dal PSUC , evidentemente consapevole dei rischi corsi in quei giorni, mentre la CNT – FAI dichiara che le convulse giornate sono terminate senza vincitori né vinti. In realtà non è facile per i leader anarchici fare un bilancio di questo tragico conflitto che mette a nudo i limiti e le contraddizioni della collaborazione in nome della guerra antifascista. Il progressivo aumento di influenza da parte di formazioni, come il PSUC e la ERC , che il 19 luglio 1936 sembravano contare assai poco, e ciò a scapito dei punti di forza dei libertari, comporta un giudizio assai negativo sulla scelta della dirigenza CNT – FAI di non spingere a fondo lo slancio rivoluzionario, quanto meno in Catalogna [3] . D’altra parte, come ribadito più volte, il confronto non si svolge solo nella regione più ricca, più moderna e più libertaria della Spagna.
Il maggio 1937 provoca l’irreversibile crisi della partecipazione anarchica al governo di Largo Caballero. Il dirigente socialista, espressione della UGT , è messo in difficoltà dalla pressante richiesta dei ministri del PCE di decretare lo scioglimento del POUM , accusato di «spionaggio a favore del nemico» e di essere «l’ispiratore del putsch criminale di Catalogna» [4] . L’ex dirigente sindacale, a suo tempo osannato dagli stalinisti come il «Lenin spagnolo», non vuole accogliere questa richiesta e si dimette. Due giorni dopo, su immediata designazione di Azaña, è nominato un nuovo governo presieduto ancora da un socialista, Juan Negrín, ma stavolta proveniente dalla corrente di Indalecio Prieto, responsabile delle strutture organizzative e burocratiche del PSOE e quindi rivale di Largo Caballero. Al di là dell’etichetta di socialista, il dottor Negrín, secondo molti esponenti della CNT – FAI , è invece più che disposto a cedere alle pressioni del PCE – PSUC per eliminare il marxismo dissidente.

Caccia ai rivoluzionari dissidenti
Dopo la sospensione del quotidiano «La Batalla», la chiusura delle sedi e l’espulsione dagli organi di governo locali, il 16 giugno 1937 si procede a Barcellona all’arresto in blocco del Comité Ejecutivo del POUM , compreso il segretario Andreu Nin, già membro del governo della Generalitat.

L’obiettivo per i comunisti stalinisti, sulla scia dei contemporanei processi di Mosca, è di ottenere delle piene confessioni dagli imputati di spionaggio, in particolare dalla personalità più in vista, il catalano Nin. Questi, dopo aver esaltato la rivoluzione russa nei primi anni Venti e aver poi attaccato l’accentramento del potere nelle mani di Stalin e la repressione contro i vecchi bolscevichi, era scappato dall’URSS per sfuggire alla polizia sovietica. Gli interrogatori cui viene sottoposto, in prigioni gestite direttamente e segretamente dal PCE , sono particolarmente duri, ma Nin sembra non cedere. Gli inquisitori continuano a torturarlo per fargli dichiarare la propria colpevolezza, secondo la prassi collaudata in Unione Sovietica nei processi ai «controrivoluzionari». Come in altri casi simili, l’inutile interrogatorio porta alla morte o alla impossibilità di presentare l’imputato in un pubblico processo. La delicata questione è risolta con una pratica già sperimentata: si finge la sua liberazione da parte di una squadra nazista e il corpo sparisce nella campagna madrilena. A chi scrive sui muri: «¿Donde está Nin?», i comunisti filomoscoviti rispondono «¡Está en Burgos o en Berlín!», le capitali dei nemici franchisti e nazisti. In tempi recenti, ricerche condotte nell’archivio della KGB a Mosca hanno confermato che tanto questa quante altre sparizioni erano direttamente guidate dal Cremlino. Il processo agli altri dirigenti del POUM si tiene nell’ottobre 1937 e termina con l’assoluzione dall’accusa di spionaggio e tradimento, ma con una condanna per aver provocato gli scontri del Mayo sangriento [5].
A Barcellona, e non solo, dopo la fine dello scontro armato le istituzioni repressive procedono a centinaia di arresti tra i militanti più radicali. Si crea una situazione paradossale. La CNT apparentemente mantiene quasi intatta la sua forza: le colonne armate confederali sostengono una parte non secondaria dello sforzo bellico, le collettività industriali e rurali continuano a funzionare grazie alla forte influenza anarchica, i sindacati sono in piena attività. Contemporaneamente, però, centinaia di militanti, se non migliaia, vengono arrestati con accuse infamanti come aver rubato o ucciso sotto la protezione sindacale. E i reati sarebbero stati compiuti anche nelle prime fasi della risposta armata popolare al tentativo di golpe. Per avere un’idea della dimensione del fenomeno, si tenga conto che nel carcere di Tortosa, nel sud della Catalogna, a fine giugno 1937 risultano detenuti da alcune settimane circa 300 militanti.
La risposta della CNT catalana avviene a due livelli: promuovere la costituzione, dentro e fuori le carceri, di Comité pro Presos di sostegno ai detenuti e la formazione, decisa dal Comité Regional, di un’apposita Comisión Jurídica diretta dall’avvocato Eduardo Barriobero, repubblicano vicino alla CNT e difensore in molti processi prima del 1936. In effetti la Comisión sconta la progressiva perdita di potere reale del sindacato e poco può fare a favore dei «prigionieri antifascisti» che aspettano per lungo tempo lo svolgimento dei relativi processi pubblici. Funzionari delle carceri e degli uffici giudiziari rispondono con sufficienza e genericità, impensabili prima del maggio 1937, alle richieste di notizie precise sui contenuti delle accuse e sulle detenzioni in atto. La situazione pare bloccata al punto che alcuni sindacati criticano la «commissione fantasma» e giungono al punto di organizzare evasioni contando sulla complicità dei dipendenti dalla struttura carceraria, nominati al tempo in cui García Oliver era ministro della Giustizia. Alcuni detenuti liberati in modo illegale vengono poi fatti fuggire anche da Barcellona e trovano protezione nelle colonne confederali al fronte.
All’interno dei vari organismi della CNT si svolgono accesi dibattiti sul modo di operare in difesa dei detenuti, che spesso sono accusati di reati del tutto pretestuosi. I vertici sindacali si mostrano particolarmente restii a proteggere i militanti della CNT che si sono più esposti negli scontri del maggio 1937, i quali restano per lo più senza appoggi organizzativi ufficiali fino al dicembre 1937.

In una riunione del Comité Regional di quel periodo la mozione finale riconosce corretta la posizione del Comité Jurídico contrario alla difesa degli elementi estremisti, anche se tesserati CNT , e delega l’eventuale impegno solidale ai singoli sindacati che lo sceglieranno sotto la propria responsabilità.
Dalle prigioni, in particolare dalla Modelo di Barcellona, vengono spedite numerose lettere di protesta agli organismi istituzionali e ai Comité della CNT . In genere si minacciano forme di lotta aperta nel caso di mancati interventi protettivi o di non rispetto dei diritti dei «prigionieri antifascisti» [6] . Il segretario della CNT catalana, Josep Doménech, incontra il ministro della Giustizia della Generalitat per ottenere il permesso di visitare i militanti incarcerati, i quali sono peraltro sul punto di scatenare una rivolta. Dopo un paio di giorni, oltre 200 detenuti ritenuti «pericolosi» sono trasferiti d’urgenza in altre prigioni della regione e per qualche mese la situazione resta sotto il controllo delle autorità. In seguito a varie forme di protesta, dallo sciopero della fame alla distruzione di arredi, cui partecipano anche volontari internazionali incarcerati, 800 detenuti di varie tendenze politiche vengono spostati nella nuova residenza carceraria del centro di Barcellona, da poco inaugurata, e nei campi di lavoro dei dintorni. È quest’ultima soluzione quella che, nel corso del 1938, permette di disinnescare le rivolte carcerarie, con l’accordo della CNT che riesce a ottenere molte scarcerazioni.

Continua nella Decima Parte

Note al capitolo
[1] P. Pagès, Cataluña en guerra…, cit., p. 209. Altre fonti stimano in circa 500 i morti del maggio 1937.
[2] M. Amorós, La revolución traicionada. La verdadera historia de Balius y Los Amigos de Durruti, Virus, Barcelona, 2003.
[3] C. Semprun Maura, Libertad!, Elèuthera, Milano, 1996.
[4] P. Pagès, Cataluña en guerra…, cit., pp. 211-213.
[5] Il tema scottante del maggio 1937 produce tuttora nuove opere. Recentissima è quella densa ed «equidistante» di F. Gallego, Barcelona, mayo de 1937, Debate, Barcelona, 2007. Tra le «schierate» ricordiamo almeno l’antologia Barcelona, mayo 1937. Testimonios desde las barricadas, Alikornio, Barcelona, 2006 e A. Guillamón, Barricadas en Barcelona, Spartaco Internacional, s.l., 2007. Intenti di riflessione ideologica sul maggio e sulla linea politica della sinistra rivoluzionaria si trovano nel lavoro di G. Munis, Lezioni di una sconfitta, promessa di vittoria, Lotta Comunista, Milano, 2007. Per difendersi dall’accusa di aver progettato e gestito il complesso piano del sequestro, dell’interrogatorio e della sparizione di Nin, il comunista triestino Vittorio Vidali rinvia alla normalità delle eliminazioni staliniane: «Perché mai avrei dovuto organizzare quella messa in scena? In quell’epoca se si doveva fucilare un anarchico o un poumista lo si faceva senza tante storie. Figuriamoci poi se avevano bisogno di me». In G. Bocca, Palmiro Togliatti, Laterza, Roma-Bari, 1973, p. 301.
[6] F. Godicheau, La guerre d’Espagne. République et révolution en Catalogne (1936-1939), Odile Jacob, Paris, 2004, pp. 297-328.

Pubblicato in Estratti di Libri | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Nona Parte

Stringere la cinghia

 

Articolo di Manizha Bulochkina. Pubblicato su “Zhenskaya pravda”, n. 9, 22 Agosto 2022

Gli economisti parlano di crisi fin dall’inizio della Tragedia (la guerra russo-ucraina, ndt).

Indirettamente lo vediamo noi stessi: secondo Rosstat, sono quasi raddoppiati i prezzi di alcuni prodotti alimentari e per l’igiene (ad esempio gli assorbenti).

[A differenza mia e tua], non tutti potranno restringere le proprie pretese.

Ad esempio, il Ministero delle Situazioni di Emergenza: a causa delle sanzioni, ha dovuto affrontare una carenza di attrezzature, componenti e persino dispositivi di protezione personale per i vigili del fuoco e i soccorritori (la quota dei componenti stranieri è del 100%).

Uguale per il mercato automobilistico: le vendite di autovetture sono diminuite del 74,9%, il che a lungo termine significa che centinaia di migliaia di posti di lavoro andranno persi.

Secondo i sondaggi, a seguito della Tragedia, il 45% dei datori di lavoro è stato costretto a licenziare i dipendenti a causa della conversione o della chiusura dell’attività.

Tutte le speranze sullo Stato! Essi troveranno [un modo] come negoziare.

Ad esempio, le autorità afghane, ora rappresentate dai Talebani (un’organizzazione terroristica bandita dalla Federazione Russa), hanno proposto di ricevere prodotti petroliferi barattandoli con uvetta, frutta secca, erbe medicinali e minerali.

Le entrate di quest’anno nel bilancio russo, grazie all’esportazione di idrocarburi, sono state di 771 miliardi di rubli.

[Nonostante le entrate] per la prima volta siano scese al di sotto del livello rispetto al 2021, il governo è determinato!

Il bilancio di previsione risparmierà sulle pensioni: il Ministero del Lavoro ha proposto di rifiutare di aumentare le pensioni cumulate.

Secondo Rosstat, [a causa della] Tragedia i pensionati hanno ricevuto una pensione media di 16.900 rubli. (pari a 278 euro, ndt)

L’impennata dell’inflazione ha portato al crollo delle pensioni reali, un situazione [che non si vedeva] dalla fine degli anni novanta.

Pubblicato in Articoli | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Stringere la cinghia