Una risposta all’articolo “Elezioni: che l’astensione diventi diserzione”

Disegno di John Olday e pubblicato nell’opuscolo “The March of Death”, Freedom Press, 1943

Leggendo l’articolo “Elezioni: che l’astensione diventi diserzione”, a firma Dario Antonelli ed uscito sul numero 21 di Umanità Nova del 02/10/2022, non abbiamo potuto fare a meno di notare come diversi passaggi dello scritto in questione suggeriscano, a nostro avviso, una visione distorta e/o incompleta delle elezioni appena passate e, soprattutto, quello che potrebbe prospettarci il governo futuro.

Invitiamo prima a leggere l’articolo per intero, che è possibile reperire sul sito internet di Umanità Nova (clicca qui)

-La questione astensionista, capitalistica e statale. Un tuffo negli ultimi anni
Nell’ultima tornata elettorale,sia nazionale che regionale siciliana, la coalizione di centrodestra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia) è riuscita ad imporsi ottenendo la maggioranza dei voti nonostante un’astensione sempre più marcata: a livello nazionale l’astensione è stata di quasi il 36%, mentre a livello regionale siciliano quasi il 52%.

Questi dati ci confermano come i partiti istituzionali non riescano più ad attrarre una popolazione sempre più impoverita a livello economico ed apatica e indolente di fronte a determinate dichiarazioni politiche.

Per analizzare la realtà corrente è necessario, dal nostro punto di vista, concentrarsi sui dati astensionistici ed economici – specie quelli inflazionistici e i guadagni ottenuti da determinate aziende che offrono servizi e prodotti indispensabili (energetici e distribuzione organizzata, per capirci).

I partiti istituzionali, come abbiamo scritto nella seconda parte de “La catena elettorale”, rappresentano determinate dinamiche borghesi o gruppi economici (piccoli, medi o grossi che siano) all’interno dell’alveo democratico, ovverosia “un modello vantaggioso rispetto ai precedenti regimi dittatoriali (fascisti, militari, comunisti) in quanto i tre poteri fondamentali dello Stato democratico (legislativo, esecutivo e giudiziario) sono i garanti di questo sistema economico che, in nome del progresso, della civiltà e della libertà, uccide e devasta per il profitto.” [1]

Questo fa capire come un governo ed un parlamento (di qualsiasi colore esso sia) non sarà mai dalla parte delle classi sfruttate o marginalizzate. Anzi, userà queste ultime per attirarle con diritti e doveri e non mettendo, quindi, in discussione la religione dello Stato, della Democrazia e del Capitale. Con tale mossa, un sistema del genere giustificherà qualsiasi atto violento e nefando nei confronti dell’individuo – specie quello che ricade nell’ultima ruota del carro sociale ed economico.

In un contesto del genere, lo Stato e il Capitale, attraverso il pieno monopolio della violenza, fanno credere come il loro agire sia una conquista di civiltà e progresso; in realtà è il modo per garantire la produzione economica attraverso relazioni sociali di sfruttamento e oppressione.

Criteri come “dominio” e “potere politico”, all’interno del contesto statale-capitalistico, sono fondamentali nel creare una relazione asimmetrica (e quindi verticistica e diseguale), in cui un gruppo di soggetti ha la capacità effettiva e potenziale di imporre la propria volontà sugli altri, configurando in un territorio delimitato ed escludente un rapporto di supremazia tramite il controllo dei mezzi di coercizione fisica. Questo è ciò che i sociologi borghesi nel tempo hanno chiamato “monopolio della violenza legittima”.

La costruzione del consenso mediatico e l’utilizzo della macchina giuridica consentono di mascherare questi aspetti della macchina statale-capitalista. La “neutralità” statale che viene costruita in questo modo separa il potere politico da quello capitalistico.

Una costruzione di questo genere, come spiegato da Michael Heinrich, docente universitario e profondo conoscitore delle opere di Marx, permette allo Stato di “assicurare le basi delle relazioni capitalistiche di dominio e sfruttamento. La difesa della proprietà implica che coloro che non possiedono alcuna proprietà rilevante oltre alla propria forza-lavoro devono vendere la propria forza-lavoro. Per potersi appropriare dei propri mezzi di sussistenza, devono sottomettersi al Capitale. Ciò rende possibile il processo di produzione capitalistico e riproduce a sua volta i rapporti di classe che ne sono il presupposto. Il singolo lavoratore esce dal processo di produzione esattamente come vi è entrato. Il salario del lavoratore è essenzialmente sufficiente per la sua riproduzione (o per quella della sua famiglia). Per riprodursi nuovamente, deve vendere di nuovo la sua forza-lavoro. Anche il capitalista esce dal processo di produzione di nuovo come capitalista: il suo capitale anticipato gli ritorna insieme a un profitto, in modo da poterlo anticipare di nuovo in una quantità maggiore. Il processo di produzione capitalistico non produce solo merci, ma riproduce anche il rapporto di capitale stesso.” [2]

Nel caso italiano, il regime democratico e repubblicano, fin dalla sua esistenza, si è prodigato nell’utilizzare questa violenza e nell’accettare e far accettare la medesima, avvantaggiando non solo una borghesia (attraverso gli aiuti di Stato) ma anche una cosiddetta casta militare (o per meglio dire gruppi o compagini militari).

Affermare, come scritto da Antonelli, che “la casta militare, la produzione bellica e in particolare aerospaziale, Confindustria e la Chiesa avranno al governo il primo alfiere dei loro privilegi” è un errore a nostro avviso grossolano, e ignora l’aspetto storico e violento di base dello Stato e del capitalismo.

I governi politici del periodo del lockdown nazionale e delle zone a colori, sono stati particolarmente attenti nella salvaguardia dei profitti e dei sostenitori finanziari di determinate compagini politiche. [3]

La produzione capitalista tanto voluta da Confindustria e altre associazioni di categoria durante le fasi acute della pandemia (2020-2021) è stata avvallata dai governi politici del Conte I e II – i quali non erano “governi di unità nazionale” come erroneamente riportato nell’articolo poiché questi si formano in circostanze particolari di emergenza.

A livello industriale militarista, Leonardo, controllata a quota maggioritaria (30%) dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha visto la sua produzione aumentare proprio nel periodo più acuto e difficile della pandemia. [4]

Le chiese escluse dai DPCM sono diventate dei cluster. Il motivo dell’esclusione è da ricercarsi negli accordi tra i partiti che sostenevano il governo Conte II e le associazioni e i gruppi cattolici (legati o meno a “Comunione e Liberazione”).

Se andiamo ancora indietro nel tempo potremmo ricordare tutto quello che fece l’allora ministro degli Interni Marco Minniti (Partito Democratico) insieme ai suoi compagni e alleati vari al governo: dagli infami accordi con il capo della cosiddetta Guardia Costiera Libica – noti scafisti o trafficanti di schiavi che dir si voglia –, al decreto Minniti-Orlando contro l’immigrazione, passando alla Sicurezza Urbana (difesa del decoro e “Daspo Urbano”).

Appare chiaro, alla luce di questi esempi e dei dati astensionistici e, soprattutto, economici espressi nella prima parte de “La catena elettorale”, come un’eventuale conflitto sociale – che si potrà manifestare già da quest’autunno-,non verràgovernato dalla sinistra istituzionale e dai vari soggetti che la rappresentano (come partiti e sindacati).

Questa nostra affermazione è rafforzata dal fatto che i soggetti in questione sono stati proni al governo Draghi nel corso dell’ultimo anno e mezzo, per cui non sono visti di buon occhio dalla maggior parte dell’elettorato.

Da qui si spiega come la vittoria di Fratelli d’Italia, all’opposizione all’ultimo governo, fosse un dato di fatto.

Il risultato delle elezioni e i possibili sviluppi
La vittoria di un partito che viene fuori dal solco del neo-fascismo missino è, dal nostro punto di vista, significativamente simbolica.

Tuttavia la coalizione del cosiddetto centro destra non è stabile; il suo compattamento è nato per fare fronte comune e reggere la botta di queste elezioni. Vista la composizione del parlamento grazie all’attuale legge elettorale, il governo che si verrà a formare sarà instabile come quelli succedutisi negli ultimi dieci anni.

Inoltre, a dispetto della “bella faccia” mostrata alle telecamere, il tonfo elettorale del partito di Matteo Salvini ha creato non pochi malumori all’interno della dirigenza leghista – e non è detto che i leghisti non possano tentare un “colpo di mano” parlamentare facendo cadere il governo se si dovesse presentare l’occasione. [5]

I fortissimi malumori delle forze politiche della coalizione del centro-destra sono verificabili anche da piccoli ma importanti segnali, quali un Silvio Berlusconi che, senza sapere di essere ripreso, esprime la speranza che il suo partito possa fare meglio della Lega. [6]

Al problema dell’instabilità ormai cronica del sistema politico italiano, vanno aggiunte tutte le difficoltà materializzatesi negli ultimi due anni: una pandemia ancora in corso che Meloni e soci, al di là delle loro dichiarazioni critiche sulle “restrizioni cinesi”, dovranno tenere a freno se non si vogliono saturare gli ospedali con eventuali nuove ondate di contagi; l’inflazione galoppante e la possibilità che buona parte della popolazione italiana passi l’inverno al freddo (soprattutto dopo il sabotaggio del gasdotto Nord Stream)

In ogni caso non si deve tener conto solo del piano nazionale.
L’Italia, insieme ad altri Stati dell’Europa Occidentale, ha creato progressivamente dei progetti di unioni economiche sovranazionali che si sono evolute nell’attuale Unione Europea (UE).

Il potere che detiene effettivamente questa entità sovranazionale è di carattere economico-finanziario. Attraverso questo, l’UE può “riportare alla ragione” quegli Stati che non rispettano alcuni principi democratici capitalistici.

Il caso dell’Ungheria è emblematico: secondo il Parlamento Europeo, il paese governato da Orban “non può più essere considerata pienamente una democrazia”. [7]

Di conseguenza sono stati congelati i fondi del Recovery Fund finché il paese magiaro non seguirà i parametri politici del Trattato di Maastricht, sistemando ciò che di sbagliato si trova nel suo sistema politico.

Risulta chiaro come la “mancanza di democrazia” in Ungheria sia un tentativo di minaccia del Parlamento Europeo verso il governo di Orban e i cosiddetti “paesi di Visegrad” (in cui ricade il paese magiaro) colpevoli di aver stilato e difeso gli accordi economici con la Cina e la Russia.

Noi non crediamo che Giorgia Meloni (o chi per lei) sia tanto scema da voler replicare una situazione simile in Italia nonostante la vicinanza al governo di Orban.

Dichiarando di essere vicina alla NATO e condannando i referendum imposti da Putin il 30 Settembre nei territori ucraini occupati (in cui ricadono la Repubblica Popolare di Luhansk e Repubblica Popolare di Donetsk), la leader di Fratelli d’Italia, così come i suoi alleati, non sarà disposta a giocarsi il tutto per tutto in un paese sul filo del collasso economico e bisognoso di fondi finanziari europei e materiali e prodotti energetici.

-Confondere i piani: una comparazione errata
Troviamo dubbio, se non completamente errato, inserire le fughe e diserzioni di massa nella Federazione Russa degli ultimi giorni in un articolo in cui si dovrebbero commentare i risultati delle elezioni italiane.

In ambito anarchico, la parola “diserzione” ha un suo significato politico ben specifico che si inserisce nell’ottica antimilitarista.

Secondo gli estensori dell’ “Enciclopedia Anarchica” (1925-1934), la diserzione viene “determinata da ragioni sociali, presuppone un’energia e un coraggio innegabili, perché il disertore si espone a una vita di sofferenza e miseria. L’esilio è tutt’altro che una fonte di gioia e l’uomo che accetta questa fine si mette nei guai. Oggi le varie nazioni del mondo sono perfettamente d’accordo sulla questione dei disertori, che alla minima infrazione vengono espulsi e consegnati alla polizia del loro paese. Ci sono però giovani che preferirebbero affrontare i rischi e le difficoltà della diserzione piuttosto che piegarsi per un po’ alla ridicola volontà del militarismo. C’è un solo rimedio, uno solo, per liberarsi da tutti questi vincoli che avvelenano l’esistenza umana. Ci saranno disertori finché ci saranno eserciti ed eserciti finché il capitalismo non sarà abolito. È la causa del male che deve essere attaccata se vogliamo distruggere i suoi effetti.

Il significato politico del termine “diserzione” che veniva riportato in articoli, analisi e testimonianze in pubblicazioni come “Rompete le righe” e “Il disertore” è via via scomparso complice la “fine” della leva in Italia e l’uso a sproposito che ne hanno fatto i mass media italiani (tipo “le urne vengono disertate” e via dicendo)

Usare un termine del genere con cui si vuole unire la diserzione alle urne con quella degli uomini russi (e aggiungiamo anche ucraini), può rivelarsi un boomerang e rischia di affibbiare ad una parte del movimento anarchico di lingua italiana la nomea di “parolaia ed esagerato.”

La Federazione Russa e la Repubblica Italiana non stanno vivendo assolutamente lo stesso tipo di situazione in questo momento. Seppur ovviamente interconnesse – e possiamo anche dire in stato di co-causalità -, non ci sembra che l’Italia sia in una situazione di guerra guerreggiata (perlomeno in questo momento) come la Russia, tanto meno che vi siano state minacce di imposizione della legge marziale o di qualunque altra misura che gli Stati adottano in tempo di guerra.

Nel caso russo, troviamo una federazione che presenta al suo interno diversi problemi, in primis quello che ha visto primeggiare i russi tra le varie popolazioni con annessa russificazione. Inoltre, il territorio russo è molto più povero [8] di quello italiano, ed il gioco politico in quella parte di mondo, anche tra le frazioni stesse della borghesia, si muove in un modo molto più sporco e cruento di quanto non avvenga in Italia – come la lunga serie di apparenti suicidi (o omicidi politici commissionati dal Cremlino) tra gli oligarchi russi che vanno avanti ininterrottamente dall’inizio dell’anno corrente. [9]

Non ci sembra che il gioco politico in Italia abbia raggiunto queste vette negli ultimi anni, limitandosi, semmai, alla reciproca demonizzazione tramite media di proprietà di questo o quel padrone e dell’utilizzo ad hoc degli strumenti e linguaggi da social network.

Le fughe e le diserzioni di massa degli ultimi giorni in Russia, così come le proteste, sono sintomatiche di un fronte interno che comincia ad incrinarsi – una situazione molto lontana da ciò che avviene in Italia, nel bene e nel male.

La questione del personale militare in Italia
Chi si occupa di antimilitarismo in modo serio e senza avere derive democratiche liberali, dovrebbe quanto meno sapere che in Italia il rischio di una mobilitazione di massa è praticamente basso considerando i seguenti aspetti:

1) l’articolo 11 della Costituzione Italiana dice: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Ciò significa che lo Stato Italiano può entrare in guerra qualora questa sia uno strumento di difesa sia verso i propri confini che verso altri paesi attaccati e che fanno parte della NATO e/o dell’ONU.
Per fare ciò lo Stato italiano deve utilizzare in primis i volontari all’interno delle forze armate e avere il benestare delle camere e del governo;

2) la leva obbligatoria è stata sospesa da quasi vent’anni con la “Legge Martino” o “Legge 23 agosto 2004 n. 226: “Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonche` delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore.””
Tolta la leva obbligatoria si è creata la figura del “volontario in ferma prefissata” (VFP), inaugurando in tal modo, a distanza di quasi un decennio dal “volontario in servizio permanente” (VSP), la versione professionalizzata del militare non graduato;

3) la questione della mobilitazione generale si pone solo se le forze volontarie già in uso da parte dell’apparato militare sono insufficienti, ragion per cui ci sarebbe bisogno di colmare le carenze facendo ricorso alla coscrizione obbligatoria. Ciò viene riportato:
a) negli articoli della Costituzione Italiana quali:
–Articolo 78: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”;
–Articolo 87 comma 9. [Il presidente della Repubblica] ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere”;

b) nell’articolo 1929 del “Codice dell’ordinamento militare”
–“Sospensione del servizio obbligatorio di leva e ipotesi di ripristino”
1. Le chiamate per lo svolgimento del servizio obbligatorio di leva sono sospese a decorrere dal 1° gennaio 2005.
2. Il servizio di leva è ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, se il personale volontario in servizio è insufficiente e
non è possibile colmare le vacanze di organico, in funzione delle predisposizioni di
mobilitazione, mediante il richiamo in servizio di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni, nei seguenti casi:
a) se è deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione;
b) se una grave crisi internazionale nella quale l’Italia è coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad una organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle Forze armate.
[…]”

A livello pratico, una parte della generazione nata dal 1986 in poi si è arruolata volontariamente nell’Esercito Italiano. Tutto il resto, però, non saprebbe maneggiare una o più armi.
Per addestrare, in caso di mobilitazione generale, delle persone che hanno zero basi di disciplina militare e/o utilizzo di armi ci vuole tempo (da settimane a un paio di mesi) e soldi (sotto forma di salari) da destinare al personale militare e a quello da disciplinare.

Nel “Documento Programmatico Pluriennale della Difesa del triennio 2022-2024”, emanato dal Ministero della Difesa, le spese alla voce “Personale” (che corrisponde ai salari da destinare ai militari e civili che lavorano nelle basi) si aggirano intorno ai 10,6 miliardi. [10]

Il dato delle spese del personale, secondo gli analisti della Difesa, è in forte crescita dal 2001; nonostante i governi precedenti abbiano voluto portare il personale a “quota 150.000 entro il 2024” per contenere i costi, nell’Agosto di quest’anno si è prorogato il tutto entro il 2033. [11]

Una scelta del genere ha un duplice aspetto: il primo è mantenere la professionalizzazione militare attraverso il reclutamento volontario e il ricambio generazionale; il secondo è come gli alti ufficiali italiani possano giocare la carta dell’aumento degli stanziamenti qualora vi siano delle minacce esterne o chiamate alle armi da parte della NATO.

Se dovesse essere chiamata, in questo momento di crisi socio-culturale-economica, una mobilitazione generale dovuta alle minacce o chiamate citate, per i partiti e il governo che vi sarà in carica significherà letteralmente suicidarsi.
Per il movimento anarchico, una mossa politica del genere sarebbe oro colato, in quanto lo Stato e la borghesia vedrebbero venir meno i loro difensori armati.
Come detto prima, però, siamo in una crisi a tutto spiano; ciò vuol dire che le persone non politicizzate sono incuranti e apatiche a livello politico in quanto abituate alla religione dello Stato e del capitalismo.

In questa fase per noi è fondamentale avere la quadra della situazione, analizzando e criticando scientificamente ciò che accade e lasciando perdere certe modalità comunicative tipicamente mass-mediatiche (come l’utilizzo a sproposito del termine “diserzione”).
Solo così possono partire proposte pratiche comunicative e di vita quotidiana atte a cambiare lo stato di cose.

Note
[1] Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/09/11/la-catena-elettorale-seconda-parte/

[2] Paragrafo “Form-Determinations of the Bourgeois State: Rule of Law, Welfare State, Democracy”, capitolo11 “State and Capital” del libro “An Introduction to the Three Volumes of Karl Marx’s Capital”, Monthly Review Press, 2004

[3] Giuseppe Conte, prima di essere “defenestrato” da presidente del consiglio, era stato accusato per la mancata imposizione delle zone rosse a Nembro e Alzano con cui si poteva circoscrivere il contagio nei primissimi giorni di diffusione del Covid-19.
“Zone rosse a Bergamo: il verbale segreto smentisce la versione di Conte”, 27 Marzo 2021, “Domani”.
Link: https://web.archive.org/web/20221002150658/https://www.editorialedomani.it/politica/italia/zone-rosse-bergamo-covid-verbale-segreto-smentisce-versione-conte-cjigpe03

[4] “Leonardo: positiva risposta alla pandemia anche grazie al peso del business militare/governativo. Buona performance nel primo semestre 2020, con Ordini pari a € 6,1 miliardi. Nuova Guidance 2020 e piena fiducia nei fondamentali di medio-lungo periodo.”, 30 giugno 2020, leonardo.com.
Link: https://web.archive.org/web/20221002140752/https://www.leonardo.com/it/press-release-detail/-/detail/30-07-2020-leonardo-responding-robustly-to-the-pandemic-also-benefitting-from-military-governmental-business

[5] “Tensioni nella Lega, dopo il risultato non positivo delle elezioni politiche (la forza politica si è fermata al 9%). «Risultato insoddisfacente, ma saremo protagonisti. Resto finchè vorranno i militanti», ha detto il segretario Matteo Salvini. Il governatore del Veneto Zaia ha parlato di dati «deludenti» e ha invitato a riflettere. Salvini ha convocato per oggi, martedì 27 settembre, il Consiglio federale. «Ascolteremo tutti – ha spiegato -. E da domani (mercoledì 28 settembre, ndr) farò un giro ascolto provincia per provincia di tutta la Lega». Intanto continua la trattativa nel centrodestra in vista della formazione del nuovo esecutivo.”
“Tensioni nella Lega, oggi Consiglio federale”, 27 settembre 2022, Il Sole 24 Ore
Link: https://web.archive.org/web/20220927162106/https://www.ilsole24ore.com/art/elezioni-ultime-notizie-lega-tensione-lega-oggi-consiglio-federale-salvini-ascoltero-tutti-AETUof3B?utm_medium=FBSole24Ore&utm_source=Facebook#U401736374499CwD

[6] “Berlusconi ai simpatizzanti: “Voglio più voti della Lega. Salvini è bravo ma non ha mai lavorato””, 25 settembre 2022, La Repubblica
Link: https://web.archive.org/web/20220925144737/https://video.repubblica.it/politica/berlusconi-ai-simpatizzanti-voglio-piu-voti-della-lega-salvini-e-bravo-ma-non-ha-mai-lavorato/427083/428034

[7] “Parlamento: l’Ungheria non può più essere considerata pienamente una democrazia”, 15 Settembre 2022.
Link: https://web.archive.org/web/20220925183252/https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20220909IPR40137/parlamento-l-ungheria-non-puo-piu-essere-considerata-pienamente-una-democrazia

[8] Nell’articolo “Stringere la cinghia” pubblicato nel giornale di “Zhenskaya pravda”, n. 9, 22 Agosto 2022, viene fatta una sintesi sui dati pubblicati dall’agenzia di statistica nazionale russa “Rosstat”. La tragicità dei dati conferma come l’economia russa sia letteralmente al collasso, spiegando in tal modo come vi sia stata una risposta violenta e determinata da parte della popolazione delle grandi città russe all’indomani della mobilitazione militare parziale voluta da Putin e soci.
Link all’articolo “Stringere la cinghia”: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/08/26/stringere-la-cinghia/

[9] “2022 Russian businessmen mystery deaths”, Wikipedia in lingua inglese
Link: https://en.wikipedia.org/wiki/2022_Russian_businessmen_mystery_deaths

[10] “Il Documento Programmatico Pluriennale 2022-24 della Difesa”, 19 Settembre 2022, analisidifesa.it
Link: https://web.archive.org/web/20221002160653/https://www.analisidifesa.it/2022/09/il-documento-programmatico-pluriennale-2022-24-della-difesa/

[11] “Approvata la riforma delle Forze armate. Niente tagli fino al 2033”, 3 Agosto 2022, formiche.net.
Link: https://web.archive.org/web/20221002160756/https://formiche.net/2022/08/riforma-forze-armate-niente-tagli-2033/

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Il Mondiale si farà in Qatar

Traduzione dell’articolo “El mundial se harà en Qatar”, pubblicato su “La Oveja Negra”, a. II, numero 84, Settembre 2022

Sì, lo sappiamo da diversi anni, ma sembra ancora strano che la Coppa del Mondo si tenga in Qatar. Un Paese poco più piccolo dell’agglomerato urbano di Buenos Aires e, se non consideriamo quello che era l’Uruguay nel 1930, il Paese con la popolazione più piccola ad aver ospitato una Coppa del Mondo.

Un Paese in cui la tradizionale accoglienza di Giugno-Luglio dovrà essere posticipata alla fine dell’anno per mitigare un po’ gli effetti del torrido caldo arabo.

Un Paese che, nonostante rivendichi il calcio come sport nazionale, non ha avuto praticamente nessun successo e, quando lo ha avuto, le vittorie sono state macchiate da polemiche e sospetti di corruzione.

Sembra che l’unica attività in cui il Qatar eccelle veramente, a parte la produzione e la distribuzione di gas naturale, sia quella di ospitare eventi. Negli ultimi anni ha ospitato la Coppa del Mondo U-20 del 1995, i Giochi Asiatici del 2006, i Campionati del Mondo per Club del 2019 e del 2020, tornei di tennis maschile e femminile di alto livello, la Formula 1 e molto altro. L’unica attività sportiva che sarebbe ragionevole che il Qatar ospitasse sarebbe il Rally Dakar,(1) in cui per molti anni uno dei piloti di maggior successo è stato il qatarino Nasser Al-Attiyah.

Ma naturalmente, dopo 10 anni disastrosi in terra sudamericana, la Dakar si terrà dal 2020 in Arabia Saudita, che negli ultimi dieci anni, ma soprattutto dal 2017, è stato uno dei numerosi Stati arabi che hanno interrotto i legami diplomatici e condotto una guerra silenziosa contro il Qatar.

Negli ultimi anni è diventato popolare il termine sport-washing: una pratica messa in atto soprattutto dagli Stati, ma anche da aziende e istituzioni, che si associano finanziariamente a entità sportive, organizzando eventi, investendo in pubblicità o acquistando e gestendo direttamente tali entità.

Tutto questo con il semplice scopo di riciclare la loro immagine di Stati dittatoriali, con una storia di politiche repressive e di mancato rispetto degli standard di diritti civili delle potenze occidentali. Insieme alla Russia, agli Emirati Arabi Uniti, all’Arabia Saudita e all’Azerbaigian, il Qatar è una delle nazioni che ha affinato maggiormente questa pratica e attualmente è sponsor di squadre di calcio come Barcellona, Roma, Bayern Monaco, Boca Juniors e proprietario, attraverso una società privata, del Paris Saint Germain.

L’elenco delle controversie e delle pratiche di corruzione associate alla Coppa del Mondo e ad altri grandi eventi sportivi è molto lungo. Potremmo soffermarci su alcune piccole irregolarità legate a questa Coppa del Mondo: l’incertezza dei lavoratori riguardo alla qualità dei loro alloggi improvvisati in alberghi-container, la preoccupazione dei giornalisti per la saturazione delle linee di fibra ottica, o la forte possibilità di un collasso delle infrastrutture di trasporto. Il consumo di alcolici sarà limitato per i turisti di lusso che parteciperanno alla Coppa del Mondo – poiché il Paese è soggetto alla legge della Sharia.

Per lo stesso motivo, sono vietate le dimostrazioni di affetto da parte dei membri della comunità LGBTQIA+ così come l’utilizzo dei loro simboli rappresentativi. Sebbene il regime islamico del Qatar sia più flessibile nei confronti del turismo e dei partecipanti alla Coppa del Mondo, è ancora molto repressivo nei confronti della dissidenza sessuale e delle donne. In effetti, i portavoce dell’emirato hanno insistito sulla questione come monito.

Dopotutto, lo sport-washing coesiste con l’imposizione di norme locali ai visitatori occidentali, in un contesto in cui le “battaglie culturali” sono sempre più presenti nelle dispute commerciali e nei conflitti bellici che esse possono richiedere.

Un caso esemplare è quello di Paola Schietekat, una donna messicana di 28 anni che lavorava per gli organizzatori della Coppa del Mondo: dopo aver subito e denunciato uno stupro in territorio qatariota nel giugno 2021, è stata accusata di aver avuto una “relazione extraconiugale”, passando immediatamente da vittima ad accusata. È riuscita a lasciare il Paese il prima possibile grazie all’intervento delle organizzazioni internazionali per i diritti umani. È stata condannata a 100 frustate e 7 anni di prigione, ma è stata assolta dopo un intervento diplomatico.

Il progressismo occidentale, così abituato a condannare gli eccessi e l’ “arretratezza”, chiude gli occhi quando sono in gioco le passioni popolari e gli affari che ne derivano. Con diversi gradi di gravità, non va dimenticato che i problemi sopra citati riguardano soprattutto gli appassionati che viaggiano volontariamente e un piccolo settore di lavoratori che partecipano ufficialmente all’evento.

Poi abbiamo tutto ciò che la borghesia si permette al di fuori delle leggi di Dio e degli Stati.

Se ricordiamo i Mondiali “infami” come quello in Argentina del ‘78 – che si svolse mentre le persone venivano torturate, uccise e fatte sparire nei campi di concentramento -, quello di quest’anno in Qatar è tra i campioni dell’infamia: sono state segnalate le morti di più di 10.000 lavoratori edili, generalmente provenienti da Paesi come India, Pakistan, Bangladesh e altri del sud-est asiatico.

La cifra è incerta, perché dopo il rapporto di “Amnesty International” e del quotidiano “Guardian” del Febbraio 2021 (che confermava la cifra di 6.500 morti, in base alle indagini svolte intorno alle ambasciate dei Paesi di origine dei lavoratori), il Qatar e la Fifa si sono presi la briga di insabbiare questi fatti e di rilasciare dichiarazioni assurde, come quella dove non tutti i morti sono attribuibili alla costruzione delle infrastrutture per i Mondiali. Considerando la lentezza dei lavori di costruzione e la necessità per gli organizzatori di accelerare i tempi, nei 17 mesi trascorsi dal rapporto di questa tragica cifra, [i morti] saranno aumentati notevolmente. Nonostante il fatto che ci stiamo avvicinando sempre più all’evento, non sono state condotte nuove indagini.

Questa situazione non è eccezionale, ma fa parte di una pratica diffusa in tutto il Golfo Arabico nota come sistema “kafala”: una forma sinistra di super-sfruttamento in cui i lavoratori migranti vengono pagati con un salario di sussistenza, che in ultima analisi non consente loro di inviare denaro a casa, e dove allo stesso tempo vengono trattenuti i loro passaporti e documenti. In Qatar questo sistema assume dimensioni pazzesche, dato che solo il 20% dei 2,6 milioni di abitanti è cittadino, cioè qatarino, mentre il resto è costituito da lavoratori migranti.

Questo sistema “kafala” o “di sponsorizzazione” è considerato una semi-schiavitù per le sue condizioni [– il tutto all’interno dello schema del Capitale.] Il sistema prevede che i lavoratori non qualificati abbiano uno sponsor (da cui il nome), di solito il loro datore di lavoro, che è responsabile del loro visto e del loro status giuridico. È necessario il permesso del datore di lavoro per cambiare lavoro, lasciare il Paese, ottenere la patente di guida, affittare una casa o aprire un conto bancario.

Dall’altra parte, lo sfruttamento sessuale è comune in ognuno di questi mega-eventi. In questo caso, le reti di trafficanti porteranno un gran numero di donne povere dal Sud-Est asiatico.

Nonostante tutto, la Coppa del Mondo continuerà ad essere un evento seguito e desiderato da miliardi di persone. Continuerà ad alimentare la competizione, l’idolatria dei milionari e il nazionalismo. Proprio nelle ultime settimane abbiamo visto il fervore di grandi e piccini per le figurine della Coppa del Mondo.

Non sorprende, anche se intristisce, vedere come in questa regione (l’Argentina, ndt) – dove il legame tra sport e genocidio ha raggiunto una delle sue pietre miliari storiche nel ‘78 e sembrerebbe che questo fatto faccia ancora parte della nostra memoria collettiva -, si faccia finta di niente di fronte ai genocidi “lontani”.

Tuttavia, possiamo dire che non è che lo sport sia usato a beneficio dei potenti: è proprio questo lo spirito stesso dello sport.

Lo abbiamo sottolineato in occasione della precedente Coppa del Mondo in Brasile, a seguito delle massicce proteste che hanno avuto luogo in quella regione.(2)

Il problema non è la professionalizzazione dello sport – come se si trattasse della perversione economica e dell’utilizzo politico di una pratica “sana” -, ma è lo sport stesso come sottomissione e sconvolgimento del gioco, di certe pratiche ludiche, alle necessità e alla stessa logica della valorizzazione del Capitale.

Lo sport è un riflesso fedele della competizione capitalistica e ha progressivamente assunto un ruolo importante al suo interno. Per questo motivo riteniamo che la sua critica non sia una questione secondaria o marginale.

Lo sport non è solo una valvola di sfogo e un meccanismo di controllo sociale, ma anche un’ideologia di competizione, selezione biogenetica, successo sociale e partecipazione virtuale. Lungi dal limitarsi a riprodurre in forma di spettacolo le caratteristiche principali dell’organizzazione industriale moderna (regolamentazione, specializzazione, competitività e massimizzazione del rendimento), [lo sport] assolve anche ad una missione ideologica di trascendenza universale: incanalare e contenere le tensioni sociali generate dalla modernità capitalista” (Federico Corriente, Jorge Montero, Citius, altius, ortius, “El libro negro del deporte”. Lazo Ediciones, 2013)

Note

(1) Vedere Dakar, nocividad y progreso, La Oveja Negra nro. 11 (diciembre de 2013)
(2) Vedere Não vai ter copa!, La Oveja Negra nro. 17 (junio 2014)

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L’uragano Fiona provoca inondazioni e danni ingenti a Porto Rico


Traduzione dall’originale Hurricane Fiona triggers massive flooding and damage in Puerto Rico

Le forti piogge e le inondazioni provocate dall’uragano Fiona hanno continuato a colpire Porto Rico lunedì (19 Settembre, ndt), lasciando milioni di persone senza corrente elettrica, acqua potabile e un riparo sicuro. Anche se l’uragano di categoria 1 si è spostato sull’impoverita Repubblica Dominicana, distruggendo strade e linee elettriche, ieri su alcune parti di Porto Rico sono caduti 30 centimetri di pioggia.

Il territorio statunitense si sta ancora riprendendo dagli effetti dell’uragano Maria, che ha colpito Porto Rico esattamente cinque anni fa. La popolazione dell’isola, in gran parte composta da lavoratori e lavoratrici, è stata resa più vulnerabile da questi disastri [a causa] del saccheggio dei servizi pubblici e di altri beni di proprietà dello Stato – secondo i termini della ristrutturazione finanziaria imposta dal governo statunitense all’isola pesantemente indebitata.

Gli scienziati climatici hanno spiegato che le forti precipitazioni dell’uragano Fiona sono un esempio di come il riscaldamento globale stia influenzando l’intensità delle tempeste. “Se l’acqua è più calda, c’è più evaporazione, il che significa che c’è più umidità nell’atmosfera, il che significa che ci possono essere più precipitazioni”, ha detto a “NBC News” Kevin Reed, professore associato di scienze atmosferiche alla Stony Brook University di New York. Uno studio di cui Reed è coautore, pubblicato in Aprile, ha rilevato che la stagione degli uragani atlantici del 2020 è stata più umida del 10% a causa dell’impatto dei cambiamenti climatici.

Sebbene sia più debole di Maria, [il quale era] un uragano di categoria 4-5, secondo le autorità il sistema temporalesco di Fiona, in lento movimento [ed insieme al]le piogge torrenziali, hanno prodotto inondazioni ancora maggiori rispetto al 2017. [Lunedì 19 Settembre] il Servizio meteorologico nazionale di San Juan ha esortato i residenti a spostarsi “immediatamente” su terreni più alti, mentre Richard Pasch, specialista del Centro nazionale uragani, ha aggiunto: “Piogge intense e inondazioni catastrofiche continuano in gran parte su Porto Rico”.

Le autorità hanno segnalato almeno tre morti, tra cui un uomo di 58 anni travolto da un fiume in piena nella città interna di Comerio, ma si prevedono altre vittime man mano che i soccorritori raggiungono le aree remote isolate dagli smottamenti e dall’impeto delle acque alluvionali.

Un blackout in tutta l’isola da parte della “LUMA Energy”, la società elettrica recentemente privatizzata, verificatosi domenica mattina prima dell’arrivo dell’uragano, ha lasciato senza elettricità i 3,2 milioni di abitanti dell’isola. I funzionari ammettono che potrebbero volerci giorni, se non settimane, per ripristinare l’elettricità per molti residenti. Si stima che due terzi dei residenti dell’isola non abbiano acqua potabile.

Molti residenti si sono salvati dall’innalzamento delle acque alluvionali solo salendo sui tetti delle proprie case. Ci sono stati almeno 1.000 salvataggi in acqua, secondo un aggiornamento stampa di lunedì del governatore dell’isola Pedro Pierluisi. Il governatore ha dichiarato che sono in corso anche le evacuazioni delle città di Caguas e Toa Baja. Pierluisi è stato eletto governatore come candidato del Nuovo Partito Progressista (PNP), ma si è unito al caucus (comitato elettorale, ndt) democratico della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti quando era rappresentante senza diritto di voto dell’isola.

I residenti hanno inviato richieste di aiuto sui social media. Una donna identificata come Génesis Lían ha pubblicato un appello su Facebook, secondo quanto riportato dal Miami Herald, implorando aiuto per un gruppo riunito con lei che comprendeva una persona minorenne, una persona disabile e una persona anziana con diabete. “Abbiamo bisogno di aiuto, dobbiamo uscire dalle nostre case a Playa de Salinas con urgenza. Ho già chiamato la gestione delle emergenze e niente, giuro che sto nuotando e ho molto, molto freddo. Devono portarci via da qui, la spiaggia è letteralmente in casa”, ha scritto la donna.

Per una crudele ironia della sorte, un ponte temporaneo costruito dalla Guardia Nazionale dopo che il precedente era stato distrutto dall’uragano Maria, è stato spazzato via nel pueblo (distretto municipale, ndt) nordorientale di Utuado domenica18 Settembre.

Nel 2017 sono diventati virali i video in cui i residenti della città, a causa della mancanza di supporto ufficiale, costruivano una teleferica di fortuna con un carrello della spesa per traghettare i rifornimenti attraverso il fiume impetuoso.

Carmen, un’addetta alle pulizie di New York in pensione che vive nella città sudorientale di Arroyo, ha descritto le condizioni devastanti in un’intervista rilasciata al WSWS lunedì: “Abbiamo perso la corrente alle 10 di domenica e da ieri non c’è più elettricità in tutta Porto Rico. Tutta l’isola è stata colpita dalla pioggia e dalle inondazioni, soprattutto nelle zone più montuose. Alberi e pali elettrici sono stati abbattuti e le inondazioni sono state così forti da spazzare via un ponte. Molte persone sono bloccate nelle loro case finché le squadre di emergenza non riusciranno a liberare le strade e a salvarle. Ci sono alcuni rifugi in cui andare, ma molti hanno perso le loro case.

Questi tipi di inondazioni sono peggiori di quelli che sono successi durante l’uragano Maria”, ha detto Carmen. “Il sud-est è il luogo in cui si stanno verificando gli accumuli di pioggia più devastanti. A Guayama, Maunabo, Patilla, vicino alle zone balneari, ci sono state piogge intense e inondazioni che hanno distrutto case e aziende”.

Solo il 30% dell’isola ha acqua potabile. Abbiamo 78 pueblos a Porto Rico, ma solo circa 14 camion della Guardia Nazionale stanno aiutando, ha detto il governatore. La FEMA e altri soccorritori dovrebbero arrivare dal continente americano.

Carmen ha parlato anche di LUMA Energy, la joint venture tra Quanta Services, con sede a Houston, e ATCO, con sede ad Alberta, in Canada, che ha rilevato il sistema di trasmissione e distribuzione elettrica dell’isola dalla PREPA (Puerto Rico Electric Power Authority) il 1° giugno 2021. Da allora, i residenti hanno continuato ad essere afflitti dal deperimento delle infrastrutture e dai frequenti blackout.

L’azienda privata LUMA è qui da più di un anno”, ha detto. “Non hanno fatto abbastanza per tutti i soldi che ricevono. Negli ultimi mesi ci sono state molte manifestazioni di protesta contro il contratto di 15 anni che il governo ha negoziato con LUMA.

Ho visto la devastazione di Maria”, ha concluso Carmen. “Gli sforzi per aiutare le campagne nella costruzione e nella ricostruzione sono scarsi o insufficienti. Il denaro non è stato utilizzato per riparare i danni, come per le scuole. Invece, sono finiti nelle tasche di alcuni politici e non sono stati inviati dove erano necessari.

Secondo un rapporto dell’Associated Press (AP), il governo ha completato solo il 21% degli oltre 5.500 progetti ufficiali post-uragano in cinque anni, e sette dei 78 comuni dell’isola riferiscono che non è stato avviato nemmeno un progetto.

Secondo un’analisi dell’Associated Press sui dati governativi, solo cinque comuni hanno dichiarato che la metà dei progetti previsti per la loro regione sono stati completati.

Mentre l’uragano Fiona si abbatteva su Porto Rico, più di 3.600 case avevano ancora dei teloni blu a brandelli che fungevano da tetto di fortuna, ha riferito l’AP.

Il presidente Joe Biden ha firmato domenica una dichiarazione di emergenza per l’isola e ha dichiarato che il governo federale ha “centinaia di persone sul posto” per assistere i residenti. “Jill e io teniamo il popolo di Porto Rico nelle nostre preghiere mentre l’uragano Fiona passa sulla vostra bellissima isola”, ha twittato Biden lunedì mattina. “Siamo qui per voi e lo supereremo insieme.

Ma i residenti non possono aspettarsi dal presidente democratico più di quanto si aspettassero dall’ex presidente repubblicano Donald Trump – che ha sprezzantemente lanciato tovaglioli di carta agli isolani disperati dopo l’uragano Maria.

Biden era vicepresidente quando il presidente Barack Obama ha firmato la legge bipartisan “Puerto Rico Oversight, Management, and Economic Stability Act” (PROMESA) nel 2016. La legge ha imposto una dittatura finanziaria virtuale sull’isola, modellato sul furto delle pensioni dei dipendenti pubblici e di altri beni di proprietà della città di Detroit nel 2013-14 e supervisionata da alcuni degli stessi giudici federali.

L’azione mirava a far pagare ai residenti dell’isola – quasi la metà dei quali vive al di sotto della soglia di povertà – i quasi 70 miliardi di dollari di debito controllati da hedge fund di Wall Street come “Aurelius Capital” e altri investitori che, secondo il New York Times, avevano acquistato “le obbligazioni dell’isola a prezzo scontato, intascando gli alti interessi e convincendo i politici a prendere decisioni che avrebbero aumentato il valore dei loro investimenti.”

La commissione di controllo non eletta ha imposto misure draconiane, tra cui la privatizzazione delle scuole pubbliche e dei servizi elettrici, il taglio dei posti di lavoro, dei salari e delle pensioni dei dipendenti pubblici e l’aumento della disoccupazione. Nel 2019, le misure di austerità combinate con la disastrosa risposta all’uragano Maria, hanno scatenato proteste di massa che hanno portato al crollo dell’amministrazione corrotta dell’allora governatore Ricardo Roselló, mettendo in allarme le classi dirigenti statunitensi e portoricane.

Secondo quanto riportato dal San Juan Star, il giudice della Corte distrettuale degli Stati Uniti Laura Taylor Swain, che presiede i casi di bancarotta del Titolo III di Porto Rico, tra cui quello della PREPA, ha sospeso un’udienza prevista per lunedì perché gli avvocati dei sistemi pensionistici “non erano in grado di consultare i loro clienti a causa della mancanza del servizio elettrico.

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Scioperi ad oltranza nel Mare del Nord

 

Traduzione dall’originale Wildcat strikes on the North Sea

I lavoratori del settore petrolifero e del gas delle piattaforme del Mare del Nord hanno scioperato alle 13.00 di giovedì 8 Settembre. I lavoratori sono impiegati dagli appaltatori Bilfinger, Stork e Wood e comprendono personale di coperta, isolatori, pittori e ponteggiatori. All’inizio di Maggio, i lavoratori avevano scioperato in modo non ufficiale per i bassi salari su sedici piattaforme. Questa seconda ondata di scioperi è coordinata da un gruppo di lavoratori, l’ “Offshore Oil and Gas Workers Strike Committee” (“Comitato di Sciopero dei Lavoratori Petroliferi e del Gas Offshore”, ndt).

Dopo gli scioperi di Maggio, l’appaltatore Bilfinger ha aderito all’ “Energy Services Agreement” (ESA) (Patto sui Servizi Energetici, ndt), che regola i salari sulle piattaforme. Ciò è avvenuto dopo il crollo dell’ “Offshore Contractors Association” (OCA) (Associazione dei Contractors Offshore, ndt), che ha dato carta bianca alle compagnie petrolifere e del gas per attaccare i salari e le condizioni dei lavoratori. Ai lavoratori è stato offerto un irrisorio aumento dello stipendio del 3% a Luglio. Sono estremamente arrabbiati per questo, poiché i loro salari sono inferiori del 22-23% rispetto all’inflazione.

Il Comitato di sciopero ha dichiarato: “I nostri sindacati dicono che attualmente non hanno i numeri per votare per lo sciopero. È un’idiozia, perché l’intero Mare del Nord è assolutamente furioso per il nostro trattamento… Gli scioperi selvaggi programmati sono il risultato di anni di inazione da parte dei sindacati e dei nostri datori di lavoro e ci hanno fatto sentire come se potessimo ottenere le cose solo prendendo le cose nelle nostre mani… Guardiamo costantemente gli uomini e le donne ai vertici che portano a casa stipendi e bonus enormi, eppure ci trattano come feccia”.

Anche altri lavoratori delle piattaforme, i manutentori a contratto e quelli che lavorano nelle trivellazioni offshore hanno rifiutato un’offerta salariale del 5%. Gli scioperi selvaggi possono potenzialmente estendersi e andare oltre le 16 piattaforme iniziali che hanno scioperato a Maggio.

I sindacati presenti sulle piattaforme, GMB, Unite e RMT, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermano: “La nostra preoccupazione è che un’azione non ufficiale rischi tutto. Alcuni operatori delle vecchie infrastrutture utilizzeranno le agitazioni sindacali per giustificare lo smantellamento anticipato e tutto ciò che otterremo saranno altri licenziamenti. Altri vedranno una forza lavoro divisa e la sfrutteranno”, per poi proseguire: “Temiamo che tentare un’azione di spaccatura per ottenere guadagni a breve termine possa solo mettere a rischio l’intera faccenda”.

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Iran: ennesima violenza di Stato contro le donne

 

Mahsa Amini, una ragazza curda di 22 anni, è morta il 16 Settembre in Iran dopo tre giorni di coma.

La morte è stata causata dal violento arresto da parte della famigerata “polizia morale” iraniana – in quanto Amini non aveva rispettato la regola sull’indossare correttamente l’hijab.

Suo fratello Kiarash Amini, che in quel momento era presente fuori dalla casa di detenzione ed era stato maltrattato dalla polizia, ha dichiarato: “Dopo due ore di attesa e dopo aver sentito le urla dall’interno della casa di detenzione, mia sorella è stata portata in ambulanza all’ospedale “Kasra” di Teheran”.

Dopo la morte della ragazza, si è tenuta la cerimonia funebre la mattina del 17 settembre 2022 nella città di Saqqez, nell’Iran nord-occidentale.

Ed è proprio in quel momento che una grande folla di persone ha protestato veemente contro questo brutale e deliberato omicidio.

Gli slogan intonati durante la cerimonia stati: “Vi siete chiesti perché i capelli delle donne sono così pericolosi?”, “Donna, vita, libertà!”, “La resistenza è vita!”, “Il nostro leader è la nostra vergogna!”, “I Mullah sono gli agenti del Patriarcato e del Capitale!”

La polizia ha attaccato con gas lacrimogeni e proiettili. Si dice che almeno 13 persone siano state ferite e che probabilmente un giovane sia morto.

A seguito di questa morte e della repressione avvenuta nella città, la polizia ha rilasciato un comunicato e un video a circuito chiuso in cui afferma che la ragazza è morta per un attacco di cuore, negando qualsiasi violenza commessa.

Questo fatto arriva dopo settimane in cui il presidente Raisi ha chiesto pene più severe per eventuali violazioni del codice di abbigliamento femminile.

Secondo Hrana, un’organizzazione iraniana per i diritti umani, durante l’arresto della ragazza era stato detto alla sua famiglia che ella sarebbe stata rilasciata dopo una “sessione di rieducazione”.

La sua famiglia, oltre a negare il comunicato della polizia sui problemi cardiaci della ragazza, ha dichiarato che era già in coma, aggiungendo come il personale dell’ospedale li avesse informati sul suo stato di morte cerebrale.

“Anonymous”, dopo questo fatto, è riuscito ad hackerare diversi siti web governativi, tra cui quello dell’ipocrita stazione Radio & TV (iribnews.ir).

La Federazione dell’Anarchismo Era ha apprezzato e solidarizza “con l’attività degli hacker anonimi contro il sistema di informazione e telecomunicazione della classe criminale al potere in Iran; vuole comunicare e cooperare con Anonymous il più possibile nell’affrontare le forze informatiche del governo, smascherando le informazioni e i programmi governativi e garantendo la sicurezza digitale dei nostri compagni su Internet.

L’hijab è obbligatorio per le donne in Iran dalla Rivoluzione islamica del 1979 e la polizia morale ha il compito di far rispettare questa e altre restrizioni. La notizia della morte di Amini ha scatenato la furia nelle strade iraniane contro il trattamento crudele e brutale verso le donne da parte di questa sezione della polizia.

Nel 2017 decine di donne si erano tolte il velo per protesta. Negli ultimi anni gli iraniani sono scesi in piazza anche in risposta ad una crisi economica esacerbata dalla corruzione del regime e dalle sanzioni occidentali.

Dopo la morte di Amini, le donne iraniane, in segno di protesta, stanno bruciando i loro foulard e tagliando i capelli in segno di rabbia e protesta.

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La regina e il Commonwealth: un’eredità di dominazione e oppressione imperialista

Fotografia della regina Elisabetta II e dei leader del Commonwealth, scattata alla Conferenza del Commonwealth del 1960, Castello di Windsor Prima fila: (da sinistra a destra) EJ Cooray, Walter Nash, Jawaharlal Nehru, Elisabetta II, John Diefenbaker, Robert Menzies, Eric Louw. Dietro: Tunku Abdul Rahman, Roy Welensky, Harold Macmillan, Mohammed Ayub Khan e Kwame Nkrumah

Traduzione dall’originale The queen and the Commonwealth: A legacy of imperialist domination and oppression



Alcune delle più grottesche distorsioni storiche e delle bugie messe in giro dopo la morte della Regina Elisabetta II riguardano la sua presunta cura e compassione per i cittadini del Commonwealth.

Tali affermazioni sono state accompagnate da filmati delle sue numerose visite in Africa, nell’India, nel Pakistan e, più occasionalmente, in Canada e in Australia, distribuendo strette di mano e saluti alle folle acclamanti e incontrando vari e grandi e bravi capi di Stato.

Si ha l’impressione che il Commonwealth sia un’istituzione benefica, in cui la monarca si è confrontata con i leader, i cittadini e i suoi stessi “sudditi” all’interno di un’entità che conta 56 nazioni – sempre con il sottile suggerimento che un essere così superiore, proveniente da una nazione enormemente superiore, stesse facendo un favore monumentale a tutti coloro che la incontravano.

Comprendere le reali motivazioni della defunta regina in questi viaggi e il suo costante “affetto” verso il Commonwealth, significa comprendere la reale funzione di un’istituzione costituita in gran parte da ex possedimenti coloniali, utilizzata dall’imperialismo britannico per rafforzare la sua posizione debole – ma spacciata come grande potenza – sulla scena mondiale.

La Gran Bretagna era uscita dalla Seconda Guerra Mondiale definitivamente eclissata dagli Stati Uniti. Era in bancarotta e incapace di mantenere il suo esteso impero. Insieme alla Francia, ai Paesi Bassi e a tutte le potenze imperialiste, la borghesia britannica temeva che un’insorgenza rivoluzionaria nelle colonie si sarebbe unita al movimento della classe operaia in Europa, minacciando l’intero tessuto del dominio capitalista.

Gli Stati Uniti, sicuri della loro capacità di dominare il mondo e i mercati con la forza economica e militare, insistettero su un cambiamento di approccio nei confronti dei Paesi coloniali: l’autogoverno avrebbe sostituito il dominio coloniale diretto. Questa politica è stata inserita nelle Nazioni Unite, appena costituite, che hanno fornito una copertura internazionale ai dettami dell’imperialismo statunitense.

La concessione di un’indipendenza nominale alle borghesie nazionali fu una parte essenziale degli accordi postbellici con cui l’imperialismo riuscì a stabilizzarsi per oltre 40 anni. I regimi borghesi appena insediati, hanno sistematicamente represso lo sviluppo di una lotta rivoluzionaria indipendente da parte della classe operaia e hanno assicurato la subordinazione delle loro economie agli imperativi del mercato mondiale – dominato dallo stesso manipolo di potenze imperialiste che li avevano direttamente governati.

La Gran Bretagna e la Francia furono costrette a concedere l’indipendenza alle loro colonie, in alcuni casi sulla base di un calendario che andava da pochi anni a un decennio; in altri casi solo dopo sanguinose guerre coloniali, come quelle combattute dai francesi in Algeria (e in Vietnam, ndt) e dagli inglesi in Kenya e Malaysia.

Nella sua trasmissione del Natale 1953, la Regina ha definito il Commonwealth come una famiglia di nazioni che “non ha alcuna somiglianza con gli imperi del passato. È una concezione completamente nuova, costruita sulle più alte qualità dello spirito dell’uomo: amicizia, lealtà e desiderio di libertà e pace. A questa nuova concezione di una partnership paritaria tra nazioni e razze mi dedicherò anima e corpo ogni giorno della mia vita.

Il Commonwealth offrì molte opportunità per gare sportive, aiuti economici e visite reali, cementificando il sostegno della Gran Bretagna a dittature venali e mono-partitiche che proteggevano gli interessi commerciali britannici.

Ovunque il governo di Sua Maestà (HMG) avvertiva la minaccia per il suo interesse globale vitale, non esitava a rispondere con metodi illegali e disumani, compresa la tortura, come negli Stati membri del Commonwealth quali Aden, Cipro, Kenya, Malaysia, Uganda e Zimbabwe. Non esistono documenti che attestino l’opposizione della Regina a queste criminalità.

L’insurrezione Mau Mau
Uno dei crimini più noti fu la brutale repressione dell’insurrezione dei Mau Mau in Kenya negli ultimi giorni del dominio britannico. Iniziò poco dopo che l’allora Principessa Elisabetta lasciò il Kenya nel Febbraio 1952, quando seppe che suo padre Re Giorgio VI era morto – il suo battesimo di sangue come monarca britannica.

Seguendo la tradizione dell’Impero britannico di fronte al dissenso dei suoi ingrati sudditi, la Royal Air Force effettuò dei bombardamenti tra il 1952 e il 1956 che uccisero circa 11.503 combattenti Mau Mau (secondo le cifre ufficiali). Si trattava di una grossolana sottovalutazione, concepita per sminuire la brutalità, come sostiene la professoressa di storia di Harvard, Caroline Elkins, vincitrice del Premio Pulitzer per “Britain’s Gulag: The Brutal End of Empire in Kenya”; ella ha stimato che almeno 150.000 kenioti furono uccisi. In confronto, meno di 200 britannici persero la vita.

La promozione delle “più alte qualità dello spirito dell’uomo” di Elisabetta comportò la repressione della ribellione attraverso processi farsa e l’impiccagione pubblica di oltre 1.000 combattenti Mau Mau, punizioni collettive come la confisca su larga scala del bestiame, multe e lavori forzati, l’incendio di interi villaggi e il massacro dei loro abitanti civili.

Le autorità coloniali utilizzarono 25.000 truppe per ripulire la capitale Nairobi dai Kikuyu, che furono messi in recinti con filo spinato. In due settimane, 20.000 detenuti maschi furono inviati per essere interrogati, mentre 30.000 donne e bambini furono messi nelle riserve, per poi essere trasferiti in “villaggi protetti” militarizzati con coprifuoco di 23 ore. Più di un milione di abitanti delle zone rurali Kikuyu furono reinsediati con la forza in quelli che erano poco più che campi di concentramento.

Migliaia di persone – le stime variano tra le 80.000 e i 300.000 – sono state internate in una rete di prigioni e campi di lavoro forzato, dove sono state commesse atrocità su larga scala. I sospetti ribelli venivano trasportati con poco cibo e acqua e senza servizi igienici. Si sviluppò un brutale regime di interrogatori, che comprendeva percosse, fame, abusi sessuali e lavori forzati. Tra le persone torturate c’era anche il nonno dell’ex Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.

Un ufficiale coloniale descrisse le condizioni dei campi di lavoro: “razioni ridotte, lavoro eccessivo, brutalità, trattamenti umilianti e disgustosi e fustigazione, il tutto in violazione della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni Unite”.

Le autorità revocarono la Emergency rule – che prevedeva la protezione legale per la sospensione di tutte le libertà personali e dava ampi poteri ai responsabili della repressione-, solo nel gennaio 1960, pochi anni prima dell’indipendenza del 1963. Il Segretario coloniale Oliver Lyttleton ritenne un reato capitale il possesso di “materiale incendiario”.

Che questa brutalità fosse una politica ufficiale sancita ai massimi livelli è stata insabbiata dal governo britannico per decenni, venendo alla luce solo dopo una battaglia legale durata 14 anni da parte dei veterani Mau Mau che chiedevano giustizia e un risarcimento per i maltrattamenti subiti. Un vasto archivio di fascicoli provenienti da 37 ex colonie, conservato presso Hanslope Park nel Buckinghamshire, è stato tenuto segreto per anni.

Dopo che nell’ottobre 2012 un tribunale ha stabilito che i veterani avevano il diritto legale di citare in giudizio il governo britannico e di chiedere scuse e risarcimenti, il governo ha accettato di discutere un accordo. Voleva evitare la prospettiva di ulteriori rivelazioni sulla brutalità dello Stato britannico nei confronti dei cittadini del Commonwealth, non solo in Kenya ma anche altrove in Africa e in Asia.

Apartheid in Sud Africa
I media hanno tentato di dare lustro alle credenziali umanitarie della regina, facendo riferimento al suo tanto vituperato scontro con il Primo Ministro Margaret Thatcher nel 1986 sul regime di apartheid del Sudafrica, esprimendo la preoccupazione che l’irremovibile rifiuto del governo britannico di imporre sanzioni al Sudafrica minacciasse la disgregazione del Commonwealth.

Quello che i media non hanno sottolineato è come la regina non si fosse opposta alla politica di apartheid del Sudafrica, messa in atto nel 1948 e proseguita sotto il suo regno. Continuò a governare come capo di Stato del Sudafrica fino al 1961, quando il Paese divenne una repubblica. Non si oppose nemmeno all’adesione del Sudafrica al Commonwealth. Il governo sudafricano si ritirò dall’organizzazione solo nel 1961, quando fu chiaro che la Conferenza dei primi ministri del Commonwealth avrebbe respinto la sua richiesta di adesione, considerando il Sudafrica come l’incarnazione del colonialismo a causa della segregazione razziale e del brutale sfruttamento dei lavoratori.

Nel 1986, la rivolta di massa dei giovani e dei lavoratori delle città impoverite del Sudafrica aveva portato il Paese alla guerra civile, spingendo gli investitori stranieri a ritirarsi, le banche internazionali a non concedere i loro prestiti, la valuta a crollare, la produzione economica a diminuire e l’inflazione a dilagare.

È stato questo a costringere le società diamantifere, aurifere e platinifere internazionali e sudafricane – di cui le entità statunitensi e britanniche detenevano quote importanti -, le banche e altre grandi società a concludere che solo Nelson Mandela, l’African National Congress (ANC) e i suoi partner (quali la Confederazione dei Sindacati Sudafricani (COSATU) e il Partito Comunista Sudafricano (SACP)) potevano fornire alla classe capitalista un salvagente politico. Mandela era in carcere dal 1964 a Robben Island. Senza il loro aiuto, il capitalismo non sarebbe potuto sopravvivere in Sudafrica e il suo crollo avrebbe potuto scatenare un’esplosione di conflitti politici e sociali in tutte le ex colonie delle potenze imperialiste.

Thatcher e il suo co-pensatore, il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, sono stati gli ultimi grandi sostenitori internazionali del regime di apartheid sudafricano. La regina, nella misura in cui si oppose alla Thatcher, non aveva alcuna remora morale nei confronti dell’apartheid, come dimostrano i documenti.

Piuttosto, anche lei fu convinta dalla portata dell’opposizione di classe nel cambiare necessariamente tattica e perseguire l’unica strada politica che offriva una qualche possibilità nel difendere gli interessi economici e politici della Gran Bretagna nella regione.

Il Sudafrica fu riaccolto nel Commonwealth nel 1994, quando Mandela divenne presidente. Né lui, né l’ANC tradirono le speranze degli imperialisti. Negli ultimi 30 anni, i successivi governi dell’ANC, guidati da miliardari neri corrotti, hanno creato una società ancora più sfruttata e socialmente diseguale del regime di apartheid.

Il ruolo della Gran Bretagna in queste due esperienze critiche – se ne potrebbero citare molte altre – smonta il mito che la monarchia si preoccupi dei popoli del Commonwealth.

Tutto ciò non ha impedito a Patricia Scotland, membro del Consiglio Privato di sua Maestà nonché Segretaria Generale del Commonwealth delle Nazioni, di fare un elogio alla Regina, dicendo: “La visione di Sua Maestà per il Commonwealth all’inizio del suo regno si è realizzata, alimentata dalla sua dedizione e dal suo impegno”.

E non darà pausa a nessun commentatore politico che elogia cinicamente Elisabetta prima di rendere disponibile il proprio servizio al figlio ed erede Carlo III.

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Sulla morte della Regina Elisabetta II. Unità della classe operaia contro unità nazionale

 

Traduzione dall’originale Working Class Unity versus National Unity


La Regina è morta dopo settant’anni di regno. Come abbiamo affermato in precedenti articoli sul sito web dell’Anarchist Communist Group, la monarchia svolge un ruolo chiave sia nel mantenere lo status quo che come collante nel preservare il Regno Unito e il Commonwealth.

La Regina e la sua famiglia sono lì per mantenere il senso dell’unità nazionale che è essenziale per la continuazione del Regno Unito e del Commonwealth, e per oscurare le evidenti divisioni di classe nella società britannica.

La sua morte arriva in un momento di grande crisi per la società britannica. Il suo ultimo atto, poco prima di morire, è stato quello di dare il suo sigillo di approvazione al nuovo governo Truss, sempre più impopolare e deciso ad attaccare ferocemente la classe operaia. Durante il suo regno ha supervisionato il passaggio di potere di 15 primi ministri, e ha supervisionato queste transizioni con pochi contrasti – che in molti altri Paesi avrebbero portato a disordini pubblici. Ha supervisionato il crollo dell’Impero britannico e ha agito come capo del Commonwealth che lo ha sostituito. Non dimentichiamo che non è stata solo regina di Gran Bretagna, ma anche di altri quattordici Paesi, tra cui il Canada e le Isole Salomone. Questo ruolo è stato messo in discussione, come già avvenuto con la decisione di sette Stati dei Caraibi nel rimuoverla da capo di Stato.

Ora Charles è diventato re. È la persona più anziana mai diventata capo coronato e gode di scarsa popolarità. Nonostante la piaggeria e l’accondiscendenza dell’establishment e dei suoi media, dove il “Noi” è usato regolarmente come “Noi tutti amiamo la monarchia” – per spacciare l’idea di una Sola Nazione, senza divisioni di classe o regionali -, un numero crescente di persone si oppone alla continuazione della monarchia. Come abbiamo detto, dopo la morte del Principe Filippo, la copertura esagerata della sua morte ha segnato l’intensificarsi di una guerra ideologica contro qualsiasi segno di ribellione o dissenso.

[Ciò è] testimoniato dall’orrore [provato da parte] dell’establishment verso il rovesciamento delle statue durante le proteste del Black Lives Matters nell’estate del 2020.

[La classe dirigente] risponde con tentativi di controllare ancora più strettamente i programmi scolastici, elogiando i “benefici” dell’Impero britannico. Ora l’establishment ha preparato una parata in costume, l’Operazione London Bridge, ovviamente pianificato da tempo per celebrare e giustificare questa istituzione parassitaria[qual è] la monarchia. Ci saranno stucchevoli effusioni di lodi per i Reali, un desiderio per le “glorie” passate dell’Impero e un aumento del patriottismo da strapazzo.

Nonostante l’abilità della Regina nel mascherare i privilegi e le ricchezze della Famiglia Reale, i suoi figli e nipoti hanno fatto l’opposto, in particolare gli scandali in cui è stato coinvolto Andrew e il suo legame con il miliardario pedofilo Jeffrey Epstein, l’ostentazione pubblica di privilegi e ricchezze da parte di personaggi come Harry e Meghan e la raccolta di fondi loschi da parte di Charles per le sue associazioni di beneficenza.

La classe dirigente spera che l’impopolare Charles agisca come capo di Stato ad interim per un breve periodo, prima di cedere il trono a William. In effetti, questo potrebbe essere il piano di Charles e William, che tentano di modernizzare e snellire la monarchia e mantenerla così in vita.

Tutto questo, naturalmente, avviene in un momento di agitazione sindacale senza precedenti, con molti settori della classe operaia che scioperano o si preparano a farlo. L’estate è stata molto calda e l’autunno e l’inverno si preannunciano altrettanto torridi in termini di azioni sindacali.

Il Partito Laburista e i leader sindacali, in qualità di pompieri della conflagrazione sociale, sono già venuti in soccorso della classe dominante. Sia il “Communication Workers Union” (CWU), che organizza i lavoratori postali, sia il “Rail, Maritime and Transport” (RMT), hanno revocato gli scioperi e il leader del RMT, Mick Lynch, ha dichiarato che “il RMT si unisce all’intera nazione nel rendere omaggio alla Regina Elisabetta”.

Keir Starmer, leader del Partito Laburista, ha confermato e sostenuto il ruolo svolto da Elisabetta nel promuovere l’unità nazionale e l’oscuramento delle differenze di classe, affermando che “mentre la nostra grande era elisabettiana volge al termine, onoreremo la memoria della defunta Regina mantenendo vivi i valori del servizio pubblico che ha incarnato”. Per quanto riguarda la sinistra del Partito Laburista, Jeremy Corbyn si è fatto avanti nell’elogiare la Regina e la sua famiglia.

Allo stesso modo, la leadership di Extinction Rebellion (XR) ha rinviato il suo Festival della Resistenza, programmato da tempo. L’associazione ha sempre sottolineato l’urgenza di un’azione immediata contro il cambiamento climatico. Tuttavia, quando si è arrivati al dunque, ha interrotto le azioni previste per la settimana successiva, durante i 12 giorni dell’Operazione London Bridge. Sappiamo anche che alcuni gruppi di azione locale hanno sospeso le attività durante questo periodo di lutto.

È sempre più imperativo che noi della classe operaia sviluppiamo le nostre organizzazioni indipendenti, libere dai leader laburisti e sindacali, specie se vogliamo condurre una lotta di successo contro la classe padronale sempre più aggressiva. La decisione dei leader sindacali di chiedere una tregua nella lotta sindacale non significherà che la classe dominante ricambierà con una tregua, perché gli attacchi contro di noi si intensificheranno, con l’aumento dei prezzi dei generi alimentari e dell’energia, gli aumenti degli affitti, l’inflazione che divora i salari e lo smantellamento del servizio sanitario nazionale.

Abolire la monarchia!

Rompere con i laburisti e i burocrati sindacali!

Per la rivoluzione sociale e la creazione di una nuova società libera ed equa!

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Russia: la Duma di Stato ha annunciato un progetto di legge che toglie le procedure abortive dall’assicurazione sanitaria obbligatoria


Articolo pubblicato il 15 Agosto sul canale telegram di “Resistenza Femminista Anti-Militarista” (Feministskogo Antivoyennogo Soprotivleniya (FAS) (Феминистского Антивоенного Сопротивления (ФАС))

Per l’autunno, un gruppo di deputati sta progettando di introdurre un progetto di legge che toglie l’aborto dalle procedure presenti nell’assicurazione sanitaria obbligatoria – fatta eccezione per gli aborti terapeutici.

Il progetto propone di rimuovere le ragioni sociali dell’aborto, come lo stupro, la privazione o la restrizione dei diritti dei genitori, la reclusione, ecc.

In questo modo, il governo restringe sempre più i diritti e le libertà delle donne che hanno subito abusi: una sopravvissuta ad uno stupro traumatizzata non potrebbe più contare sullo Stato e sarebbe costretta a trovare i soldi per pagare un aborto in una clinica [privata].

Con lo scoppio della guerra, il desiderio del governo di vietare l’aborto si è intensificato.

Il Patriarca Kirill, parlando al Consiglio della Federazione, ha proposto di vietare gli aborti nelle cliniche private. L’aumento del numero di aborti illegali (che equivale ad un aumento di donne morte), ha suggerito [il Patriarca], dovrebbe essere ignorato.

Da Marzo, gli ospedali e le farmacie stanno lottando per avere disponibili i contraccettivi orali e i farmaci per l’interruzione volontaria di gravidanza.

Allo stesso tempo, le donne si scontrano sempre più spesso con una ginecologia punitiva e stigmatizzante a partire dalle consultazioni: gli operatori sanitari di Tjumen’ (città della Russia siberiana occidentale, ndt) sono addestrati ad una consulenza pre-aborto manipolativa in cui si “tengono conto dei valori tradizionali”; nelle cliniche a pagamento vengono proposti questionari e moduli per il consenso informato abusanti.

La dimostrazione obbligatoria dell’embrione all’ecografia prima dell’aborto, la «settimana del silenzio», la hotline che scoraggia gli aborti piuttosto che informare [correttamente] e la pubblicità contro l’aborto con lo slogan «Non abbandoniamo i nostri», sono già delle terribili realtà.

Come può lo Stato affermare di volersi occupare del “diritto alla vita” se non può occuparsi delle donne già in vita e dei loro figli?

Questa legge appare particolarmente cinica sullo sfondo di una guerra su larga scala.

Qualsiasi guerra rende le persone più povere, e le donne lo sono doppiamente: la differenza di stipendio tra uomini e donne in Russia, prima della guerra, oscillava tra il 5% e il 70%; è difficile immaginare quanto sia maggiore adesso il divario.

Dato che le donne hanno molte meno probabilità di ricoprire posizioni elevate, è statisticamente più probabile che vengano licenziate. Il crescente grado di violenza, insieme all’impoverimento, è un mix che colonizza le opzioni riproduttive delle donne. Con questa legge, lo Stato ammette di voler colonizzare il corpo delle donne e usarlo indifferentemente per creare nuovi soldati.

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I giochi di guerra, bambini, non sono giocattoli

Articolo di El’ SepulЬka. Pubblicato su “Zhenskaya pravda”, n. 10, 5 Settembre 2022

Il 7 Settembre è la giornata internazionale della distruzione dei giocattoli da guerra.
In questo giorno genitori e insegnanti possono offrire ai bambini di dare [via], scambiare o semplicemente sbarazzarsi di pistole giocattolo, carri armati e soldatini. Andiamo a fondo della questione e quali siano esattamente i legami tra i bambini e la propaganda militarista, come possono essere dannosi e perché questo giorno potrebbe essere importante per tutti i genitori.

Ogni anno, prima del Giorno della Vittoria, sui social media appaiono foto di bambini in uniforme. In questo modo molti genitori vogliono immergere i loro figli nella storia della Grande Guerra Patriottica, non solo raccontandola ma mostrare chiaramente [cosa fosse]. Ma funziona davvero?

La psicologa Svetlana Tochina esprime i suoi dubbi sull’efficacia e sulla necessità di tale soluzione.

Lei ritiene che vestire i bambini con uniformi militari sia un “gioco” per persone adulte, poiché i bambini spesso non hanno la minima idea di cosa significhi questo “vestito”, cosa dica e cosa richieda. Secondo lei, questo può essere un segno di immaturità dei genitori stessi, che agiscono secondo i loro desideri e non per educare i bambini.

La generazione dei giovani genitori odierni sarà una delle ultime a conoscere [la storia di] “prima mano” – ovvero a partire dai loro bisnonni – della Seconda Guerra Mondiale.

Meno veterani di guerra resteranno, più la memoria degli eventi difficili e tragici si trasformeranno in una semplice “storia eroica”.

[E] sempre meno persone saluteranno il Giorno della Vittoria con le lacrime agli occhi, [più si intonerà] lo slogan militarista “Possiamo farlo di nuovo!”

Crescere i figli è un lavoro enorme e difficile; è importante affrontarlo in modo consapevole. Crediamo che il dialogo con i bambini funzioni meglio della speranza sconsiderata che “capiranno tutto da soli” quando saranno cresciuti.

Invece di vestire un bambino in uniforme militare, è meglio raccontare a lei e/o a lui la storia della [propria] famiglia e del paese e offrire di scambiare il soldato di latta con qualsiasi altro giocattolo che lei o lui vuole.

Invece di [dire] “Possiamo farlo di nuovo!”, [diciamo] “Mai più!”

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Ungheria. Anche le donne sono persone e questo dà molto fastidio al governo.

Da quando Viktor Orbán è salito al potere nel 2010, il suo governo ha promosso i “valori tradizionali della famiglia”, introducendo una serie di misure volte ad incrementare la natalità in Ungheria.

Nonostante il governo ungherese avesse finanziato una campagna contro l’aborto, fino all’inizio di questo 2022 non aveva posto dei limiti all’attuale legge “sulla protezione fetale” del 1992.
L’interruzione volontaria di gravidanza presente in questa legge si applica nelle prime 12 settimane di gravidanza se:
– è giustificata da un grave rischio per la salute della gestante;
– è probabile che il feto soffra di una grave disabilità o di un’altra menomazione;
– la gravidanza è il risultato di un reato penale;
– in caso di grave crisi della gestante.

Nel caso in cui si superino le 12 settimane, vi sono tre possibilità per interrompere la gravidanza:
1) Entro la 18sima settimana se: la gestante è di capacità limitata o incapace; non è stato riconosciuto lo stato interessante in tempo a causa di un motivo di salute che è sfuggito al controllo della donna, di un errore medico e/o della negligenza di una struttura sanitaria o di un’autorità.
2) Tra la 20sima settimana e (al massimo) la 24ima settimana qualora la procedura diagnostica è stata ritardata e se la probabilità di danno genetico o teratologico per il feto raggiunge il 50%.
3) Indipendentemente dalla sua durata se: mette in pericolo la vita della gestante; esiste un’anomalia nel feto incompatibile con la vita post-natale.

Oltre a queste applicazioni, la donna, secondo questa legge, per poter abortire ha bisogno di una lettera del ginecologo che confermi la gravidanza e deve recarsi due volte, a distanza di almeno tre giorni l’una dall’altra, presso i servizi per la famiglia, dove riceverà una consulenza sull’adozione e sui sussidi statali per le madri.
Solo a quel punto può ottenere un rinvio per un aborto ospedaliero.
Le restrizioni e le lungaggini burocratiche della legge del 1992, insieme alla deriva conservatrice e reazionaria del governo, hanno portato progressivamente ad una limitazione dei diritti alla salute sessuale e riproduttiva delle donne.
La nuova legislazione sul “battito cardiaco fetale” rientra in questo frangente, confermando come il governo ungherese restringa le libertà personali verso quelle persone marginalizzate e fragili (prima i migranti, poi la comunità LGBTQIA+ e adesso le donne).
Con i tempi che corrono tra il ribaltamento di “Roe v Wade” della Corte Suprema degli Stati Uniti e le dichiarazioni deliranti di Giorgia Meloni (estimatrice di Orbán) sull’aborto, appare chiaro come le derive anti-abortiste stiano soffiando sempre più all’interno dei singoli Stati.

L’articolo che presentiamo è stato scritto da Rita Antoni, una femminista ungherese attiva nella difesa delle donne e all’interno del mondo LGBTQIA+.

Seppur da parte dell’autrice si richiede un cambiamento di rotta da parte dello Stato – lo stesso che controlla i corpi umani e non umani con mezzi violenti e regolamentati -, il quadro delineato è lucido e, al tempo stesso, agghiacciante: alle limitazioni sull’educazione sessuale e l’omofobia divenuta legge, vi è una pesante discriminazione verso le donne come lavoratrici e come esseri umani.
L’emancipazione della donna e i diritti LGBTQIA+, per il governo a guida Fidesz e i suoi alleati borghesi, sono un qualcosa da osteggiare ad oltranza; la difesa dei diritti economici e sociali per questi signori sono sacri e possono passare sopra qualsiasi persona.

 

Traduzione dell’articolo di Rita Antoni, A nők is emberek, és ez nagyon zavarja a kormányt

Rita Antoni è laureata in inglese e filosofia all’Università di Szeged, con specializzazione in studi di genere. Nel 2009 ha co-fondato il sito web femminista Nőkért.hu (www.nokert.hu) e nel 2013 l’Associazione Nőkért, che si propone di far conoscere la storia del femminismo e delle donne emarginate che hanno raggiunto traguardi significativi e di combattere il sessismo e la violenza contro le donne (in particolare nel campo della sensibilizzazione). Nel 2014 ha creato Nővértékát (http://noverteka.v-comp.ch/noverteka/home.htm), sito dell’Associazione ungherese per la difesa delle donne, in cui vi sono articoli relativi al mondo LGBTQIA+

Il femminismo è l’idea radicale che le donne siano persone”.

Quando ho sentito per la prima volta questa definizione (coniata dalla scrittrice americana Mary Shear negli anni ’80), mi è sembrata quasi ridicola. Ma oggi siamo arrivati al punto in cui è necessario spiegarlo di nuovo.

C’era da aspettarselo che la guerra del governo [contro] l’ “ideologia gender” prendesse di mira le conquiste più basilari del femminismo: l’istruzione superiore, i diritti riproduttivi; sono curiosa [di sapere] quando sarà il turno del diritto al voto delle donne.

A differenza del femminismo che ha una tradizione [nella società] ungherese, la guerra “anti-gender” è un termine importato che ne ha sostituito un altro: l’ “anti-migrantismo”, affievolitosi e diventato irrilevante dal 2016-17.

Il motivo delle virgolette nell’ “anti-gender” è che [il governo] sta combattendo un nemico creato ad arte, attribuendo significati e scopi al termine gender completamente mistificatori.

Le vittime [di questa guerra governativa] sono state: il master autonomo in studi sociali di genere, la Convenzione di Istanbul che protegge le donne dalle violenze di coppia, i diritti normativi di cambiamento di genere e di nome delle persone transgender e (ad esclusione delle coppie omosessuali) l’adozione di bambini da parte delle persone single. Poi è arrivata l’ignobile confusione tra gay e pedofili, e la quasi totale impossibilità di fare educazione sessuale nelle scuole: gli esperti civili non sono ammessi nelle scuole, molti insegnanti non osano parlare di argomenti correlati (anche in un contesto eterosessuale).

Era ovvio che una volta che fosse stata spinta fuori la comunità LGBTQ, sarebbe stato il turno delle donne.

Anche se è una violazione dei diritti fondamentali, se lo Stato non protegge il diritto alla vita e l’incolumità della donna – rendendola vulnerabile al suo abusatore -, la maggior parte delle donne è facilmente indotta a credere di non essere coinvolta nella violenza relazionale.

[…]

Il governo sta ora cercando di capire fino a che punto può spingersi nel limitare i diritti delle donne, qual è il livello che la società può tollerare. Ecco perché è stato possibile preparare lo studio dell’Ufficio statale di revisione contabile sulla presunta “educazione rosa”, seguito, prima ancora che ce ne rendessimo conto, dall’accorata dichiarazione di Sándor Pintér. Entrambi puntano nella stessa direzione: le donne non devono mostrare alcuna ambizione o volontà propria, ma devono solo stare zitte e partorire.

4,5%. [È] la maggioranza delle donne nell’istruzione superiore a far suonare un campanello d’allarme verso un ente pubblico che teme per l’uguaglianza di genere sancita dalla Costituzione. [Risulta] ironico come lo squilibrio di genere sia molto più marcato in Parlamento, ad esempio, con solo il 14% di donne deputate. Questo dato perdura da molti anni e non ha preoccupato le autorità pubbliche. A nessuno della loro parte mancavano le pari opportunità, e chi cercava soluzioni veniva messo al rogo come un malvagio ingegnere sociale.

Cosa succede ora? C’è un “vantaggio” femminile del 4,5% nell’istruzione superiore e un “vantaggio” del 10% tra i laureati (le virgolette sono usate perché non vi sono vantaggi per il mercato del lavoro), e un ente statale si precipita ad abbracciare questa palese ingiustizia – nonostante non sia la sua funzione.

La Corte dei Conti teme che i ragazzi e gli uomini non siano in grado di sviluppare i loro talenti e le loro capacità specifiche, nonostante la situazione di genere nel mercato del lavoro, nel management e così via, dimostri l’esatto contrario.

Quando ci preoccupiamo, a livello statale, che le donne non siano in grado di sviluppare i loro talenti, le loro capacità specifiche a causa di pregiudizi sessisti, delle sanzioni del mercato del lavoro (derivanti dalla maternità) e delle molestie sessuali sul posto di lavoro che restano impunite?

Naturalmente non sono obbligati a farlo: Katalin Novák, in qualità di ministro, ci ha insegnato a non “competere con gli uomini” (perché, dopo tutto, l’ambizione delle donne non può che ruotare intorno agli uomini, come tutto il resto del mondo). Questo è ovviamente il motivo per cui la maggior parte delle insegnanti donne deve sopportare una retribuzione bassa: se ascoltassero gli scioperanti e aumentassero i loro stipendi, il problema della “femminilizzazione” che la Corte dei Conti condanna, scomparirebbe.

Purtroppo, però, le donne non hanno solo ambizioni personali e competenze specifiche, ma anche una volontà propria. Questo fa sì che vogliano decidere da sole sulla loro vita personale, e questo include non solo i loro studi, ma anche il loro corpo, la loro sessualità e la loro fertilità.

Vogliono decidere da sole cosa fare in caso di gravidanza indesiderata e il loro diritto a farlo (forse perché l’era Ratko ha lasciato un segno troppo profondo nella memoria sociale) è ampiamente sostenuto.

[Questa autodeterminazione è] una tradizione pluridecennale che, a differenza della Polonia, ad esempio, non è nemmeno controbilanciata da un cattolicesimo diffuso: la percentuale di persone che praticano la propria religione è molto bassa in Polonia (si veda l’esempio delle donne che protestano nelle chiese polacche durante la messa) e nemmeno loro sono sicuri di essere d’accordo con ogni singolo dogma della Chiesa. La contraccezione, ad esempio, è utilizzata da una percentuale significativa di fedeli cattolici, nonostante il divieto.

Proprio come le consultazioni obbligatorie con un’ostetrica, presumibilmente l’ordinanza sul battito cardiaco non avrà alcun effetto significativo sul mantenimento delle gravidanze indesiderate.

Sono pochissime le donne che cambiano idea tra le due consultazioni in corso, e non ci sono prove che lo abbiano fatto a causa di una di queste.

L’obbligo di ascoltare il battito cardiaco non servirà a nulla se non a fare pressione psicologica e a punire – al massimo si incoraggeranno le donne ad abortire in un Paese vicino dove, in cambio di soldi, saranno trattate come esseri umani. E chi non può permetterselo troverà un modo per farlo a casa – i ferri da maglia potrebbero ritornare se continuiamo così.

Un impatto nel ridurre ulteriormente il numero degli aborti (i quali da tempo sono in calo) sono il finanziamento della contraccezione e l’educazione sessuale completa nelle scuole. Nessuno dei governi precedenti ha mosso un dito per portare avanti la contraccezione; l’educazione sessuale, invece, è stata appena uccisa da Fidesz sulla scia della legge pro-omofobia.

Eppure sono queste le direzioni in cui dovremmo andare, perché se lo Stato vuole prevenire gravidanze indesiderate deve rispettare i desideri (anche se difficili) delle donne.

Nelle circostanze attuali, quindi, l’idea che le donne siano esseri umani è davvero radicale. È un essere umano: con capacità, desideri, ambizioni, personalità e volontà individuali. Per quanto il governo cerchi di farle tornare indietro di almeno cento anni, le donne non vogliono essere un utero ambulante. Anche lei ha una sola vita e non vuole sacrificarla per un “principio”. Anche se raramente si definisce femminista, [la donna] vuole essere se stessa, indipendentemente dal fatto che la maternità faccia parte della sua vita. Anche se lo fosse, vuole decidere da sola quando e in quali circostanze.

Una donna vuole essere se stessa, non un’anonima lavoratrice di sfondo senza voce e senza volto, un mezzo tra le generazioni di uomini che si susseguono liberamente. Sarà bene che nel XXI secolo questo venga finalmente riconosciuto.

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