Normalizzare il regime di Bashar al-Assad. La Siria, la Lega Araba e il processo controrivoluzionario

Traduzione dall’originale “Normalizing Bashar al-Assad’s Regime. Syria, the Arab League, and the Counter-Revolutionary Process

Articolo scritto da Joseph Daher, studioso e socialista svizzero-siriano. È autore di “Hezbollah: The Political Economy of the Lebanon’s Party of God” (2016) e “Syria after the Uprisings: The Political Economy of State Resilience” (2019).

La Lega Araba, dopo aver imposto la sospensione e l’isolamento della dittatura di Bashar al-Assad negli ultimi dodici anni, ha votato per reintegrarla nuovamente tra i suoi membri il 7 Maggio 2023. Poi, il 19 Maggio, Assad è stato incluso nel vertice della Lega a Gedda, in Arabia Saudita, ospitato dal principe ereditario e primo ministro del Regno dell’Arabia Saudita, Mohammed Bin Salman (MBS).

MBS ha dichiarato di essere “felice di dare il benvenuto al presidente Bashar al-Assad”, auspicando come “il ritorno della Siria nella Lega Araba porti alla fine della crisi siriana” e che si volti pagina da questi “dolorosi anni di [guerra civile]”. Durante il suo discorso al vertice, Assad, prima di incontrare MBS, ha chiesto “un’azione araba congiunta per la solidarietà, la pace nella regione, lo sviluppo e la prosperità invece della guerra e della distruzione”.

All’inizio dello stesso giorno ha stretto la mano al presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi, ha incontrato il suo omologo tunisino Kaïs Saïed e il vicepresidente emiratino, lo sceicco Mansour ben Zayed. Mentre gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno sostenuto la normalizzazione di Damasco dal 2018 e, secondo quanto riferito, hanno invitato Bashar al-Assad alla COP28, l’Arabia Saudita ha svolto un ruolo chiave nel far ritornare la Siria dentro la Lega. L’Arabia Saudita ha accelerato il processo dopo il terremoto, aprendo dei colloqui con l’Iran – e culminati col ripristino ufficiale dei legami diplomatici, mediati dalla Cina, tra Teheran e Riyad. L’Arabia Saudita e gli altri Stati arabi hanno ridimensionato l’isolamento di Assad col fine di stabilizzare la regione [e metterla] sotto il loro dominio autoritario collettivo [- il cui impianto societario] è brutalmente disuguale

Nessuna concessione da Damasco

Damasco non ha fatto alcuna concessione reale in cambio del suo ritorno nella Lega Araba. I membri della Lega, pur non richiedendolo, si aspettavano che Assad consentisse il ritorno [senza incarceramenti] dei rifugiati siriani, creasse un processo politico credibile tale da avviare le elezioni e adottasse misure per fermare il contrabbando di narcotici dalla Siria ai Paesi vicini.

Dovremmo essere scettici su queste aspettative, in quanto sono in gran parte di facciata. Il regime di Assad non ha intenzione di realizzare nessuna di queste aspettative. Proprio di recente, l’Access Center for Human Rights ha documentato che il suo regime pagava dei contrabbandieri di esseri umani tra i 150 e i 3000 dollari a persona per riportare in Libano quei rifugiati siriani [rientrati dopo essere stati espulsi dalle autorità] di Beirut.

Gli altri Stati arabi non eserciteranno di certo alcuna pressione su Damasco riguardo le aspettative di democratizzazione – specie perché questi non sono “fari della democrazia”, per non dire altro. Sono poco interessati al benessere delle classi popolari nei loro Paesi, figuriamoci in Siria. Queste aspettative sono destinate principalmente agli Stati Uniti e agli Stati europei.

Gli Stati Uniti hanno ufficialmente denunciato la normalizzazione di Assad, ma non sono riusciti a impedire agli Stati della regione di riallacciare i legami con Damasco. Tuttavia, una nuova proposta di legge introdotta nel Maggio 2023, denominata “Assad Regime Anti-Normalization Act of 2023”, cerca di ampliare l’elenco delle sanzioni presenti nel Caesar [Syria Civilian Protection Act], includendo tutti i membri del parlamento siriano, i membri di spicco del partito Baath al potere e i responsabili dei dirottamenti degli aiuti umanitari internazionali.

Il disegno di legge prende anche di mira uno sforzo sostenuto dagli Stati Uniti nell’inviare elettricità dalla Giordania e gas dall’Egitto in Libano, attraverso un gasdotto transnazionale che passa dalla Siria. Il governo siriano riceverebbe una compensazione in natura – sotto forma di forniture di gas -, anziché in denaro per la sua partecipazione al progetto energetico, attualmente in stallo, dei quattro Paesi. Il disegno di legge modificherebbe il “Caesar Act”, rendendo sanzionabili tali transazioni in natura con Damasco.

Anche nell’UE ci sono segnali di ostilità da parte di alcuni Stati europei che si oppongono alla normalizzazione – come la revoca delle sanzioni e qualsiasi erogazione di fondi per la ricostruzione prima di una transizione politica. D’altro canto, molti altri Paesi, tra cui Italia, Grecia, Romania, Cipro e Austria, sono favorevoli alla normalizzazione con Damasco, sperando così di rimandare i rifugiati in Siria.

Giro di vite sui trafficanti di droga

Il regime ha mostrato un’intransigenza sui rifugiati e sulla democratizzazione e una certa flessibilità nella repressione del contrabbando del captagon, uno stimolante che crea dipendenza. Ma anche in questo caso, [il regime] dovrà affrontare una certa resistenza al suo interno. Gran parte della produzione e della distribuzione del captagon è controllata dalla Quarta Divisione dell’esercito siriano e dagli uomini d’affari siriani ad essa affiliata. Nell’ultimo decennio, le operazioni sul captagon, e in particolare il contrabbando della droga all’estero, sono esplose, trasformandosi in una parte lucrativa dell’economia di guerra siriana – il cui valore è stimato in miliardi di dollari l’anno.

I sauditi, tuttavia, sono intenzionati a reprimere tutto questo. Tra il 2016 e il 2022, hanno sventato i tentativi di contrabbando di oltre 600 milioni di pillole di anfetamina dal Libano. E Assad ha manifestato la volontà di collaborare. Così, in occasione di un incontro ospitato dalla Giordania nel Maggio 2023 con l’Arabia Saudita, l’Iraq e l’Egitto, Damasco ha accettato di “prendere le misure necessarie per fermare il contrabbando attraverso i confini con la Giordania e l’Iraq” e di lavorare per identificare i produttori e i trasportatori di stupefacenti.

A Maggio, due attacchi aerei, probabilmente ordinati dalla Giordania, hanno preso di mira le operazioni di traffico di droga in Siria – uno dei quali ha assassinato il noto signore della droga siriano Merhi al-Ramthan e la sua famiglia. Inoltre, Damasco ha effettuato una serie di arresti di trafficanti di droga nel sud della Siria. Inoltre, secondo alcune fonti, l’Arabia Saudita ha promesso alla Siria aiuti finanziari fino a 4 miliardi di dollari in cambio della riduzione e del controllo della produzione e del contrabbando di captagon.

Il cambiamento della strategia politica estera saudita

Il riavvicinamento tra Arabia Saudita e Siria si sta sviluppando da diversi anni. Nel Maggio 2021, il ministro del Turismo siriano, Rami Martini, ha effettuato la prima visita ufficiale del regime nel regno saudita dopo la rivolta di oltre dieci anni fa. Le ragioni dell’Arabia Saudita di riabilitare Damasco sono legate ai suoi interessi nazionali e alle dinamiche regionali.

Il processo di normalizzazione è un prodotto dell’evoluzione della strategia politica saudita all’interno della regione. La politica estera conflittuale di MBS, esemplificata dalla guerra mortale del regno [saudita] nello Yemen e dalla sua politica di ostilità contro l’Iran e i suoi alleati regionali, è stata un fallimento.

Questa strategia è diventata una complicazione politica per i piani di Riyadh nel riformare l’economia, attrarre investitori stranieri e aprire il Paese ai turisti. [Il governo saudita], quindi, ha cercato di stabilire relazioni più cordiali con i suoi vicini. Ha iniziato a muoversi in questa direzione, ponendo fine alle ostilità con il Qatar e favorendo la Turchia di Erdogan. Nel Marzo del 2023 ha depositato 5 miliardi di dollari nella banca centrale turca per rilanciare l’economia del Paese. Il riorientamento strategico dell’Arabia Saudita è culminato lo scorso Aprile con l’instaurazione delle relazioni diplomatiche con l’Iran – grazie alla mediazione della Cina.

Da allora, i due Stati hanno affermato la loro volontà di lavorare insieme per “la sicurezza, la stabilità e la prosperità” del Medio Oriente. Questo patto è particolarmente importante per l’Arabia Saudita nello stabilizzare lo Yemen e prevenire le minacce alla sicurezza dal suo confine meridionale. Il riavvicinamento permetterà ai due Paesi di riaprire le loro ambasciate e di attuare gli accordi di cooperazione economica e di sicurezza firmati più di 20 anni fa.

La riforma economica come obiettivo fondamentale

Questi cambiamenti di politica estera sono motivati dalla necessità del Regno saudita di concentrarsi sulle riforme economiche e sugli obiettivi definiti nella “Vision 2030” – il cui fine è quello di porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili e garantire 100 miliardi di dollari annuali in Investimenti Diretti all’Estero (IDE) entro la fine del decennio.

L’Arabia Saudita aveva affrontato delle sfide importanti prima di cambiare recentemente la sua politica estera. I flussi di IDE erano scesi dal 200% tra il 2018 e il 2019 al 20% tra il 2019 e il 2020. Il regime dominante spera di invertire questo declino, attirando più investitori grazie alla normalizzazione delle relazioni regionali e alla stabilizzazione delle crisi.

L’obiettivo principale della diversificazione economica è lo sviluppo del settore turistico. Riyadh intende raggiungere i 100 milioni di visitatori all’anno nel 2030 e aprire 315.000 nuove camere d’albergo per accoglierli. Nel Marzo 2023 ha lanciato una nuova compagnia aerea, Riyadh Air, che mira a servire 100 destinazioni internazionali.

Il regno spera di indirizzare gli investimenti in megalopoli come NEOM, il progetto del Mar Rosso, e Qiddiya, che dovrebbe diventare un centro di intrattenimento internazionale con tanto di parco a tema Six Flags. La monarchia saudita promette di investire, nel prossimo decennio, ben 1.000 miliardi di dollari nel settore turistico. [Nel frattempo,] ha investito del denaro nel sito archeologico di al-Ula, abbandonato da decenni, per attirare i visitatori. Sta creando altre destinazioni turistiche dal nulla, come il lussuoso Progetto Mar Rosso, che si estende per 17.400 miglia lungo la costa occidentale, e la stazione sciistica di Trojena nel cuore della futuristica metropoli NEOM, che ospiterà i Giochi Asiatici Invernali del 2029.

Sviluppando la sua economia in questo modo, la monarchia spera di competere con altri Paesi del Golfo che stanno costruendo enormi industrie turistiche. Il Qatar ha ospitato, per la prima volta nel mondo arabo, i Mondiali di calcio del 2022, mentre l’Expo 2020 si è tenuto a Dubai – accogliendo più di 12 milioni di turisti internazionali.

Riyadh sta portando avanti tutto questo sviluppo nel classico modo neoliberale. Ha annunciato partenariati pubblico-privati (PPP) per molti servizi governativi, compresi settori tradizionalmente gestiti dallo Stato come l’istruzione, gli alloggi e la sanità. Il Financial Times ha descritto i piani [del regno] come “Thatcherismo saudita”.

Nell’Aprile 2023, MBS ha lanciato quattro nuove “Zone Economiche Speciali” (ZES) al fine di stabilire industrie non tradizionali, in particolare legate al turismo, all’informatica, alle energie rinnovabili e alla logistica, offrendo alle imprese aliquote fiscali competitive e l’esenzione dai dazi doganali su importazioni, attrezzature di produzione e materie prime. La nuova strategia economica pone il capitale privato al centro della futura economia saudita.

Multipolarità e stabilità autoritaria regionale

La ragione finale che spinge l’Arabia Saudita a normalizzare le relazioni regionali è che Washington non può più essere attendibile nel fornire la sicurezza regionale. Il regno non vede gli Stati Uniti come un’entità egemone affidabile, specie dopo la sconfitta in Iraq, l’incapacità di proteggere i suoi alleati dalle rivolte popolari e la sua posizione sempre più critica nei confronti di Riyad.

Con il relativo declino del potere statunitense nella regione, altre forze imperialiste come Cina e Russia hanno affermato i propri interessi. Potenze regionali come l’Iran, la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita hanno fatto lo stesso, perseguendo i propri obiettivi, bilanciandosi tra le potenze imperialiste rivali e talvolta sfidando apertamente gli Stati Uniti. La decisione della leadership saudita di tagliare la produzione petrolifera e mantenere alti i prezzi del petrolio – anche a costo di innalzare l’inflazione -, sintetizza la sua nuova indipendenza da Washington. In questo nuovo scenario, tutte le potenze regionali sono determinate a consolidare una forma di stabilità autoritaria. Nonostante le loro persistenti rivalità, gli Stati vogliono ridurre i loro conflitti aperti, migliorare le loro economie e, quindi, rafforzare il loro dominio – evitando una ripetizione delle rivolte della Primavera araba del 2011.

In questo modo, il Qatar ha messo da parte le sue obiezioni e ha permesso a Damasco di tornare nella Lega Araba, evitando così di irritare la leadership di Riyadh e di altre capitali arabe. Il Qatar, inoltre, ha ricucito i rapporti con l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein.

Siria, Turchia e autodeterminazione curda

Allo stesso modo, la Turchia ha avviato un processo di normalizzazione con il regime siriano. A Maggio, i ministri degli Esteri di Russia, Siria, Turchia e Iran si sono incontrati a Mosca per colloqui ad alto livello sulla ricostruzione dei legami tra Ankara e Damasco.

Il cambiamento di Ankara è motivato da due obiettivi principali. In primo luogo, Erdogan ha cercato di guadagnare voti in vista delle elezioni presidenziali del 2023, accelerando il ritorno forzato dei rifugiati siriani in Siria. Negli ultimi due anni, in Turchia si è registrato un aumento degli attacchi razzisti e xenofobi contro i siriani ed Erdogan ne ha espulsi a migliaia.

Durante la campagna elettorale, il candidato dell’opposizione Kilicdaroglu ha adottato una posizione ancora più severa, promettendo di espellerne un numero maggiore. Al contrario, Erdogan e il suo ministro degli Esteri Çavusoglu hanno dichiarato di aver elaborato e sviluppato una tabella di marcia insieme al regime siriano dopo il loro incontro a Mosca; l’obiettivo è far ritornare in Siria le persone rifugiate.

L’altro motivo del riavvicinamento tra Erdogan e Assad è la comune determinazione a negare le aspirazioni autonomiste curde. Nel 2022, Erdogan ha dichiarato che “è necessario finire ciò che è stato iniziato; ha intensificato il dispiegamento dell’esercito turco e dei miliziani siriani contro le forze curde in Siria.

Le loro operazioni congiunte nella regione di Afrin nel 2018, hanno portato a massicce violazioni dei diritti umani e allo sfollamento forzato di circa 137.000 persone, in prevalenza curdi. Erdogan, per fomentare il nazionalismo turco e sconfiggere il suo avversario al ballottaggio, ha usato con successo queste minacce di nuove operazioni militari contro i curdi in Siria.

Ma non è ancora chiaro se la Siria supporterà la Turchia. Da parte sua, il regime di Assad ha dichiarato che non ci sarà nessun progresso nelle relazioni tra i due paesi finché la Turchia manterrà la sua presenza militare in Siria.

La Turchia è frustrata dall’incapacità di Damasco nel soddisfare le sue richieste riguardo il ritorno dei rifugiati siriani e la fine del dominio curdo nel nord-est della Siria, noto anche come “Rojava”. Il regime siriano è politicamente, economicamente e militarmente troppo debole per intervenire a nord e vede il ritorno di milioni di rifugiati come una minaccia politica e di sicurezza, oltre che un peso economico insostenibile.

Nessuna speranza per la ricostruzione siriana attraverso la normalizzazione

La reintegrazione di Assad nella Lega Araba non faciliterà la ricostruzione e la ripresa economica in Siria. Le sanzioni sono un ostacolo significativo nell’attirare gli investimenti stranieri. Ciononostante vi sono altri impedimenti che bloccano lo sviluppo economico del paese.

In primo luogo, la Siria non dispone di una condizione economica sicura e stabile, il che rende troppo rischioso per le imprese locali e straniere investire nel Paese. In secondo luogo, Damasco si è dimostrata incapace di impedire il costante deprezzamento della sterlina siriana – minando ulteriormente la volontà degli investitori nell’avviare operazioni economiche. In terzo luogo, il Paese non dispone di infrastrutture funzionanti e Damasco non ha investito fondi per ricostruirle, dirottando la maggior parte delle spese verso lo sforzo bellico, i salari del settore pubblico e i sussidi – ma anche questi ultimi sono in calo.

In quarto luogo, il Paese semplicemente non ha i fondi per investire. I depositi nelle banche private sono scesi da 13,87 miliardi di dollari nel 2010 a 1,9 miliardi nel 2022. Infine, il Paese soffre di una carenza di manodopera qualificata, aggravata dagli alti tassi di emigrazione dei giovani laureati.

In questa situazione, Damasco cercherà di utilizzare il processo di normalizzazione per assicurarsi aiuti e investimenti. Ma qualsiasi ricostruzione sotto il regime di Assad non sarà al servizio delle classi popolari del Paese.

Le sue politiche non sono pensate per porre rimedio ai problemi economici e alle disuguaglianze sociali del Paese. Al contrario, la priorità è consolidare il proprio potere dispotico, garantire la propria sicurezza e utilizzare i fondi erogati per accattivarsi i favori dei propri sostenitori clientelari.

La disuguaglianza e l’ingiustizia sono al centro delle politiche del regime siriano e nessuna quantità di fondi ottenuti farà cambiare le macchie a questo leopardo.1 Si limiterà, semmai, a usare queste forniture di denaro per rafforzare la manipolazione dei beni statali, realizzare privatizzazioni clientelari e completare la deregolamentazione neoliberista dell’economia.

Tutto questo avverrà a scapito delle classi popolari del Paese. Un Paese dove il 90% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà; pochi rifugiati e sfollati interni torneranno volentieri nel Paese, mentre quelli che saranno costretti a rientrare si troveranno in condizioni disperate e di assoluta indigenza.

La normalizzazione della Siria serve, quindi, gli interessi di Bashar al-Assad e del suo regime dispotico anzichè quelli della popolazione del Paese. Serve anche agli interessi dei leader autoritari della regione, determinati a difendere il loro potere e a schiacciare gli ultimi residui delle ondate di lotta per la trasformazione sociale dal basso iniziate nel 2011.

Nota del Gruppo Anarchico Galatea

1“A leopard cannot change its spots” è un detto inglese; equivalente all’italiano “il lupo perde il pelo ma non il vizio”.

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La morte di Berlusconi

Nell’ultimo numero di Charlie Hebdo (CB), viene pubblicata una copertina dedicata a Berlusconi dove fuoriescono, dal suo orecchio destro, i vermi dell’estrema destra europea quali Le Pen, Meloni e Orban. L’articolo presente nel numero di CB, “Le Parrain Silvio Berlusconi est mort” (trad.: Il Padrino Silvio Berlusconi è morto), attacca spietatamente l’ex presidente del consiglio dei ministri italiano, dipingendolo come mafioso, puttaniere e legittimatore (“dédiaboliseur”) dell’estrema destra. Dal nostro punto di vista, l’articolo pubblicato sul giornale francese è troppo incentrato sui guai giudiziari e sull’aspetto meramente mediatico di Berlusconi politico ed imprenditore. Esporremmo un analisi sintetica su questa figura e le conseguenze che avverranno a seguito della sua morte.

L’acquisizione delle emittenti private da parte di Berlusconi e soci negli anni ‘80, ha stravolto in termini comunicativi ed economici la società e la cultura italiana, ponendosi in aperta competizione con le reti radiotelevisive statali – all’epoca controllate dai partiti tradizionali (DC, PSI, PSDI, PRI, PLI, MSI, PCI). La formula portata avanti da questi media tradizionali privati si basava (e si basa ancor oggi) su un approccio diretto non-formale tra conduttore/i/trice/trici e pubblico presente in studio e in casa, oltre ad una costante pubblicizzazione di molteplici prodotti da acquistare: marchi della Grande Distribuzione Organizzata legati alle aziende di Berlusconi e televendite (sponsorizzate da soggetti come Cadeo, Rossetti e Mastrota)

Questo cambiamento comunicativo era stato letteralmente sdoganato dalla politica partitica governativa del PSI di Craxi tra la metà degli anni ‘80 (i decreti Berlusconi) e i primissimi anni ‘90 (Legge Mammì). La dissoluzione dei partiti tradizionali nel biennio 1992-1993 è stata un’occasione per Berlusconi e i suoi soci di fare il salto di qualità – in termini di stringere e/o inaugurare ulteriori accordi economici a livello nazionale ed internazionale.

La sua discesa in campo nel 1994 e i quattro governi guidati dall’imprenditore milanese (1994, 2001, 2005 e 2008) hanno rappresentato uno spartiacque comunicativo politico ed economico rispetto alle legislature della cosiddetta Prima Repubblica: la denuncia contro il nemico rosso comunista togato; lo sdoganamento dei missini e altri fuoriusciti di questo partito neofascista all’interno delle amministrazioni politiche nazionali, regionali e locali; la presenza sempre più marcata di Comunione e Liberazione/Compagnia delle Opere nelle leve del potere politico; i rapporti sempre più stretti con gli USA di Bush e la NATO, nonché con paesi del mediterraneo (come la Libia); il proseguimento delle politiche neoliberiste in Italia iniziate decenni prima coi governi Spadolini e Craxi.

Gli stravolgimenti socio-politici economici operati da Berlusconi e i suoi alleati sono andati di pari passo con i suoi cosiddetti guai giudiziari. I processi, le assoluzioni, le leggi ad personam e via dicendo sono stati una manna dal cielo per i giornalisti, gli oppositori politici istituzionali, gli artisti e i magistrati. I media tradizionali prima e, successivamente, quelli nuovi hanno supportato o meno i sostenitori e i contestatori dell’imprenditore milanese – una modalità già vista nel biennio 1992-93 ai danni di Craxi.

I risultati che si sono ottenuti da questa contrapposizione (supporter e antiberlusconiani) e di cui ne paghiamo ancor oggi i risultati nefasti, sono stati l’appiattimento culturale, la depoliticizzazione e, conseguenza di questi primi due punti, un consolidamento sempre più marcato dei poteri economici e giudiziari.

Con l’agonia politica di Berlusconi (dal 2013 fino alla sua morte fisica), il suo partito è diventato una stampella del centro-destra e non più una guida. Chi lo rimpiangerà non saranno solo i suoi numerosi fan ma anche i nemici che sulle sue traversie giudiziarie hanno costruito la loro fortuna mediatica, professionale ed economica.

Adesso ci sarà da porsi una domanda: la sua morte che danno comporterà in termini politici governativi ed economici borghesi?

Se è vero che Berlusconi, dal 2013, non contasse più nulla a livello di gestione del potere governativo, dall’altra parte egli era il padre-padrone di Forza Italia e, cosa importante, un collegamento tra mondo politico e quello economico. Venendo a mancare questa figura “patriarcale” (chiamato “padrino” da Charlie Hebdo), dentro Forza Italia vi sarà sicuramente una lotta intestina tra i dirigenti (Tajani, Marina Berlusconi, Micciché, Ronzulli, Cattaneo, Fascina etc) su chi debba gestire tale partito politico

La potenziale situazione esplosiva è così servita sul piatto. Gli alleati governativi (Meloni e Salvini) e il Partito Popolare Europeo, di fronte ad una situazione del genere, dovranno evitare a tutti i costi una cosa del genere, pena la perdita di consensi politici (già al loro minimo storico come dimostrato nelle ultime elezioni regionali, nazionali e comunali) e sostegni economici da parte di associazioni di categoria (Confindustria, Compagnia delle Opere etc).

Queste lotte, mantenimenti del potere e riassettamenti governativi ed economici sono funzionali nel far accettare lo stato di cose presenti – soprattutto tramite il fatalismo e la depoliticizzazione sociale imperante.

Chi vuole ribaltare lo stato di cose deve sempre vigile di fronte a questioni del genere e, contemporaneamente, supportare un modello sociale ed economico che non si basi su una costante distruzione dell’ambiente e dell’individuo.

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Marocco: le lotte sociali di fronte all’arroganza del regime autoritario

Traduzione per conoscenza fatta da Marta P.

Originale: “Maroc : les luttes sociales face à l’arrogance du régime autoritaire

Intervista realizzata da Gilles Maufroy, CIEP-MOC Bruxelles, a Jawad Moustakbal – militante per l’associazione ATTAC/CADTM Marocco – dove si ripercorre la situazione sociale e politica nel paese e le prospettive dei movimenti popolari.

Movimenti (M): Puoi ricostruire le caratteristiche essenziali del regime politico marocchino?

Jawad Moustakbal (JM): Il sistema politico in Marocco è una monarchia in cui tutti i poteri sono concentrati nelle mani del re: legislativo, esecutivo, giuridico, polizia, esercito, etc. Il re presiede il consiglio dei ministri. Il fulcro delle decisioni strategiche, sul piano politico ed economico, passa dal palazzo o dai suoi consiglieri. Le istituzioni servono ad approvare le scelte operate dal re e dal suo entourage. Ci sono stati pochi momenti in cui la monarchia ha dovuto fare dei compromessi e condividere un po’ di potere: [l’ultimo è avvenuto] sotto la pressione delle grandi mobilitazioni del 2011 con il “Movimento del 20 Febbraio” – inserito all’interno del contesto processuale rivoluzionario regionale che vide la caduta di Ben Ali e Moubarak. Il regime ha avuto paura ed ha risposto. Nella precedente costituzione, il re nominava il primo ministro a prescindere dal risultato elettorale. Dal 2011 deve scegliere all’interno del partito che ha avuto il maggior consenso elettorale. Ma la scelta del primo ministro è tuttora nelle mani del re e nel 2017 il primo ministro uscente del PJD (islamo-conservatore) Benkiran ne ha pagato il prezzo. Oltretutto, il connubio tra potere e soldi in Marocco è realmente organico: non si può esser ricchi in Marocco senza essere ben visti dal potere centrale. E una volta che sei ricco, hai accesso al potere e non sei costretto ad obbedire alle leggi e regole sociali, ambientali, etc. Persino le multinazionali che vengono in Marocco hanno compreso questo meccanismo e si sono adattate, contente d’avere il Palazzo come punto d’appoggio. Una volta che si passa per di là, va tutto bene. Il re è l’attore economico principale, il banchiere privato più importante [che possiede] due terzi del settore. Questo potere economico è utilizzato anche per disciplinare ed influenzare le decisioni economiche. Il re è il primo agricoltore: il Dominio reale controlla la maggior parte delle terre fertili. Possiede il settore energetico, in particolare l’eolico, in partnership con alcune aziende straniere.

M: Qual è la situazione politica in Marocco dopo le elezioni di Settembre?

JM: La struttura del regime relativizza l’importanza del risultato elettorale. Abbiamo visto che nelle ultime elezioni, hanno decretato le vittoria del Parti Istiqlal (Partito dell’Indipendenza, ndt). È come se il regime volesse voltare pagina, sentendosi forte e in grado di andare oltre gli avvenimenti del 2011. Così ci ritroviamo a capo del governo un grande patron miliardario, simbolo dell’arroganza della classe dominante. Il suo sentimento di onnipotenza è: “niente può fermarci e se dissentite ci sarà la repressione”. Il loro modello attuale regionale è il generale Al-Sisi che guida l’Egitto col pugno di ferro e con una repressione sanguinaria, non soltanto nei confronti dei Fratelli musulmani, ma anche contro i giovani che hanno fatto la rivoluzione: ci sono stati più prigionieri politici in Egitto nel 2021 che sotto Moubarak. Dopo le mobilitazioni tenutesi intorno al 2010, assistiamo, dunque, alla rivalsa di chi sta in alto. Il governo PJD era già una concessione del potere che non voleva saperne di questo partito. Le mobilitazioni avevano spinto il ministero dell’Interno a lasciar salire al governo il PJD. Tutto ciò è stato utile al regime per calmare la popolazione. La cittadinanza ha preferito attuare un cambiamento tramite un governo islamista moderato pur di evitare uno scenario catastrofico come quello della Siria [– evitando] tutti i sacrifici [fatti] dal movimento popolare. È stata una scelta “pragmatica”, ma non ha funzionato: il PJD è stato annesso al potere, reso docile, poi digerito e sputato, umiliato, poiché la sua utilità politica era ormai svanita. Oggi [il Marocco] è il regno dei grandi padroni, i cosiddetti “campioni nazionali”, inventati di sana pianta dal regime.

M: A che punto è l’economia marocchina?

JM: Sul piano macroeconomico c’era già una crisi prima della pandemia. Ma quest’ultima è stata usata per attuare una “terapia d’urto”, approfittando dello smarrimento della popolazione. La repressione è aumentata notevolmente ed è stata normalizzata. Abbiamo visto rappresentanti delle autorità picchiare le persone – usando come pretesto la “protezione della salute pubblica”. Lu oppositoru sono statu arrestatu: youtuber, rapper, etc. Le politiche neoliberali sono state ulteriormente potenziate. A partire dall’Aprile 2020, la legge di bilancio è stata riformata per permettere al governo di indebitarsi maggiormente e, contemporaneamente, di prendere tutte le “misure di austerità” necessarie per fronteggiare la crisi. Il debito pubblico ha superato il 100% del PIL. Gli interessi sul debito assorbono un terzo del nostro budget nazionale e siamo in una spirale di indebitamento in cui ci si indebita per coprire i debiti. Il Marocco ci perde in sovranità: tutto questo debito presuppone, in futuro, l’applicazione di politiche neoliberali e di privatizzazione, disinvestendo, a livello statale, nell’educazione, nella sanità… nonostante la pandemia. Il debito, nello specifico, serve determinati progetti: chi presta diventa responsabile delle decisioni. Chi governa sembra non farsene niente della sovranità popolare o nazionale: sono sottomessi agli interessi delle multinazionali e ne traggono profitto. La maggior parte dei grandi progetti in corso mettono insieme aziende di ricchi marocchini e multinazionali, principalmente francesi, il cui obiettivo è accumulare ricchezze. Ad esempio, Engie ha privatizzato la distribuzione dell’acqua e dell’elettricità a Casablanca e produce energia fossile in altre province – con il partenariato di un’azienda legata alla famiglia reale. Il primo ministro Akhannouch è proprietario del gruppo Akwa, associato a Siemens per un progetto di energia solare. L’autoritarismo usa le multinazionali ed il neocolonialismo per ottenere permessi, terreni a prezzi stracciati, esenzioni scali, lasciapassare legali, etc. Le grandi famiglie del Marocco si associano per accumulare ricchezze e beneficiare delle privatizzazioni, come è successo con l’azienda dell’acciaio rilevata dal fondo di investimento privato della famiglia reale, Al Mada. Le liberalizzazioni hanno avuto anche il loro profitto. É il caso di Akhannouch, ancora una volta, che ha approfittato dell’abolizione dei controlli sui prezzi nel settore energetico attuato nel 2014 dal governo PJD…con soprapprofitti oltre la norma per le sue aziende; parliamo di quasi 2 miliardi di euro! Stesso scenario per l’unica raffineria di petrolio del paese: simbolo di indipendenza energetica negli anni ’60, privatizzata agli inizi degli anni ’90 a profitto di un saudita. Dopo 25 anni di privatizzazione, il proprietario si è defilato con 40 miliardi di euro di debito nei confronti dello Stato e la raffineria ha chiuso le porte, licenziando 600 persone. Il Marocco oggi è completamente dipendente dalla fluttuazione dei prezzi dei carburanti sul mercato mondiale. Il prezzo si è rialzato in questi ultimi mesi [– e da qui si spiegano] le recenti proteste sociali.

M: Il tenore di vita delle classi popolari ha subito una degradazione con la pandemia? Ci sono state reazioni popolari?

JM: La pandemia è stata seguita da un attacco molto violento e a tutto campo delle classi dominanti: persone bloccate in condizioni inconcepibili, con aiuti infimi ed incredibilmente precari. Ventiquattro milioni di persone vivono in uno stato di necessità. La profondità della crisi sociale è stata svelata: mancano, ad esempio, statistiche affidabili relative alla disoccupazione in quanto non ci sono indennizzi. Molte persone hanno degli “pseudo-lavori”. La violenza della repressione è stata terribile nei confronti delle persone povere. Di fronte a questo, le élite – comprese le frange di sinistra – hanno giustificato questa repressione col vessillo della salute pubblica, quasi con una discriminazione di classe a discapito delle persone povere “che non rispettano nulla” e si ammassano sui mercati. Qualcunu della sinistra non ha capito la gravità di una situazione strumentalizzata dal potere centrale e che danneggia tuttu. A facilitare questa mossa c’erano la debolezza del movimento sindacale e la connivenza della burocrazia sindacale col regime. La storica UMT (Unione Marocchina dellu Lavoratoru), che fu una delle più importanti in Africa, è diretta dagli imprenditori. Il capo dell’UMT ha ordinato allu lavoratoru iscrittu di votare il partito che, successivamente, avrebbe vinto le elezioni – un partito diretto da un miliardario! Per quanto riguarda la sinistra: la sinistra radicale è troppo debole per pesare sugli eventi. Il 2011 fu un periodo propizio; oggi la sinistra, disunita, è sulla difensiva. Ma ci sono delle resistenze popolari, con due tipi di movimenti: le lotte settoriali e le lotte spontanee. C’era già stato il movimento del Rif nel 2017, una tappa qualitativamente superiore rispetto al “movimento del 20 Febbraio” del 2011. I processi decisionali sono avvenuti in maniera democratica dove [si discuteva con] la popolazione nei bar e non più in luoghi non accessibili. Le rivendicazioni non erano solo di stampo politico, legate alla costituzione, etc. Le rivendicazioni del movimento del Rif erano chiaramente sociali: un ospedale, una strada, un’università, etc. Il dibattito che riguardava la monarchia e la riforma costituzionale era troppo lontano da queste preoccupazioni popolari quotidiane. A Jerada, una città minieraria, lo slogan primario del movimento era “vogliamo un nuovo modello economico”. Queste mobilitazioni del 2017 si rifacevano all’eredità del movimento del 2011, con manifestazioni settimanali e tutto il resto. Ma ne hanno tratto anche delle lezioni. C’è stata una repressione terribile: i leader del movimento sono stati condannati fino a 20 anni di prigione. I giudizi terribili ed illegali hanno dato fiducia alla classe dominante nel fermare i movimenti. Si sono succedute poi delle lotte settoriali come quella dell’insegnamento a contratto. Questa politica neoliberale è priva di senso perché servono più insegnanti – e non meno. Più di 60000 insegnanti hanno abbracciato la lotta. E poi ci sono stati anche i movimenti spontanei, come la campagna di boicottaggio contro tre aziende vicine al potere, tra cui quella di Akhannouch. Una forma di disobbedienza civile che ha avuto un successo enorme: la popolazione ha capito che bisognava puntare alle tasche dei ricchi. Anche Danone è stata coinvolta. Le perdite di questi gruppi sono state considerevoli. Il CEO di Danone è venuto due volte in Marocco ed ha abbassato i prezzi. Durante la pandemia, il potere ha cercato invano di far passare una legge che criminalizza la denuncia pubblica di un marchio nazionale. È altrettanto interessante il processo di politicizzazione profonda della società. Ad esempio, gli ultras dei club di calcio, sport molto popolare, hanno slogan sempre più politici, sociali, schierati contro l’hogra 1, l’umiliazione del popolo, contro la gente del potere. Oggi nelle manifestazioni si utilizzano i loro slogan, mentre un tempo li si credeva ampiamente depoliticizzati. Esprimono la rabbia della società. Abbiamo visto una grande determinazione anche nelle recenti mobilitazioni contro il green pass sanitario ed il caro vita, nonostante la repressione. È una generazione nuova che aveva solo 7 o 8 anni nel 2011. Sono dei movimenti spontanei basati sulle reti sociali. L’autoritarismo in Marocco è forte, la decisione sul pass-sanitario è stata presa in una notte. Il disprezzo di coloro che decidono, la loro violenza nei confronti della popolazione, producono una resistenza equivalente: le persone sono infuriate. Le forme di organizzazione cambiano. Gli ultras sono abituati a gestire la violenza delle forze di polizia, le loro tattiche possono essere di ispirazione. Tutto ciò è molto promettente. La sinistra deve stare tra queste persone, ascoltarle, imparare da loro, anche semplicemente nella maniera di comunicare lo smarrimento, i bisogni e la rabbia. Dobbiamo connettere tutti questi movimenti e contribuire con le nostre esperienze [decennali]; non [dobbiamo] vederci come un’autoproclamata avanguardia pronta a dare lezioni.

M: Qual è l’azione di ATTAC/CADTM Marocco?

JM: Esistiamo dal 2000. Siamo presenti in una dozzina di città. Lavoriamo principalmente sull’analisi delle scelte economiche del paese, ma anche nel sostegno alle lotte sociali, contro le privatizzazioni, per la sovranità alimentare ed il servizio pubblico. Abbiamo condotto un’inchiesta con i contadini sull’impatto della politica agricola, seguito da incontri regionali per discutere dei risultati raccolti – e successivamente riportati in un libro che decostruisce l’orientamento all’esportazione [del Paese] e l’impatto negativo sui piccoli agricoltori. Noi difendiamo la giustizia ambientale, contro lo strapotere delle multinazionali sulle risorse. Le nostre compagne, in particolare, stanno lavorando sul debito e sul microcredito, dove le persone finanziano i ricchi e le banche, con tassi fino al 30%. Questo sistema finge di salvare le persone dalla povertà facendo, in realtà, il contrario. Siamo attivu nell’Africa Occidentale e nella coordinamento Nord Africa e Medio Oriente per il CADTM; sosteniamo quelle reti che operano su vari fronti, dalla sovranità alimentare all’educazione politica, dall’Algeria fino al Sudan, con militanti che assumono un impegno attivo nelle lotte.

M: Puoi darci un quadro conciso sulla repressione in Marocco e sui bisogni di solidarietà internazionale?

JM: La repressione dellu giornalistu e gli arresti dellu rapper e dellu youtuber avvenuti sulla base di opinioni politiche si integrano negli attacchi statali a tutto tondo. È la parte dell’iceberg che si vede. Gli attacchi hanno colpito, soprattutto, quelle poche testate giornalistiche indipendenti nate alla fine del governo di Hassan II. In quel periodo, qualche giornale osava paragonare il regime a quello di Ben Ali, azzardava critiche sugli affari del re, etc. A partire dagli anni 2000, abbiamo visto gli attacchi contro questo giornalismo indipendente. Omar Radi e Soulaimane Raissouni sono il frutto di quel giornalismo. Negli anni 2000 c’è stato Internet, l’esplosione dei blog, dei giornali web, etc. Il regime non sapeva bene come gestire tutto questo. Hanno represso il più possibile, poi hanno invaso internet con siti web vicini al potere, soprattutto a partire dal 2011, che parlavano di cronaca e distrazioni. Dopo aver distrutto i giornali indipendenti, il regime ha attaccato direttamente gli individui, come Omar e Soulaimane. Lu pocu giornalistu indipendenti che provano a fare seriamente il proprio lavoro sono diventatu dei bersagli. Soulaimane Raissouni era l’ultimo editorialista che ha avuto il coraggio di trattare argomenti sensibili, criticare il primo ministro, supportare il boicottaggio, il movimento del Rif, etc. Oggi il campo del “sacro”, dell’intoccabile, si è allargato. Tutto ciò per il potere è “oltrepassare il limite”. Omar Radi lavorava personalmente sugli argomenti che mostravano come le classi dominanti accumulino ricchezza appropriandosi di terre, acqua, sabbia, energia, etc. Il suo ultimo lavoro riguardava la privatizzazione delle terre collettive, per la quale il potere ha usato la retorica del favorire l’accesso femminile alla proprietà [agricola]. Nella realtà, sono i ricchi e le multinazionali che ne approfitteranno. Questu giornalistu pagano il prezzo del loro impegno, ma anche della regressione del movimento sociale e dell’arroganza del regime. Sono nati dei comitati di solidarietà. Riescono a coordinare dei sit-in di solidarietà per ogni udienza – che sia per Soulaimane, per Omar o per qualunque altra persona detenuta. Di contro, la repressione continua. Un organizzatore di sit-in, che pubblicava video su Facebook, è stato arrestato, condannato… La lista dellu prigionieru d’opinione di allunga. L’attivismo è cosciente della necessità di condurre la lotta fino alla fine. Omar sta bene, sa che provano a umiliarlo ed abbatterlo ma legge molto, mantiene il sorriso. Conto soprattutto sulle grandi mobilitazioni – di cui abbiamo parlato prima – affinché la situazione migliori. Comunque, a livello internazionale, tutte le forme di solidarietà sono molto importanti, poiché l’immagine preoccupa il regime. Non vuole che sveliamo come [esso] tratti la cittadinanza, la dissidenza. Quindi contiamo su questo per fare pressione: d’altronde abbiamo visto il regime marocchino colpire il giornale “L’Humanité”. [Il sostegno internazionale] dà fiducia ed energia allu attivistu in Marocco.

Jawad Moustakbal (ATTAC/CADTM) è il coordinatore nazionale in Marocco per l’International Honors Programme: “Climate Change: The Politics of Food, Water and Energy” della School of International Training (SIT) del Vermont, Stati Uniti. Ha lavorato come capo-progettista per diverse aziende, tra cui l’OCP, l’azienda pubblica marocchina di fosfati. Jawad è inoltre un militante per la giustizia sociale e climatica, membro della segreteria nazionale di ATTAC/CADTM Marocco e membro della segreteria condivisa del Comitato internazionale per l’abolizione dei debiti illegittimi. Ha conseguito i suoi studi in ingegneria civile presso l’EHTP di Casablanca.

Nota

1Termine ampiamente utilizzato nelle società nordafricane; deriva originariamente dal sostantivo arabo “Ihtiqaar” (إحتقار), che significa disprezzo. Nei dialetti maghrebini parlati in Marocco, Algeria e Tunisia, il termine esprime sentimenti diversi come: l’ingiustizia, l’indignazione, il risentimento, l’umiliazione e l’oppressione. In origine era usato in relazione a situazioni di vita quotidiana, prima di diventare un termine politico che descrive un continuo stato di disprezzo e umiliazione per l’intera società [da parte delle istituzioni dominanti]. […] “Al Hogra” è stato usato per la prima volta a livello politico in Algeria, durante le rivolte del 1988. Il termine è tornato in auge in Nord Africa durante la cosiddetta “primavera araba” del 2011. Prima in Tunisia, quando l’opinione pubblica lo ha usato per descrivere la situazione di Mohammed Bouazizi, il venditore ambulante che si è dato fuoco nel 2010 dopo essere stato schiaffeggiato e fatto oggetto di sputi da parte di un’agente municipale donna. Durante le manifestazioni che hanno preceduto e seguito la sua morte, il concetto è stato utilizzato in molti canti. Nei mesi successivi, “Al Hogra” è stato citato come il motivo principale delle rivolte del Movimento 20 Febbraio in Marocco e del Movimento Rif Hirak – che dal 2016 denuncia le ingiustizie economiche e sociali nel nord del Paese. Più recentemente [questa espressione] è stata al centro delle proteste pacifiche – che hanno avuto luogo in Algeria dal Febbraio 2019. […] “Al Hogra” è un concetto chiave per comprendere le ragioni dell’attuale clima di tensione sociale e politico in Nord Africa. Fonte consultata: al hogra (الحكرة). Link: https://www.daas.academy/research/al-hogra-%d8%a7%d9%84%d8%ad%d9%83%d8%b1%d8%a9/

 

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Sulla distruzione dell’Impianto idroelettrico di Kakhovskaya, Ucraina

Traduzioni:

1)Как разрушение Каховской ГЭС и разлив Днепра изменят ситуацию на фронте”;

2) articoli:

a) estratto dell’articolo «Мы готовились, лодки купили и прятали их от русских. А они потом на них убегали из Херсона»

b)“«Возникнет большая техногенная пустошь, будут пыльные бури из вредных частиц». Экологические последствия разрушения Каховской ГЭС

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1) Come la distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovska e l’inondazione del Dnepr cambieranno la situazione del fronte

L’alluvione è vantaggiosa per l’esercito russo, ma non impedirà il contrattacco delle Forze armate dell’Ucraina (AFU)

Nella notte del 6 Giugno, la diga sul fiume Dnepr è stata distrutta. Al di sotto di questa, il fiume divide le posizioni degli eserciti russo e ucraino: la riva destra è occupata dalle forze armate ucraine e la sinistra dai russi. “Istories” ha raccolto le opinioni degli esperti militari in merito ai benefici che possono trarre i due contendentidall’alluvione e come questapossa influenzare la controffensiva degli ucraini.

C’è stata un’esplosione alla centrale idroelettrica

Le prime notizie sulla distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovskaya sono apparse sui canali Z russi intorno alle 3 del mattino, ora di Mosca. Ad esempio, il canale Telegram Z-War Turned ha scritto: “Alle 02:35, dopo l’arrivo presso la Kakhovskaya HPP, un’ala è stata distrutta; [a causa della] pressione dell’acqua, è iniziato il crollo a cascata della Kakhovskaya HPP. Alle 03.10 Kakhovskaya HPP ha cessato di esistere”. Secondo il canale WarGonzo, fondato dal “corrispondente di guerra” Semyon Pegov, la diga idroelettrica è stata distrutta intorno alle 2:00 ora di Mosca.

L’Ucraina e la Russia si sono accusate a vicenda della distruzione dell’impianto.

Nataliya Gumenyuk, portavoce del Comando operativo meridionale delle forze armate ucraine, ha dichiarato che la centrale idroelettrica è stata fatta esplodere dall’interno. Secondo la portavoce, ciò è dimostrato dalla natura dei danni. Volodymyr Kovalenko, sindaco ucraino della città occupata di Novaya Kakhovka, ha affermato che la sala macchine dell’impianto è stata fatta saltare in aria. “I terroristi russi, distruggendo la diga della centrale idroelettrica di Kakhovska, confermano al mondo intero che bisogna cacciarli da ogni angolo della terra ucraina”, ha scritto il presidente dell’Ucraina Vladimir Zelensky.

Volodymyr Leontyev, capo dell’amministrazione civile-militare della città occupata di Novaya Kakhovka, ha dichiarato: “Ci sono stati diversi colpi alle due del mattino nella parte superiore della centrale idroelettrica, dove si trovano le saracinesche [travi progettate per chiudere il canale di scolo], dove si trovano direttamente le valvole di chiusura, e questa [la parte superiore] è stata spazzata via. La diga non è stata distrutta, il che è una grande fortuna”.

“Ukrhydroenerho” ha dichiarato che l’impianto era irrecuperabile. Intorno alle 10:45 ora di Mosca, i canali telegram ucraini hanno riferito che la centrale idroelettrica di Kakhovka era completamente sott’acqua.

Diversi analisti OSINT hanno scritto che l’impianto potrebbe non essere stato fatto esplodere e che è crollato a causa di danni precedenti. Ruslan Leviev, fondatore del Conflict Intelligence Team, ha pubblicato delle foto scattate il 28 Maggio e il 5 Giugno: entrambe mostrano lo scarico dell’acqua e nel secondo [l’acqua passa su] un “pezzo di strada crollato”. Aric Toler del gruppo Bellingcat ritiene che la diga possa essere stata distrutta da “madre natura”. Il giornalista Mark Krutov dubita che i russi abbiano minato la diga: “In realtà, nessuno ne trae vantaggio”.

Il fatto che la diga stesse scaricando acqua il giorno prima di crollare, non dà motivo di affermare che non sia stata fatta saltare in aria martedì, ha dichiarato l’esperto militare Yury Fedorov a “Istories”. “Sì, uno scudo di chiusura, che interrompe la possibilità di scaricare l’acqua, è stato danneggiato – è abbastanza possibile. Ma non è chiaro perché 11 campate siano crollate per questo motivo. Il crollo di [una] sola campata non esclude che ci sia stata un’esplosione nella sala macchine”, dice Fedorov.

Per ora, sembra più un’esplosione che un crollo spontaneo”, ha scritto l’esperto militare Ian Matveev.

Forzare il Dnepr sta diventando impossibile”

Da un punto di vista militare, la distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovskaya è più vantaggiosa per l’esercito russo, ha detto l’esperto militare Fedorov. Secondo lui, la regione di Kherson non è mai stata considerata un’area importante per un contrattacco dell’AFU – ma l’esercito russo potrebbe aspettarsi un attacco anche lì. In primo luogo, i russi temevano un possibile attraversamento forzato del fiume Dnepr e, in secondo luogo, la cattura della diga di Kakhovska avrebbe permesso agli ucraini di ridispiegare ulteriori forze, comprese le attrezzature pesanti, sulla riva sinistra.

Dopo che la diga è stata fatta esplodere, la riva sinistra è diventata in gran parte una palude, e questa palude persisterà per molto tempo. Quindi attraversare il Dnepr diventa semplicemente impossibile”, afferma Fedorov. L’analista aggiunge che la distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovka non potrà influire sulle operazioni offensive delle forze armate ucraine in altre aree.

Questo non influirà in alcun modo sulle nostre azioni offensive. Perché bisogna capire, in base alla situazione, la configurazione della linea del fronte, dove nessuno aveva intenzione di condurre azioni offensive forzando, ad esempio, il Dnepr”, afferma l’analista militare ucraino Serhiy Grabsky. Anche l’esperto militare russo Kirill Mikhailov ritiene che l’offensiva delle Forze armate ucraine nella regione di Donetsk e Zaporizhzhya non sarà influenzata dall’esplosione della diga.

Mykhaylo Podolyak, consigliere del capo dell’ufficio del Presidente dell’Ucraina, ha affermato che la distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovka potrebbe “aggiustare” i piani della controffensiva, ma strategicamente non cambierà nulla. Il tenente generale Serhiy Naev, comandante delle Forze congiunte dell’AFU, ha dichiarato che il comando aveva previsto la possibilità che la centrale idroelettrica venisse fatta esplodere: “Esistono calcoli rilevanti, noti al comando militare, sui danni che potrebbero derivare dalla fuoriuscita di acqua”.

La distruzione della diga non sembra aver avuto un impatto diretto significativo sulle forze russe e ucraine.

Le postazioni militari russe e ucraine risultano essere allagate. Il blogger militare filo-russo Vladimir Romanov ha scritto che i combattenti russi sulle isole del Dnepr si trovano in una situazione critica: “Sono letteralmente seduti sugli alberi”. In seguito ha dichiarato che i militari sono stati evacuati. Il consigliere del Ministro degli Interni ucraino Anton Herashchenko ha pubblicato un video in cui i militari russi sarebbero stati portati via dagli alberi. Il canale russo Z “Nuclei Militari della Primavera Russa” ha scritto che i militari ucraini sono stati evacuati dalle isole sotto il fuoco dell’artiglieria e dei droni russi.

L’analista militare Mikhailov osserva che le posizioni russe sulla riva sinistra del Dnepr sono maggiormente minacciate rispetto a quelle ucraine perché in quella parte di fiume [i militari russi sono più esposti]. Secondo l’analista, le trincee russe sono state allagate anche prima dell’esplosione della diga.

A causa delle inondazioni, l’acqua ha iniziato a spazzare via i campi minati e le mine stanno esplodendo. Il Ministero della Difesa ucraino ha avvertito i residenti del pericolo, osservando che le mine russe sommerse dall’acqua potrebbero essere spazzate via dalla corrente.

2a) Estratto “Ci stavamo preparando, abbiamo comprato delle barche e le abbiamo nascoste dai russi. E poi le hanno usate per scappare da Kherson”

[…]

“Un brusco rilascio porta con sé un insieme di conseguenze ambientali”

[Domande poste a] Yevgeny Simonov, attivista ambientale, giornalista e ricercatore, attualmente impegnato nel gruppo di lavoro sulle conseguenze ambientali della guerra in Ucraina.

La principale minaccia ambientala a seguito del cedimento della diga

R: A monte della diga il fondale sarà esposto. La “Ukrhydroenerho” afferma che la centrale elettrica di Kakhovskaya non sarà ripristinata. Da un lato è un bene, perché per diversi anni gli ambientalisti ucraini hanno protestato contro questo bacino. Si tratta del bacino idrico più brutto della cascata del Dnepr, che ha causato [diversi problemi] ambientali. Il problema è che dopo 50 anni di esistenza dell’impianto [idroelettrico], un rilascio così drastico porta con sé un insieme di conseguenze ambientali. Il problema maggiore sarà la neutralizzazione degli accumuli di fango. Il fiume non trasporta solo acqua ma anche materiale solido, i cosiddetti sedimenti. Il bacino crea delle condizioni in cui la velocità del fiume scende al minimo e sul fondo si accumulano enormi quantità di sedimenti. Quando l’acqua scompare, il fondo si asciuga, lasciando dietro di sé la polvere. Questa può essere trasportata dal vento su una vasta area (l’area del bacino di Kakhovka è di 2155 km2 , quasi la superficie di Mosca, ndr). Inoltre la polvere contiene molte sostanze tossiche – in quanto i sedimenti scaricati [e/o arrivati] nel bacino sono anche di origine industriale. Sarà necessario prelevare dei campioni e pensare immediatamente quali specie vegetali vi saranno in queste enormi aree contaminate.

A valle, i problemi sono più banali. Molti animali sono morti prima che potessero fuggire. Tutti i rifiuti che giacciono sugli argini si riverseranno nel fiume e raggiungeranno la parte costiera, disseminandosi nell’estuario. Si verificherà una forte erosione, e in particolare molto terreno verrà portato via, specie dove c’erano le trincee. Se dei potenti agenti inquinanti entrano nell’acqua, l’effetto negativo aumenterà. In condizioni di guerra, un grande pericolo è rappresentato dai depositi militari, dalle riserve di carburante (secondo l’Ufficio del Presidente dell’Ucraina, 150 tonnellate di olio per macchinari sono già fluite nel Dnepr, ndr). L’unica cosa un po’ “confortante” (virgolettato nostro, ndt) sono gli enormi volumi d’acqua. Qualsiasi cosa venga riversata nelle acque sarà molto diluita. Tra le aree protette, il Parco Nazionale del Dnepr sarà il più colpito. Ma in che misura gli effetti differiranno da un’alluvione naturale è difficile da dire.

La Crimea e altri insediamenti rimarranno senz’acqua?

R: Dopo l’annessione della Crimea, l’acqua del bacino di Kakhovka è stata bloccata. Le autorità russe hanno dovuto risolvere questo problema. C’è stato un passaggio di gestione meno intensiva dell’acqua, usando altre fonti acquifere. Il consumo domestico si è ridotto. L’acqua riforniva, in quantità necessarie, gli insediamenti della penisola di Crimea. Sulla terraferma, pochi insediamenti prelevano l’acqua potabile dal bacino, che non è molto pulita. A Kryvorizhzhya ci si lamenta del fatto che gli toglieranno l’acqua, e si dice che la gente stia facendo scorte d’acqua. Credo che questo problema sia stato risolto più facilmente rispetto all’approvvigionamento idrico agricolo. È stato risolto da un anno e mezzo in tutta l’Ucraina. In tutti i distretti in cui si combatte, l’approvvigionamento idrico viene regolarmente interrotto. Viene limitata l’erogazione dell’acqua per uso domestico.

C’è una minaccia per la centrale nucleare di Zaporizhzhia?

R: Per raffreddare in modo affidabile la centrale nucleare di Zaporizhzhia, è stato creato un bacino di raffreddamento – un circuito chiuso dove ci sono circa 42 milioni di metri cubi di acqua. Quest’acqua viene utilizzata per tutte le esigenze di raffreddamento dell’impianto. Quando il livello dell’acqua del bacino di raffreddamento si abbassa, viene reintegrato dall’acqua della diga. Adesso la centrale nucleare consuma meno acqua per il raffreddamento rispetto a quando era attiva. Pertanto, il bacino di raffreddamento durerà a lungo. Se il bacino di raffreddamento non viene fatto saltare in aria, probabilmente non ci saranno situazioni di emergenza nel prossimo futuro. “Energoatom” ha già comunicato che il livello dell’acqua nel bacino è normale.

2b) «Ci sarà un grande deserto artificiale, ci saranno tempeste di polvere contenenti particelle nocive». Le conseguenze ambientali sulla distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovka

Cosa si può fare per mitigare le conseguenze del disastro e perché non vale la pena ricostruire la centrale idroelettrica, spiega l’ambientalista e coordinatore degli esperti del gruppo di lavoro sulle conseguenze ambientali della guerra in Ucraina Yevgeny Simonov.

Non sappiamo ancora quantificare i danni causati alla diga, quanto è profondo il buco creato dall’esplosione, quanta acqua passi attraverso la diga in un determinato lasso di tempo e quanta ne può fuoriuscire. Cominciano ad arrivare le informazioni dettagliate da parte ucraina e presto potremo valutare l’entità dei danni, il numero delle vittime e l’impatto sull’ambiente.

Il problema è che sappiamo molto meno dal lato opposto del Dnepr, più popolato e più vulnerabile, controllato dall’esercito russo. È difficile dire fino a che punto riescano ad evacuare la popolazione e se questo compito è stato fissato.

Che sta succedendo

L’acqua sta inondando le zone costiere e gli animali che non sono riusciti a fuggire stanno morendo in massa, non solo negli zoo, ma anche in natura, dove sono molto più numerosi. L’area più a rischio è quella intorno ad Olešky e Hola Prystan’, dove le coste sono basse e vi sono molti insediamenti abitativi. Ora si tratta di capire come le persone si sono preparate a questa situazione e fino a quanto si innalzerà l’acqua.

Area approssimativa ad alto rischio nell’area di Olešky e Hola Prystan’

L’inondazione continuerà, ed è chiaro che allagherà un gran numero di aree naturali – che un tempo erano abituate a questo. Una volta c’era una pianura alluvionale o delle aree che, in caso di inondazioni catastrofiche del Dnepr, dovevano essere inondate. Negli ultimi decenni, però, le dighe hanno impedito che ciò avvenisse completamente: hanno regolato il flusso e “tagliato fuori” le inondazioni. Così gli ecosistemi sono stati in parte ricostruiti – e al cui interno vi sono specie animali e vegetali non adatti alle inondazioni regolari. Enon è noto [il danno causato] da questa alluvione.

Per quanto riguarda la vita animale, un gran numero di esseri viventi verrà ucciso dalla rapida avanzata dell’acqua. Non importa quanto sia profondo il livello: non serve molto [per ucciderli]. Tutti hanno visto il video dei castori a Kherson. Inizialmente i castori non erano minacciati dalla situazione creatasi – ma un qualsiasi scoiattolo di terra, invece, lo è.

Anche il grado di adattamento delle piante alle inondazioni naturali è sconosciuto. In 70 anni di dighe, si è sviluppata una comunità [vegetale] diversa, più tollerante alla siccità. Teniamo d’occhio il Parco nazionale di Nizhnedniprovsky, che si estende lungo il Dnepr, e vediamo se l’onda raggiungerà il Kinburn Spit. Sembra che non ci arriverà, ma è molto difficile fare previsioni.

È difficile dire se il Kinburn Spit verrà allagato.

L’onda spazza via molte sostanze inquinanti di origine militari, industriali e domestiche. Tutti questi rifiuti vengono trasportati dall’acqua e inquinano il corso inferiore del fiume e l’estuario. È vero che c’è molta acqua e che tutto risulta molto diluito. Quanto siano concentrati e quanto siano pericolosi non possiamo saperlo con esattezza – è improbabile che ci sia adesso qualcuno disposto ad andare a prendere le misure. È un problema di tutto il territorio colpito dalla guerra. Non abbiamo dati strumentali sull’inquinamento e quelli che abbiamo, probabilmente, sono molto inaffidabili. La contaminazione di quest’acqua dovrà essere giudicata dalle conseguenze, ovvero dai pesci emersi in superficie. [Sempre] se qualcuno se ne accorge.

Cosa accadrà in futuro

La conseguenza più problematica sarà la presenza di sedimenti sul fondo del bacino – sostanze e detriti portati dall’acqua. Perché i sedimenti, soprattutto quelli che arrivano dalle zone industrializzate a monte, conterranno elementi inquinanti di origine industriale. Nel caso della centrale idroelettrica di Kakhovka, possiamo aspettarci che il loro contenuto sia significativo: gran parte dell’industria ucraina si trova a monte del Dnepr.

Il sedimento è un fango composto da piccole particelle che, una volta asciutto, diventa polvere. In caso di forti venti, specie in una valle con un grande spazio vuoto e dove prima c’era l’acqua, ci saranno tempeste di polvere contenenti queste particelle.

È probabile il prosciugamento di tutte le acque poco profonde e dei bacini associati alla diga – che sono importanti zone di riproduzione per la maggior parte delle 40 specie di pesci che vivevano nel Mare di Kakhovka. Molti organismi acquatici scompariranno o si ridurranno e le catene alimentari degli ecosistemi acquatici cambieranno in modo significativo.

Dove c’era un bacino idrico, lungo le sponde del fiume, apparirà un grande terreno incolto costruito dall’uomo, attorno al quale vivranno i poveri abitanti della zona – come un tempo vivevano lungo il corso del fiume -, senza le loro fonti di pesce, di svago e così via dicendo. Visto che è in corso una guerra, è improbabile che questo sia il loro problema principale.

I campi agricoli che “vivevano” grazie alla diga – circa un quarto di milione di ettari di terreno – cesseranno di essere irrigati perché le reti di approvvigionamento idrico diventeranno poco profonde.

Come ridurre i danni

Al posto dell’invaso dismesso sarà necessario un programma di riabilitazione ampio e completo – ma con un paesaggio molto diverso. È possibile, è necessario e dovrebbe essere positivo nel lungo periodo. La qualità dell’acqua migliorerà, la migrazione dei pesci naturali di questo fiume sarà ripristinata, le perdite d’acqua causa evaporazione saranno radicalmente ridotte e così via dicendo. Sarà più naturale per il Dnepr. Gli scienziati dicono da decine di anni che la centrale idroelettrica – di dubbia utilità riguardante la produzione di energia -, dovrebbe essere chiusa e che il bacino dovrebbe essere gradualmente svuotato. E ora non ha senso ripristinare questo bacino di evaporazione sovietico: “è morto morto”.1 Spero che coloro che si accingono a ricostruire l’Ucraina lo capiscano.

Ma a medio termine è un terribile mal di testa. Dobbiamo pensare a come lavorare meglio e in modo più efficiente, ripristinando così i paesaggi fluviali sostenibili e socialmente accettabili. Per parlare di questa pianificazione nel dettaglio, bisognerebbe trattare altri tre argomenti; vi farò solo un esempio.

Al fine di evitare che i sedimenti diventino “polverosi”, occorre seminare, fin da quest’anno, delle erbe selvatiche autoctone – frenando così l’erosione eolica. Si tratterebbe di seminare centinaia di chilometri quadrati; per un operazione del genere si potrebbero usare dei droni. Gli ambientalisti locali considerano il compito urgente perché si teme che questi sedimenti diventino un terreno fertile per piante non autoctone.

Nota del Gruppo Anarchico Galatea

1Originale “умерла так умерла”. La traduzione letterale è “morto così morto”; indica che non si può riportare nulla indietro e, quindi, bisogna accettare ciò che è successo.

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Oltre il fumo delle elezioni

Quasi il 48% degli aventi diritto al voto e residenti a Catania non sono andati a votare alle elezioni comunali. Rispetto alle passate comunali (2018), le persone astenute sono aumentate dell’1%.

Questo aumento è stato motivo di lamentela sui social e fuori da essi. Ma di preciso, per cosa ci si lagna?

Viviamo in un contesto locale economicamente, socialmente e culturalmente impoverito dove gli sfratti sono un problema quotidiano, si lavora o vive alla giornata e i sussidi e i redditi (NASPI, RdC, PdC etc) non compensano le spese che si devono sostenere (specie in un territorio dove l’inflazione è alta).

Negli anni i partiti istituzionali si sono impegnati nella lotta elettorale o, per meglio dire, nell’apparire in consiglio comunale. Il gioco portato avanti da costoro è stato di mera rappresentanza e di delega, dove hanno cercato di barcamenarsi tra il “pezzente” che ha visto il proprio posto di lavoro perduto causa delocalizzazione e chi, come azienda, ha tentato di entrare e/o voluto difendere la propria posizione all’interno del mondo degli appalti e dei finanziamenti nazionali ed europei (PON-FESR e/o PNRR).

Questo volersi destreggiare tra le due sponde (pezzente e azienda) all’interno di un sistema di poteri avvantaggia, oggettivamente parlando, sempre la parte che ha una grande disponibilità economica. Il voto politico diventa una questione puramente economica e priva del suo presunto significato ideologico o civico: chi va a votare lo fa per avere una briciola economica (soldi o lavoro precario), una rappresentanza politica e/o una strada spianata per appalti, permessi, commesse e via dicendo.

La depoliticizzazione così creata torna utile al sistema stesso in quanto si fa accettare quella parte di popolazione impoverita il fatalismo e il vivere alla giornata.

Così soggetti economici come:

-lo zio d’Australia (Ross Pelligra) che, portando lustro al Calcio Catania, collabora attivamente con i suoi amici dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili nel progettare speculazioni edilizie (intortando, allo stesso tempo, quei “quattro pezzenti” che, con la fede da tifosi che li contraddistingue, vanno a sostenere la squadra calcistica locale (in casa, in trasferta e negli allenamenti a Torre del Grifo e/o a Ragalna));

-Confcommercio, Compagnia delle Opere e Sicindustria, impegnati nell’incentivazione territoriale turistica, agroalimentare e di potenziamento delle infrastrutture logistiche e viarie (strade e porto);

possono prosperare e distruggere ulteriormente le vite (a livello fisico e mentale) degli individui e stravolgere ancor di più un territorio pesantemente cementificato.

La depoliticizzazione, come parte integrante del sistema di poteri vigenti, deve essere superato.

L’astensionismo, in tal senso, sarà un attacco al principio di autorità e di delega e, contemporaneamente, getterà le basi per la costruzione di un’autonomia collettiva totalmente diversa dal modello attuale che ci sta conducendo all’autodistruzione.

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Accettare l’inevitabile

Una guerra guerreggiata non porta solo morti e distruzioni. Per contrastare la destabilizzazione sociale-politica interna la censura e la repressione contro la dissidenza sono fondamentali per quei governi impegnati direttamente nel conflitto. Quel che succede in Russia, dall’inizio della “Tragedia”, rappresenta in tutto e per tutto questo stato di cose: chiusura di siti internet e giornali che riportano notizie “non allineate al regime putiniano”, controllo dei social network commerciali russi (VK) e stranieri (Meta, Twitter etc) da parte delle autorità e delle aziende private colluse con il governo, denunce, processi e condanne per disfattismo e via dicendo. Questi controlli del governo di Putin servono a presentare, a livello mediatico internazionale, la Russia e i suoi popoli come compatti nel voler proseguire questa guerra e, allo stesso tempo e in modo nascosto, annichilire qualsiasi forma di dissidenza politica interna (parlamentare ed extraparlamentare che sia). Da quasi un anno a questa parte, nel nostro blog, stiamo dando voce a diverse piattaforme di resistenza russa. “Posle” (traduzione di “dopo”) è un sito, creato da dellu compagnu come risposta alla propaganda guerrafondaia di Putin e soci – e, conseguentemente, all’attuale stretta autoritaria russa sulla “Tragedia” in Ucraina. Con l’obiettivo di presentare una serie di vie d’uscite dalla situazione creata dal regime putiniano, lu compagnu di “Posle” hanno pubblicato una serie di interviste, analisi e critiche su quel che succede in Russia e come viene percepita la guerra in Ucraina dalla popolazione russa.

Come fanno i russi a spiegare il loro sostegno alla guerra in Ucraina? Perché continuano a sostenere la guerra nonostante la loro mancanza di entusiasmo? I sociologi Svetlana Yerpyleva e Sasha Kappinen riportano i risultati e le conclusioni della loro ricerca su come i russi sostengano in modo depoliticizzato la guerra.

Quando abbiamo cominciato ad esaminare il sostegno all’invasione russa dell’Ucraina all’interno della società russa, ci siamo imbattuti in un paradosso. Molte persone che abbiamo intervistato sono rimaste scioccate dalla notizia dello scoppio della guerra. Erano inorridite. Non riuscivano a capire come fosse possibile un evento del genere. “È stato insopportabilmente difficile”, “Ero inorridito”, “Non dovrebbe essere così”, “Stiamo facendo un terribile errore”, “Ho avuto un attacco di isteria, ho pianto”, “Non ho parlato per tre giorni”, “Il mio mondo è crollato”, “Non mi sarei mai aspettato di vedere una vera guerra nel XXI secolo e che il mio Paese fosse l’aggressore in questa situazione”: questo hanno detto le persone intervistate. Un mese dopo, tutte loro, in un modo o nell’altro, hanno iniziato a sostenere la guerra – o almeno a giustificarla. Che cosa è successo?

Moralmente disorientate, le persone intervistate hanno cercato di inserire la guerra in una visione globale [completamente] rivista. Hanno cercato di trovare le condizioni e gli argomenti per compensare la percepita riprovevolezza dell’invasione russa dell’Ucraina; hanno normalizzato la guerra convincendosi che “le guerre vanno sempre avanti”; hanno attribuito il loro shock iniziale alla loro ingenuità, al fatto di non aver capito che “il mondo non è perfetto”; infine, hanno abbracciato la loro impotenza e irrilevanza nel cercare di influenzare una situazione che era fuori dal loro controllo. Naturalmente hanno fatto riferimento, oltre ad appropriarsene, dei cliché della propaganda per difendere la guerra. Non lo hanno fatto in modo automatico ma con uno sforzo cognitivo, retorico e persino fisico. Questi sforzi hanno permesso loro di superare il conflitto morale, risolvere i dilemmi etici, riprendersi dallo shock e tornare alla vita di tutti i giorni. Di conseguenza ciò che ieri sembrava loro impossibile ora è visto come inevitabile.

Questa visione dinamica di come il sostegno alla guerra si sia diffuso nella società russa, ci permette di comprendere la logica e i meccanismi di base dietro una parte significativa di questo sostegno. Naturalmente, tra i sostenitori della guerra ci sono persone convinte, politicizzate, con opinioni profondamente radicate che sostengono il conflitto in modo molto diverso. La guerra e i suoi cambiamenti coincidono con le loro aspirazioni, speranze e idee sull’ordine mondiale. Ma queste persone sono una minoranza tra chi abbiamo intervistato e, si può dire, una minoranza tra i russi. Il sostegno alla guerra da parte della maggior parte dei nostri intervistati (e di una parte considerevole della popolazione russa) non è una conseguenza della loro consapevolezza politica. È passiva e reattiva: non serve come azione nella loro vita quotidiana e non deriva dai loro interessi, bisogni o principi morali (al contrario, li contraddice ampiamente). Al centro di questo sostegno c’è la depoliticizzazione della società russa. Questa è una delle principali conclusioni del prossimo rapporto analitico prodotto dal nostro team di ricerca – che descrive e analizza questo particolare sostegno depoliticizzato alla guerra.

Sin dall’inizio della guerra, il nostro team ha utilizzato metodi qualitativi (interviste sociologiche) per monitorare la percezione dei russi riguardo la guerra. Cerchiamo di capire cosa c’è dietro il sostegno alla guerra e come la guerra influenzi la nostra società. Abbiamo scelto metodi qualitativi per comprendere la logica, i meccanismi di sostegno e di condanna della guerra – [argomenti] invisibili dietro i numeri. Nella primavera del 2022 abbiamo raccolto oltre duecento interviste tra chi sosteneva la guerra, chi vi si opponeva e chi aveva dei dubbi – e abbiamo pubblicato un rapporto analitico, che potete leggere qui. Nell’autunno del 2022, abbiamo deciso di concentrarci nell’esaminare il sostegno alla guerra, raccogliendo quasi 90 interviste su chi supportava il conflitto Mentre nel nostro primo rapporto confrontavano tre gruppi di persone con atteggiamenti diversi nei confronti della guerra, nel secondo rapporto, che sarà pubblicato a breve, siamo riusciti a cogliere e a descrivere i modelli generali di sostegno depoliticizzato alla guerra nella società autoritaria russa. Tale sostegno non si basa solo nel supportare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia in quanto tale. In un certo senso è un caso particolare di molti russi che sostengono decisioni governative contrarie ai loro interessi, soprattutto se le cause e le conseguenze di queste decisioni vanno oltre l’esperienza immediata della loro vita privata. Quando tali decisioni riguardavano la politica interna, i loro effetti negativi colpivano principalmente le persone in Russia, rimanendo invisibili al resto del mondo. Questa volta, purtroppo per l’Ucraina, il peso delle loro conseguenze è ricaduto interamente sui cittadini del paese vicino.

Come funziona questo supporto?

In primo luogo, le persone sostenitrici della guerra non provano sentimenti positivi nei confronti del conflitto, nonostante giustifichino e in generale “sostengano” le azioni del governo – in questo caso, la decisione della Russia di invadere l’Ucraina. In effetti, la maggior parte delle persone intervistate prova paura e ansia di fronte al protrarsi del conflitto militare. “L’ansia è intensa, non finisce in nessun modo, è terribile, la gente muore da entrambe le parti”, spiega uno di loro (maschio, 50 anni, amministratore circense, Ottobre 2022). La paura è diventata eccezionalmente alta quando è iniziata la mobilitazione militare nel Settembre 2022; poche settimane dopo questa paura è passata in secondo piano, trasformandosi in un’ansia assillante senza una causa. Inoltre, molte persone non riescono a immaginare scenari ottimistici. Il desiderio principale delle persone intervistate che non si oppongono alla guerra è, paradossalmente, voler fermare essa (preferibilmente a favore della Russia). Ma anche la vittoria della Russia è auspicata non perché si creda in un cambiamento positivo dopo la guerra, ma perché perdere sembrerebbe un disastro ancora più grande.

In secondo luogo, i principali argomenti a difesa delle azioni del governo non derivano dalla propaganda di questi atti. È esattamente il contrario: la maggior parte delle persone intervistate cerca di dimostrare di avere un atteggiamento negativo nei confronti del fenomeno dell’aggressione militare. Quindi, il loro sostegno si basa sull’idea che non ci sia spazio per le alternative (“Sono contrario alla guerra, ma non c’era altro modo”, “La guerra è brutta, ma è una misura forzata”). Per queste persone l’invasione dell’Ucraina non sembra essere una soluzione ottimale ma, piuttosto, [deriva dal] risultato di una mancanza di scelta e dell’impossibilità di risolvere la situazione in modo migliore. Secondo la stessa logica, molti russi hanno risposto all’annuncio della mobilitazione militare: è spaventoso e orribile, ma non c’è modo di farne a meno. “Non mi sento euforico all’idea di dover andare in guerra, di uccidere qualcuno. No, assolutamente no” (uomo, 28 anni, computer graphics artist, Ottobre 2022), “Non ho alcun desiderio di andare in guerra” (uomo, 60 anni, imprenditore, Ottobre 2022) – ammettono le persone intervistate, aggiungendo che se riceveranno una convocazione, saranno “costrette” ad andare in guerra. “Dove altro possiamo andare?”, “Beh, se è necessario”, concludono con un pesante sospiro. Sia la guerra che la mobilitazione sono passi estremamente spiacevoli, ma forzati ed inevitabili, che la maggior parte delle persone intervistate, per loro stessa ammissione, preferirebbero evitare ma che ritengono necessari sopportare.

In terzo luogo, le persone sostengono alcuni elementi delle decisioni del governo e ne condannano altri. Abbiamo già scritto qui del sostegno contraddittorio all’ “operazione speciale”. Le persone partecipanti al nostro studio considerano le azioni della Russia giustificate e necessarie e, allo stesso tempo, desiderano una fine anticipata della guerra a causa del suo prolungamento. Possono deplorare la mobilitazione ma credono che i buoni cittadini non debbano voltare le spalle al proprio Paese – anche se [opera in modo] sbagliato. Possono desiderare una vittoria russa, ma non vedono alcuna ragione per aver iniziato la guerra o le sue conseguenze positive. “Mi schiero con coloro che sono rimasti e sono disposti ad andare in guerra se necessario”, dice una persona intervistata. “Se il nostro Paese è in guerra, è molto grave. Ma se perdiamo questo conflitto sarà ancora peggio. Non l’abbiamo iniziata noi ma dobbiamo finirla”. In un’altra parte dell’intervista, tuttavia, ammette: “Non capisco. Cosa vuole la NATO dalla Russia? Ho paura che l’Ucraina e l’area del Donbass possano disintegrarsi in piccole entità fuori dal controllo di chiunque, come la Somalia. Ci sarà poca soddisfazione da questo stato di cose, perché i territori che nessuno controlla rappresentano gravi problemi economici e politici” (donna, 21 anni, studentessa, Novembre 2022). In questo senso, non è facile definire ogni individuo “sostenitore” della guerra o “oppositore”. Sono sostenitori e oppositori allo stesso tempo. Per sostenere questo conflitto in una società autoritaria e depoliticizzata che fa la guerra e chiede sostegno ai suoi abitanti, è sufficiente rimanere in silenzio, fare i conti con la realtà e continuare a vivere la propria vita. Per opporsi, invece, bisogna superare l’inerzia della depoliticizzazione, formulare una posizione e parlare (anche in un’intervista anonima con un sociologo). Di conseguenza, anche l’accettazione contraddittoria, l’approvazione che coesiste con la condanna, continua a produrre un tacito sostegno alla guerra.

Infine, le persone spesso giustificano le decisioni del governo senza guardare alle loro ragioni ma solo alle loro conseguenze (anche le argomentazioni geopolitiche preparate dalla propaganda russa sembrano ancora troppo astratte e incomprensibili per molte persone). Definiamo questo tipo di giustificazione della guerra in Ucraina come “giustificazione inversa”, un’argomentazione apologetica che inverte il corso dell’argomentazione. In queste giustificazioni, le conseguenze e gli “effetti” inevitabili della guerra, come il comportamento aggressivo degli ucraini e dell’AFU (Forze Armate dell’Ucraina, ndt) nei confronti dei russi, iniziano ad essere visti come cause del conflitto e diventano argomenti di difesa di quest’ultimo.

In parole povere: visto che le bombe ucraine cadono sui nostri territori di confine e l’Occidente sostiene l’AFU, l’ “operazione speciale” era effettivamente necessaria. “Senta, lei mi ha chiesto: crede nella minaccia dell’Ucraina? Sì, [ci credo]. Uccidimi [se non ci credo]. Il 24 non ci credevo. E ora ci credo. Quando tutto [è iniziato a succedere,] ho visto, ho capito che non avevano scherzato”, ammette uno degli intervistati (maschio, 60 anni, imprenditore, Ottobre 2022). Un’altra persona intervistata amplia questo pensiero:

I ragazzi che sono andati lì, all’inizio, non volevano andarci. E ora vogliono andare fino in fondo. Nessuno sapeva che vi era il vero fascismo – pensavamo che fosse tutto finito. […] Molte persone non erano in vena di combattere. Pensavano che fosse [una mossa] per spaventarli. Ma quando abbiamo scavato più a fondo, c’era qualcosa che nemmeno gli uomini adulti si aspettavano. Perciò penso che la Russia abbia dovuto incidere quel bubbone. Non credo che sarebbe scomparso. Perché a giudicare da come stanno andando le cose, il conflitto sarebbe avvenuto (donna, 52 anni, professore universitario, Novembre 2022).

Inoltre, con il tempo, la guerra stessa sta diventando più tangibile e reale, diventando parte del mondo circostante (anche se ancora mediato, per la maggior parte dei russi, da smartphone e schermi televisivi). Molti iniziano a percepirla come il maltempo fuori dalle finestre o come una catastrofe naturale: una manifestazione di processi e crisi mondiali globali, alla cui potenza, come al maltempo, non si può resistere. “Ora è nuvoloso”, dice uno dei nostri intervistati in risposta ad una domanda sul suo atteggiamento nei confronti della guerra. “Questo è quello che succede. Sul campo, in generale, si spara sempre, si uccide, da qualche parte” (uomo, 42 anni, professionista IT, Ottobre 2022). Inoltre, durante i lunghi mesi di guerra, alcuni russi sono in contatto con parenti e conoscenti ucraini e vedono peggiorare il loro atteggiamento nei confronti dei cittadini russi. Questi episodi confermano l’inevitabilità e, allo stesso tempo, la validità della guerra, come se fosse un’esperienza a posteriori. Così, molte persone russe non hanno più bisogno di cercare attivamente argomenti in difesa della guerra – cosa che facevano nei primi mesi dell’invasione russa. È come se la guerra cominciasse a giustificarsi da sola, e i russi stanno facendo i conti con ciò che sembrava impossibile sei mesi fa.

In effetti, anche il sostegno forzato, impulsivo e ideologicamente indifferente alla guerra non è innocuo. Questo sostegno contribuisce, in ultima analisi, a normalizzare la guerra e a mantenere lo status quo. La nostra ricerca, comunque, mostra che in Russia il sostegno massiccio alla guerra deriva principalmente dalla struttura dello Stato e della società, che ha preso forma negli ultimi decenni. Per sostenere la guerra in una situazione dove essa è di fondamentale importanza per la dottrina ufficiale dello Stato – e [soprattutto] si trova al centro dell’ideologia del regime politico -, non è necessario uscire dalla depoliticizzazione, bensì il contrario. Per opporsi alla guerra, invece, la politicizzazione si rivela fondamentale. Dal momento che la depoliticizzazione della società russa è stata determinata in parte dagli sforzi coerenti delle autorità negli ultimi vent’anni, una posizione antibellica richiederebbe che le persone superino la loro inerzia e si sforzino di abbandonare la loro posizione apolitica. I russi, che vivevano in uno Stato autoritario depoliticizzato dove le istituzioni sociali erano state distrutte per così tanto tempo, sono diventati ostaggi di questo sistema fin dall’inizio della guerra e non hanno potuto condannare la decisione dello Stato. Anche se questa decisione era contraria ai loro interessi.

Il numero di morti, le distruzioni e le sofferenze che la guerra ha provocato non costituiscono una ragione per condannarla?”, chiedono i russi contrari alla guerra ai loro connazionali. “Non è sufficiente dire che la guerra è un crimine?” La nostra ricerca mostra che non è abbastanza. Ciò che agli oppositori della guerra sembra una reazione umana individuale (ed eticamente colorata (nel senso di politico nonostante la depoliticizzazione, ndt)), una scelta morale di un singolo è, in realtà, il risultato [complessivo] delle azioni delle forze sociali. In un certo senso, possiamo distinguere due livelli di coloro che sostengono passivamente la guerra e, allo stesso tempo, giudicano ciò che sta accadendo: il socio-politico (utilizzato dagli insensibili e dai cinici) e il personale (dove rimangono umani ai loro stessi occhi).

Questa conoscenza è essenziale nella discussione della responsabilità collettiva che costituisce il terreno per le decisioni politiche a livello internazionale. Sotto un diverso sistema politico-sociale, molti dei sostenitori della guerra, insicuri e forzati, si sarebbero opposti. Questa situazione dimostra ancora una volta l’enorme potere che l’ordine sociale e la società ha sull’individuo. [Allo stesso tempo] dà anche qualche speranza: se la situazione socio-politica dovesse cambiare, alcune persone che sostengono la guerra potrebbero rapidamente iniziare a condannarla.

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Guatemala. Assassinati due difensori della natura

Per conoscenza pubblichiamo questa traduzione fatta da Federica per il Gruppo Anarchico Galatea sull’ennesima violenza di Stato ai danni delle popolazioni native della cosiddetta America Latina.

Il Comitato per lo sviluppo contadino (CODECA), un’organizzazione contadina guatemalteca indigena, ha denunciato che sabato 6 Maggio Nicolasa López Méndez, 27 anni, e Victoria Méndez Agustín, 18 anni, sono state uccise a colpi di arma da fuoco mentre tornavano nella loro comunità.

Entrambe le donne erano originarie del villaggio di El Camarón (San Luis Jilotepeque, dipartimento di Jalapa) e membri del CODECA.

Nicolasa ha partecipato alle proteste per la nazionalizzazione dell’energia elettrica, oggi in mano alla società Energuate. Victoria faceva parte del gruppo giovanile CODECA ed era figlia di un leader locale e testimone chiave dell’omicidio di Luis Marroquín, assassinato dal sindaco del comune nel 2018. Hanno anche partecipato al Movimento per la Liberazione dei Popoli (MLP) , un partito politico creato da CODECA e altri movimenti sociali. In seguito all’attentato è morto anche Leonardo Morales, che era alla guida del mezzo, mentre è rimasto ferito un altro passeggero, Rufino Miguel. “Dal 2018 ad oggi sono statu assassinatu 27 difensoru che esercitavano ruoli di leadership nel movimento CODECA”, denuncia l’organizzazione. A cura di ANRed.

Lo ha denunciato il Comitato per lo sviluppo contadino (CODECA) in un comunicato: “Denunciamo gli omicidi di Nicolasa López e Victoria Méndez. Nicolasa López Méndez, 27 anni, che ha lasciato due bambine orfane, e Victoria Méndez Agustín, 18 anni, erano originarie del villaggio di El Camarón, San Luis Jilotepeque, Jalapa. Entrambe sono state uccise a colpi di arma da fuoco mentre si stavano spostando dal capoluogo del loro comune alla loro comunità. Ieri (in riferimento a sabato 6 Maggio) verso le 11 del mattino, le due compagne, dopo essere andate al mercato per fare la spesa, stavano viaggiando su un taxi per ritornare nelle loro case di El Camarón. L’attacco è avvenuto mentre attraversavano il fiume Camarón, quando degli uomini che viaggiavano su un altro veicolo, hanno sparato alle due compagne. Nell’attentato è morto anche Leonardo Morales, che era l’autista del mezzo. Allo stesso modo, un’altra persona di nome Rufino Miguel, che viaggiava anche lui come passeggero, è rimasto ferito”, ha riferito l’organizzazione contadina indigena guatemalteca.

Nicolasa López e Victoria Méndez erano membri del movimento CODECA da più di sette anni. Nicolasa faceva parte della resistenza all’interno della sua comunità e chiedeva la nazionalizzazione dell’energia elettrica; per ritorsione, ENERGUATE ha lasciato tutte le comunità di quella regione senza elettricità per più di due anni. Victoria Méndez era un membro della gioventù CODECA, suo padre è uno dei leader locali ed è stata una testimone chiave per la denuncia nel caso dell’assassinio di Luis Marroquín, che faceva parte del coordinamento nazionale del CODECA ed era stato ucciso dal sindaco del comune nel 2018. Entrambe le compagne assassinate facevano anche parte del nostro gruppo, il Movimento di Liberazione dei Popoli (MLP)”, un’organizzazione ampliata e costituita da CODECA e altri movimenti sociali.

CODECA ha evidenziato l’escalation della repressione e degli omicidi contro l’organizzazione, nel Paese governato da Alejandro Giammattei: “dal 2018 ad oggi sono statu assassinatu 27 difensoru che esercitavano ruoli di leadership in diverse strutture del movimento CODECA. Le istituzioni statali in Guatemala non hanno reso giustizia per gli omicidi di questu compagnu. Negli ultimi anni si sono intensificate le persecuzioni, la criminalizzazione e la repressione da parte dello Stato contro le comunità in resistenza. Quest’anno, i deputati che fanno parte del patto dei corrotti 1, hanno approvato col Decreto 08-2023 una modifica al codice penale, che diventa così [una] legge contro le comunità in resistenza che chiedono la nazionalizzazione dell’energia elettrica in Guatemala”.

Inoltre puntualizzano: “quest’anno, che è periodo elettorale, ancora una volta le mafie e la criminalità organizzata che hanno cooptato le istituzioni statali, stanno creando da mesi delle frodi elettorali con l’obiettivo di rimanere al potere. Hanno rimosso dal processo elettorale il binomio presidenziale del Movimento di Liberazione dei Popoli (MLP), perché questo movimento ha il sostegno popolare per vincere le elezioni e questo rappresenta una minaccia per i gruppi di potere in questo paese”, ha affermato CODECA , in riferimento alla sentenza che vieta la partecipazione alle elezioni dellu difensoru dei diritti umani e della natura Thelma Cabrera Pérez e Jordan Rodas Andrade.

Anche se non ci fidiamo più, chiediamo la punizione dei responsabili di questa repressione. È urgente liberare il Guatemala da questa mafia repressiva contro i popoli! È urgente costruire uno Stato plurinazionale!”, conclude il comunicato del CODECA.

Hanno paura di noi e per questo ci reprimono: per fermare i nostri processi di lotta e resistenza”

Nel frattempo, Thelma Cabrera Pérez, candidata alla presidenza del MLP, ha condannato l’omicidio: “Nicolasa López e Victoria Méndez erano membri del CODECA e del MLP. Ripudiamo questi fatti, lo Stato è complice nella regione”, ha scritto su Twitter la candidata. Da parte sua, anche Jordán Rodas, suo compagno politico, ha condannato l’omicidio e ha ricordato che entrambe erano difensori dei diritti umani nel villaggio di El Camarón: “questo avviene nel contesto di un processo elettorale esclusivo e della criminalizzazione di questa organizzazione. Questo crimine deve essere indagato, in modo che non rimanga impunito”, ha sottolineato l’ex avvocato per i diritti umani. Anche Leiria Vay García, difensore dei diritti umani, ha denunciato la repressione contro il movimento CODECA sui suoi social network: “hanno paura di noi ed è per questo che ci reprimono per fermare i nostri processi di lotta e resistenza”, ha affermato. Il MLP ha anche diffuso un comunicato congiunto di condanna degli omicidi: “queste azioni repressive hanno lo scopo di mettere a tacere le voci della resistenza che chiedono la nazionalizzazione dell’elettricità” [ ; allo stesso tempo] esorta “le persone oneste e democratiche a rafforzare l’organizzazione in tutti i territori” e indica che “è urgente un processo di assemblea costituente per costruire uno Stato popolare e plurinazionale che garantisca a tutti condizioni di vita dignitose”.

Nota del Gruppo Anarchico Galatea

1In spagnolo “Pacto de corruptos”. Nel 2006 viene creata la Commissione Internazionale contro l’Impunità in Guatemala (CICG) per contrastare le organizzazioni criminali e la dilagante corruzione presente all’interno dello Stato guatemalteco e rafforzare le istituzioni giudiziarie A seguito di una serie di arresti “eccellenti” come i presidenti della Repubblica Colom e Molina, dal 2016 i partiti politici, il presidente della repubblica Morales, pezzi della magistratura e la borghesia locale e internazionale presente nel territorio si sono alleati con l’obiettivo di contrastare l’operato della CICG. L’impedimento da parte delle autorità locali di far entrare nel paese centroamericano il commissario della CICG Velasquez agli inizi del Gennaio 2019, ha posto fine alle azioni di questa organizzazione internazionale. Da quel momento in poi, parte dell’opinione pubblica ha bollato tutto l’entourage istituzionale politico ed economico responsabile della fine di questa esperienza anti-corruttiva come corrotti. Da qui l’utilizzo “patto dei corrotti”.

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Gli Stati Uniti puntano sul Messico nella guerra commerciale dei semiconduttori

Traduzione dall’originale “EEUU pone el ojo sobre México en la guerra comercial de semiconductores”

L’accelerazione delle nuove catene produttive nel mondo è in pieno svolgimento, così come il quadro del teatro delle operazioni della guerra commerciale. Dalla telefonia cellulare all’industria automobilistica sono fondamentali i semiconduttori, noti anche come circuiti integrati, chip microelettronici o chip informatici, un’industria in cui gli Stati Uniti hanno una presenza minima ma che sono fondamentali per la sua Sicurezza Nazionale; per cui hanno investito nel settore, cercando di trasferire i complessi produttivi in regioni come il Messico.

Secondo il Congressional Research Service statunitense, dal 2012 al 2022 le vendite globali di semiconduttori sono raddoppiate, raggiungendo la gigantesca cifra di 602 miliardi di dollari, accelerate dall’aumento delle reti elettriche intelligenti, dalle vendite di auto elettriche, dalla digitalizzazione e dalla connettività in quasi tutti i settori produttivi e dei servizi.

Tuttavia, le aziende presenti negli Stati Uniti sono leader solo nella progettazione di chip. Ad esempio, nella produzione globale di chip logici – i più commercializzati -, gli Stati Uniti rappresentano solo il 13% della capacità produttiva globale, mentre Taiwan ne produce il 35%, la Cina il 23% e il resto è prodotto da Corea del Sud e Giappone.

Seguendo questo scenario, in un rapporto presentato successivamente dal Congressional Research Service statunitense, si è proposto di sostenere la capacità produttiva con un’iniezione di 50 miliardi di dollari. Il 9 Agosto 2022, attraverso il “Chips Act” (P.L. 117-167), [il governo statunitense] ha stanziato 39 miliardi di dollari al Dipartimento del Commercio per realizzare il programma “CHIPS for America”.

La legge ha inoltre stanziato 11 miliardi di dollari per programmi di ricerca e sviluppo volti a migliorare la capacità nazionale di produzione di semiconduttori di nuova generazione – nonostante le aziende statunitensi e straniere avessero già investito 200 miliardi di dollari in investimenti privati, prima di questa legge, tra il 2020 e il 2022 per espandere la capacità produttiva nazionale di semiconduttori, apparecchiature e materiali in 16 Stati.

La maggior parte degli investimenti è stata destinata a impianti di produzione di chip logici e di memoria in Idaho, Ohio, New York, Texas e Arizona, e si sta cercando di creare un’espansione in Messico.

Sonora

L’Arizona State University (ASU) e il governo messicano hanno stipulato un accordo per incrementare la produzione di semiconduttori lungo il confine tra i due Paesi, a seguito del programma “CHIPS for America”. Secondo l’ASU, l’accordo prevede la formazione di manodopera qualificata attraverso la collaborazione tra varie università e partner industriali, nell’ambito della “sicurezza nazionale”.

A seguito di questo accordo, Rogelio Ramírez de la O, Segretario del Ministero delle Finanze e del Credito Pubblico (SHCP), ha inaugurato lo scorso Aprile la cattedra SHCP-UNAM 2023 presso l’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM). Ha inoltre dichiarato che questo accordo fa parte del cosiddetto Piano Sonora, “che prevede parchi solari e poli industriali basati sull’energia pulita e, visto l’esteso confine dello Stato con l’Arizona, sarà essenziale promuovere la delocalizzazione delle aziende, soprattutto nel settore dei semiconduttori”.

Il presidente dell’ASU, Michael Crow, che ha firmato il memorandum d’intesa con Esteban Moctezuma Barragán, ambasciatore del Messico negli Stati Uniti, al momento di suggellare l’accordo ha sottolineato che non è possibile per il suo Paese assorbire tutta la produzione di semiconduttori; per questo, con la nuova legge CHIPS, sono stati stanziati 500 milioni di dollari per la cooperazione internazionale (in cui è incluso il Messico).

L’accordo con l’ASU aprirà la strada ad un’alleanza tra università statunitensi e messicane e produttori di microelettronica, per concentrarsi sulla formazione dei lavoratori e sulla creazione di capacità produttive negli Stati frontalieri del nord-ovest. Questo cambiamento ridurrà la dipendenza degli Stati Uniti dalla produzione asiatica”, si legge sul sito web dell’università statunitense.

L’importanza che il Messico entri nella produzione di chip è per dare certezza alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti, perché, come si legge sul sito dell’ASU, “se questa catena di approvvigionamento venisse interrotta […] si scatenerebbe una crisi economica globale, come quella che abbiamo vissuto durante la pandemia, quando la Cina ha chiuso quasi tutte le attività economiche”.

Condizioni favorevoli

La delegazione messicana ha trascorso due giorni presso l’Università dell’Arizona, dove ha visitato anche gli impianti dell’ASU MacroTechnology Works. L’ambasciatore messicano ha sottolineato “che il Messico è un partner chiave perché offre stabilità economica, sociale e politica, incentivi fiscali, tassazioni basse, accesso agli aeroporti internazionali e vicinanza ai clienti e alle forniture, oltre a ingegneri qualificati e manodopera disponibile”.

Inoltre, Moctezuma ha ricordato che attualmente quasi il 40% degli impianti di semiconduttori statunitensi si trovano vicini al confine e che Intel e Texas Instruments hanno già strutture in Messico.

D’altra parte, il Ministero dell’Economia messicano ha definito “strategico” il trasferimento dell’industria dei semiconduttori in territorio messicano: si prevede che questo ramo industriale venga installato nel Corridoio Interoceanico. Lo ha reso noto la Segretaria all’Economia Raquel Buenrostro, annunciando le condizioni di partecipazione per il settore privato [riguardante] la gara di appalto per sei dei dieci poli di sviluppo in questa regione meridionale del Messico.

Buenrostro ha sottolineato che i cosiddetti poli di sviluppo saranno riservati a undici vocazioni produttive: Elettrica ed elettronica; Semiconduttori; Automotive (elettromobilità, ricambi auto e attrezzature per il trasporto); Dispositivi medici; Farmaceutica; Agroindustria; Attrezzature per la generazione e la distribuzione di energia (energia pulita); Macchinari e attrezzature; Tecnologie dell’informazione e della comunicazione; Metalli; Petrolchimica.

Le agevolazioni offerte agli investitori ruotano attorno agli incentivi fiscali, come l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) sulle transazioni all’interno e tra i poli stessi durante i primi quattro anni. Spicca l’esenzione del 100% dall’imposta sul reddito (ISR) per i primi tre anni, con la possibilità di estenderla per altri tre anni (con una riduzione fino al 90%, a seconda delle variabili come il numero di posti di lavoro creati).

I sei poli in cui si espanderà la delocalizzazione dell’industria dei semiconduttori sono, dal lato di Veracruz, Coatzacoalcos I (257 ettari), Coatzacoalcos II (131 ettari), Texistepec (462 ettari) e San Juan Evangelista (360 ettari). I poli situati a Oaxaca che fanno parte di questa prima gara sono Salina Cruz (82 ettari) e San Blas Atempa (331 ettari).

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Il tempo della rotazione. Le linee mutevoli nel movimento del capitale – Seconda Parte

Prima Parte

Si ringrazia Giorgia P. per la traduzione di questa seconda parte

Riconfigurare la logistica statunitense: compattezza, velocità e vulnerabilità

Anche se il caotico sistema di mercato dell’economia statunitense difficilmente potrebbe imitare Amazon, la concorrenza, le pressioni sulla redditività e le tensioni delle molteplici crisi del sistema stanno spingendo il capitale in quella direzione – proprio come la crescente concorrenza internazionale e le crisi di quattro decenni fa hanno incoraggiato la diffusione della produzione snella negli anni Ottanta e Novanta. Per capire se le tendenze della circolazione delle merci hanno seguito il “modello” di Amazon – nonostante le aziende si allontanino dalla consegna “just-in-time” -, esamineremo la crescita delle strutture di trasporto e stoccaggio, l’aumento delle vendite di camion come proxy dell’intensificazione della connettività fisica, e i livelli e la crescita degli investimenti in queste aree, insieme alla tecnologia correlata, che puntano in questa direzione.

Grafico I: Trasporto su camion 2006-2022
Numero di stabilimenti

Fonte: BLS, Industries at a Glance, Truck Transportation, NAICS 484, February 10, 2023, https://www.bls.gov/iag/tgs/iag484.htm

Grafico II: Magazzinaggio, 2006-2022
Numero di stabilimenti

Fonte: BLS, Industries at a Glance, Warehousing and Storage, NAICS  493 https://www.bls.gov/iag/tgs/iag493.htm

I grafici I e II della BLS mostrano la crescita accellerata degli “impianti”, cioè dei singoli luoghi di lavoro – non necessariamente aziende separate – nel settore del trasporto di autocarri e dello stoccaggio dal 2006 al 2022. In entrambi i casi, l’accelerazione inizia dopo la recessione del 2008-2010, ben prima della pandemia – sebbene si registri anche una brusca impennata nel 2020 quando le persone passano dall’acquisto di servizi all’acquisto di beni online durante le restrizioni. Si noti, inoltre, che la proliferazione dei magazzini ha coinciso con la loro trasformazione, avvenuta nei due decenni precedenti, in luoghi di movimento e non più di stoccaggio.1 Il modello originale di questo fenomeno è stato, in realtà, quello dei centri di distribuzione di Walmart; come ha osservato Jesse LeCavalier, “in ogni sede l’inventario passa tipicamente da un luogo all’altro diverse volte al giorno”. 2

Un’indicazione dell’attenzione dell’industria sulla massima circolazione delle merci è che il costo del trasporto per dollaro di produzione [riguardante] il settore manifatturiero è aumentato significativamente dal 3,5% al 4,5% dal 2012 al 2021.3 Questo spostamento verso un’attenzione sulla “circolazione”, cioè sul movimento in stile Amazon, è ulteriormente sottolineato dal fatto che il tasso di crescita medio annuo degli “impianti” o delle risorse tra il 2010 e il 2022 è stato del 4,5% nel settore dei trasporti e del 3,1% in quello dei magazzini – a fronte di un aumento di appena due [punti] del tonnellaggio annuo degli autocarri, secondo l’American Trucking Associations (ATA).

Questa misura copre i trasporti “a noleggio” e rappresenta il 72,2% delle merci trasportate da tutti i mezzi di trasporto negli Stati Uniti.4

In altre parole, le strutture di autotrasporto sono cresciute a un tasso più che doppio rispetto al tonnellaggio di trasporto, mentre il numero di magazzini è aumentato rapidamente del 50%. Anche se questo non significa un aumento al livello di Amazon in un determinato cluster logistico, tuttavia indica un movimento in quella direzione.

Un’ulteriore indicazione del ruolo crescente dei magazzini nella circolazione delle merci è che gli investimenti stabili nelle strutture di stoccaggio sono cresciute con un tasso medio annuo fenomenale del 59% dal 2010 al 2021 – l’ultimo anno in cui sono disponibili questi dati -, rispetto al 4,4% annuo per tutte le strutture non residenziali e, [soprattutto,] più velocemente di qualsiasi altro tipo di struttura. Questo rapido aumento dei magazzini forma una rete più fitta di “nodi” delle catene di approvvigionamento, attraverso i quali le merci vengono smistate e, infine, avvicinate alla loro destinazione finale, in modo simile ad Amazon.

La flotta di autocarri del Paese è cresciuto di pari passo con la proliferazione delle strutture. Anche le vendite di nuovi autocarri sono passate da una media di 6,4 milioni all’anno negli anni ’90 a oltre nove milioni dal 2000 al 2007 e, dopo un crollo durante e dopo la Grande Recessione, a circa dodici milioni dal 2017 al 2021.5 Gli investimenti in “apparecchiature per il trasporto” sono cresciuti, annualmente, del 6,4% dal 2010 al 2022 – rispetto al 5,3% per tutte le apparecchiature -, e al 3,8% per le “apparecchiature per l’elaborazione delle informazioni” con un tasso di crescita tre volte superiore a quello del tonnellaggio degli autocarri.6 Ciò segue lo schema di Amazon su macro-scala che prevede l’espansione della rete di autocarri necessaria per collegare strutture sempre più numerose. Chiaramente, il capitale ha fretta di riconfigurare questi elementi chiave della mobilità delle merci per mantenere o aumentare la velocità del tempo di rotazione, mentre un numero sempre maggiore di aziende si orienta verso livelli di inventario più elevati.

Il rapporto “Citi GPS January 2023” rileva che le aziende cercheranno di seguire più da vicino questa crescente complessità di movimento:

In primo luogo, è probabile che le catene di approvvigionamento subiscano un processo di riconfigurazione. I produttori cercheranno di diversificare i fornitori produttivi in modo da evitare carenze e un’eccessiva dipendenza dalle singole fonti di approvvigionamento. Parallelamente, è probabile che le imprese mirino ad aumentare la visibilità monitorando tutti gli elementi del ciclo produttivo.”7

La valutazione del 2022 del Dipartimento dei Trasporti degli Stati Uniti sulle catene di approvvigionamento include, tra le raccomandazioni per una maggiore tenuta, anche “l’aumento della visibilità delle catene di approvvigionamento e dei movimenti delle merci”.8 Sebbene si tenda a pensare al “commercio elettronico” come parte della vendita al dettaglio, esso è diventato sempre più un mezzo altamente visibile con cui le aziende acquistano e tengono traccia dei loro ingressi. Le vendite di e-commerce business-to-business (B2B) superano ora quelle ai consumatori (B2C9). Dal 2017 al 2021 le vendite elettroniche B2C negli Stati Uniti sono cresciute da 279,7 miliardi di dollari a 407,1 miliardi di dollari; ma le vendite B2B sono passate da 889 miliardi di dollari a 1200 miliardi di dollari nello stesso periodo. Quasi tre volte tanto per i consumatori.10 Presupponendo che i pagamenti online vengano effettuati prima della consegna del prodotto, queste aziende godono di una maggiore visibilità, di tempi di fatturazione più brevi e di un vantaggio competitivo a parità di condizioni. Per queste aziende impegnate a ordinare i fattori produttivi online, la visibilità dei fornitori più vicini è istantanea e l’Amazonificazione è più evidente. Ad oggi, la maggior parte delle aziende non godono di questo vantaggio.

Tuttavia, a seguito delle perturbazioni verificatesi nel corso degli anni e della crisi della catena di approvvigionamento del 2021-22, “le grandi imprese stanno chiarendo che intendono esaminare più a fondo la struttura delle loro catene di approvvigionamento” al di là dei loro fornitori di primo livello.11 Sebbene non crescano con la stessa velocità dei mezzi di trasporto, gli investimenti in “attrezzature per il trattamento delle informazioni” rimangono, comunque, la componente più importante degli investimenti fissi privati non residenziali per gli strumenti con 458 miliardi di dollari nel 2022, pari al 45% del totale.12

Allo stesso tempo, come sottolinea l’Uptime Institute, “la rapida crescita dell’interconnettività aggiungerà complessità e rischi”.13 Oltre alla richiesta di una maggiore digitalizzazione delle catene di approvvigionamenti, l’esigenza di una navigazione più efficace tra le connessioni in quello che la rivista di settore Transport Topics chiama “Ever-Changing Logistics Landscape” (paesaggio logistico in continua evoluzione, ndt) ha portato ad un’ulteriore crescita delle società di logistica di terze parti (3PL) che aiutano a progettare e talvolta forniscono i mezzi per migliorare le catene di approvvigionamenti.14 In ogni caso, questa “connettività” è di per sé una fonte di velocità ottimizzata degli inventari e di vulnerabilità gestita e mantenuta dal lavoro umano.

Chiaramente, nonostante tutti i discorsi sull’aumento delle scorte “just-in-case” e sull’abbandono di singole fonti produttive a favore di più fornitori, la velocità del movimento delle merci attraverso la fase di circolazione del tempo di fatturazione del capitale rimane un obiettivo e una pratica centrale della configurazione emergente della catena di approvvigionamento e della logistica. Ecco perché le catene di approvvigionamento più brevi, più visibili e più affidabili, compresi i magazzini ad alta rotazione, sono così popolari tra le imprese. La ricerca della velocità attraverso la velocità di inventario ottimizzato si esprime nel numero crescente di “nodi” di stoccaggio nella rete logistica, nella tecnologia che li monitora e li collega e nel trasporto che sposta le merci tra questi “nodi” e verso la realizzazione finale del valore.

Un ritorno completo all’epoca d’oro, alle scorte “just-in-case”, è ulteriormente limitato dallo spettro della recessione e/o della deflazione. Se, da un lato, la domanda rallenta, le scorte diventano un peso maggiore. Se, d’altra parte, anche i prezzi continuano a salire, poiché le imprese cercano di aumentare i profitti attraverso l’aumento dei prezzi, come avviene da tempo, il costo delle scorte aumenterà e l’incentivo ad accumularle diminuirà.15 È per questo motivo che è più probabile che le imprese cerchino di ottimizzare e spostare le scorte in stile Amazon piuttosto che aumentarle in modo permanente, sperando in una vera “resilienza”. Per comprendere i limiti o il potenziale dell’azione dei lavoratori in questa situazione in evoluzione, dobbiamo esaminare più in dettaglio come la struttura e la movimentazione delle merci di Amazon potrebbero avere un impatto sulle azioni dei lavoratori, cercando i punti di vulnerabilità nella riconfigurazione in atto della logistica in generale.

Potere sul posto di lavoro/Potere posizionale

L’apparente dominio della tecnologia algoritmica nel restringimento e nell’accelerazione di ogni fase della circolazione del capitale – dalla produzione al trasporto, al magazzino e al mercato -, dà senza dubbio l’impressione che gli odierni giganti come Walmart, Amazon, Target e così via dicendo siano immuni dalle azioni dei lavoratori, a loro volta guidati e intrappolati in questo panopticon 16 tecnologico. Non sorprende che una ricercatrice così esperta in questo campo come Nantina Vgontzas concluda, a proposito di quegli arci-praticanti della logistica data-driven17, che:

Gli ingegneri di Amazon ottimizzano il modo in cui gli ordini vengono raccolti e impacchettati dai lavoratori provenienti da uffici distanti centinaia o addirittura migliaia di miglia. Come ho scoperto nel corso della mia ricerca, questo processo è talmente ottimizzato che nessun singolo lavoratore, o addirittura nessun magazzino, può disturbare in modo significativo la logistica e la consegna degli ordini. Pochi lavoratori posizionati strategicamente non possono più bloccare un intero magazzino o un canale di distribuzione come potevano fare ai tempi d’oro dell’industria manifatturiera”18

Sebbene sia valido il suo consiglio successivo di costruire grandi scioperi e di collegarsi con [i lavoratori presenti] in altre strutture e con i camion che le connettono, ritengo che la sua analisi non tenga conto del ruolo del lavoro umano nel flusso delle merci all’interno e tra le strutture e i mezzi di trasporto impiegati da Amazon e da altre aziende – in quella che è ancora una “concorrenza basata sul tempo” e sulla svolta verso la velocità di inventario ottimizzato.

Il primo punto è che né gli ingegneri remoti né i loro algoritmi possono effettivamente spostare qualcosa all’interno, intorno e fuori da un centro di distribuzione, da una fabbrica o lungo l’ultimo miglio di consegna. Ciò richiede una combinazione di dispositivi meccanici come robot, nastri trasportatori, camion, ecc. e di manodopera umana per spostare effettivamente una scatola, un pacco o un prodotto tra questi segmenti automatizzati e per guidare i veicoli tra i siti delle strutture. Uno dei motivi per cui è necessaria la manodopera umana è che i dispositivi meccanici non sono in grado di gestire più oggetti di dimensioni diverse e di guidare camion o furgoni. Il paradosso dell’ingegnere di robotica Hans Moravec ci dice: “È relativamente facile far sì che i computer mostrino prestazioni di livello adulto nei test intellettuali o nei giochi, mentre è difficile o impossibile dar loro le capacità di un bambino di un anno quando si tratta di percezione e mobilità”.19 Inoltre, come conclude LeCavalier a proposito dell’economia dell’automazione nei centri di distribuzione Wal-Mart (per molti versi il prototipo dei centri di approvvigionamento di Amazon), “l’economia del lavoro umano per lo svolgimento di compiti semplici, come lo spostamento di piccole scatole, continua a prevalere su quella delle macchine che potrebbero svolgere questi lavori ma solo a costi considerevoli e con una possibile obsolescenza20. Gli addetti al prelievo e all’imballaggio di Amazon sono molto meno costosi e più sostituibili a basso costo. Non c’è un movimento sostenuto nell’odierna circolazione materiale del capitale senza l’intervento umano.

Non si tratta solo di logistica lungo una catena di approvvigionamento. Tra i vari processi di spostamento meccanici o automatizzati all’interno di una struttura, sono ancora gli esseri umani a gestire le cose che passano da un luogo o da un processo all’altro: ad esempio, da uno scaffale di prodotti tenuto da un robot Kiva a una cassetta, da un imballatore a un nastro trasportatore automatico, fino a chi carica i camion. Questi lavoratori umani possono seguire le istruzioni e i comandi che gli ingegneri remoti hanno programmato nei loro dispositivi portatili, nei computer di bordo, nelle istruzioni pick-to-light21, ecc. Oppure possono disobbedire a tali comandi, interrompendo il flusso di dati. Amazon lo ha riconosciuto nella relazione SEC 10-K del 2018 quando ha inserito le “controversie di lavoro” nell’elenco dei possibili rischi di interruzione della “capacità di ricevere in modo efficiente le scorte in entrata e di spedire gli ordini completati ai clienti”, subito prima del terrorismo e delle cause di forza maggiore.22 La coreografia altamente ottimizzata degli algoritmi che Vgontzas ha trovato, e la velocità di movimento che richiedono, possono rendere l’impatto delle azioni o delle inazioni della maggior parte dei lavoratori più immediate, più dirompenti e più difficili da annullare, perché il tempo (quindi il valore) perso non può essere recuperato quando le cose si muovono già alla massima velocità.

Un recente studio condotto da Jason Struna e Ellen Reese sui centri logistici di Amazon nell’Inland Empire della California, mostra chiaramente sia la natura stressante del lavoro guidato dagli algoritmi, sia l’intervento umano e la fallibilità lungo il flusso delle merci in queste strutture. Ad esempio, mentre i lavoratori sono monitorati da scanner portatili o montati su postazioni, “miglia di nastri trasportatori e pattini (lunghe tavole con rulli alla fine dei nastri trasportatori) spostano le merci dai lavoratori in vari punti della struttura, dalle posizioni in entrata sulle banchine nel retro dei rimorchi alle varie funzioni di pick-and-pack e oltre”. In altre parole, i lavoratori intervengono lungo il processo. Poiché il lavoro è stressante e fisicamente impegnativo a causa della sua velocità, i lavoratori spesso non sono in grado di “stare al passo”, cioè di tenere il ritmo prescritto dall’algoritmo. Vengono quindi disciplinati da altri esseri umani. L’incapacità di “stare al passo” da parte dei singoli, ovviamente, non ferma di per sé il sistema, anche se l’intervento della direzione ci dice che anche questa forma di “disobbedienza” ha il potenziale di rallentare le cose se troppi lavoratori non riescono a “stare al passo”.23 Nella lotta infinita per sopravvivere al lavoro, non è sempre necessario chiudere completamente le cose per strappare una vittoria.

Lo stesso vale per il processo di logistica generale. Come lo descrive Alimahomed-Wilson:

La prima fase del processo di consegna inizia in un centro logistico di Amazon, dove l’articolo viene prelevato da un addetto e messo in una scatola; durante questa fase viene creata un’etichetta con l’indirizzo. Da qui, il pacco viene generalmente inviato ad un Amazon Sortation Center, dove viene smistato e nuovamente inviato all’ufficio postale o, sempre più spesso, ad un Amazon Delivery Center, dove gli autisti DSP (Delivery Service Partner) in subappalto di Amazon effettuano il loro percorso di consegna.24

Anche in questo caso, vediamo l’intervento umano in ogni punto del processo. Vgontzas sottolinea anche la capacità di Amazon di reindirizzare gli ordini tra le strutture a causa della ridondanza o della duplicazione delle strutture: la “ridondanza della rete.”25 Si tratta di un punto importante, perché è una discussione tra gli esperti e i professionisti della logistica che riguarda il “just-in-time” versus “resilienza”, o il fornitore singolo versus quello multiplo.26 Se è vero che Amazon può reindirizzare i pacchi verso centri logistici o smistamento duplicati, anche questo richiede non solo la cooperazione dei camionisti tra centri alternativi e dei lavoratori per caricare e scaricare i camion, ma anche che alcune strutture duplicate normalmente funzionino al di sotto della capacità. Se tutti i centri di smistamento e logistico in un’area metropolitana funzionassero alla massima velocità e capacità per “trasformare rapidamente il nostro inventario”, come avviene di solito, la capacità di Amazon di reindirizzare gli ordini diventa problematica, indipendentemente da ciò che dicono gli algoritmi.

Gli esperti impegnati nei dibattiti sul just-in-time e sulla “resilienza” riconoscono questo problema. Yossi Sheffi del MIT, il principale sostenitore statunitense della “resilienza”, scrive a proposito dei suoi componenti necessari: “Le risorse opzionali come le scorte di riserva, la capacità di riserva e i fornitori alternativi forniscono materiali e risorse che possono essere utilizzati per ridurre al minimo gli impatti e accelerare i tempi di recupero.27 In termini di capacità di riserva, tuttavia, l’esperto britannico di rischi logistici Donald Waters sottolinea: “È chiaro che un processo che lavora a piena capacità non può improvvisamente cambiare e iniziare a spostare il lavoro.28 Nel suo rapporto SEC 10-K del 2020, Amazon menziona in particolare il “Rischio legato all’interruzione del sistema e alla mancanza di ridondanza.”29 Lo stesso vale per le sue strutture fisiche. Per Amazon, lo sforzo di funzionare a piena capacità è una necessità, perché la velocità è l’unico modo per ridurre i tempi di rotazione e mantenere la liquidità monetaria.

Per comprendere la natura del potere dei lavoratori in un processo di spostamento, prendo in prestito le parole “potere posizionale” di Vgontzas. [Il motivo è semplice: serve] per catturare il fatto che i punti di potere dei lavoratori di cui si parla sono principalmente quelli tra le varie fasi del movimento delle merci o, se vogliamo, della fornitura di servizi, come il capitale fisso immobile (nastro trasportatore, robot, stazione di imballaggio, camion, strada, ferrovia, magazzino, porto) o quasi tutti i punti di un processo in cui interviene l’uomo. È simile a quello che Beverly Silver chiama “potere sul posto di lavoro”, ma si applica all’intero corso della produzione e della circolazione al di là di un particolare posto di lavoro. È simile al “potere strutturale” di Eric Olin Wright; ma il potere posizionale non dipende dal livello di competenza, dall’unicità dell’industria o del lavoro o dalla rigidità del mercato del lavoro.30 Il potere posizionale, a mio avviso, esiste in quasi tutte le organizzazioni che producono beni o forniscono servizi attraverso un processo esteso, multi-fase e multi-localizzato.

Come sottolinea John Womack Jr., oggi ci sono più opportunità di rottura perché “ogni prodotto che si muove oggi, ogni persona che si muove, passa attraverso molte connessioni di catene e reti rispetto a una generazione fa.31 Questo è certamente vero nel modello Amazon che sta prendendo forma nell’economia statunitense. Il lavoro a queste “connessioni” [sono] colli di bottiglia e punti di strozzatura varia in termini di contenuto, competenze, impegno e impatto sul movimento complessivo delle cose. Nonostante lo sforzo decennale del management di quantificare e standardizzare il lavoro, i lavoratori spesso conoscono, tacitamente, le proprie competenze da cui dipende il lavoro e le debolezze “nascoste” o implicite delle attività che svolgono. Il punto, tuttavia, non è il potere dei singoli, ma il potere collettivo consapevolmente affermato in un processo di tempo e movimento. Gli operai, in un certo senso, possono dare ragione a Frederick Taylor grazie all’uso consapevole del tempo e del movimento per i loro scopi.

Questa è la base non solo di uno sciopero, ma anche di un efficace “work-to-rule” o, più ambiziosamente, di un “rallentare l’impianto”, come Jerry Tucker, leader e stratega dell’UAW, ha definito la sua più complessa e collettiva “strategia interna.”32 Indipendentemente dalla tecnologia, questo potere posizionale esiste praticamente in ogni sistema di produzione di valore: dalle fabbriche ai magazzini, dai trasporti agli alberghi, dagli ospedali ai supermercati.

Azioni dei lavoratori e vulnerabilità in caso di velocità di inventario ottimizzata

Come per la produzione snella nell’era neoliberale, l’implementazione del paradigma della velocità di inventario ottimizzata sarà disomogenea e imperfetta in tutti i settori dell’economia. Le vecchie abitudini e il capitale investito sono duri a morire. Sebbene si possano individuare tendenze chiare, al di fuori di Amazon e dei suoi immediati imitatori, il paradigma è ancora in fase embrionale e l’impatto dell’auto-attività dei lavoratori sulla circolazione dei beni e del valore dovrà essere testato nella pratica prima di poter essere sicuri delle migliori tattiche e strategie da impiegare contro il capitale. Tuttavia, vale la pena di esaminare l’impatto delle perturbazioni sul capitale nell’ormai tramontata era del just-in-time per vedere cosa rimane e cosa è diverso.

Uno studio su 397 aziende statunitensi di vari settori, condotto tra il 2005 e il 2014, ha mostrato che l’impatto medio sulle vendite nel trimestre immediatamente successivo a un evento dirompente è stato pari a -4,82%; l’impatto sull’utile operativo è stato pari a -26,5%; sul rendimento delle vendite è stato pari a -12,7%; e sul rendimento delle attività è stato pari a -16,1%.33 Pertanto, un impatto relativamente piccolo sulle vendite ha avuto un impatto sostanzialmente maggiore su varie misure di profitto. Si trattava di misure di impatto dell’era della produzione snella/JIT. L’aumento delle scorte potrebbe attenuare per un certo periodo l’impatto iniziale di uno sciopero o di qualsiasi altra interruzione. Ma lo studio rileva anche che il costo delle scorte delle aziende è cresciuto del sette per cento, mentre i costi complessivi sono aumentati di oltre l’otto per cento nel primo trimestre successivo all’interruzione.34

In altre parole, le scorte non movimentate, anche con il flusso più limitato di fattori di produzione del JIT, diventano un onere proporzionalmente crescente durante e dopo un’interruzione – anche più della perdita delle vendite. Le scorte iniziali più consistenti, invocate per aumentare la “resilienza” nella nuova configurazione della logistica, potrebbero consentire a un’azienda di funzionare per un certo periodo – se può impiegare dei lavoratori in esubero o spostare i suoi prodotti per ottenere un guadagno. Ma allo stesso tempo, il costo totale di uno sciopero o di un’altra azione dei lavoratori risulterebbe tanto più elevata quanto più a lungo si protrae. Pertanto le scorte come costo fisso prolungato sono un’arma a doppio taglio per il capitale.

Infine, naturalmente, i continui sforzi per aumentare la velocità del tempo di fatturazione, in qualsiasi forma, renderanno gli scioperi e le altre interruzioni efficaci al ritmo dell’accelerazione del movimento delle merci e del valore. La perdita dell’impatto rapido dell’azione diretta sulla consegna just-in-time può, quindi, essere compensata in misura considerevole dai tentativi del capitale stesso nell’ottimizzare la velocità delle scorte. Oltre agli scioperi a oltranza, il trucco consisterà nell’individuare i punti più significativi di vulnerabilità nel movimento delle scorte e nell’affermare il potere posizionale per “rallentare l’impianto”.

Naturalmente, l’organizzazione dei sindacati e la costruzione di un movimento operaio vanno ben oltre i punti tecnici del potere dei lavoratori. Si tratta di un lavoro che richiede un coinvolgimento democratico di massa all’interno e al di fuori del luogo di lavoro. A parte il fatto che la conoscenza di questi punti di rottura nel movimento del capitale verrà dai ranghi [dei lavoratori stessi], un coordinamento efficace può venire fuori dall’organizzazione collettiva democratica e dal processo decisionale. Questo dovrebbe essere il sindacato.

Il modo migliore per testare la “resilienza” del capitale alle azioni dei lavoratori – subordinati alle condizioni emergenti della velocità di inventario ottimizzato -, sarebbe quello di lanciare l’organizzazione [sindacale dentro] Amazon [e] su vasta scala. Le elezioni dell’NLRB non sono state un percorso promettente per la sindacalizzazione in Amazon. Inoltre, l’idea di organizzare tutto questo – una gigantesca elezione dell’NLRB alla volta -, sembra un dispendio di tempo e di sforzi inimmaginabile che non riuscirebbe a costruire il potere necessario per domare la bestia. L’organizzazione deve provenire in primo luogo dall’interno, dove l’attività sta già prendendo forma, e deve basarsi su un’azione diretta che aumenti il potere piuttosto che sul semplice voto – e quindi sull’ottenimento di un “riconoscimento” formale. Ci vorrà un vero potere e una solidarietà “dal basso” per mettere in ginocchio Amazon.

Per analogia, Amazon può essere oggi ciò che la General Motors era stata per le organizzazioni dei lavoratori negli anni ’30: il luogo ad alta visibilità della scintilla che ha ispirato milioni di persone a scioperare e ad aderire ai sindacati in pochi mesi nel 1937. La scintilla si accese a Flint, nel Michigan, all’epoca centro del sistema produttivo della GM, quando gli operai occuparono diversi stabilimenti, tra cui il fondamentale “Chevrolet 4” che portò al blocco della produzione. Nel giro di pochi mesi dalla vittoria dell’UAW alla GM, milioni di lavoratori scioperarono e si iscrissero ai sindacati.35 Amazon, ovviamente, è molto più grande e più estesa sul territorio nazionale rispetto alla GM. Ma è comunque possibile un approccio strategico basato sulle organizzazioni interne ed esistenti, oltre al sostegno verso le organizzazioni dei lavoratori nel suo complesso. Questo potrebbe cambiare il corso del conflitto di classe, della sindacalizzazione e del potere della classe operaia negli Stati Uniti in modi e in una misura che pochi hanno sognato.

Note

1Moody, “Motion & Vulnerability,” pagg. 57-60

2Jesse LeCavalier, “The Rule of Logistics: Walmart and the Architecture of Fulfillment” (Minneapolis: University of Minnesota Press, 2016), pagg. 13-14.

3Bureau of Transportation Statistics, “Contribution of Transportation to the Economy: Use of Transportation by Industry or Sector, November 2022, https://data.bts.gov/stories/s/dk5i-ipsm

4Dr. Edward Yardeni, “US Economic Indicators: ATA Truck Tonnage Index,” Yardeni Research, Inc, 19 Dicembre 2021 ; American Trucking Associations, “In 2022 Tonnage Rose 3.4%, Most Since 2018,” 24 Gennaio 2023, https://www.trucking.org/news-insights/ata-truck-tonnage-index-increased-04-december#:~:text=ATA%E2%80%99s%20For-Hire%20Truck%20Tonnage%20Index%20is%20dominated%20by,hauled%2010.93%20billion%20tons%20of%20freight%20in%202021; Bureau of Transportation Statistics, “Transportation as an Economic Indicator: Transportation Services Index,” Transportation Freight Index, https://data.bts.gov/stories/s/TET-indicator-1/9czv-tjte

5Bureau of Transportation Statistics, “U.S. Sales or Delivery of New Aircraft, Vehicles, Vessels, and Other Conveyances,” table_01_12_022423.xlsx , https://www.bts.gov/content/us-sales-or-deliveries-new-aircraft-vehicles-vessels-and-other-conveyances

6BEA, Table 5.4.5. “Private Fixed Investment in Structures by Type,”30 Settembre 2022, and BEA, Table 5.4.3. “Real Private Fixed Investment in Structures by Type, Quantity Index,” 30 Settembre 2023

7Citi GPS, “Supply Chain Finance,” pag. 12

8U.S. Department of Transportation, Supply Chain Assessment of the Transportation Industrial Base: Freight and Logistics Washington DC, 2022), pag. 6

9Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Business_to_Consumer(aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

10Waredock.com, New Fulfillment Magazine, “Warehouse and Fulfillment Market in the US and Canada 2022,” n.d., https://www.waredock.com/magazine/warehouse-market-in-north-america/

11Citi GPS, “Global Supply Chains,” pag. 18

12BEA, Table 5.3.5. “Private Fixed Investment by Type,”26 Gennaio 2022, https://apps.bea.gov/iTable

13Lenny Simon, “Rapid interconnectivity growth will add complexity and risk,”25 Gennaio 2023, https://journal.uptimeinstitute.com/rapid-interconnectivity-growth-will-add-complexity-and-risk/

14Seth Clevenger, “Expanded List of Top 100 3PLs Reflects Ever-Changing Logistics Landscape,” Transport Topics, 8 Aprile 2022, https://www.ttnews.com/articles/expanded-list-top-100-3pls-reflects-ever-changing-logistics-landscape

15Cédric Durand, “The End of Financial Hegemony?,” New Left Review 138 (Novembre/Dicimbre 2022), pagg. 39-55

16Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Panopticon(aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

17Addetti che si occupano di prendere decisioni in base ai dati e alle informazioni raccolte attraverso le piattaforme internet. (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

18Nantina Vgontzas, “Amazon after Bessemer” Boston Review,21 Aprile 2021, https://bostonreview.net/class-inequality/nantina-vgontzas-amazon-after-bessemer

19Eric Brynjolfsson and Andrew McAfee, The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies (New York: W.W. Norton and company, 2014), pagg. 28-29.

20LeCavalier, Logistics, pag. 174

21Sistemi che supportano e agevolano la preparazione degli ordini senza documenti cartacei, riducendo gli sprechi di tempo. (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

22Securities and Exchange Commission, Amazon.Com, Inc. Form 10-K, For the fiscal year ended December 31, 2018 (Washington DC: United States Securities and Exchange Commission, 2018), pag. 8.; Securities and Exchange Commission, Amazon.Com, Inc. Form 10-K, For the fiscal year ended December 31, 2021 (Washington DC: United States Securities and Exchange Commission, 2021), pag. 10

23Struna and Reese, “Automation,” pagg. 90-93.

24Jake Alimahomed-Wilson, “The Amazonification of Logistics: E-Commerce, Labor, and Exploitation in the Last Mile” in Alimahomed-Wilson and Reese, Free Shipping, pag. 76.

25Nantina Vgontzas, “A New Industrial Working Class? Challenges in Disrupting Amazon’s Fulfillment Process in Germany”, in Jake Alimahomed-Wilson and Ellen Reese, The Cost of Free Shipping: Amazon in the Global Economy (London: Pluto Press, 2020), pagg.116-128.

26Vedere per esempio Sheffi, The Power of Resilience: How the Best Companies Manage the Unexpected (Cambridge MA: The MIT Press, 2015), passim.

27Sheffi, Resilience, pag. 25 e 49.

28Donald Waters, Supply Chain Risk Management, Second Edition (London: Kogan Page, 2011), pag. 205

29Securities and Exchange Commission, Amazon.Com, Inc. Form 10-K, For the fiscal year ended December 31, 2020 (Washington DC: United States Securities and Exchange Commission, 2020), pagg. 10-11

30Beverly J. Silver, Forces of Production: Workers’ Movements and Globalization since 1870 (New York: Cambridge University Press, 2003), pag. 13

31Olney and Perušek, Labor Power, Peter Olney and Glenn Perušek (eds.), Labor Power and Strategy: John Womack, Jr. (PM Press, 2023), pag. 46.Secondo Womack (pp. 30-31), il termine “potere posizionale” risale al sociologo italiano Luca Peronne negli anni ’70. L’ho preso dal lavoro di Jake Alimahomed-Wilson.

32Vedere per esempio Steven K. Ashby and C. J. Hawking, Staley: The Fight for a New American Labor Movement (University of Illinois Press, 2009), pagg. 45-57.

33Milad Baghersad and Christopher W. Zobel, “Assessing the extended impacts of supply chain disruptions on firms: An empirical study,” International Journal of Production Economics 231 (January 2021), pag. 6

34Baghersad and Zobel, “Assessing the extended impacts,” pag. 6

35Sidney Fine, Sit-Down: The General Motors Strike of 1936-1937 (Ann Arbor: University of Michigan Press, 2020).

 

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Il tempo della rotazione. Le linee mutevoli nel movimento del capitale – Prima Parte

Il tempo della rotazione. Le linee mutevoli nel movimento del capitale

Traduzione dall’originale “Turnover Time. Changing Contours in the Movement of Capital

Articolo scritto da Kim Moody, uno dei fondatori di “Labor Notes” e che ora vive a Londra, dove fa il ricercatore; scrive spesso su questioni di lavoro ed è membro del sindacato nazionale dei giornalisti.

La crisi della catena di approvvigionamento del 2021-22 ha rivelato le numerose debolezze e i punti di vulnerabilità del sistema logistico globale che muove merci e valori nel processo di accumulazione del capitale. Per valutare la risposta del capitale a questa crisi e ai problemi di redditività a lungo termine, utilizzerò la teoria del “tempo di rotazione” di Marx come quadro analitico. Il tempo e il movimento sono sempre stati essenziali nella circolazione globale del capitale e nell’espansione dei profitti. Nei Grundrisse, Marx affermava: “La velocità di circolazione sostituisce il volume del capitale1. Inoltre, per dirla come Marx, “poiché il lavoro è movimento, il tempo è la sua misura naturale”.2 Il lavoro crea valore; quindi il tempo e il movimento sono fondamentali per il funzionamento del capitalismo. La misura della riproduzione del capitale è il suo tempo di rotazione.3

Riassumendo il tempo di rotazione del capitale a partire dal suo investimento iniziale, Marx scrisse nel Capitale, Volume II: “La durata di questa rotazione è data dalla somma del suo tempo di produzione e del suo tempo di circolazione”.4 La circolazione [è] un termine che Marx usa spesso [e] in modi diversi; [in questo caso] si riferisce al movimento del valore nella sua forma di denaro e di beni materiali tra le fasi della produzione e la vendita del prodotto finale. Così, il capitale può tentare di aumentare la massa dei profitti in un determinato periodo, abbreviando il tempo di rotazione del suo investimento iniziale attraverso la riduzione del tempo di produzione, o quello della circolazione del valore e delle merci, o entrambi. Come afferma Engels nella sua aggiunta al Capitale, Volume III, “il mezzo principale per abbreviare il tempo di produzione è l’accrescimento della produttività del lavoro5, mentre “il mezzo principale per la riduzione del tempo di circolazione sta nel perfezionamento delle comunicazioni” grazie all’introduzione della ferrovia, dei piroscafi e del telegrafo ai suoi tempi. 6

Nonostante gli sforzi compiuti nell’ultimo decennio per ridurre il tempo di circolazione, il capitale statunitense, tuttavia, non è stato in grado di riprodurre per qualche tempo la redditività dei decenni precedenti. Il declino dei tassi di profitto iniziato alla fine degli anni Sessanta e che ha prodotto la crisi di stagflazione degli anni Settanta, è stato, in qualche misura, compensato sia dalla distruzione del capitale nelle double-dip recession 7 del 1980-82 che dall’introduzione e dalla diffusione di metodi di produzione snelli negli anni Ottanta e Novanta. Come ha dimostrato Michael Roberts, con l’eliminazione della “quota di surplus finanziario” dalla massa dei profitti, il tasso di profitto ha avuto una tendenza al rialzo fino alla fine degli anni Novanta. Da allora, con alti e bassi per essere sicuri, la tendenza è stata al ribasso quando la “quota di surplus finanziario” è stata rimossa – rivelando l’effettivo tasso di plusvalore.8 Mentre la concorrenza internazionale ha indubbiamente svolto un ruolo nel contenere la crescita dei profitti, frenando gli aumenti dei prezzi alla produzione al di sotto dell’1% dal 2010 al 2021, due tendenze interne, spesso trascurate, hanno compromesso i tempi di rotazione e quindi la redditività.9

Il primo di questi è stato l’esaurimento dei metodi di produzione snella e di gran parte del lavoro massificato tecnologico ad essi associati. La prova di ciò è il crollo della produttività manifatturiera dopo la Grande Recessione del 2008-2010. Mentre la produttività del lavoro nell’industria manifatturiera statunitense era aumentata in media del quattro per cento e più all’anno dal 1990 al 2007, dopo un breve picco post-recessione nel 2010, ha corso a meno dell’uno per cento, con una media annua dello 0,7 per cento dal 2011 al 2019. Dopo il crollo della pandemia del 2020, ha toccato brevemente il 2,7% nel 2021, per poi scendere a -1,0% nel 2022.10

Una spiegazione comune per questo crollo della produttività è il livello relativamente basso di investimenti nelle attrezzature e tecnologie di produzione. Certo, si tratta di un livello inferiore a quello precedente, che negli anni ’80 si attestava su una media annua superiore al 5%, mentre negli anni ’90 era ancora del 4,8%. Ma, come dimostra uno studio dell’ILO del 2020 sull’automazione negli stabilimenti automobilistici negli Stati Uniti, in Germania e in Cina, i vari tentativi di aumentare la produttività nel settore manifatturiero nel corso degli anni – introducendo nuove forme e livelli di automazione, robotica, etc., soprattutto nell’assemblaggio finale -, “non hanno avuto molto successo” e sono stati spesso abbandonati.11

Poichè questo tipo di innovazione viene applicato in auto[matico], significa che i metodi di lavoro intensivi della “gestione dello stress” nella produzione snella e l’impatto di questa tecnologia sul posto di lavoro, sembrano aver raggiunto i limiti a cui possono essere spinti gli esseri umani – almeno nell’ambito e nella maggior parte dell’attuale organizzazione della produzione industriale.

Pertanto l’incapacità del capitale di risolvere il problema del tempo di rotazione risiede nel regno della produzione stessa. Se si volesse ridurre il tempo di rotazione, si dovrebbe intervenire nella fase di circolazione, cioè nel trasporto più rapido, nelle catene di approvvigionamento e nella realizzazione del valore attraverso le vendite.

Eppure i problemi nella fase di circolazione e di movimento delle merci si stanno manifestando da anni. Se la produttività ha fornito la prova dell’esaurimento della produzione snella, il “PMI Suppliers’ Delivery Time Index”, che fa parte del Procurement Managers Index (PMI) – sviluppato dall’Institute of Supply Management (ISM) -, fornisce una chiara prova dei problemi preesistenti nel trasporto della catena di approvvigionamento. Un grafico del rapporto IHS Markit del Luglio 2022, “Focus on… Suppliers’ delivery time”, mostra chiaramente, come dice il rapporto stesso, che i “Supplier Delivery Times” degli Stati Uniti hanno iniziato ad aumentare nel 2016 e sono poi cresciuti con un breve calo nel 2019, prima di impennarsi nel 2020 e nel 2021. Allo stesso modo, il rapporto del Gennaio 2022 sulla crisi della catena di approvvigionamento globale, mostra che le aziende di tutto il mondo registrano un’ “enorme carenza di fattori produttivi”. Il rapporto rivela anche che la prima impennata di tali carenze dal 2010 si è verificata nel 2017, ben prima della pandemia.12 Chiaramente, la tecnologia non aveva salvato gli Stati Uniti o il capitale globale da un declino significativo della velocità di spostamento delle merci e della realizzazione del valore che esse rappresentavano.

Le radici di questo fallimento logistico risiedono, principalmente, nel fatto banale ma ben documentato, dell’aumento della “carenza” di lunga data della manodopera lavorativa nei settori dei trasporti, dei magazzini e persino delle principali compagnie ferroviarie di trasporto merci. Il termine “carenza” non si riferisce al numero di lavoratori effettivamente disponibili per l’impiego, ma a coloro che sono disposti ad accettare uno di questi posti di lavoro alle attuali retribuzioni e condizioni. In mancanza di una forza lavoro sufficiente, le aziende che forniscono gli elementi chiave del sistema logistico nazionale non sono riuscite a tenere il passo con la domanda di trasporto. Inoltre, dal 2000 al 2019, la produttività del trasporto e del magazzinaggio, dove sono prevalsi i metodi snelli, è stata estremamente scarsa.13 Questa carenza di manodopera, tuttavia, è iniziata ben prima della pandemia, dell’invasione dell’Ucraina, dell’impennata dei prezzi del petrolio o anche della stretta del mercato del lavoro delle “Grandi Dimissioni” del 2021-22.

Un rapporto del 2019 dell’American Trucking Associations (ATA) ha rivelato che la carenza di manodopera nel settore degli autotrasporti è cresciuta dopo la Grande Recessione, con un primo balzo nel 2014, quando la carenza di autisti è più che raddoppiata, passando da diciannovemila nel 2013 a quarantunmila nel 2014. In seguito, “la carenza è schizzata a circa 50.700 nel 2017” e poi a sessantamila nel 2018, proprio mentre i tempi di consegna aumentavano e ben prima che la pandemia la spingesse ulteriormente ad oltre ottantamila nel 2021.14 La situazione è stata poco diversa nel settore del magazzinaggio. La rivista Material Handling & Logistics pubblicava nel 2018 l’articolo “Labor Shortage Hurts Logistics Industry”, citando uno studio della società immobiliare commerciale “CBRE Group, Inc.” dove si prevedeva che l’enorme richiesta di “lavoratori del magazzino e della distribuzione nel 2018-19 […] potrebbe rivelarsi insostenibile in un settore già afflitto da problemi di manodopera”.15 Le ragioni addotte all’epoca su queste carenze si concentravano generalmente sul basso tasso di disoccupazione, sugli alti tassi di pensionamento, ecc. Sebbene questi fattori siano stati determinanti, è stata la “costante pressione [nel] consegnare le merci a prezzi sempre più bassi [che] ha portato a condizioni di lavoro così scadenti e a retribuzioni così basse da equivalere ad una “servitù a contratto16, creando così alti livelli di rotazione della forza lavoro e allontanando i lavoratori da questi posti di lavoro.” 17

I sette principali vettori ferroviari di Classe I hanno creato di fatto la propria carenza di manodopera, riducendo costantemente la forza lavoro per soddisfare le richieste del Precision Scheduled Railroading (PSR) – una versione della produzione snella del settore, implementata per la prima volta nel 2000 dalla CSX.18 Le terribili condizioni affrontate dai lavoratori delle ferrovie sono state evidenziate quando è stata respinta, nell’ “Accordo Provvisorio” imposto dal governo nel Novembre 2022, la richiesta dei sindacati di quindici giorni di malattia retribuiti per alleviare la pressione sui dipendenti.

Pertanto, la “crisi della catena di approvvigionamento del 2021-22” non è stata altro che un’escalation dei problemi profondi che il capitale deve affrontare nei settori manifatturieri e dei trasporti/logistica, in particolare la vulnerabilità delle interruzioni lungo tutta la catena di approvvigionamento. I dibattiti sulla “resilienza” rispetto alla logistica “snella” o “just-in-time”19 sono andati avanti per un po’ di tempo a causa del fallimento delle precedenti “soluzioni” organizzative, tecnologiche e logistiche del capitale. Non sorprende, tuttavia, che la crisi della catena di approvvigionamento del 2021-22, esacerbata dalla crisi climatica, dalla pandemia, dall’aumento del conflitto con la Cina e, più recentemente, dall’invasione russa dell’Ucraina, abbia portato a riconsiderare seriamente la consegna just-in-time e la struttura stessa della logistica globale e nazionale, e a cercare almeno in parte una nuova “soluzione” per il capitale.

L’ “Amazonificazione” della logistica: né “Just-In-Time” (JIT), né “Just-In-Case” (JIC)

La questione di come le catene di approvvigionamento e l’intero sistema logistico vengano ristrutturati all’interno degli Stati Uniti è fondamentale da un lato riguardo il problema della riduzione dei tempi di circolazione all’interno della rotazione complessivo del capitale e, dall’altro, sulla vulnerabilità del capitale statunitense [di fronte alle] azioni dei lavoratori. Come si legge nel rapporto “Citi GPS 2023”, “un cambiamento comune è l’aumento delle scorte, in quanto le aziende passano da un approccio just-in-time a uno just-in-case”.20 Il problema di questa spiegazione è che mentre JIT significa qualcosa di abbastanza preciso – consegna puntuale di una merce specifica in un luogo esatto, secondo le necessità, implicando scorte più ampie -, il JIC non lo fa. C’è anche l’equivoco comune che la consegna just-in-time equivalga ad una maggiore velocità di movimento attraverso la catena di approvvigionamento. Non riduce i tempi o i costi di circolazione perché richiede consegne più frequenti, più piccole e (in media) più costose; di conseguenza, non ci sono economie di scala.21 La Supply Chain Assessment 2022 del Dipartimento dei Trasporti dell’amministrazione Biden aggiunge: “Le pressioni associate alle finestre di consegna più brevi e alla gestione dell’inventario just-in-time […] possono incentivare l’uso di servizi di trasporto merci più costosi o meno efficienti”.22

Quello che il JIT fa è ridurre le costose scorte per chi riceve lungo la catena di fornitura. Da un punto di vista marxista, le scorte sono importanti non solo perché sono un ovvio costo aggiuntivo, ma perché il lavoro di stoccaggio non crea valore, mentre quello di trasporto e spostamento delle merci è considerato parte della produzione [– e quindi crea valore].23

Così l’inventario che deve essere curato è anche uno spreco di tempo di lavoro e una detrazione dal plusvalore totale prodotto da una data forza lavoro. In una certa misura, può essere compensato da maggiori aumenti di produttività, come nel caso dell’ “epoca d’oro” del secondo dopoguerra. Ma, come abbiamo visto, dal 2010 gli aumenti di produttività nella produzione e nei trasporti sono quasi del tutto svaniti. Quindi, se da un lato gli inventari più grandi possono consentire alle aziende di resistere all’impatto iniziale di uno sciopero o di un’altra interruzione, dall’altro diventeranno un onere maggiore nel caso di un conflitto prolungato.

Durante il classico “just-in-case” dell’ “epoca d’oro” del capitale statunitense del secondo dopoguerra, l’ “inventory-to sales ratio” 24 non agricolo è aumentato significativamente da 2,85 nel 1962 a 3,49 nel 1981 – in quanto i produttori immagazzinavano grandi quantità di beni intermedi per la produzione e i dettaglianti accumulavano prodotti da vendere. Con l’introduzione dei metodi snelli e del JIT, questo rapporto è poi diminuito drasticamente fino a raggiungere livelli intorno al 2,24 negli anni ’80 e a non più di 2,35 nel 2019. Da allora, durante la pandemia con alti e bassi, il rapporto scorte/vendite non è cambiato molto fino al 2022, quando è salito significativamente a 2,53.25 Allo stesso tempo, l’indice PMI dello “Stock di materiali acquistati”, rispetto a quello dei “materiali finiti” – un’altra misura di inventario -, è salito ai nuovi massimi dopo la recessione della pandemia del 2020.26 Infatti il tasso di crescita delle scorte ha accelerato il tasso medio annuo – dal 4,3% degli anni 2010-2019 al 7,1% degli anni 2019-2022.27

Si tratta di un aumento significativo delle scorte per l’economia nel suo complesso, ma non si avvicina ai livelli elevati del JIC del secondo dopoguerra. Anche se è troppo presto per esserne certi, è probabile che la sola concorrenza ponga dei limiti ai livelli delle scorte costose. Inoltre, se da un lato il just-in-case implica scorte più elevate e fornitori multipli, non ci dice nulla sulla velocità o sul costo dei trasporti e nemmeno sui livelli o sui tentativi di regolare le scorte. Quindi, in che modo i cambiamenti in atto influiranno sulla velocità del movimento dei beni – e quindi del valore attraverso il tempo e lo spazio -, e sulla capacità dei lavoratori di fermare la produzione e il movimento di beni e servizi?

La mia argomentazione è che i cambiamenti proposti e che avvengono nell’organizzazione delle catene di approvvigionamenti, degli inventari e della logistica, nel loro insieme, possono essere meglio compresi come l’ “Amazonificazione” della fase di circolazione del tempo di rotazione del capitale. In questo caso si applica al settore manifatturiero nelle sue varie fasi, nonché alle imprese di vendita all’ingrosso e al dettaglio e alla maggior parte dei servizi. Usando il termine “Amazonificazione”, intendo dire che Amazon è principalmente un’azienda di logistica impegnata nella movimentazione di prodotti, in cui la vendita è solo una fase. La rivista di settore “Transport Topics” concorda sul fatto che Amazon dovrebbe essere “considerata una delle più grandi aziende di logistica del Nord America”.28 Le voci “Vendite e marketing” e “Generale e amministrativo” rappresentano solo il 10,8% dei costi operativi totali di Amazon nel 2022. Il resto riguarda ciò che Amazon sposta all’interno, intorno e fuori dalle sue strutture, in pratica il suo capitale fisso e circolante in termini marxisti.29 Di conseguenza, gran parte del lavoro delle centinaia di migliaia di lavoratori impiegati da Amazon trasporta e trasforma le merci a cui aggiunge valore; questo lavoro è quindi produttivo di plusvalore.

Amazon è impegnata nella ricerca della crescita (accumulazione) senza fine, creata dal movimento “ottimizzato” delle merci e del valore attraverso: la posizione e la configurazione delle sue strutture, i mezzi di trasporto e l’acquirente finale, l’impiego di tecnologie di comunicazione per mantenere tutto in movimento all’interno e tra le sue stesse strutture e l’intenso sfruttamento del lavoro in ogni momento. Non si tratta né di “just-in-time”, né di “just-in-case”. Si tratta di “alta velocità di inventario”, come afferma Amazon nella sua relazione 10-K della Securities and Exchange Commission (SEC) del 2021.30

Amazon descrive la sua strategia nella relazione annuale SEC 10-K del 2022: “cerchiamo di fare rapidamente l’inventario e riscuotiamo dai consumatori prima che i nostri pagamenti ai venditori e alle aziende diventino esigibili”.31 Qui è necessaria una piccola spiegazione. In media, Amazon riceve i pagamenti, per lo più con carte di credito, diciotto giorni prima di pagare i suoi fornitori. Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto alla pratica comune del business-to-business 32, che consiste nel ricevere il pagamento dopo la consegna al cliente. In questo modo, Amazon riduce i tempi di rotazione, ricevendo un pagamento anticipato. Questo denaro anticipato Amazon lo chiama “free cash flow”33 piuttosto che profitto – sebbene rappresenti chiaramente un plusvalore realizzato.34

Questo “free cash flow” paga l’espansione di Amazon ed è il cuore del suo modello di business. Nel 2022, ammontava a 11,6 miliardi di dollari, a fronte di un “reddito operativo” di poco più di 12 miliardi di dollari.35 Questo può essere sostenuto o aumentato solo grazie alla “capacità di trasformare rapidamente il nostro inventario”. Come suggerisce il rapporto 10-K del 2022, “per ogni 1% di indennità valutaria supplementare delle scorte [presenti] al 31 Dicembre 2022, avremmo registrato un costo aggiuntivo delle vendite pari a circa il 50% del valore delle scorte”.

Per il 2022, ciò avrebbe comportato un ulteriore “costo del venduto” di 390 milioni di dollari per ogni 345 milioni di dollari di valutazione delle scorte […] Pertanto, qualsiasi riduzione del movimento dei prodotti attraverso l’intero sistema di logistica e di consegna, aumenta l’inventario stazionario e diventa costoso. Pertanto, il rapido movimento dal centro di logistica al centro di smistamento e alla stazione di consegna, la consegna il giorno successivo e lo sviluppo della sua flotta di camion e furgoni sono punti centrali per il modello di business [di Amazon] – ed è un motivo fondamentale per cui Amazon resiste così fermamente alla sindacalizzazione.

Non sono molte le aziende – e certamente pochi i produttori – ad essere in grado di raggiungere la rapidità del flusso di cassa gestito da Amazon. Le aziende negli Stati Uniti, in media, devono aspettare trentadue giorni prima di ricevere il pagamento per le merci consegnate ad un cliente – a differenza dei diciotto giorni di anticipo di Amazon.36 Ma queste aziende, che soffrono da tempo, possono aspirare ad “ottimizzare” o “trasformare rapidamente l’inventario” per minimizzare i costi e massimizzare il flusso di cassa e i relativi profitti. Non è la stessa cosa del JIT, perché non è limitato ad un tempo, un punto di consegna o un tipo di prodotto specifico e predeterminato. Nel descrivere i suoi rischi, il 10-K di Amazon parla di “mancata ottimizzazione dell’inventario” come fonte di aumento dei costi.37 Per Amazon, quindi, l’inventario, che non può essere evitato del tutto da un’azienda che muove milioni di prodotti al giorno, deve essere “ottimizzato”, regolato e mantenuto in movimento all’interno e tra le strutture. In altre parole, quando Amazon nel suo rapporto parla di ottimizzare l’inventario, in realtà sta descrivendo la velocità di inventario ottimizzato (OIV) per far entrare, passare e uscire le merci dalle sue strutture il più “velocemente” possibile.

Per spostare più rapidamente un volume crescente di attività e, quindi, di scorte tra le sedi funzionali – come i centri di logistica, smistamento e consegna, e portare l’inventario più vicino ai clienti -, la proliferazione delle strutture di Amazon si è evoluta nel tempo. I punti di ritiro e i centri di smistamento sono stati introdotti nel 2014 e le stazioni di consegna nel 2016 per accelerare le cose.38 Il movimento è stato ulteriormente accelerato grazie al fatto che l’attività è cresciuta con l’aumento dei centri di logistica – passati da 139 nel 2018 a 349 nel 2022 – e dei centri di smistamento – passati da 47 a 140 -; ma soprattutto grazie alla crescita quasi esponenziale delle stazioni di consegna più vicine ai consumatori finali – passati da 87 a 656 in questo periodo.39 A partire dal 2018, Amazon ha iniziato a costruire una propria flotta di camion e furgoni – circa trentamila furgoni e ventimila autoarticolati entro la fine del 2019 -, col fine di legare più strettamente queste molteplici strutture sotto il suo controllo. La maggior parte di questi camion e furgoni sono guidati da autisti subordinati o al suo programma Flex o da quelli che lavorano per conto di appaltatori nell’ambito dei suoi fornitori di servizi di consegna (DSP).40

Tutte queste configurazioni sempre più dense di strutture, forniscono la velocità di inventario ottimizzata (OIV) delle merci e del valore nella sua forma monetaria che rende efficace il “modello di business” di Amazon. Inoltre, come mostrano le mappe internazionali del MWPVL, le strutture di Amazon sono concentrate in modo sproporzionato nelle principali aree metropolitane – come parte dei cluster logistici nazionali ed in prossimità dei principali mercati.41

[Amazon, come qualsiasi azienda all’interno] della rete logistica economica generale, dipende dal sistema infrastrutturale stradale per gran parte della sua OIV – dai fornitori, tra le strutture e i clienti. Il movimento altamente orchestrato delle merci all’interno e tra le sue strutture significa che, mentre le scorte possono essere rappresentate da una somma annuale statica (come i 34,4 miliardi di dollari nel 2022), le merci che entrano ed escono dalle molteplici strutture di Amazon sono, in realtà, in movimento quasi costante, spostate da un luogo all’altro dalle mani creatrici di valore del lavoro umano – a volte guidate dalla tecnologia e a volte dagli autisti e che possono potenzialmente rallentare o fermare questo movimento in [determinati] punti chiave.

Come mostra la Tabella I, mentre le sue vendite sono cresciute del 120% e le sue scorte sono raddoppiate tra il 2018 e il 2022, il numero di strutture è aumentato di due volte e mezzo, mentre la sua flotta di camion e furgoni è cresciuta rapidamente da quasi zero, consentendo il movimento delle merci e producendo un calo delle scorte [mentre] percentuale delle vendite aumentava – un forte indicatore del successo del “modello” Amazon nell’ottimizzare la velocità delle scorte. Ciò non significa che Amazon sia immune alle grandi tendenze economiche. Il suo reddito operativo è crollato nel 2022, quando la spesa dei consumatori statunitensi si è spostata in qualche modo dai beni online agli “in-person services”.42 Nel 2022 aveva sovrastimato gli aspetti della sua rete, basandosi sull’impennata della domanda online del 2020 – passando da 477 strutture nel Marzo 2020 a 1104 nel Dicembre 2021. Di conseguenza, è stata costretta a chiudere o a ritardare la costruzione di circa novanta strutture in tutto il mondo.43 Ciononostante, la percentuale di inventario rispetto alle vendite è diminuita significativamente dal 2015, poiché le vendite hanno superato l’inventario “ottimizzato” in movimento.

Nonostante la battuta d’arresto del 2022 e di fronte alla crescente concorrenza nel settore delle consegne rapide nel 2023, Amazon sta pianificando la costruzione di ben centocinquanta “hub di consegna ultrarapidi” nei prossimi anni. Si tratta di hub più piccoli e più vicini ai mercati finali. Walmart, Target e Shopify stanno tutti imitando questa espansione. In altre parole, la capacità di Amazon di “trasformare rapidamente il suo inventario” e che porta al suo “free cash flow” è degna di essere emulata. Ed è questo “modello”, per imitazione o semplicemente per tentativi ed errori, che sta emergendo come forma di logistica per l’economia statunitense nel suo complesso. Ciò verrà esaminato nel successivo paragrafo.

Continua nella Seconda Parte

Note

1Marx Karl, “Grundrisse della critica dell’economia politica”, Criticamente/Sitocomunista, 2020, pag. 210 (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

2Ibidem, pag. 83 (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

3Per una discussione più approfondita della teoria di Marx sul tempo di rotazione e degli sforzi del capitale per aumentarlo si veda Kim Moody, “Motion and Vulnerability in Contemporary Capitalism: The Shift to Turnover Time”, Historical Materialism 30(3) (2022): 47-78.

4Marx Karl, “Il Capitale. Libro Secondo”, Editori Riuniti, Roma, Settembre 1980, Nona Edizione, pag. 180 (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

5Marx Karl, “Il Capitale. Libro Terzo. Tomo I”, Editori Riuniti, Roma, Settembre 1980, Nona Edizione, pag. 102 (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

6Ibidem (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

7Traduzione “doppia recessione”. Questo evento si verifica quando un’economia registra due periodi di contrazione, separati da un breve periodo di espansione. Poiché la curva del prodotto interno lordo (PIL) e di altri dati economici sui grafici assomiglia alla lettera W, queste recessioni sono anche note come recessioni a forma di W. (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea). Fonte consultata: “What Is A Double-Dip Recession?”, Forbes, 20 Ottobre 2022. Link: https://www.forbes.com/advisor/ca/investing/what-is-a-double-dip-recession/

8Michael Roberts, “The US rate of profit in 2021.” Link: https://thenextrecession.wordpress.com/2022/12/18/the-us-rate-of-profit-in-2021/ ; BEA, Table 5.3.5. “Private Fixed Investment by Type,” 26 Gennaio, 2023. Link: https://fred.stlouisfed.org/series/A349RC1Q027SBEA

9BLS, “PPI Commodity data for Final Demand, seasonally adjusted,” Databases, Tables & Calculators by Subject, 6 Febbraio 2023.

10Aaron E. Cobet and Gregory A. Wilson, “Comparing 20 years of labor productivity in U.S. and foreign manufacturing,” Monthly Labor Review, Giugno 2002, 54,59; BLS, Office of Productivity and Technology, Annual Labor Productivity for Major Sectors, 7 Dicembre 2022, www.bls.gov/productivity/ ; BLS, Database, Tables & Calculators by Subject, Manufacturing, Labor Productivity, 23 Marzo 2023, https://www.bls.gov/productivity/; BLS, Productivity and Costs, USDL 23-0398, Table C1, 2 Marzo 2023, https://www.bls.gov/news.release/pdf/prod2.pdf

11Tommaso Pardi, Martin Krzywdzinski, and Boy Luethje, “Digital manufacturing revolution as political projects and hypes: evidence from the auto sector”, ILO Working Paper 3 (Geneva: International Labour Organization, 2020), pagg. 7-9, passim.

12IHS Markit, “Focus on…Suppliers’ Delivery Times,” PMI Commentary, 19 Luglio 2022, https://cdn.ihsmarkit.com/www/pdf/0721/PMI-focus-on-supplier-delivery-times-202107.pdf ; HIS Markit, “The Great Supply Chain Disruption: Why it continues in 2022”, Gennaio 2022,( HIS Market, 2022), pag. 4 e12.

13BLS, “Productivity”, labor-productivity-detailed-industries (4), https://www.bls.gov/productivity/

14American Trucking Associations, Truck Driver Shortage Analysis 2019 (American Trucking Associations, 2019), 4; Statista, “Truck driver shortage in the United States from 2011 to 2030 (in 1,000s), Statista 2022, https://www.statista.com/statistics/1287929/truck-driver-shortage-united-states/; Madeleine Ngo and Ana Swanson, “The Biggest Kink in America’s Supply Chain: Not Enough Truckers, “ New York Times, 9 Novembre 2021, https://www.nytimes.com/2021/11/09/us/politics/trucker-shortage-supply-chain.html

15David Sparkman, “Labor Shortage Hurts Logistics Industry,” MH&L Material Handling & Logistics, September 10, 2018, https://www.mhlnews.com/warehousing/article/22055211/labor-shortage-hurts-logistics-industry

16 (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea) Link: https://it.wikipedia.org/wiki/Servitù_debitoria

17Erin McCormick, “’Indentured servitude’: low pay and grueling conditions fueling US truck driver shortage,” The Guardian, 22 Novembre, 2021, https://amp.theguardian.com/business/2021/nov/22/indentured-servitude-low-pay-and-grueling-conditions-fueling-us-truck-driver-shortage

18Amy Morrison, “The truth About Precision Scheduled Railroading,” 3 Febbraio 2020, RailBite #8: “The Truth About Precision Scheduled Railroading”—Solutionary Rail; (From Railroad Workers United, Rail Workers Weekly News Digest, Number 7, 18 Febbraio 2020); Ryan Ansell, “Employment in rail transportation heads downhill between November 2018 and December 2020,” Monthly Labor Review, Ottobre 2021, https://www.bls.gov/opub/mlr/2021/article/pdf/employment-in-rail-transportation-heads-downhill-between-november-2018-and-december-2020.pdf

19Insieme delle tecniche industriali di derivazione giapponese applicato alla gestione della produzione, delle scorte e della catena di fornitura. Nella sua accezione più ristretta, significa produrre solo quanto richiesto dal cliente nei tempi voluti dal cliente; nella versione più estesa, l’applicazione del JIT è finalizzata alla riduzione, nonché all’eliminazione, di tutte le forme di spreco che si realizzano all’interno della fabbrica e nei rapporti di fornitura. (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea). Fonte citata: Just In Time (JIT), Treccani. Link: https://www.treccani.it/enciclopedia/just-in-time_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

20Citi GPS, Supply Chain Finance, pag. 20.

21Moody, “Motion and Vulnerability,” pag. 52.

22U.S. Department of Transportation, Supply Chain Assessment of the Transportation Industrial Base: Freight and Logistics (Washington DC: 2022), pag. 17.

23Marx Karl, “Il Capitale. Libro Secondo”, Editori Riuniti, Roma, Settembre 1980, Nona Edizione, pagg. 140-157 (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

24È un rapporto di efficienza che viene utilizzato per determinare il tasso al quale una società sta liquidando il suo inventario. In parole povere, misura il rapporto tra la quantità di inventario che ha la società e il numero di vendite che vengono effettuate. (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

25BEA, Table 5.8.5B.

26Citi GPS: Global Perspectives & Solutions, Global Supply Chains: The Complexities Multiply, Citi Group,18 Giugno 2022.

27BEA, Table 5.8.5B “Private Inventories and Domestic Final Sales by Industry,” Revised on January 26, 2023.

28Daniel P. Bearth, “Is Amazon a Logistics Company?” Transport Topics, 8 Aprile 2019, www.ttnews.com/articles/amazon-logistics-company-all-signs-point

29EC, Form 10-K 2022, pag. 25-26. Quello che Amazon chiama “Costo del venduto” è in realtà definito come “il prezzo di acquisto dei prodotti di consumo, i costi di spedizione in entrata e in uscita, compresi i costi relativi ai centri di smistamento e di consegna, e dove sono il fornitore del servizio di trasporto”, ecc. Quindi, il “Costo del venduto”, la logistica la Tecnologia e i Contenuti ammontano all’89% dei Costi operativi, mentre le Vendite e il Marketing e le Spese generali e amministrative insieme rappresentano solo il 10,8%; il resto è rappresentato dall’ammortamento o dai danni alle attrezzature o alle proprietà. Amazon è quindi un’azienda di logistica completa. Il suo capitale costante circolante è composto principalmente dai prodotti e dall’inventario che vende, sia che provengano da acquisti o produzione propria, sia che provengano dai circa 1,7 milioni di venditori di terze parti (3P), la maggior parte dei quali utilizza le sue strutture e paga ad Amazon in media il 34% del prezzo di vendita. Vedere Moira Weigel, Amazon’s Trickle-Down Monopoly, Data & Society, Gennaio 2023, pag. 3-4, www.datasociety.net

30Securities and Exchange Commission (SEC), Form 10-K, AMAZON.COM, INC, “For the fiscal year ended 31 Dicembre 2021, pag. 18.

31Ibidem, pag. 19

32È uno spazio commerciale dove le aziende scambiano prodotti, servizi o informazioni con altre aziende. (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

33Capacità dell’azienda di generare un flusso di cassa come differenza tra le entrate e le uscite monetarie in un certo periodo di tempo. (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

34Rani Molla, “Amazon’s tiny profits, explained,” Vox, October 24, 2019, https://www.vox.com/recode/2019/8/21/20826405/amazons-profits-revenue-free-cash-flow-explained-charts

35SEC, 10-K, 2022, pag. 24 e 28.

36William Jefferies, “The US rate of profit 1964-2017 and the turnover time of fixed and circulating capital,” Capital & Class, first online 14 Aprile 2022, https://doi.org/10.1177/03098168221084110. Jeffries costruisce una tabella che quantifica i fatturati annuali del “capitale circolante” dal 1964 al 2017, corrispondente grosso modo all’andamento della produzione e della produttività manifatturiera nello stesso periodo.

37SEC, 2022, pag. 10

38Chase Purdy, “How Amazon is secretly building its superfast delivery empire,” Quarts, 11 Marzo 2016, https://qz.com/63404/how-amazon-is-secretly-building-its-superfast-delivery-empire/; MWPVL International, “Amazon Global Supply Chain and Fulfillment Center Network,” Q1 2023, https://www.mwpvl.com/html/amazon_com.html

39MWPVL International, “Amazon Global Supply Chain,” Q1 2023 , https://mwpvl.com/html/amazon_com.html

40PYMNTS, “Amazon’s Delivery Fleet Reaches 30K Cargo Vehicles,” 20 Dicembre 2019, PYMNTS, https://www.pymnts.com/amazon-delivery/2019/amazons-delivery-fleet-reaches-30K-cargo-vehicles; Nat Levy, “Amazon doubles truck fleet to 20,000 to boost shipping capacity amid booming holiday sales,” 3 Dicembre 2019, Geek Wire, https://www,geekwire.com/2019/amazon-doubles-truck-fleet-20000-boost-shipping-capacity-amid-holiday-sales/#news-stream; Alimahomed-Wilson, “Amazonification of Logistics,” 69-84

41MWPVL International, “Amazon Global Fulfillment Center Network Maps,” Figures 1-9, https://www.mwpvl.com/html/amazon_maps.html

42Servizi che sono interamente o principalmente forniti di presenza dall’azienda ai propri clienti e che non possono essere forniti con altri mezzi – online o remoto tramite telefono , e-mail , video collegamento o comunicazione scritta. (aggiunta dal Gruppo Anarchico Galatea)

43MWPVL International, “Amazon Global Supply Chain,” Q1 2023; Eugene Kim, “Amazon will take years to recover from a warehouse overbuilding binge during the pandemic,” Business Insider, 5 Gennaio 2023, https://www.businessinsider.nl/amazon-will-take-years-to-recover-from-a-warehouse-overbuilding-binge-during-the-pandemic-in-2022-it-still-added-a-third-of-walmarts-total-capacity/

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