Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Undicesima Parte

Decima Parte

Una scrittrice alla Sanità
Meno ottimista nel valutare il proprio intervento a livello ministeriale è Federica Montseny, la prima donna ministro in Spagna e tra le prime in Europa. In quanto figlia di due noti militanti quali Federico Urales e Soledad Gustavo, giovane promessa della «Revista Blanca» e oratrice della FAI capace di infiammare gli ascoltatori, sente di doversi giustificare nel suo pubblico rendiconto a Valencia. E ripete uno dei motivi consueti: impedire l’isolamento delle collettività e delle milizie, al quale aggiunge che «bisognava evitare che gli altri, alle nostre spalle, scendessero a patti con Franco». La sua sostanziale autocritica si richiama alla coerenza teorica e al valore, spesso ricorrente, dell’onore: «Magari non fossimo intervenuti, ora non ci troveremmo storicamente e ideologicamente disonorati» [14] .
Motivi di opportunità politica e diplomatica convincono invece i dirigenti della CNT – FAI a soprassedere sulla richiesta di denominare Consejo Nacional de Defensa il governo in cui si apprestano a entrare.
Largo Caballero li persuade che seguendo quella strada formale – utile solo a «scrupoli da monaca» – si sarebbe perso un punto chiave: essere il legittimo governo spagnolo scaturito dalle libere elezioni del febbraio 1936. Per compensare l’imbarazzante contraddizione ideologica di «anarchici governativi», il leader socialista promette di aiutarli nella difesa delle collettività e nella fornitura di armi alle milizie, impegnandosi anche a evitare che «i comunisti, che sono la vostra grande paura, comincino a monopolizzare tutto con il ricatto delle armi sovietiche» [15] .
Per quanto riguarda la preparazione tecnica in campo sanitario, la Montseny non possiede una competenza specifica, ma sceglie come suoi collaboratori alcuni dei medici più impegnati da tempo nel promuovere le conoscenze sanitarie tra le classi popolari. Già nel decennio precedente, donne come Amparo Poch, riviste come «Estudios» o «Ética», psichiatri sociali come Felix Martí Ibáñez avevano fondato e gestito centri di informazione scientifica divulgativa in molte città spagnole. Era questo un terreno di forte impegno libertario proiettato verso la nascita di strutture sanitarie al servizio della popolazione, in particolare di quella più povera e debole come l’infanzia e gli abitanti degli insalubri centri urbani e industriali. In Catalogna, ad esempio, la CNT – FAI aveva spinto la Generalitat a intervenire per bonificare le vallate dei fiumi dove si riscontrava un elevato inquinamento dovuto ai lavori minerari.
L’obiettivo generale della Montseny, come di molti altri militanti anarchici, è quello di contribuire – prima al di fuori e ora dentro le istituzioni – alla modernizzazione della Spagna, superando le ingiustizie sociali e allo stesso tempo l’inefficienza dell’apparato statale. Così la nuova ministra investe nella preparazione di ricercatori e di studenti di medicina e promuove viaggi e permanenze di medici repubblicani nei paesi più avanzati per apprendere le tecniche più moderne, ad esempio nella lotta alle epidemie. In questo ambito, malgrado gli inevitabili condizionamenti bellici, si riescono a evitare recrudescenze di malattie collettive. Le strutture mediche si occupano, per la prima volta, di problemi legati alle cure mentali della popolazione e logicamente dei combattenti, per i quali vengono creati appositi centri di riposo e di riabilitazione psichica.
Altro tema delicato e cruciale è quello dell’aborto, un incubo soprattutto per le giovani di condizione proletaria. Martí Ibáñez, medico appoggiato dal ministero, di cui è sottosegretario, riesce a ottenere dalla Generalitat, il 25 dicembre 1936, la delibera di una norma ad hoc redatta in pratica da lui stesso. Sarebbe stata la donna a decidere, in base alla propria libera scelta, se continuare o interrompere la gravidanza nei primi tre mesi di embarazo. La figura di Martí Ibáñez si rivela di centrale importanza in questo sforzo di mettere l’apparato e le conoscenze mediche alla portata dei ceti subalterni. Da giovanissimo, nel 1927, aveva fondato a Barcellona l’Asociación de Idealistas Prácticos, che era stata un punto di incontro e di libero confronto fra diverse tendenze del pensiero progressista e rivoluzionario. Dal gennaio 1936, e per un anno e mezzo, il suo lavoro culturale più rilevante è tenere una rubrica regolare sulla rivista «Estudios» intitolata Consultorio Psíquico-Sexual. La rubrica, che consiste in una serie di risposte libertarie a problemi concreti legati alla sessualità e ai sentimenti amorosi, è molto seguita dai lettori, libertari e non [16] . Frequenti sono inoltre le conferenze che Martí Ibáñez tiene nella struttura culturale che apporta un contributo originale al movimento: gli Ateneos Libertarios [17].

Un ex sindacalista all’Industria
L’anarcosindacalista Joan Peiró è, insieme all’anarcosindacalista Juan López, uno dei dirigenti della CNT più convinti della necessità e dell’utilità di partecipare al governo di Largo Caballero. Già nell’agosto 1936 mette in guardia contro l’infiltrazione nelle fila antifasciste di ladri e assassini che si presentano come veri rivoluzionari [18].

Allo stesso tempo fa propria fino in fondo la logica di privilegiare la guerra sulla rivoluzione, al punto che, lui sindacalista radicale da una vita, si pronuncia contro la riduzione dell’orario di lavoro nelle fabbriche (circa quaranta ore al tempo) e l’aumento del salario. Vede inoltre lo sforzo bellico come il terreno di verifica di chi vuole fare un passo avanti sulla lunga strada della rivoluzione sociale libertaria e chi intende, magari in modo incosciente, danneggiare questo faticoso processo di liberazione per ottenere vantaggi immediati.
L’unità antifascista è, per Peiró, un metodo indispensabile di lotta e di progresso, ma non per questo risparmia dure critiche ai comunisti per la loro volontà di espandere il proprio potere a danno delle altre forze. Si pronuncia quindi per la militarizzazione delle milizie in nome della inevitabile disciplina bellica. Il suo obiettivo a breve termine non è il comunismo libertario, ma una Repubblica Sociale Federale nella quale sia garantita la possibilità di autogestione alle varie regioni spagnole. Nel bilancio pubblico dell’estate 1937, esprime comunque più rammarichi che soddisfazioni per le conquiste raggiunte.
Come titolare dell’Industria cerca di dare valore legale alle conquiste dei lavoratori della CNT , ma vi riesce solo in misura minima: non ha a disposizione i fondi necessari per dare sbocchi concreti all’entusiasmo mostrato da operai e tecnici di molte industrie per rendere più efficienti gli impianti, per innovare il funzionamento produttivo, per allargare la partecipazione al lavoro delle donne. In particolare è il ministro delle Finanze, il socialista filocomunista Juan Negrín, a porre ostacoli di natura finanziaria alle proposte di Peiró, dirette al miglioramento delle condizioni sanitarie sul posto di lavoro e, più in generale, al consolidamento dei diritti degli operai. L’unico settore nel quale l’ex sovversivo anarcosindacalista riesce a operare è quello delle industrie di guerra, settore cruciale per il governo che dunque non consente ai vari ministri di applicare freni e blocchi organizzativi. Però non riesce a fermare la fuga di capitali che gli antichi padroni e i dirigenti rimasti nei Comités di fabbrica realizzano nella più assoluta impunità. Quando lascia il ministero dell’Industria, è ormai convinto che non si possa compiere alcun passo avanti effettivo per dimostrare le capacità produttive e organizzative della classe operaia, una finalità vanificata da molte forze di governo, dai repubblicani borghesi ai comunisti staliniani.
Al di là delle critiche che riceve per certe scelte moderate, Peiró resta nella tradizione dell’anarcosindacalismo una figura di grande rilievo e di assoluta coerenza. Arrestato in Francia, dove è andato in esilio, nel 1941 viene consegnato alla polizia franchista, che lo sottopone a torture, ma anche a tentativi di corruzione: al nuovo e poco credibile sindacalismo falangista avrebbe fatto comodo avere una sua dichiarazione di consenso. Poche parole gli avrebbero salvato la vita. Viene processato e fucilato nel 1942 proprio per essere rimasto un rivoluzionario libertario e umanista, dimostrando di avere una personalità che poteva essere sconfitta ed eliminata, ma non piegata o strumentalizzata. [19]

Fine V Capitolo

Continua nella Dodicesima Parte

Note al capitolo
[14] D. Marín, Ministros…, cit., p. 173.
[15] Ivi, p. 215. La biografia più analitica è di S. Tavera, Federica Montseny. La indomable (1905-1994), Temas de hoy, Madrid, 2005. Una selezione di opere in P. Gabriel, Escrits polítics…, cit.
[16] Un volume introduttivo è J.V. Martí, A. Rey (cur.), Antología de textos de Felix Martí Ibáñez, Generalitat Valenciana, Valencia, 2004.
[17] Il lavoro più approfondito è quello di J. Navarro, Ateneos…, cit.
[18] La componente individualista è stata finora poco considerata negli studi sull’anarchismo spagnolo. Di recente è uscito un sostanzioso volume di X. Diez, El anarquismo individualista en España (1923-1938), Virus, Barcelona, 2007.
[19] J. Peiró, Perill a la reraguarda, Alta Fulla, Patronat Municipal de Cultura de Mataró, Barcelona, 1987. Un’antologia di Peiró in P. Gabriel, Escrits de Joan Peiró, 1917-1939, Ediciones 62, Barcelona, 1975

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