IV. La CNT – FAI tra governo e rivoluzione sociale
Rivoluzione o guerra?
La fotografia delle varie e articolate realtà regionali aiuta a comprendere meglio non solo le premesse e le ragioni di fondo della partecipazione anarcosindacalista al governo, ma anche l’impatto traumatico che questa scelta ha avuto per una parte della base confederale a causa della rottura con i principi e le pratiche precedenti.
Secondo C.M. Lorenzo, la scelta collaborazionista in nome dell’antifascismo si realizza già il 19 luglio 1936 quando i militanti libertari lottano, fianco a fianco, con altri attivisti politici e sindacali e soprattutto con gli appartenenti di quelle stesse forze repressive che li avevano perseguitati per decenni [1]. Le immagini delle sparatorie e poi dei gruppi trionfanti per le strade di Barcellona, le più conosciute, propongono una sorprendente unità di schieramento tra rivoluzionari anarchici, Guardia Civil e Guardias de Asalto. L’urgenza dell’opposizione armata alla parte più reazionaria dell’esercito fa impallidire i contrasti precedenti, che solo pochi anni prima e in varie regioni avevano portato a centinaia di morti, quasi sempre operai e contadini insorti.
Da qui inizia la collaborazione costante non solo nel Comité de Milicias della Catalogna, ma pure in centinaia di località minori del territorio non controllato dai golpisti. I numerosi Comités Revolucionarios che gestiscono la difesa, l’economia e la vita di buona parte delle zone repubblicane, dalle Asturie al Levante, dall’Aragona alla Castilla, sono composti da delegati di tutte, o quasi, le organizzazioni antifasciste. Anche quando si formano dei governi regionali, come in Aragona e nelle Asturie, la CNT – FAI deve tener conto delle altre componenti sindacali e politiche. E, prima o poi, accetta la strada imposta dalla guerra in corso.
A questo proposito si può ricordare l’esplicita dichiarazione di Helmut Rüdiger, un anarchico nato tedesco e divenuto svedese che assume incarichi di responsabilità quale segretario dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori ( AIT ), cui la CNT aderisce negli anni Trenta, e delegato della stessa AIT a seguire direttamente le vicende spagnole durante la guerra. In un importante documento preparatorio di una discussione interna scrive:
Bisogna fare la rivoluzione prima di fare la guerra, o bisogna fare la guerra prima di fare la rivoluzione? Le due formule sono astrazioni che nulla hanno a che fare con la realtà. Se si perde la guerra, si perde tutto e per mezzo secolo o più non ci sarà alcuna discussione sul problema della rivoluzione [2] .
Da questa premessa, che contiene un’autentica profezia sulla paralisi rivoluzionaria post 1939, discendono molte scelte obbligate alle quali la CNT risponde in modo differenziato, ma in fin dei conti convergente. Dove CNT e UGT hanno più o meno la stessa forza e trovano un accordo operativo, come nel Levante e nelle Asturie, la socializzazione dell’economia procede relativamente bene ed è garantita una certa stabilità complessiva.
Ciò accade anche perché il PCE , pur in crescita, ha notevoli difficoltà a imporre la propria egemonia sul piano militare, economico, politico. Inoltre, l’influenza di una tendenza anarcosindacalista moderata a Valencia, quella denominata treintista, e la lunga attitudine di collaborazione fra i due sindacati, nonché il realismo, per così dire, degli anarchici asturiani, favoriscono il maggior peso sindacale unitario rispetto a quello dei partiti politici. Dove la CNT si trova in netta minoranza e domina invece la UGT , come a Madrid, nella Castiglia del sud e in Estremadura, si registra il fatto che, in conseguenza della lotta armata iniziata nel luglio, il sindacato socialista perde porzioni consistenti di terreno che vengono occupate dalla CNT da un lato e dal PCE dall’altro. Dove il potere di fatto degli anarchici è maggioritario nel luglio 1936, in Aragona e Catalogna, si assiste a un progressivo indebolimento dell’anarcosindacalismo a favore di uno sviluppo prepotente dei comunisti filostaliniani. Altre situazioni regionali (Andalusia, Paesi Baschi) vedono l’intrecciarsi degli elementi ora considerati, con la significativa eccezione di Malaga dove la CNT si impone con la forza fino alla caduta della città nel febbraio 1937.
In sostanza, a livello nazionale la discussione sulla partecipazione o meno al governo attraversa varie fasi: dopo l’iniziale diffidenza e la ricerca di alternative in base a un’intesa CNT – UGT , si passa ad accettare l’ingresso in un governo che assuma il nome di Consejo Nacional de Defensa, per arrivare infine, nell’ottobre 1936, alla sottoscrizione di un accordo con il governo esistente per un rimpasto che prevede l’entrata in forze di esponenti della CNT – FAI .
Assume un interesse particolare la ricostruzione di questo complesso e sofferto passaggio da un rifiuto di principio a un consenso politico «realistico».
Senza seguire tutte le tappe (studio che richiederebbe un approfondimento qui improprio), occorre segnalare come lo scivolamento verso la partecipazione al governo si fondi sul tentativo di affrontare alcuni dati di fatto: le richieste di armi e munizioni delle milizie della CNT venivano regolarmente respinte dagli appositi organi governativi; la necessità di riconoscimenti e aiuti internazionali alla Repubblica, in particolare da parte delle democrazie francese e inglese, passava per la costituzione di un organismo rappresentativo delle forze in campo e in grado di ottenere l’obbedienza da tutte le componenti; l’eventuale non occupazione dei posti di potere per motivi ideali significava lasciare ad altri, in particolare al PCE , uno spazio spropositato e pericoloso per le attività cenetistas e faístas.
In tre Plenum consecutivi del 1936 – il Plenum Nacional delle federazioni locali del 3 settembre, il Plenum Nacional del 15 settembre e infine il Plenum Nacional del 18 ottobre – si manifesta non solo una crescente tendenza «realista» nei confronti del governo repubblicano, ma anche un maggiore spirito di accentramento decisionale negli organi direttivi della CNT . Così il Comité Nacional e il suo segretario cambiano le modalità di elezioni, e se prima questi erano designati da una Federación scelta da un congresso, adesso si istituisce la nomina di delegati permanenti delle federazioni regionali e di membri amministrativi (leggi burocrati) specializzati. Secondo C.M. Lorenzo, queste tappe sono conquiste personali della tenacia di Horacio Prieto, segretario del Comité e padre dell’autore, e alla fine del processo di centralizzazione «la CNT estaba dotada de un organismo central, complejo y eficaz, liberado de la presión de militantes locales» [3].
Una volta superata l’impasse costituita dalla «carencia total de realismo» e da «prejuicios morales y políticos», il problema è solo quello di ottenere una rappresentanza che sia all’altezza della forza confederale [4] . Largo Caballero propone un ministero simbolico, senza portafoglio, ma la contrattazione a Barcellona con il presidente della Repubblica Azaña e con l’ex presidente del Consiglio, José Giral, porta all’ottenimento di quattro ministeri di un certo rilievo. L’opposizione di Largo Caballero verso l’illegale FAI viene vinta, secondo Lorenzo, grazie a una battuta di Horacio Prieto, secondo cui la stessa clandestinità dell’organizzazione esclude di poter considerare militanti della FAI due personaggi pubblici come Federica Montseny e Joan García Oliver, candidati rispettivamente alla Sanità e alla Giustizia. Gli altri due candidati sono dell’area ex treintista: Joan Peiró destinato all’Industria e Juan López al Commercio.
Vengono presi contatti anche con Pestaña, destinatario naturale di un simile incarico in quanto leader del Partido Sindicalista, formazione che aveva aderito al Frente Popular e si era presentata alle elezioni del 1936. Il Partido Sindicalista era stato fondato, tra accese polemiche, proprio per dare uno sbocco istituzionale alla base popolare antistatale e ribelle, cioè anarcosindacalista. Ma pare che egli declini l’invito per motivi di tattica politica. Dopo essere rientrato nella CNT e aver avuto incarichi di rilievo, muore nel dicembre 1937.
Come vengono scelti i quattro rappresentanti destinati a un incarico che segna una svolta epocale nella storia dell’anarcosindacalismo spagnolo? Il Comité Nacional della CNT avrebbe approvato la lista preparata dal segretario Horacio Prieto sulla base della rappresentatività effettiva delle tendenze prevalenti nel movimento libertario. In questo senso, con la presenza della Montseny e di García Oliver si intendeva coinvolgere il faísmo più radicale che, rifiutando la collaborazione governativa, avrebbe potuto causare seri problemi all’organizzazione e alla linea del suo segretario. Sembra che entrambi abbiano dato una prima risposta sdegnata e del tutto negativa all’offerta di Horacio Prieto, ma pare che dopo una riflessione abbiano accettato per motivi diversi: la prima dopo aver ottenuto l’approvazione al padre Federico Urales, il secondo per continuare da un posto centrale la sua funzione di «controllore» già svolta a Barcellona quale segretario generale della Difesa presso la Generalitat.
A parte le polemiche personali, che termineranno solo con la morte dei protagonisti, le ragioni degli uni e degli altri vanno considerate con attenzione per comprenderne le ragioni di fondo. I sostenitori dell’intervento al governo ritengono che la rivoluzione sociale libertaria nella Spagna della guerra sia semplicemente impossibile. Malgrado decenni di preparazione e di speranza nella rottura dell’ordine borghese e nella forza del popolo e delle sue avanguardie anarchiche, esiste una generale impreparazione e una netta inferiorità rispetto al livello indispensabile per tentare lo sbocco rivoluzionario. Troppo debole è la presenza nelle file libertarie dei tecnici in grado di far funzionare la macchina produttiva, troppo pochi i lavoratori rurali e gli stessi operai, che rispondono solo parzialmente ai progetti iniziali della CNT – FAI.
La sicura opposizione delle potenze straniere a un’eventuale radicalizzazione rivoluzionaria in Spagna, con il conseguente attacco alle loro proprietà industriali e commerciali, ostacolerebbe in modo insuperabile ogni consolidamento attraverso il boicottaggio economico prima e un più che probabile intervento armato repressivo poi. A complemento si indica la necessità di «salvare il salvabile», cioè consolidare le realizzazioni collettiviste, ottenere l’armamento delle milizie confederali, difendere le attività di emancipazione pratica dai tradizionali poteri forti clericali e militari solo temporaneamente emarginati. Dai posti di governo tutta questa strategia di rafforzamento, o quanto meno di non indebolimento, degli strumenti e delle iniziative in corso avrebbe tratto sicuro giovamento. Sullo sfondo ci sarebbe inoltre il desiderio popolare di vedere in atto una vera unità in nome dell’antifascismo, il che significa condurre la guerra contro i golpisti con mezzi militari efficaci e senza dissidi interni.
Le ragioni degli oppositori alla partecipazione governativa richiamano, evidentemente, le basi storiche ed etiche dell’anarcosindacalismo e ancor più dell’anarchismo specifico. Mentre la UGT socialista, dalla sua nascita nel 1888, indicava ai lavoratori sfruttati la via parlamentare e riformista, la CNT aveva proposto il metodo dell’azione diretta antipadronale e antistituzionale. Non si tratta, secondo questa ottica, di una pura e semplice riproposizione di scelte tradizionali, bensì della loro concretizzazione nella situazione spagnola di quegli anni. Le conquiste del luglio 1936 si possono salvare e ampliare se ci si continua a organizzare al di fuori e contro un apparato statale che ha dimostrato in pieno la propria inefficienza lasciando la possibilità ai generali di compiere il golpe, rimanendo quasi inerte dopo il 18 luglio e faticando a far funzionare la macchina burocratica. Quello sarebbe quindi stato il momento migliore per assestare un colpo definitivo al secolare nemico dell’anarchismo invece di aiutarlo nella ricostruzione dei suoi strumenti. La coerenza con la propria propaganda pluridecennale significa anche non sconvolgere le coscienze antistatali di gran parte degli aderenti così da tenere vivo lo slancio vittorioso del 19 luglio 1936. Solo una forte strutturazione della CNT – FAI , al di fuori e contro gli antifascisti moderati e autoritari, potrebbe garantire alla militanza di base e alle classi sfruttate l’arrivo del momento delle conquiste concrete: la liberazione dallo sfruttamento e dall’oppressione. Molti problemi pratici, dalla carenza di armi ai boicottaggi delle collettività, si potrebbero risolvere con atti di coraggio e di audacia, d’altra parte indispensabili in ogni rivoluzione vera e propria. Ad esempio, invece di chiedere al governo di concedere gli armamenti necessari alle milizie, soprattutto in Aragona, si tratta di entrare nelle caserme della Guardia Civil e delle Guardias de Asalto per prendersele con le buone o con le cattive.
Una volta compiuta, l’entrata al governo avrebbe comportato lo snaturamento del carattere dell’organizzazione introducendo il «veleno del potere» nei militanti cosiddetti «influenti», i quali avrebbero imitato gli altri politici e, prima o poi, avrebbero convertito la CNT in un sindacato come gli altri e la FAI in un partito. I passi obbligati di un tale processo sarebbero stati l’accentramento decisionale al vertice e l’abolizione delle pratiche federaliste e autonome delle istanze locali, dai gruppi alle sezioni. Al contrario, solo il «buon senso» dei militanti di base avrebbe potuto garantire che la degenerazione burocratica e ministeriale restasse al di fuori dell’ambito libertario e che la spinta rivoluzionaria non si esaurisse, anzi si potenziasse mostrando al popolo i reali cambiamenti sociali ottenibili attraverso l’egualitarismo e l’autorganizzazione. Dall’evidente realizzazione degli obiettivi e dal miglioramento effettivo delle condizioni di lavoro e di vita sociale sarebbe scaturita nuova forza dal popolo per sostenere lo sforzo bellico senza cadere nella militarizzazione e nella imposizione di una nuova gerarchia [5].
La posizione rispetto alla scelta istituzionale segna anche la differenziazione tra due opposti modi di esaminare la questione centrale delle milizie, le strutture armate che hanno sostenuto vittoriosamente lo scontro iniziale del 19 luglio. Nel confronto tra chi sostiene, o accetta come inevitabile per non soccombere, la partecipazione al governo e chi la rifiuta per motivi di principio e di convenienza strategica, emergono le ragioni di chi approva o osteggia la trasformazione delle iniziali organizzazioni della lotta armata (le milizie) in una struttura militare tutto sommata tradizionale (l’esercito) anche se sotto il segno della difesa della Repubblica.
Note al capitolo
[1] C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles…, cit., passim.
[2] H. Rüdiger, Materiales para la discusión sobre la situación española en el Pleno de la AIT del día 11 de junio de 1937, p. 6, citato da J. Casanova, De la calle…, cit., p. 177.
[3] C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles…, cit., p. 185.
[4] Ibidem.
[5] V. Richards, Insegnamenti della rivoluzione spagnola (1936-1939), Vallera, Pistoia, 1974, passim.