Potevamo, ripetevamo: come la guerra è diventata l’idea nazionale della Russia – Seconda Parte

Prima Parte

Gli anni ’90: alla ricerca di un nuovo significato

Nell’anniversario della fucilazione della famiglia reale, il 17 luglio 1993 fu inaugurato a Pushkin, vicino a San Pietroburgo, un monumento a Nicola II. La memoria dell’ultimo imperatore russo è stata attivamente ravvivata in Russia a partire dai primi anni Novanta. All’epoca, molti vedevano la monarchia come una delle alternative, sia storiche che politiche, al periodo sovietico. Il monumento successivo fu commissionato dall’imprenditore di Pushkin, Sergei Rogov. Tre anni dopo, sulla pietra apparve un’iscrizione: “Questo monumento è stato inaugurato il 4/17 luglio 1993. Eretto dall’industriale e mecenate russo Sergei Rogov, innocentemente assassinato a Tsarskoye Selo il 6/19 novembre 1996”.

Busto di Nicola II a Pushkin, eretto nel 1993

Rogov commerciava in gas liquefatto e prodotti petroliferi ed era amico di Shamil Tarpischev, allenatore di tennis e amico di Boris Eltsin. Si ritiene che questa conoscenza abbia aiutato Rogov a diventare proprietario della Tobolsk Petrochemical Combine. A Mosca, Rogov fu patrocinato e aiutato dalle conoscenze di Dmitri Filippov, un ex leader della nomenklatura sovietica e del Komsomol, che divenne capo del servizio fiscale di San Pietroburgo all’inizio degli anni Novanta. Nel 1996 Rogov fu ucciso a Pushkin. Due anni dopo, anche Filippov fu assassinato: si fece saltare in aria nell’ingresso della sua casa a San Pietroburgo. La Tobolsk Petrochemical Combine divenne presto parte di Gazprom. Ma il monumento all’ultimo imperatore russo si trova ancora oggi a Pushkin, retaggio di un’epoca turbolenta e travagliata.

Targa sul monumento a Nicola II a Pushkin

Questa storia criminale e commemorativa è altamente indicativa sulla situazione che si è sviluppata in Russia nei primi anni Novanta nel campo della “politica commemorativa”. Il crollo del comunismo ha portato ad un decentramento della narrazione commemorativa, mettendo in discussione il monopolio delle autorità sull’enunciazione simbolica. Il numero di attori della politica della memoria è aumentato costantemente. Tra questi vi erano singoli uomini d’affari, come nell’esempio precedente, la Chiesa ortodossa russa, le associazioni dei veterani, che dalla fine degli anni ’80 commemoravano la guerra in Afghanistan, i partiti politici e persino i club di interesse (o per hobby, ndt). Così, nel 1992, le azioni dei tifosi dello “Spartak” hanno portato all’apertura di un memoriale nello stadio Luzhniki di Mosca in onore dei tifosi morti [a causa del crollo delle scale dello stadio] durante la partita del 1982 tra il club sovietico e gli olandesi dell’Haarlem.

Nel 1990 era stata inaugurata in Piazza Lubyanka, a Mosca, la “Pietra di Solovetsky”, un monumento commemorativo sulla repressione politica in URSS [- piazza] che fino a poco tempo prima portava il nome di Felix Dzerzhinsky e all’epoca ospitava ancora la statua del fondatore della Cheka. Si trattava di un’iniziativa della società “Memorial”, che coordinava numerose e disparate associazioni regionali dedicate alla memoria delle vittime della repressione sovietica. All’epoca monumenti simili erano già apparsi in molte città. Ad esempio, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, nel cimitero Levashovsky di San Pietroburgo furono eretti numerosi monumenti e croci in memoria delle vittime degli anni ’30. In Carelia, nel tratto di Sandarmoh, [famoso] luogo di fucilazioni di massa durante il terrore staliniano, alla fine degli anni ’80 era iniziata una ricerca dei luoghi di sepoltura, culminata nella creazione di un memoriale. E a Pushkin, in un luogo dove [erano avvenute] le esecuzioni tedesche nel 1941, un monumento di Vadim Sidur venne eretto in memoria delle vittime ebree.

Installazione della pietra di Solovetsky, 26 Ottobre 1990. Dietro, il monumento a Dzerzhinsky, smantellato durante gli eventi dell’agosto 1991.
Archivio internazionale della memoria*.

Un’altra caratteristica della politica commemorativa della nuova Russia è la lotta contro l’eredità sovietica. Alle città e alle strade sono state restituite i nomi pre-rivoluzionari. Alcuni monumenti sono stati rimossi o spostati dal centro delle città alla periferia, come è successo con il monumento a Dzerzhinsky alla Lubyanka dopo il putsch dell’Agosto 1991. Tuttavia, non bisogna sopravvalutare la portata di questa de-comunistizzazione: la stragrande maggioranza dei monumenti ufficiali sovietici è rimasto al suo posto. Anche i dibattiti, seppur accesi, su cosa fare della salma di Lenin e del Mausoleo, non hanno portato ad un consenso russo su questo tema. Anche la commemorazione della Grande Guerra Patriottica non è scomparsa, sebbene la sua commemorazione sia stata su scala minore, con l’erezione di piccoli monumenti e targhe fino al 1995.

All’inizio degli anni ’90 il governo federale era alla ricerca disperata di figure autorevoli e soggetti eroici per la nuova era. Ha flirtato con il monarchismo, si sono spese molte energie per cercare e seppellire i resti della famiglia imperiale, si è cercato di reinterpretare l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e si è ribattezzato il 7 Novembre da Grande Giornata della Rivoluzione Socialista d’Ottobre a Giornata della Concordia e della Riconciliazione, si è lavorato con il “Memorial” e la memoria della repressione sovietica. Parallelamente, nelle regioni si sono cercati eroi per i nuovi tempi. A Irkutsk, ad esempio, si è cercato di far rivivere la memoria dell’Ammiraglio bianco Kolchak, fucilato in quella città. All’inizio degli anni ’90, Vladimir Daev, direttore dell’Irkutskpischeproma (azienda alimentare, ndt), ebbe addirittura l’idea di produrre una nuova marca di birra chiamata “Ammiraglio Kolchak”; le processioni in chiesa nel giorno in cui l’ammiraglio fu fucilato divennero una tradizione cittadina e nel 2004 fu eretto un monumento a lui dedicato. Il sud della Russia e il Caucaso settentrionale sono stati teatro di una lenta lotta per la memoria: da un lato, il ricordo dei cosacchi, dall’altro, le azioni brutali delle truppe russe durante la guerra del Caucaso. In Estremo Oriente sono stati eretti i monumenti agli atamani, ai pionieri Yerofey Khabarov, Pyotr Beketov e ai cosacchi – che furono i primi coloni di Blagoveshchensk.

Tra le figure simboliche che all’epoca dovevano assumere il ruolo di eroi principali della nazione c’erano Pushkin, Georgy Zhukov, Dmitrij Donskoy, Kutuzov e una schiera di santi e martiri ortodossi. Tutti questi tentativi non hanno avuto particolare successo, tranne, forse, la rinascita della memoria di Aleksandr Nevskij: nel periodo post-sovietico sono stati eretti in tutto il paese non meno di tre decine di grandi monumenti a lui dedicati. Il culto di Nevskij nella Russia post-sovietica è molto legato al libro di Lev Gumilev, “Ancient Rus and the Great Steppe” (1989), in cui il principe veniva presentato come il salvatore dell’Antica Russia e un combattente per l’indipendenza del Paese. L’autore gli attribuisce le caratteristiche simboliche di Pietro il Grande. Per inciso, anche il primo imperatore russo si è rivelato un oggetto della “politica commemorativa”; la sua immagine è stata replicata e gonfiata con un nuovo tono che mescolava echi del culto stalinista di Pietro il Grande e discorsi su una “nuova” Russia di stampo occidentale. Alla fine l’imperatore è stato immortalato in un grandioso monumento di Zurab Tsereteli sul fiume Moscova nel 1997.

Diverse varianti dei monumenti [dedicati a] Alexander Nevsky

Tutte queste attività erano caotiche e incoerenti. La ricercatrice Maria Lipman ha scritto a tal proposito su questo periodo: “Negli anni ’90, sia lo Stato che parte della società hanno tentato di ripudiare l’identità sovietica, ma le cose erano più difficili con un programma ideologico/simbolico positivo.” Tuttavia, dopo essersi addentrati nel territorio del ricordo delle vittorie militari del passato e aver lavorato sulla commemorazione di figure come Aleksandr Nevskij, le autorità stavano gradualmente trovando la strada verso un nuovo pantheon commemorativo. E gli eroi della Grande Guerra Patriottica occupavano un posto molto importante.

9 maggio 1995. Il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e il Primo Ministro britannico John Major sono in piedi nell’area riservata agli ospiti, vicino al Mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa. Al Mausoleo stesso si trovano il Presidente Boris Eltsin e i membri della leadership politico-militare della Russia. In questo giorno, per la prima volta nella storia post-sovietica, si svolge la parata del Giorno della Vittoria. Eltsin, in piedi [e vicino] alla tomba del fondatore dello Stato sovietico, ricorda come “i nostri padri, nonni e fratelli hanno lasciato la Piazza Rossa per difendere la libertà e l’indipendenza della Russia” per poi aggiungere: “Le ceneri del malvagio sono sparse, ma Mosca e la Russia resistono e resisteranno per i secoli a venire”. Nella presentazione di Eltsin, la vittoria appare in una nuova forma. Mentre [la commemorazione del Giorno della Vittoria] in URSS simboleggiava il trionfo degli insegnamenti di Lenin, [per Eltsin, in quanto] primo presidente della Russia, [questo evento rappresentava] le basi per il cammino della Russia verso la democrazia e la libertà, nonché l’amicizia e il partenariato con i Paesi dell’Occidente.

Poi è nata una nuova tradizione che non esisteva nell’Unione Sovietica: dal 1995, la Parata della Vittoria si è tenuta ogni anno. Gradualmente è diventata il principale evento commemorativo della Russia post-sovietica. Una ricerca febbrile ha portato il nuovo governo a recuperare la memoria della Grande Guerra Patriottica e, più in generale, a desiderare l’antica grandezza e forza del Paese. Inizialmente le parate si tenevano solo nella capitale, ma gradualmente si sono spostate in altre grandi città: da San Pietroburgo e Grozny a Yakutsk e Vladivostok. Nel 2015 si sono tenute più di 60 parate in tutto il Paese; nel 2022 sono state più di cento.

Nel 2000, Vladimir Putin, parlando al Mausoleo di Lenin, disse: “Cari soldati di prima linea, con voi siamo abituati a vincere. Questa abitudine è diventata parte del nostro sangue e una garanzia non solo per le vittorie militari. Più di una volta ci aiuterà nella vita pacifica, aiuterà la nostra generazione a costruire un Paese forte e prospero, porterà alta la bandiera russa della democrazia e della libertà. Il nostro popolo ha attraversato più di una guerra, ed è per questo che conosciamo il prezzo della pace.”

Per bocca di Putin, il nuovo governo parla di vittoria come di un evento che ha dato alla Russia pace e indipendenza, mentre gli eroi di quella guerra sono stati glorificati come martiri che si sono sacrificati per la democrazia e la libertà. Ma questa lettura si è rivelata di breve durata.

Parata militare a Mosca, 2015

Gli anni 2000: una narrazione eroica senza soluzione di continuità

A metà degli anni Duemila, lo Stato ha iniziato a dichiarare una nuova concezione della storia russa, che potrebbe essere descritta con l’espressione “il buon passato”. Il buon passato è uno spazio storico-ideologico privo di conflitti interni, in cui le diverse figure erano buone o cattive, a seconda della loro fedeltà all’idea di uno Stato forte e unificato. In questa narrazione si allineano figure di epoche storiche diverse: Stolypin e Stalin, Nicola II e Aleksandr Nevskij. Allo stesso tempo, Vladimir Putin stava gradualmente diventando l’attore principale nel campo della “politica commemorativa”. In questo è stato attivamente assistito dalla “Società storica militare russa”, istituita nel 2012, dal ministro della Cultura Vladimir Medinsky (2012-2020) e da altri ideologi meno visibili. È nei discorsi di Putin che viene finalmente formulata la nozione di un passato storico senza soluzione di continuità e senza conflitti, con molti e diversi eroi.

Parlando all’inaugurazione di un monumento al Principe Vladimir fuori dal Cremlino di Mosca nel Novembre 2016, Putin ha detto che [questa figura] “è passata alla storia come un collezionista e difensore delle terre russe, come un politico visionario che ha creato le basi di uno Stato forte, unificato e centralizzato”. Inaugurando un monumento ad Aleksandr Solzhenitsyn nel Dicembre 2018, il presidente ha sottolineato che lo scrittore “distingueva chiaramente tra la Russia autentica, reale e popolare e quella con le caratteristiche del sistema totalitario che ha portato sofferenze e disagi a milioni di persone”. Qualche anno prima, nel discorso di Putin all’inaugurazione del “Centro Eltsin”, il primo presidente della Russia viene dipinto come un uomo che ha adottato la Costituzione del Paese “in condizioni di grave scontro politico” (con questo eufemismo descrive l’assedio della Casa dei Soviet nel 1993) e che chiedeva di avere a cuore la Russia e “voleva che il nostro Paese diventasse forte e prospero”. Yevgeny Primakov, ex capo dei servizi segreti esteri, ministro degli Esteri e primo ministro, un tempo oppositore di Eltsin, è stato descritto come una persona che, “in ogni fase della sua lunga e intensa vita, ha messo al primo posto gli interessi della Patria”.

A volte, questo desiderio di scrivere la storia di tutti i personaggi storici è diventato assurdo. Ad esempio, in un telegramma di condoglianze dell’Agosto 2022 per la morte dell’ultimo leader sovietico, Mikhail Gorbaciov, Putin scrisse che aveva “guidato il nostro Paese in un periodo di difficili e drammatici cambiamenti”. Senza dire una parola né sulla perestrojka né sul crollo dell’URSS, il presidente ha inserito astrattamente Gorbaciov in una successione infinita di figure che hanno “guidato lo Stato”.

Monumento al principe Vladimir, eretto nel 2016

L’immagine ufficiale del passato creata negli ultimi decenni è stata priva di profondità e sfumature. Non conteneva conflitti e scontri reali e qualsiasi fenomeno o problema negativo veniva cancellato dalla storia – ma solo se non era legato a nemici esterni. Sono stati ignorati anche personaggi ed eventi che sarebbero stati difficili da inserire nella narrazione storica creata da Putin e dai suoi consiglieri. Ad esempio, i riferimenti riguardanti Lev Tolstoj sono stati ridotti all’ “amore per la Patria”. Oppure la rivoluzione del 1917, la cui commemorazione per il centenario è stata praticamente abbandonata dalle autorità e si è limitata ad un documentario del propagandista Dmitri Kiselyov. Il documento condannava tutte le rivoluzioni in quanto forme di sovvertimento di ispirazione esterna che minacciavano la forza dello Stato. Vennero completamente cancellati dalla storia gli scrittori democratici che erano stati importanti per la politica commemorativa dell’era sovietica: Alexander Herzen, Nikolai Ogaryov, Vissarion Belinsky e Nikolai Dobrolyubov. Anche i Decabristi erano assenti dalla narrazione, ma occasionalmente venivano fatti riferimenti a figure del movimento bianco come Anton Denikin e Ivan Ilyin. Nel 2009, in occasione dell’inaugurazione di un monumento ai soldati del movimento bianco nel cimitero del monastero di Donskoi, Putin, citando Denikin, ha osservato: “Ha avuto argomenti sulla grande e sulla piccola Russia, sull’Ucraina. Diceva che non si deve permettere a nessuno di interferire nelle nostre relazioni, questo è sempre stato un affare della Russia!”

Anche le autorità hanno iniziato a ignorare i “perdenti”, come gli imperatori Nicola I e II e Alessandro II, che hanno combattuto guerre senza successo per la Russia. Al contrario, uno degli ideali è ancora una volta Pietro il Grande. Nel Dicembre 2022 Putin traccia un parallelo diretto tra lui e se stesso, affermando che uno dei risultati della guerra con l’Ucraina è stato che “il Mare d’Azov è diventato il mare interno della Russia”, qualcosa per cui “Pietro il Grande ha combattuto”. E sei mesi prima, parlando a giovani imprenditori, ingegneri e scienziati, il presidente aveva detto quanto segue: “Pietro il Grande ha combattuto la Grande Guerra del Nord per 21 anni. Sembrerebbe che fosse in guerra con la Svezia e che si stesse impadronendo di qualcosa… Non si stava impadronendo di nulla, lo stava restituendo! [] Tutta la Ladoga Karelia, dove fu fondata San Pietroburgo. Quando fondò la sua nuova capitale, nessun Paese europeo riconobbe questo territorio come russo, tutti lo riconobbero come svedese. [] Lo stesso vale in direzione ovest, per Narva, la sua prima campagna. Perché ci andò? Per riprenderla e fortificarla, ecco cosa stava facendo. A quanto pare, è anche nostra responsabilità ritornare e rafforzare”.

La storia della Russia, secondo Putin, è un movimento di vittoria in vittoria, dal superamento di un attacco esterno allo scontro con un altro. E la principale misura di opportunità [da questo stato di cose] è il rafforzamento della patria. In questo senso, il presidente è un tutt’uno: un ex agente politico, un chekista e un distruttore della nomenklatura dell’URSS. Non ci sono sfumature, solo uno Stato russo eternamente forte.

Gli anni Duemila: la guerra in una nuova veste ideologica

Nel 2005 Mosca ha celebrato il 60° anniversario della vittoria nella Grande Guerra Patriottica. I leader internazionali, dal Presidente degli Stati Uniti George Bush al Primo Ministro giapponese Junichiro Koizumi, si sono riuniti per festeggiare. Le truppe di tutte le ex repubbliche sovietiche, compresa l’Ucraina, e i reggimenti degli alleati della coalizione anti-hitleriana (Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna) hanno sfilato sulla Piazza Rossa. L’insegnamento principale della guerra, come ha sottolineato Putin nel suo discorso del giorno, è stata la necessità di amicizia con i vicini e di costruire relazioni forti con gli Stati del mondo: “Di fronte alle reali minacce del terrorismo odierno, dobbiamo rimanere fedeli alla memoria dei nostri padri, dobbiamo difendere un ordine mondiale basato sulla sicurezza e sulla giustizia, su una nuova cultura delle relazioni che non permetta il ripetersi di guerre “fredde” o “calde””.

Allo stesso tempo, l’agenzia di stampa statale “RIA Novosti” ha lanciato un’iniziativa quasi pubblica chiamata Nastro di San Giorgio, simile ai papaveri rossi che simboleggiavano la memoria della Prima Guerra Mondiale in molti Paesi occidentali. Dopo aver iniziato a usare il nastro con una retorica neutrale e commemorativa, le autorità lo hanno trasformato rapidamente in un segno di patriottismo e di fedeltà alle iniziative dello Stato. Il nastro di San Giorgio è stato rapidamente ripreso da esponenti di movimenti filo-cremliniani, come il commissario del “Nashi”, Ivan Kosov, che ha ricordato che bisogna lottare contro gli “agenti [stranieri]” e i “fascisti” odierni. Tra questi ha annoverato anche i rappresentanti dell’opposizione. Al campo patriottico estivo presso Seliger, [Kosov] ha esposto i ritratti di Eduard Limonov, Boris Nemtsov, Mikhail Khodorkovsky e altri politici con cappucci nazisti photoshoppati. Sembrava che i fascisti non fossero una cosa del passato; continuano ad esistere e spetta ai patrioti combatterli.

Il discorso sulla memoria della guerra è diventato sempre più aggressivo. A metà degli anni 2000, lo slogan popolare “Possiamo farlo di nuovo!” sembrava significare “ripetere la vittoria”, ma improvvisamente la guerra è stata trasformata da un male e una tragedia inequivocabili ad un atto di vendetta. In questo slogan si intrecciano sentimenti imperiali e sovietici, l’insoddisfazione dell’opinione pubblica per le riforme degli anni ’90 e il desiderio di “vendicarsi” dell’astratto Occidente e dei “nemici della Russia” per tutte le disgrazie avvenute. Riguardo questo slogan, Putin, nel 2020, rispondendo a una domanda di Andrei Vandenko, ne ha elogiato il contenuto e lo ha paragonato a una famosa citazione attribuita ad Aleksandr Nevskij.

A cavallo tra gli anni 2000 e 2010, la “vittoria” è stata descritta come un risultato che dà diritto alla Russia contemporanea di intraprendere quel tipo di azioni di politica estera che, secondo il presidente, dovrebbero garantire la sicurezza e la sovranità dello Stato. I discorsi delle autorità sul tema della Seconda guerra mondiale, sono diventati più frequenti dopo il Febbraio 2014: l’annessione della Crimea e lo scoppio della guerra nel Donbass. Nei discorsi e nei testi di Putin e nei discorsi dei propagandisti di Stato, i paragoni degli eventi in Ucraina con la Grande Guerra Patriottica si fanno sempre più forti. Allo stesso tempo, nel 2022 è stata adottata una legge che vieta i paragoni tra l’URSS stalinista e la Germania nazista, accompagnata dal divieto di negare il ruolo decisivo del popolo sovietico nella guerra.

Alla fine del 2012 è stata creata la “Società storica militare russa” (RVIO, acronimo in russo, ndt), continuazione formale dell’omonima società che esisteva nell’Impero russo prima della Rivoluzione. Il presidente della RVIO è il ministro della Cultura, Vladimir Medinsky, noto per le sue posizioni radicali e filogovernative. In parte, la RVIO inizia a coordinare le attività commemorative nel Paese e a sviluppare una nuova versione del ricordo della Grande Guerra Patriottica. La nascita della RVIO sembrava una risposta dello Stato alle proteste di massa del 2011-2012. Le autorità sono tornate alle campagne di propaganda di massa, quasi come ai tempi dell’Unione Sovietica. Con la partecipazione diretta della RVIO, sono stati inaugurati monumenti agli eroi della Prima guerra mondiale, al generale Mikhail Skobelev e al maresciallo Konstantin Rokossovsky a Mosca, un monumento a Ivan III a Kaluga, un monumento ad Aleksandr Nevskij a Samolva e molti altri ancora.

Memoriale di Ržev al soldato sovietico, inaugurato nel 2020

Ma forse i luoghi chiave per comprendere il nuovo atteggiamento dello Stato nei confronti della guerra sono il Memoriale di Ržev al Soldato Sovietico e la Chiesa delle Forze Armate Russe nella periferia di Mosca. Il discorso del Patriarca Kirill, all’inaugurazione di quest’ultima, è rivelatore. Rivolgendosi a Putin, ha detto: “Oggi viviamo in un tempo di pace. Questo tempo di pace è il risultato sia della saggia politica estera perseguita dal nostro Stato sia della disponibilità di armi formidabili nelle mani delle nostre Forze armate. Ma […] dobbiamo tenere la polvere da sparo asciutta. Le Forze Armate devono essere sempre all’altezza della loro vocazione.”

Il ricordo della guerra è diventato la misura di tutte le cose, uno strumento di moralizzazione e di pressione sulla società. Ad esempio, il canale televisivo di opposizione “Dožd’” ha subito pressioni da parte dello Stato dopo che i presentatori hanno lanciato un sondaggio in onda per i telespettatori dal titolo “Leningrado si sarebbe dovuta arrendere per salvare centinaia di migliaia di vite?” L’ufficio del procuratore ha risposto lanciando un’indagine sul canale e gli operatori via cavo hanno rimosso “Dožd’” dai loro palinsesti. Nel 2016, quando ci sono state molte polemiche pubbliche sull’uscita del film “Panfilov’s 28 Men” di Andrei Shalopa, Vladimir Medinsky ha chiesto, con durezza, la fedeltà della versione ufficiale dell’impresa. “Indipendentemente dal fatto che la storia sia inventata o meno, è una leggenda sacra che non deve essere toccata [] e le persone che lo fanno sono feccia”, concludeva il ministro della cultura.

L’apoteosi del nuovo approccio sulla guerra, non come tragedia ma come mezzo con cui la Russia raggiunge tutti i suoi obiettivi, compresa la giustizia mondiale, è stato il discorso di Putin prima della parata del 9 Maggio 2022. Secondo alcune voci, il Presidente avrebbe annunciato l’inizio della mobilitazione, ma si è limitato ad un discorso militante con molti riferimenti storici: “Oggi le milizie del Donbass, insieme ai soldati dell’esercito russo, combattono in una terra dove Sviatoslav e Vladimir Monomakh, i soldati di Rumyantsev e Potemkin, Suvorov e Brusilov, dove gli eroi della Seconda Guerra Mondiale Nikolay Vatutin, Sidor Kovpak e Lyudmila Pavlichenko hanno combattuto i nemici fino alla morte. Mi rivolgo ora alle nostre Forze Armate e alle milizie del Donbass: state combattendo per la Madrepatria, per il suo futuro, affinché nessuno dimentichi le lezioni della Seconda Guerra Mondiale.”

Il tempio principale delle Forze Armate russe, inaugurato nel 2018

Negli ultimi 30 anni il ricordo della guerra in Russia è diventato il culto dei risultati militari da parte dello Stato. L’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia ha rafforzato ciò – [e quindi] non lo ha creato. Il 21 Settembre 2022, dopo aver annunciato la prima mobilitazione russa dal 1941, Vladimir Putin si è recato a Veliky Novgorod per partecipare alle celebrazioni del 1160° anniversario del Paese. In piedi, presso il monumento eretto nel 1000° anniversario della Russia, ha dichiarato: “Essere patrioti è l’essenza della natura e del carattere del popolo russo. Ora, nel corso di un’operazione militare speciale, i nostri eroi, i nostri soldati e ufficiali, i nostri volontari, stanno mostrando queste supreme qualità umane, combattendo coraggiosamente, spalla a spalla, come fratelli, per salvare la popolazione del Donbass. Per un cielo di pace per i nostri figli, per la nostra patria, che sarà sempre e solo libera e indipendente”.

Le due idee chiave, i due simboli che si sono dimostrati così importanti per le autorità russe negli ultimi due decenni – l’idea di servire lo Stato e l’idea di una vera e propria guerra che cancellerà tutti i peccati – si sono fusi insieme in questo discorso e hanno fissato un nuovo consenso autorevole: la guerra per lo Stato e lo Stato per la guerra.

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