Dopo l’annuncio di Putin sulla mobilitazione per la guerra in Ucraina, più di 17.000 persone hanno varcato il confine con la Finlandia.
La propaganda politica finlandese, complice la recessione economica nel paese scandinavo, si è mossa nell’immediato, presentando l’arrivo di queste persone come una possibile fonte di destabilizzazione sociale interna.
Dal mese di Settembre dello scorso anno, le autorità finniche hanno rilasciato delle dichiarazioni pubbliche sulla costruzione di una recinzione lungo il confine russo – in modo da impedire gli attraversamenti illegali.
Tra la fine di Febbraio e gli inizi di Marzo di quest’anno, la Guardia di frontiera finlandese ha annunciato l’inizio della costruzione di questa struttura lunga 200 chilometri, alta 3 metri e dotata di filo spinato e telecamere di sorveglianza. Secondo le autorità finlandesi, la recinzione sarà completata in due-tre anni, per un costo di circa cento milioni di euro.
Il caso finlandese si inserisce in un contesto più ampio dove i paesi dell’area Schengen, complice la crisi economica odierna e le varie destabilizzazioni sociali in corso, avvallano progetti e costruzioni di queste strutture atte a bloccare, criminalizzare e uccidere delle persone che fuggono da guerra e miseria.
La recinzione come protezione dell’Europa
Alla fine degli anni 2010, il numero di persone migranti in Grecia era iniziato a salire; la stragrande maggioranza di queste persone erano fuggite dai conflitti militari in Afghanistan e Iraq e dall’instabilità politica generale africana e mediorientale.
Il governo greco ha risposto al massiccio afflusso di migranti costruendo una recinzione alta tre metri e con filo spinato lungo il confine con la Turchia. La costruzione di questa struttura è avvenuta in concomitanza con le elezioni parlamentari del 2012; all’epoca, il primo ministro in carica, Antonis Samaras di “Nuova Democrazia” (ND), fece una campagna elettorale sulla necessità di “riprendersi” le città greche dai migranti considerati dei “tiranni.”
A fargli eco vi era stata anche “Alba Dorata” che, in quel periodo, ottenne numerosi voti grazie alle campagne di odio e di violenza contro le persone migranti.
Il progetto della recinzione era stato oggetto di critiche da parte di numerosi gruppi di compagnu e non. A Febbraio del 2011, migliaia di persone manifestarono ad Atene contro la costruzione della struttura; vennero represse dalla polizia e colpite dalle pietre lanciate dai militanti fascisti di “Alba Dorata”. Un anno dopo questa manifestazione, il ministro della Protezione Civile Christos Papoutsis si era recato nelle vicinanze del villaggio di Kastane – in cui sorge una parte della recinzione al confine greco-turco-, per annunciare, a livello mediatico, che i trafficanti di esseri umani non potevano usare più la rotta greco-turca. Il ministro greco, in quel momento, venne contestato da circa 40 persone che denunciarono come la recinzione fosse un’aperta violazione ai diritti umani.
Nonostante la grave crisi finanziaria e le misure di austerità in Grecia, la recinzione, lunga 12,5 chilometri, era costata circa 3,2 milioni di euro. Il governo greco aveva esteso il muro di altri 40 chilometri dopo l’ascesa al potere dei Talebani in Afghanistan. In quel contesto, l’attuale ministro della Protezione Civile Takis Theodorikakos, aveva affermato che per proteggere le frontiere dell’Europa, vi era “bisogno del sostegno… dell’opinione pubblica europea, dell’Unione Europea stessa e dei suoi singoli membri”.
Una tendenza tutta europea
Dopo la caduta del Muro del Berlino, sembrava che in Europa non dovessero sorgere altri muri o strutture di contenimento. Tutto questo iniziò a cambiare con i primi arrivi massivi di persone impoverite – in particolare persone non bianche e provenienti dall’Africa e dall’Asia Centrale.
Tra il 1993 e il 1996 la Spagna aveva iniziato a costruire delle recinzioni intorno alle enclavi di Ceuta e Melilla. Nel corso dei decenni, queste recinzioni sono state ampliate e rinforzate e, allo stato attuale, si estendono per quasi 8 km intorno a Ceuta e 13 km intorno a Melilla.
A partire dalla fine degli anni ‘90 fino ad oggi, Francia e Regno Unito hanno costruito congiuntamente delle barriere intorno all’ingresso del tunnel della Manica, situato nel porto francese di Calais. In particolare, nel biennio 2015-2016 il Regno Unito ha finanziato la costruzione di una recinzione lunga 11,5 km – e che coprirà 65 kmin tutto.
Tra il 1999 e il 2022, la Lituania ha costruito ed esteso due recinzioni: la prima, lunga 502 km, al confine con la Bielorussia; la seconda, lunga 45 km, intorno a Kaliningrad.
Ma è a partire dalla costruzione della recinzione in Grecia nel 2012 che molti Paesi europei hannofatto il “salto di qualità”.
Nel 2013, durante la guerra in Siria, la Bulgaria aveva annunciato la costruzione di un muro al confine con la Turchia. Dal 2015, paesi come Ungheria, Slovenia e Austria costruivano, ai loro confini, dei muri per fermare l’arrivo delle persone migranti.
Attualmente vi sono 1535 km di recinzioni su 12033 km di confini rivolti all’esterno dell’area Schengen. Circa il 13% dei confini dell’Unione Europea sono recintati.
In questa fase, i Paesi europei hanno speso centinaia di milioni di euro per costruire queste strutture: solo nel 2021, la Grecia e la Lituania hanno richiesto all’Unione Europea oltre 210 milioni di euro per la costruzione di recinzioni ai confini con la Turchia e la Bielorussia.
La spesa sostenuta per la costruzione e il mantenimento di queste recinzioni, viene presentata a livello mediatico dal mondo politico e capitalistico come una sicurezza e difesa verso la popolazione e anchedell’economia locale.
Le recinzioni e le esportazioni.
Nel campo delle esportazioni internazionali, le imprese affrontano una serie di costi aggiuntivi; quelli più evidenti derivano dal trasporto dei prodotti e dalle politiche commerciali tra gli Stati che comprendono le tariffe doganali, il cambio di valuta e le differenze culturali – tutti fattori che possono ridurre la velocità delle transazioni. In tal senso si rendono indispensabili delle misure e accordi tra gli Stati affinchévengano supportate le esportazioni.
Secondo certi analisti 1, le infrastrutture di contenimento come muri e recinzioni possono avere delle conseguenze negative sul trasferimento delle merci (rallentamento dei mezzi di trasporto e una possibile loro deviazione in altri punti di ingresso meno affollati), oltre a far crollare la domanda lavorativa (come accaduto nel caso statunitense-messicano con la costruzione del muro al confine2).
La realtà, invece, è come le recinzioni e muri ai confini servano soltanto a schedare ed impedire il passaggio di persone considerate impropriamente “illegali” ed utilizzare delle risorse statali per la manutenzione e la creazione di punti di ingressi specifici. Il cosiddetto e supposto danno commerciale è irrisorio; i profitti delle aziende che esportano e commerciano all’estero sono nell’ordine dei milioni di euro – senza contare il supporto e sostegno ricevuto da parte di agenzie statali specifiche come le “Export Credit Agencies”.
Per un discorso di consenso elettorale, protezione di aziende esportatrici (specie se energetiche e semi-statali) e di gestione manutentiva privata delle infrastrutture di contenimento, il mondo politico ritiene che i muri e/o le recinzioni siano un compromesso più che conveniente.
Poco importa a costoro se vengono respinte e/o lasciate morire delle persone che vogliono entrare in un territorio specifico
Come muoiono migliaia di persone migranti
La principale conseguenza dei muri è l’elevato rischio per le persone migranti nell’attraversare i confini. Private della possibilità di entrare legalmente in Europa – specie per gli accordi di contenimento concordati con paesi che si affacciano sul Mediterraneo come la Libia -, queste persone si affidano ad organizzazioni criminali pronti a sacrificarle in rotte terrestri e marittime pericolose.
Nei soli primi tre mesi del 2023 si sono verificati gravi incidenti: in Bulgaria, ad esempio, 18 uomini afghani sono morti soffocati in uno scomparto nascosto di un camion e in Italia quasi 80 persone sono morte in due naufragi.
Il “Missing Migrants Project” raccoglie i dati sulle persone migranti morte e disperse che cercano di raggiungere i Paesi europei. La maggior parte degli incidenti avviene nel Mar Mediterraneo dove le persone migranti tentano di navigare dal Nord Africa verso paesi come Spagna, Italia, Grecia, Bulgaria, Malta e Cipro. Il viaggio in mare su gommoni e altre imbarcazioni poco sicure possono durare giorni, rendendo la rotta migratoria pericolosa.
Dal 2014 nel Mar Mediterraneo sono scomparse più di 26 mila persone
Ma non vi è solo il Mediterraneo. Le persone migranti usano il confine polacco-bielorusso e la “rotta balcanica” per entrare in Europa.
Come riportato in questo blog, dall’Agosto 2021 migliaia di persone migranti provenienti da Iraq, Siria e Yemen sono arrivate in Bielorussia, con l’obiettivo di raggiungere l’Unione Europea attraverso il confine con la Polonia. “Fronstory” ha mostrato che Alexander Lukashenko e i suoi accoliti abbiano messo in piedi uno schema per attirare le persone migranti con false promesse di ingressi facili nell’Unione Europea e, successivamente, abbandonarli al confine con la Polonia.
Con una tale situazione del genere, i paesi confinanti con la Bielorussia (Lettonia, Lituania e Polonia) hanno iniziato a costruire delle recinzioni volte a bloccare i flussi, mentre le persone migranti hanno cercato in ogni modo di oltrepassare le recinzioni, anche a costo di ferirsi, perdersi nelle foreste o nelle paludi, rimanere senza acqua e cibo e andare incontro a morte certa.
Analogo discorso avviene nei Balcani dove il muro costruito al confine tra Serbia e Ungheria nel 2015 non ha impedito alle persone migranti di trovare nuove vie, anche pericolose e rischiose per la loro incolumità fisica. Le stesse ONG presenti sul campo denunciano lo stato repressivo e criminale dei governi locali (specie ungherese) e della stessa Unione Europea nel chiudere le porte verso delle persone che fuggono da povertà e guerra – spingendole a morte certa.
I veri criminali
Le autorità statali (europee e non) consci che i flussi migratori non possono essere impediti da una recinzione, da un muro o da una qualsiasi struttura di contenimento ai confini, trattano la questione come se fosse un insieme di azioni individuali manovrate da gruppi criminali. La costruzione di recinzioni e muri sono, per la classe dominante, degli strumenti economici e di propaganda politica celebrati come ultima difesa o baluardi contro “coloro che vogliono invadere volutamente un territorio civile ed economicamente avanzato”.
Le cause del fenomeno migratorio derivano, spesso e volentieri, da crisi economiche, conflitti armati e/o territori pesantemente sfruttati a livello economico (prodotti agroalimentari, energetici e minerari). In zone come l’America Latina, l’Africa, parte del Medioriente e l’Asia Centrale – luoghi da cui provengono la stragrande maggioranza delle persone migranti -, sono onnipresenti le aziende europee, statunitensi, cinesi e russe con la compiacenza e la partecipazione attiva dei governi e aziende locali.
Per una buona parte della popolazione di quelle zone, vivere in simili contesti significa condurre una vita di indigenza, rischiare la vita quotidianamente tra incidenti lavorativi, essere oggetti di persecuzione poliziesca o pallottole vaganti e bombardamenti in caso di conflitto armato. Procurarsi un visto o un passaporto non è sempre una cosa facile visto i livelli di corruzione e lungaggini burocratiche o, in caso di guerre guerreggiate, di eventuali mobilitazioni militari. L’unica opzione che rimane a costoro è quello di migrare fuori da questi territori in modo non legale, cercando di giungere in una terra pacificata, ricca e tranquilla come sono, secondo l’immaginario di questi individui, il NordAmerica e l’Europa Centrale e Scandinava.
Arrivare nelle destinazioni citate, però, non è una cosa così semplice. Nel mondo tracciato da confini e gestito da burocrazie e controlli telematici, chi vuol entrare in modo “illegale” rischia pesantemente la vita tra l’assideramento e l’inedia nelle foreste e montagne, l’annegamento in mare e le violenze di organizzazioni criminali e poliziesche di frontiera.
Alla luce di tutto questo, risulta chiaro e nitido come i veri criminali non siano le persone migranti ma una componente politico-economica che, in nome dello sfruttamento e della devastazione capitalistica, mantiene in vita un sistema mortifero e nefasto.
Note
1Vedere John McCallum, “National Borders Matter: Canada-U.S. Regional Trade Patterns”, The American Economic Review, Vol. 85, No. 3, Giugno 1995, pp. 615-623; Tomas Havranek e Zuzana Irsova, “Do Borders Really Slash Trade? A Meta-Analysis”, IMF Economic Review, volume 65, Giugno 2017, pp. 365–396; David B. Carter e Paul Poast, “Barriers to Trade: How Border Walls Affect Trade Relations”, Cambridge University Press, vol. 74, No. 1, Gennaio 2020, pp. 165-185
2I lavoratori messicani che lavorano “legalmente” negli Stati Uniti, in particolare in Texas, devono attraversare quotidianamente i punti di controllo della polizia di confine. Le perquisizioni e i monitoraggi da parte delle forze dell’ordine per cercare i clandestini sono lunghi e anche pesantemente discriminatori. L’arrivo in ritardo sui posti di lavoro comporta per questi lavoratori una perdita economica non indifferente. Tutta questa situazione ha fatto sì che il flusso di migranti lavoratori “legali” sia diminuito drasticamente, facendo lamentare non poco le amministrazioni comunali texane a ridosso del confine messicano. Per maggiori approfondimenti, vedere David B. Carter e Paul Poast, “Barriers to Trade: How Border Walls Affect Trade Relations”, Cambridge University Press, vol. 74, No. 1, Gennaio 2020, pp. 165-185