Articolo originale: “Militares de Estados Unidos en el Perú como respaldo a más represión”. Traduzione a cura di Caterina per il Gruppo Anarchico Galatea
La dittatura di Dina Boluarte ha autorizzato l’ingresso di oltre mille militari statunitensi in Perú, mentre si riaccendono le manifestazioni nazionali contro il regime che, attraverso la violenza letale delle forze di sicurezza, aveva assassinato 50 persone durante le proteste (altre 19 erano morte in incidenti connessi alla repressione).
Il provvedimento viene interpretato come un messaggio minaccioso e dissuasivo verso il popolo organizzato – il quale riprenderà le manifestazioni di massa a partire dal 19 Luglio, alla vigilia della festa nazionale dell’indipendenza. Dalla regione di Puno, epicentro dell’opposizione, è stato annunciato che 13mila manifestanti si mobiliteranno verso la capitale – in quella che chiamano la “terza presa di Lima”.
Secondo il decreto approvato dal parlamento a Maggio, le truppe statunitensi arriveranno tra Giugno e Dicembre, con il fine di offrire “al Comando Congiunto delle Forze Armate e alla polizia del Perú supporto e assistenza nelle operazioni speciali”. Si dispiegheranno in almeno 14 province, tra le quali Lima e le aree della regione andina meridionale martoriate dal terrorismo di Stato (Ayacucho, Apurímac, Cusco).
Il governo de facto 1 si sostiene con le armi. L’alleanza tra il Congreso e l’esecutivo – i quali sottostanno agli ordini dell’oligarchia -, si rifiuta di anticipare le elezioni per quest’anno, nonostante si tratti di una richiesta del 70% della popolazione. L’80% disapprova Boluarte e il 90% non riconosce il parlamento, secondo i sondaggi del mese. Interrogata sopra le prossime proteste, la presidente de facto, in tono interrogativo, ha verbalizzato la sua minaccia di morte verso coloro che difendono la protesta legittima: “Ma quante altre morti vogliono?”
In risposta, il Comitato Nazionale Unificato di Lotta del Perú (CONULP) riafferma la propria posizione nonviolenta, senza bandiere di partiti, né sindacati: “I popoli originari delle 25 regioni hanno già preso la loro decisione: abolire dalla radice questo Stato. La conclusione è costruire un nuovo Stato, plurinazionale, a partire dalle regioni. Dal 1821, le 12 costituzioni sono state per la classe dirigente, non per il popolo. I partiti di sinistra vogliono nuove elezioni, un’assemblea costituente, una nuova Costituzione: ma fanno tutti parte di questa classe politica, di questo vecchio Stato. Non li ammetteremo nella nostra lotta, né permetteremo atti violenti. Riteniamo la polizia e i vertici militari responsabili della violenza.”
Le prossime proteste a Lima determineranno il futuro del regime. Dalla stessa cupola del potere si mette in scena una discussione sulla continuità di Boluarte – sia che si tratti di lotte interne immediate, raccogliere il sostegno [elettorale] o di un possibile avvertimento del potere legislativo nel convocare le elezioni prima del 2026.
Alle mobilitazioni di massa nella capitale, secondo il Central Nacional de Rondas Campesinas del Perú, parteciperanno anche 30mila membri dell’organizzazione deputata alla sicurezza comunitaria delle zone rurali.
Guerre imperiali per l’estrattivismo
Oltre ad essere un avvertimento per la società peruviana, la presenza dei militari statunitensi in Perù è una mossa strategica all’interno della regione Latinoamerica, in particolare nel territorio andino-amazzonico: come parte delle guerre imperiali con la Cina e la Russia, Washington sta combattendo per conquistare e sfruttare il litio e altre materie prime del Sud globale.
Gli Stati Uniti hanno sostenuto, fin dall’inizio, l’investitura di Boluarte dopo il colpo di Stato contro Pedro Castillo – avvenuto lo scorso Dicembre. In una recente dichiarazione, l’ambasciatrice degli USA nel Paese andino, Lisa Kenna, [ha espresso il suo ottimismo sulle future relazioni tra il Perù e gli Stati Uniti, esortando i presenti “ad ascoltare, rispettare, mantenere aperte le nostre menti e i nostri cuori e a seguire fedelmente i principi della democrazia e delle istituzioni”]. È l’unica nazione sudamericana in cui si svolgeranno esercitazioni militari quest’anno – e la terza dell’America Latina, insieme al Messico e al Belize.
Recentemente, lo Stato peruviano ha concesso all’impresa canadese Macusani Yellowcake il primo di tre permessi per lo sfruttamento del litio a Puno, la provincia dove a Gennaio la polizia e l’esercito hanno assassinato 19 persone disarmate, sparando con armi da guerra in azioni classificate come “esecuzioni extragiudiziarie” dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani.
In questi ultimi mesi, la comandante del Comando Sur degli USA, Laura Richardson, è stata esplicita sulla missione che il Capitale di Washington le ha assegnato: “Questa regione è piena di risorse e mi preoccupa l’attività maligna e approfittatrice dei nostri avversari. Apparentemente stanno investendo, quando in realtà stanno estraendo […[ L’aggressività della Cina e il suo gioco sul campo del litio è molto avanzato e molto aggressivo.”
Il litio è, al momento, il minerale più ricercato dagli imperialismi. Il Sudamerica possiede le maggiori riserve mondiali: l’80% di tutto “l’oro bianco” del pianeta si trova in Argentina, Bolivia e Cile. In questi giorni, la difesa del territorio e dell’acqua contro lo sfruttamento del litio è uno degli slogan delle proteste di massa di Jujuy.
Per i popoli danneggiati dai mega-progetti minerari, il vero “triangolo del litio” non è rappresentato da questi tre Paesi sudamericani ma dal “vincolo tra le forze di sicurezza, lo Stato e le multinazionali”, come osserva da tempo l’Assemblea Pucará in Argentina.
“Insistiamo sul fatto che sono stati gli USA ad ordinare i massacri in Perú. La colpa è delle imprese straniere che vengono a depredare [i territori]. La provincia di Jujuy, in Argentina, si è ribellata e sta lottando perché per sfruttare il litio, [le aziende] si appropriano della terra e dell’acqua. È una sola lotta ma è sempre lo stesso nemico”, ha affermato, da Lima, la rappresentante delle organizzazioni internazionali che sostengono il CONULP.
La violenza dello Stato e del grande capitale nella provincia di Jujuy, così come in Perú, viene esercitata per difendere l’estrazione delle materie prime. Non è un caso che Puno, con le sue grandi riserve di litio e di altri minerali, sia la regione che soffre il maggior numero di rappresaglie. Contro il potere militare e l’industria mineraria ecocida delle potenze alleate alle élite nazionali, il popolo organizzato risponde con la difesa del territorio e della propria esistenza – di fronte ad un modello globale in agonia e di cui dichiarano la fine.
Nota del Gruppo Anarchico Galatea
1Un governo di fatto (de facto o non de jure) è un esecutivo che, pur esercitando in pratica tale potere, viene istituito in violazione dell’ordine costituzionale dello Stato.