Il bitcoin è sinonimo di miseria per El Salvador

Scritto di José Alfredo Alfaro Alemán, membro del Comitato Editoriale e Scientifico della “Revista Anarquista Machete”.
Tradotto dal Gruppo Anarchico Galatea-FAI Catania
Revisionato da Elena Z.

El Salvador, America Centrale.
El Salvador è un paese prevalentemente rurale, la cui base economica dipende in larga misura dalle rimesse [1], dal settore dei servizi, dal subappalto dei salari per le grandi imprese e dal commercio informale. Ha una popolazione di oltre sei milioni e mezzo di persone che vivono stipate in un’area di 21.000 chilometri quadrati.

La maggioranza di loro si trova alle soglie dell’estrema povertà e della malnutrizione, senza accesso ai servizi di base come la salute, l’istruzione e l’occupazione, vulnerabile alla repressione da parte dello Stato salvadoregno, delle istituzioni poliziesche e militari e al fenomeno delle “maras” [2] o bande.

Dalla metà del XIX secolo, nel paese si sono succedute élite commerciali al potere che hanno usato le casse dello Stato per condurre affari privati. All’inizio del secolo scorso si è assistito alla privatizzazione delle terre comunali e degli ejidos [3], a cui è seguito un militarismo dittatoriale tecnocratico-riformista negli anni Cinquanta, che è culminato in una guerra civile durata più di dodici anni.

Infine, all’inizio del XXI secolo, [vi è stato] un periodo violento segnato dalla privatizzazione delle imprese nazionali, della sanità, delle comunicazioni, dell’istruzione, l’imposizione del dollaro statunitense come moneta legale e l’emergere di gruppi criminali o maras finanziati da questi governi.

Come se la situazione socio-economica non potesse ulteriormente peggiorare, il nuovo governo conosciuto a livello mondiale per avere a capo il “presidente più figo dell’America Latina”, un megalomane e mitomane che proviene dai settori più recalcitranti del militarismo e dell’imprenditoria privata – la cui piattaforma di governo comprende i rancorosi e gli espulsi dai partiti tradizionali della sinistra neoliberale, la destra ortodossa tradizionale e i gruppi paramilitari sopravvissuti alla guerra che erano stati sciolti con gli accordi di pace del 1992 -, ha punito ancora una volta la popolazione salvadoregna con l’imposizione del bitcoin come moneta legale, obbligando le aziende e le piccole imprese ad accettare questa moneta virtuale e, approfittando dello stato di necessità della maggioranza povera, l’ha convinta ad aprire un portafoglio virtuale a cui, chiunque ne abbia bisogno, può accedere attraverso un’applicazione telefonica nota come “Chivo Wallet”, permettendosi di affermare di aver “regalato” 30 dollari per incoraggiarne l’uso massiccio tra la popolazione.

La gente, che in media ha un accesso limitato all’istruzione, fatica a comprendere l’inganno, ma questo denaro “regalato” proviene da un pesante investimento di miliardi di dollari prelevati dalle casse pubbliche e realizzato dal partito “Nuevas Ideas” (guidato dalle stesse élite tradizionali che in passato si sono arricchite con la corruzione delle istituzioni e delle politiche pubbliche) nell’acquisire qualche centinaio di monete virtuali che, giorno dopo giorno, si degradano e perdono valore.

Ora quei milioni investiti in bitcoin andranno a peggiorare la situazione fiscale, che attualmente ha un rapporto debito/PIL dell’85%, rendendo il debito del paese perenne per tutte le generazioni future.

Mentre il presidente fa sognare il popolo con l’estrazione di bitcoin dall’energia geotermica del vulcano Conchagua nella parte orientale del paese, sostenendo che le criptovalute raggiungeranno un tale valore nel mercato internazionale da farci uscire dalla povertà, che le sue politiche improvvisate in materia di sicurezza porranno fine alle “maras”, eccetera eccetera; la popolazione fa lunghe file fuori dall’unico ospedale specializzato della capitale e dai centri sanitari locali, vaga per le piazze senza lavoro o semplicemente lavora fino a 12 ore al giorno per 7 miserabili dollari, e alla fine sono queste persone a pagare la dura crisi a cui ci ha portato l’avventura privata con denaro pubblico del presidente della grande “N”.

El Salvador è un Paese dissanguato da queste classi di élite commerciali, che ogni cinque anni cambia colore e facce, ma al cui interno va avanti lo stesso imbroglio da più di duecento anni: lo Stato salvadoregno è diventato un’impresa, a cui può partecipare solo chi può permettersi di spendere milioni di dollari in pubblicità per far credere di portare il popolo nella direzione giusta, usando la paura, il bisogno e la miseria come arma politica – come fa l’attuale governo di Nayib Bukele e le sue “Nuevas Ideas”.

Note dei traduttori
[1] La rimessa estera è un trasferimento unilaterale di denaro verso l’estero, effettuato da un lavoratore straniero a beneficio di un altro individuo residente nel suo paese di origine (in genere familiari, parenti, o amici).

[2] Le “maras” o “marabuntas” sono delle bande criminali nate negli Stati Uniti e diffuse in Centro-America (in particolare El Salvador, Honduras e Guatemala)

[3] L’ejido è un tipo di fondo agricolo della legislazione messicana, associato principalmente alla riforma agraria rivoluzionaria del 1915. Il terreno è di uso collettivo, indivisibile e senza possibilità di essere venduto o ereditato. Questa formula dell’ejido è stato adottato anche da altri paesi centro-americani, El Salvador compreso.

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