I muri contro l’invasione

Dopo l’annuncio di Putin sulla mobilitazione per la guerra in Ucraina, più di 17.000 persone hanno varcato il confine con la Finlandia.

La propaganda politica finlandese, complice la recessione economica nel paese scandinavo, si è mossa nell’immediato, presentando l’arrivo di queste persone come una possibile fonte di destabilizzazione sociale interna.

Dal mese di Settembre dello scorso anno, le autorità finniche hanno rilasciato delle dichiarazioni pubbliche sulla costruzione di una recinzione lungo il confine russo – in modo da impedire gli attraversamenti illegali.

Tra la fine di Febbraio e gli inizi di Marzo di quest’anno, la Guardia di frontiera finlandese ha annunciato l’inizio della costruzione di questa struttura lunga 200 chilometri, alta 3 metri e dotata di filo spinato e telecamere di sorveglianza. Secondo le autorità finlandesi, la recinzione sarà completata in due-tre anni, per un costo di circa cento milioni di euro.

Il caso finlandese si inserisce in un contesto più ampio dove i paesi dell’area Schengen, complice la crisi economica odierna e le varie destabilizzazioni sociali in corso, avvallano progetti e costruzioni di queste strutture atte a bloccare, criminalizzare e uccidere delle persone che fuggono da guerra e miseria.

La recinzione come protezione dell’Europa

Alla fine degli anni 2010, il numero di persone migranti in Grecia era iniziato a salire; la stragrande maggioranza di queste persone erano fuggite dai conflitti militari in Afghanistan e Iraq e dall’instabilità politica generale africana e mediorientale.

Il governo greco ha risposto al massiccio afflusso di migranti costruendo una recinzione alta tre metri e con filo spinato lungo il confine con la Turchia. La costruzione di questa struttura è avvenuta in concomitanza con le elezioni parlamentari del 2012; all’epoca, il primo ministro in carica, Antonis Samaras di “Nuova Democrazia” (ND), fece una campagna elettorale sulla necessità di riprendersi” le città greche dai migranti considerati dei “tiranni.”

A fargli eco vi era stata anche “Alba Dorata” che, in quel periodo, ottenne numerosi voti grazie alle campagne di odio e di violenza contro le persone migranti.

Il progetto della recinzione era stato oggetto di critiche da parte di numerosi gruppi di compagnu e non. A Febbraio del 2011, migliaia di persone manifestarono ad Atene contro la costruzione della struttura; vennero represse dalla polizia e colpite dalle pietre lanciate dai militanti fascisti di “Alba Dorata”. Un anno dopo questa manifestazione, il ministro della Protezione Civile Christos Papoutsis si era recato nelle vicinanze del villaggio di Kastane – in cui sorge una parte della recinzione al confine greco-turco-, per annunciare, a livello mediatico, che i trafficanti di esseri umani non potevano usare più la rotta greco-turca. Il ministro greco, in quel momento, venne contestato da circa 40 persone che denunciarono come la recinzione fosse un’aperta violazione ai diritti umani.

Nonostante la grave crisi finanziaria e le misure di austerità in Grecia, la recinzione, lunga 12,5 chilometri, era costata circa 3,2 milioni di euro. Il governo greco aveva esteso il muro di altri 40 chilometri dopo l’ascesa al potere dei Talebani in Afghanistan. In quel contesto, l’attuale ministro della Protezione Civile Takis Theodorikakos, aveva affermato che per proteggere le frontiere dell’Europa, vi era “bisogno del sostegno… dell’opinione pubblica europea, dell’Unione Europea stessa e dei suoi singoli membri”.

Una tendenza tutta europea

Dopo la caduta del Muro del Berlino, sembrava che in Europa non dovessero sorgere altri muri o strutture di contenimento. Tutto questo iniziò a cambiare con i primi arrivi massivi di persone impoverite – in particolare persone non bianche e provenienti dall’Africa e dall’Asia Centrale.

Tra il 1993 e il 1996 la Spagna aveva iniziato a costruire delle recinzioni intorno alle enclavi di Ceuta e Melilla. Nel corso dei decenni, queste recinzioni sono state ampliate e rinforzate e, allo stato attuale, si estendono per quasi 8 km intorno a Ceuta e 13 km intorno a Melilla.

A partire dalla fine degli anni ‘90 fino ad oggi, Francia e Regno Unito hanno costruito congiuntamente delle barriere intorno all’ingresso del tunnel della Manica, situato nel porto francese di Calais. In particolare, nel biennio 2015-2016 il Regno Unito ha finanziato la costruzione di una recinzione lunga 11,5 km – e che coprirà 65 kmin tutto.

Tra il 1999 e il 2022, la Lituania ha costruito ed esteso due recinzioni: la prima, lunga 502 km, al confine con la Bielorussia; la seconda, lunga 45 km, intorno a Kaliningrad.

Ma è a partire dalla costruzione della recinzione in Grecia nel 2012 che molti Paesi europei hannofatto il “salto di qualità”.

Nel 2013, durante la guerra in Siria, la Bulgaria aveva annunciato la costruzione di un muro al confine con la Turchia. Dal 2015, paesi come Ungheria, Slovenia e Austria costruivano, ai loro confini, dei muri per fermare l’arrivo delle persone migranti.

Attualmente vi sono 1535 km di recinzioni su 12033 km di confini rivolti all’esterno dell’area Schengen. Circa il 13% dei confini dell’Unione Europea sono recintati.

In questa fase, i Paesi europei hanno speso centinaia di milioni di euro per costruire queste strutture: solo nel 2021, la Grecia e la Lituania hanno richiesto all’Unione Europea oltre 210 milioni di euro per la costruzione di recinzioni ai confini con la Turchia e la Bielorussia.

La spesa sostenuta per la costruzione e il mantenimento di queste recinzioni, viene presentata a livello mediatico dal mondo politico e capitalistico come una sicurezza e difesa verso la popolazione e anchedell’economia locale.

Le recinzioni e le esportazioni.

Nel campo delle esportazioni internazionali, le imprese affrontano una serie di costi aggiuntivi; quelli più evidenti derivano dal trasporto dei prodotti e dalle politiche commerciali tra gli Stati che comprendono le tariffe doganali, il cambio di valuta e le differenze culturali – tutti fattori che possono ridurre la velocità delle transazioni. In tal senso si rendono indispensabili delle misure e accordi tra gli Stati affinchévengano supportate le esportazioni.

Secondo certi analisti 1, le infrastrutture di contenimento come muri e recinzioni possono avere delle conseguenze negative sul trasferimento delle merci (rallentamento dei mezzi di trasporto e una possibile loro deviazione in altri punti di ingresso meno affollati), oltre a far crollare la domanda lavorativa (come accaduto nel caso statunitense-messicano con la costruzione del muro al confine2).

La realtà, invece, è come le recinzioni e muri ai confini servano soltanto a schedare ed impedire il passaggio di persone considerate impropriamente “illegali” ed utilizzare delle risorse statali per la manutenzione e la creazione di punti di ingressi specifici. Il cosiddetto e supposto danno commerciale è irrisorio; i profitti delle aziende che esportano e commerciano all’estero sono nell’ordine dei milioni di euro – senza contare il supporto e sostegno ricevuto da parte di agenzie statali specifiche come le “Export Credit Agencies”.

Per un discorso di consenso elettorale, protezione di aziende esportatrici (specie se energetiche e semi-statali) e di gestione manutentiva privata delle infrastrutture di contenimento, il mondo politico ritiene che i muri e/o le recinzioni siano un compromesso più che conveniente.

Poco importa a costoro se vengono respinte e/o lasciate morire delle persone che vogliono entrare in un territorio specifico

Come muoiono migliaia di persone migranti

La principale conseguenza dei muri è l’elevato rischio per le persone migranti nell’attraversare i confini. Private della possibilità di entrare legalmente in Europa – specie per gli accordi di contenimento concordati con paesi che si affacciano sul Mediterraneo come la Libia -, queste persone si affidano ad organizzazioni criminali pronti a sacrificarle in rotte terrestri e marittime pericolose.

Nei soli primi tre mesi del 2023 si sono verificati gravi incidenti: in Bulgaria, ad esempio, 18 uomini afghani sono morti soffocati in uno scomparto nascosto di un camion e in Italia quasi 80 persone sono morte in due naufragi.

Il “Missing Migrants Project” raccoglie i dati sulle persone migranti morte e disperse che cercano di raggiungere i Paesi europei. La maggior parte degli incidenti avviene nel Mar Mediterraneo dove le persone migranti tentano di navigare dal Nord Africa verso paesi come Spagna, Italia, Grecia, Bulgaria, Malta e Cipro. Il viaggio in mare su gommoni e altre imbarcazioni poco sicure possono durare giorni, rendendo la rotta migratoria pericolosa.

Dal 2014 nel Mar Mediterraneo sono scomparse più di 26 mila persone

Clicca l’immagine per accedere al sito di “Missing Migrants Project”

Ma non vi è solo il Mediterraneo. Le persone migranti usano il confine polacco-bielorusso e la “rotta balcanica” per entrare in Europa.

Come riportato in questo blog, dall’Agosto 2021 migliaia di persone migranti provenienti da Iraq, Siria e Yemen sono arrivate in Bielorussia, con l’obiettivo di raggiungere l’Unione Europea attraverso il confine con la Polonia. “Fronstory” ha mostrato che Alexander Lukashenko e i suoi accoliti abbiano messo in piedi uno schema per attirare le persone migranti con false promesse di ingressi facili nell’Unione Europea e, successivamente, abbandonarli al confine con la Polonia.

Con una tale situazione del genere, i paesi confinanti con la Bielorussia (Lettonia, Lituania e Polonia) hanno iniziato a costruire delle recinzioni volte a bloccare i flussi, mentre le persone migranti hanno cercato in ogni modo di oltrepassare le recinzioni, anche a costo di ferirsi, perdersi nelle foreste o nelle paludi, rimanere senza acqua e cibo e andare incontro a morte certa.

Analogo discorso avviene nei Balcani dove il muro costruito al confine tra Serbia e Ungheria nel 2015 non ha impedito alle persone migranti di trovare nuove vie, anche pericolose e rischiose per la loro incolumità fisica. Le stesse ONG presenti sul campo denunciano lo stato repressivo e criminale dei governi locali (specie ungherese) e della stessa Unione Europea nel chiudere le porte verso delle persone che fuggono da povertà e guerra – spingendole a morte certa.

I veri criminali

Le autorità statali (europee e non) consci che i flussi migratori non possono essere impediti da una recinzione, da un muro o da una qualsiasi struttura di contenimento ai confini, trattano la questione come se fosse un insieme di azioni individuali manovrate da gruppi criminali. La costruzione di recinzioni e muri sono, per la classe dominante, degli strumenti economici e di propaganda politica celebrati come ultima difesa o baluardi contro “coloro che vogliono invadere volutamente un territorio civile ed economicamente avanzato”.

Le cause del fenomeno migratorio derivano, spesso e volentieri, da crisi economiche, conflitti armati e/o territori pesantemente sfruttati a livello economico (prodotti agroalimentari, energetici e minerari). In zone come l’America Latina, l’Africa, parte del Medioriente e l’Asia Centrale – luoghi da cui provengono la stragrande maggioranza delle persone migranti -, sono onnipresenti le aziende europee, statunitensi, cinesi e russe con la compiacenza e la partecipazione attiva dei governi e aziende locali.

Per una buona parte della popolazione di quelle zone, vivere in simili contesti significa condurre una vita di indigenza, rischiare la vita quotidianamente tra incidenti lavorativi, essere oggetti di persecuzione poliziesca o pallottole vaganti e bombardamenti in caso di conflitto armato. Procurarsi un visto o un passaporto non è sempre una cosa facile visto i livelli di corruzione e lungaggini burocratiche o, in caso di guerre guerreggiate, di eventuali mobilitazioni militari. L’unica opzione che rimane a costoro è quello di migrare fuori da questi territori in modo non legale, cercando di giungere in una terra pacificata, ricca e tranquilla come sono, secondo l’immaginario di questi individui, il NordAmerica e l’Europa Centrale e Scandinava.

Arrivare nelle destinazioni citate, però, non è una cosa così semplice. Nel mondo tracciato da confini e gestito da burocrazie e controlli telematici, chi vuol entrare in modo “illegale” rischia pesantemente la vita tra l’assideramento e l’inedia nelle foreste e montagne, l’annegamento in mare e le violenze di organizzazioni criminali e poliziesche di frontiera.

Alla luce di tutto questo, risulta chiaro e nitido come i veri criminali non siano le persone migranti ma una componente politico-economica che, in nome dello sfruttamento e della devastazione capitalistica, mantiene in vita un sistema mortifero e nefasto.

Note

1Vedere John McCallum, “National Borders Matter: Canada-U.S. Regional Trade Patterns”, The American Economic Review, Vol. 85, No. 3, Giugno 1995, pp. 615-623; Tomas Havranek e Zuzana Irsova, “Do Borders Really Slash Trade? A Meta-Analysis”, IMF Economic Review, volume 65, Giugno 2017, pp. 365–396; David B. Carter e Paul Poast, “Barriers to Trade: How Border Walls Affect Trade Relations”, Cambridge University Press, vol. 74, No. 1, Gennaio 2020, pp. 165-185

2I lavoratori messicani che lavorano “legalmente” negli Stati Uniti, in particolare in Texas, devono attraversare quotidianamente i punti di controllo della polizia di confine. Le perquisizioni e i monitoraggi da parte delle forze dell’ordine per cercare i clandestini sono lunghi e anche pesantemente discriminatori. L’arrivo in ritardo sui posti di lavoro comporta per questi lavoratori una perdita economica non indifferente. Tutta questa situazione ha fatto sì che il flusso di migranti lavoratori “legali” sia diminuito drasticamente, facendo lamentare non poco le amministrazioni comunali texane a ridosso del confine messicano. Per maggiori approfondimenti, vedere David B. Carter e Paul Poast, “Barriers to Trade: How Border Walls Affect Trade Relations”, Cambridge University Press, vol. 74, No. 1, Gennaio 2020, pp. 165-185

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Potevamo, ripetevamo: come la guerra è diventata l’idea nazionale della Russia – Seconda Parte

Prima Parte

Gli anni ’90: alla ricerca di un nuovo significato

Nell’anniversario della fucilazione della famiglia reale, il 17 luglio 1993 fu inaugurato a Pushkin, vicino a San Pietroburgo, un monumento a Nicola II. La memoria dell’ultimo imperatore russo è stata attivamente ravvivata in Russia a partire dai primi anni Novanta. All’epoca, molti vedevano la monarchia come una delle alternative, sia storiche che politiche, al periodo sovietico. Il monumento successivo fu commissionato dall’imprenditore di Pushkin, Sergei Rogov. Tre anni dopo, sulla pietra apparve un’iscrizione: “Questo monumento è stato inaugurato il 4/17 luglio 1993. Eretto dall’industriale e mecenate russo Sergei Rogov, innocentemente assassinato a Tsarskoye Selo il 6/19 novembre 1996”.

Busto di Nicola II a Pushkin, eretto nel 1993

Rogov commerciava in gas liquefatto e prodotti petroliferi ed era amico di Shamil Tarpischev, allenatore di tennis e amico di Boris Eltsin. Si ritiene che questa conoscenza abbia aiutato Rogov a diventare proprietario della Tobolsk Petrochemical Combine. A Mosca, Rogov fu patrocinato e aiutato dalle conoscenze di Dmitri Filippov, un ex leader della nomenklatura sovietica e del Komsomol, che divenne capo del servizio fiscale di San Pietroburgo all’inizio degli anni Novanta. Nel 1996 Rogov fu ucciso a Pushkin. Due anni dopo, anche Filippov fu assassinato: si fece saltare in aria nell’ingresso della sua casa a San Pietroburgo. La Tobolsk Petrochemical Combine divenne presto parte di Gazprom. Ma il monumento all’ultimo imperatore russo si trova ancora oggi a Pushkin, retaggio di un’epoca turbolenta e travagliata.

Targa sul monumento a Nicola II a Pushkin

Questa storia criminale e commemorativa è altamente indicativa sulla situazione che si è sviluppata in Russia nei primi anni Novanta nel campo della “politica commemorativa”. Il crollo del comunismo ha portato ad un decentramento della narrazione commemorativa, mettendo in discussione il monopolio delle autorità sull’enunciazione simbolica. Il numero di attori della politica della memoria è aumentato costantemente. Tra questi vi erano singoli uomini d’affari, come nell’esempio precedente, la Chiesa ortodossa russa, le associazioni dei veterani, che dalla fine degli anni ’80 commemoravano la guerra in Afghanistan, i partiti politici e persino i club di interesse (o per hobby, ndt). Così, nel 1992, le azioni dei tifosi dello “Spartak” hanno portato all’apertura di un memoriale nello stadio Luzhniki di Mosca in onore dei tifosi morti [a causa del crollo delle scale dello stadio] durante la partita del 1982 tra il club sovietico e gli olandesi dell’Haarlem.

Nel 1990 era stata inaugurata in Piazza Lubyanka, a Mosca, la “Pietra di Solovetsky”, un monumento commemorativo sulla repressione politica in URSS [- piazza] che fino a poco tempo prima portava il nome di Felix Dzerzhinsky e all’epoca ospitava ancora la statua del fondatore della Cheka. Si trattava di un’iniziativa della società “Memorial”, che coordinava numerose e disparate associazioni regionali dedicate alla memoria delle vittime della repressione sovietica. All’epoca monumenti simili erano già apparsi in molte città. Ad esempio, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, nel cimitero Levashovsky di San Pietroburgo furono eretti numerosi monumenti e croci in memoria delle vittime degli anni ’30. In Carelia, nel tratto di Sandarmoh, [famoso] luogo di fucilazioni di massa durante il terrore staliniano, alla fine degli anni ’80 era iniziata una ricerca dei luoghi di sepoltura, culminata nella creazione di un memoriale. E a Pushkin, in un luogo dove [erano avvenute] le esecuzioni tedesche nel 1941, un monumento di Vadim Sidur venne eretto in memoria delle vittime ebree.

Installazione della pietra di Solovetsky, 26 Ottobre 1990. Dietro, il monumento a Dzerzhinsky, smantellato durante gli eventi dell’agosto 1991.
Archivio internazionale della memoria*.

Un’altra caratteristica della politica commemorativa della nuova Russia è la lotta contro l’eredità sovietica. Alle città e alle strade sono state restituite i nomi pre-rivoluzionari. Alcuni monumenti sono stati rimossi o spostati dal centro delle città alla periferia, come è successo con il monumento a Dzerzhinsky alla Lubyanka dopo il putsch dell’Agosto 1991. Tuttavia, non bisogna sopravvalutare la portata di questa de-comunistizzazione: la stragrande maggioranza dei monumenti ufficiali sovietici è rimasto al suo posto. Anche i dibattiti, seppur accesi, su cosa fare della salma di Lenin e del Mausoleo, non hanno portato ad un consenso russo su questo tema. Anche la commemorazione della Grande Guerra Patriottica non è scomparsa, sebbene la sua commemorazione sia stata su scala minore, con l’erezione di piccoli monumenti e targhe fino al 1995.

All’inizio degli anni ’90 il governo federale era alla ricerca disperata di figure autorevoli e soggetti eroici per la nuova era. Ha flirtato con il monarchismo, si sono spese molte energie per cercare e seppellire i resti della famiglia imperiale, si è cercato di reinterpretare l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre e si è ribattezzato il 7 Novembre da Grande Giornata della Rivoluzione Socialista d’Ottobre a Giornata della Concordia e della Riconciliazione, si è lavorato con il “Memorial” e la memoria della repressione sovietica. Parallelamente, nelle regioni si sono cercati eroi per i nuovi tempi. A Irkutsk, ad esempio, si è cercato di far rivivere la memoria dell’Ammiraglio bianco Kolchak, fucilato in quella città. All’inizio degli anni ’90, Vladimir Daev, direttore dell’Irkutskpischeproma (azienda alimentare, ndt), ebbe addirittura l’idea di produrre una nuova marca di birra chiamata “Ammiraglio Kolchak”; le processioni in chiesa nel giorno in cui l’ammiraglio fu fucilato divennero una tradizione cittadina e nel 2004 fu eretto un monumento a lui dedicato. Il sud della Russia e il Caucaso settentrionale sono stati teatro di una lenta lotta per la memoria: da un lato, il ricordo dei cosacchi, dall’altro, le azioni brutali delle truppe russe durante la guerra del Caucaso. In Estremo Oriente sono stati eretti i monumenti agli atamani, ai pionieri Yerofey Khabarov, Pyotr Beketov e ai cosacchi – che furono i primi coloni di Blagoveshchensk.

Tra le figure simboliche che all’epoca dovevano assumere il ruolo di eroi principali della nazione c’erano Pushkin, Georgy Zhukov, Dmitrij Donskoy, Kutuzov e una schiera di santi e martiri ortodossi. Tutti questi tentativi non hanno avuto particolare successo, tranne, forse, la rinascita della memoria di Aleksandr Nevskij: nel periodo post-sovietico sono stati eretti in tutto il paese non meno di tre decine di grandi monumenti a lui dedicati. Il culto di Nevskij nella Russia post-sovietica è molto legato al libro di Lev Gumilev, “Ancient Rus and the Great Steppe” (1989), in cui il principe veniva presentato come il salvatore dell’Antica Russia e un combattente per l’indipendenza del Paese. L’autore gli attribuisce le caratteristiche simboliche di Pietro il Grande. Per inciso, anche il primo imperatore russo si è rivelato un oggetto della “politica commemorativa”; la sua immagine è stata replicata e gonfiata con un nuovo tono che mescolava echi del culto stalinista di Pietro il Grande e discorsi su una “nuova” Russia di stampo occidentale. Alla fine l’imperatore è stato immortalato in un grandioso monumento di Zurab Tsereteli sul fiume Moscova nel 1997.

Diverse varianti dei monumenti [dedicati a] Alexander Nevsky

Tutte queste attività erano caotiche e incoerenti. La ricercatrice Maria Lipman ha scritto a tal proposito su questo periodo: “Negli anni ’90, sia lo Stato che parte della società hanno tentato di ripudiare l’identità sovietica, ma le cose erano più difficili con un programma ideologico/simbolico positivo.” Tuttavia, dopo essersi addentrati nel territorio del ricordo delle vittorie militari del passato e aver lavorato sulla commemorazione di figure come Aleksandr Nevskij, le autorità stavano gradualmente trovando la strada verso un nuovo pantheon commemorativo. E gli eroi della Grande Guerra Patriottica occupavano un posto molto importante.

9 maggio 1995. Il Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e il Primo Ministro britannico John Major sono in piedi nell’area riservata agli ospiti, vicino al Mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa. Al Mausoleo stesso si trovano il Presidente Boris Eltsin e i membri della leadership politico-militare della Russia. In questo giorno, per la prima volta nella storia post-sovietica, si svolge la parata del Giorno della Vittoria. Eltsin, in piedi [e vicino] alla tomba del fondatore dello Stato sovietico, ricorda come “i nostri padri, nonni e fratelli hanno lasciato la Piazza Rossa per difendere la libertà e l’indipendenza della Russia” per poi aggiungere: “Le ceneri del malvagio sono sparse, ma Mosca e la Russia resistono e resisteranno per i secoli a venire”. Nella presentazione di Eltsin, la vittoria appare in una nuova forma. Mentre [la commemorazione del Giorno della Vittoria] in URSS simboleggiava il trionfo degli insegnamenti di Lenin, [per Eltsin, in quanto] primo presidente della Russia, [questo evento rappresentava] le basi per il cammino della Russia verso la democrazia e la libertà, nonché l’amicizia e il partenariato con i Paesi dell’Occidente.

Poi è nata una nuova tradizione che non esisteva nell’Unione Sovietica: dal 1995, la Parata della Vittoria si è tenuta ogni anno. Gradualmente è diventata il principale evento commemorativo della Russia post-sovietica. Una ricerca febbrile ha portato il nuovo governo a recuperare la memoria della Grande Guerra Patriottica e, più in generale, a desiderare l’antica grandezza e forza del Paese. Inizialmente le parate si tenevano solo nella capitale, ma gradualmente si sono spostate in altre grandi città: da San Pietroburgo e Grozny a Yakutsk e Vladivostok. Nel 2015 si sono tenute più di 60 parate in tutto il Paese; nel 2022 sono state più di cento.

Nel 2000, Vladimir Putin, parlando al Mausoleo di Lenin, disse: “Cari soldati di prima linea, con voi siamo abituati a vincere. Questa abitudine è diventata parte del nostro sangue e una garanzia non solo per le vittorie militari. Più di una volta ci aiuterà nella vita pacifica, aiuterà la nostra generazione a costruire un Paese forte e prospero, porterà alta la bandiera russa della democrazia e della libertà. Il nostro popolo ha attraversato più di una guerra, ed è per questo che conosciamo il prezzo della pace.”

Per bocca di Putin, il nuovo governo parla di vittoria come di un evento che ha dato alla Russia pace e indipendenza, mentre gli eroi di quella guerra sono stati glorificati come martiri che si sono sacrificati per la democrazia e la libertà. Ma questa lettura si è rivelata di breve durata.

Parata militare a Mosca, 2015

Gli anni 2000: una narrazione eroica senza soluzione di continuità

A metà degli anni Duemila, lo Stato ha iniziato a dichiarare una nuova concezione della storia russa, che potrebbe essere descritta con l’espressione “il buon passato”. Il buon passato è uno spazio storico-ideologico privo di conflitti interni, in cui le diverse figure erano buone o cattive, a seconda della loro fedeltà all’idea di uno Stato forte e unificato. In questa narrazione si allineano figure di epoche storiche diverse: Stolypin e Stalin, Nicola II e Aleksandr Nevskij. Allo stesso tempo, Vladimir Putin stava gradualmente diventando l’attore principale nel campo della “politica commemorativa”. In questo è stato attivamente assistito dalla “Società storica militare russa”, istituita nel 2012, dal ministro della Cultura Vladimir Medinsky (2012-2020) e da altri ideologi meno visibili. È nei discorsi di Putin che viene finalmente formulata la nozione di un passato storico senza soluzione di continuità e senza conflitti, con molti e diversi eroi.

Parlando all’inaugurazione di un monumento al Principe Vladimir fuori dal Cremlino di Mosca nel Novembre 2016, Putin ha detto che [questa figura] “è passata alla storia come un collezionista e difensore delle terre russe, come un politico visionario che ha creato le basi di uno Stato forte, unificato e centralizzato”. Inaugurando un monumento ad Aleksandr Solzhenitsyn nel Dicembre 2018, il presidente ha sottolineato che lo scrittore “distingueva chiaramente tra la Russia autentica, reale e popolare e quella con le caratteristiche del sistema totalitario che ha portato sofferenze e disagi a milioni di persone”. Qualche anno prima, nel discorso di Putin all’inaugurazione del “Centro Eltsin”, il primo presidente della Russia viene dipinto come un uomo che ha adottato la Costituzione del Paese “in condizioni di grave scontro politico” (con questo eufemismo descrive l’assedio della Casa dei Soviet nel 1993) e che chiedeva di avere a cuore la Russia e “voleva che il nostro Paese diventasse forte e prospero”. Yevgeny Primakov, ex capo dei servizi segreti esteri, ministro degli Esteri e primo ministro, un tempo oppositore di Eltsin, è stato descritto come una persona che, “in ogni fase della sua lunga e intensa vita, ha messo al primo posto gli interessi della Patria”.

A volte, questo desiderio di scrivere la storia di tutti i personaggi storici è diventato assurdo. Ad esempio, in un telegramma di condoglianze dell’Agosto 2022 per la morte dell’ultimo leader sovietico, Mikhail Gorbaciov, Putin scrisse che aveva “guidato il nostro Paese in un periodo di difficili e drammatici cambiamenti”. Senza dire una parola né sulla perestrojka né sul crollo dell’URSS, il presidente ha inserito astrattamente Gorbaciov in una successione infinita di figure che hanno “guidato lo Stato”.

Monumento al principe Vladimir, eretto nel 2016

L’immagine ufficiale del passato creata negli ultimi decenni è stata priva di profondità e sfumature. Non conteneva conflitti e scontri reali e qualsiasi fenomeno o problema negativo veniva cancellato dalla storia – ma solo se non era legato a nemici esterni. Sono stati ignorati anche personaggi ed eventi che sarebbero stati difficili da inserire nella narrazione storica creata da Putin e dai suoi consiglieri. Ad esempio, i riferimenti riguardanti Lev Tolstoj sono stati ridotti all’ “amore per la Patria”. Oppure la rivoluzione del 1917, la cui commemorazione per il centenario è stata praticamente abbandonata dalle autorità e si è limitata ad un documentario del propagandista Dmitri Kiselyov. Il documento condannava tutte le rivoluzioni in quanto forme di sovvertimento di ispirazione esterna che minacciavano la forza dello Stato. Vennero completamente cancellati dalla storia gli scrittori democratici che erano stati importanti per la politica commemorativa dell’era sovietica: Alexander Herzen, Nikolai Ogaryov, Vissarion Belinsky e Nikolai Dobrolyubov. Anche i Decabristi erano assenti dalla narrazione, ma occasionalmente venivano fatti riferimenti a figure del movimento bianco come Anton Denikin e Ivan Ilyin. Nel 2009, in occasione dell’inaugurazione di un monumento ai soldati del movimento bianco nel cimitero del monastero di Donskoi, Putin, citando Denikin, ha osservato: “Ha avuto argomenti sulla grande e sulla piccola Russia, sull’Ucraina. Diceva che non si deve permettere a nessuno di interferire nelle nostre relazioni, questo è sempre stato un affare della Russia!”

Anche le autorità hanno iniziato a ignorare i “perdenti”, come gli imperatori Nicola I e II e Alessandro II, che hanno combattuto guerre senza successo per la Russia. Al contrario, uno degli ideali è ancora una volta Pietro il Grande. Nel Dicembre 2022 Putin traccia un parallelo diretto tra lui e se stesso, affermando che uno dei risultati della guerra con l’Ucraina è stato che “il Mare d’Azov è diventato il mare interno della Russia”, qualcosa per cui “Pietro il Grande ha combattuto”. E sei mesi prima, parlando a giovani imprenditori, ingegneri e scienziati, il presidente aveva detto quanto segue: “Pietro il Grande ha combattuto la Grande Guerra del Nord per 21 anni. Sembrerebbe che fosse in guerra con la Svezia e che si stesse impadronendo di qualcosa… Non si stava impadronendo di nulla, lo stava restituendo! [] Tutta la Ladoga Karelia, dove fu fondata San Pietroburgo. Quando fondò la sua nuova capitale, nessun Paese europeo riconobbe questo territorio come russo, tutti lo riconobbero come svedese. [] Lo stesso vale in direzione ovest, per Narva, la sua prima campagna. Perché ci andò? Per riprenderla e fortificarla, ecco cosa stava facendo. A quanto pare, è anche nostra responsabilità ritornare e rafforzare”.

La storia della Russia, secondo Putin, è un movimento di vittoria in vittoria, dal superamento di un attacco esterno allo scontro con un altro. E la principale misura di opportunità [da questo stato di cose] è il rafforzamento della patria. In questo senso, il presidente è un tutt’uno: un ex agente politico, un chekista e un distruttore della nomenklatura dell’URSS. Non ci sono sfumature, solo uno Stato russo eternamente forte.

Gli anni Duemila: la guerra in una nuova veste ideologica

Nel 2005 Mosca ha celebrato il 60° anniversario della vittoria nella Grande Guerra Patriottica. I leader internazionali, dal Presidente degli Stati Uniti George Bush al Primo Ministro giapponese Junichiro Koizumi, si sono riuniti per festeggiare. Le truppe di tutte le ex repubbliche sovietiche, compresa l’Ucraina, e i reggimenti degli alleati della coalizione anti-hitleriana (Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna) hanno sfilato sulla Piazza Rossa. L’insegnamento principale della guerra, come ha sottolineato Putin nel suo discorso del giorno, è stata la necessità di amicizia con i vicini e di costruire relazioni forti con gli Stati del mondo: “Di fronte alle reali minacce del terrorismo odierno, dobbiamo rimanere fedeli alla memoria dei nostri padri, dobbiamo difendere un ordine mondiale basato sulla sicurezza e sulla giustizia, su una nuova cultura delle relazioni che non permetta il ripetersi di guerre “fredde” o “calde””.

Allo stesso tempo, l’agenzia di stampa statale “RIA Novosti” ha lanciato un’iniziativa quasi pubblica chiamata Nastro di San Giorgio, simile ai papaveri rossi che simboleggiavano la memoria della Prima Guerra Mondiale in molti Paesi occidentali. Dopo aver iniziato a usare il nastro con una retorica neutrale e commemorativa, le autorità lo hanno trasformato rapidamente in un segno di patriottismo e di fedeltà alle iniziative dello Stato. Il nastro di San Giorgio è stato rapidamente ripreso da esponenti di movimenti filo-cremliniani, come il commissario del “Nashi”, Ivan Kosov, che ha ricordato che bisogna lottare contro gli “agenti [stranieri]” e i “fascisti” odierni. Tra questi ha annoverato anche i rappresentanti dell’opposizione. Al campo patriottico estivo presso Seliger, [Kosov] ha esposto i ritratti di Eduard Limonov, Boris Nemtsov, Mikhail Khodorkovsky e altri politici con cappucci nazisti photoshoppati. Sembrava che i fascisti non fossero una cosa del passato; continuano ad esistere e spetta ai patrioti combatterli.

Il discorso sulla memoria della guerra è diventato sempre più aggressivo. A metà degli anni 2000, lo slogan popolare “Possiamo farlo di nuovo!” sembrava significare “ripetere la vittoria”, ma improvvisamente la guerra è stata trasformata da un male e una tragedia inequivocabili ad un atto di vendetta. In questo slogan si intrecciano sentimenti imperiali e sovietici, l’insoddisfazione dell’opinione pubblica per le riforme degli anni ’90 e il desiderio di “vendicarsi” dell’astratto Occidente e dei “nemici della Russia” per tutte le disgrazie avvenute. Riguardo questo slogan, Putin, nel 2020, rispondendo a una domanda di Andrei Vandenko, ne ha elogiato il contenuto e lo ha paragonato a una famosa citazione attribuita ad Aleksandr Nevskij.

A cavallo tra gli anni 2000 e 2010, la “vittoria” è stata descritta come un risultato che dà diritto alla Russia contemporanea di intraprendere quel tipo di azioni di politica estera che, secondo il presidente, dovrebbero garantire la sicurezza e la sovranità dello Stato. I discorsi delle autorità sul tema della Seconda guerra mondiale, sono diventati più frequenti dopo il Febbraio 2014: l’annessione della Crimea e lo scoppio della guerra nel Donbass. Nei discorsi e nei testi di Putin e nei discorsi dei propagandisti di Stato, i paragoni degli eventi in Ucraina con la Grande Guerra Patriottica si fanno sempre più forti. Allo stesso tempo, nel 2022 è stata adottata una legge che vieta i paragoni tra l’URSS stalinista e la Germania nazista, accompagnata dal divieto di negare il ruolo decisivo del popolo sovietico nella guerra.

Alla fine del 2012 è stata creata la “Società storica militare russa” (RVIO, acronimo in russo, ndt), continuazione formale dell’omonima società che esisteva nell’Impero russo prima della Rivoluzione. Il presidente della RVIO è il ministro della Cultura, Vladimir Medinsky, noto per le sue posizioni radicali e filogovernative. In parte, la RVIO inizia a coordinare le attività commemorative nel Paese e a sviluppare una nuova versione del ricordo della Grande Guerra Patriottica. La nascita della RVIO sembrava una risposta dello Stato alle proteste di massa del 2011-2012. Le autorità sono tornate alle campagne di propaganda di massa, quasi come ai tempi dell’Unione Sovietica. Con la partecipazione diretta della RVIO, sono stati inaugurati monumenti agli eroi della Prima guerra mondiale, al generale Mikhail Skobelev e al maresciallo Konstantin Rokossovsky a Mosca, un monumento a Ivan III a Kaluga, un monumento ad Aleksandr Nevskij a Samolva e molti altri ancora.

Memoriale di Ržev al soldato sovietico, inaugurato nel 2020

Ma forse i luoghi chiave per comprendere il nuovo atteggiamento dello Stato nei confronti della guerra sono il Memoriale di Ržev al Soldato Sovietico e la Chiesa delle Forze Armate Russe nella periferia di Mosca. Il discorso del Patriarca Kirill, all’inaugurazione di quest’ultima, è rivelatore. Rivolgendosi a Putin, ha detto: “Oggi viviamo in un tempo di pace. Questo tempo di pace è il risultato sia della saggia politica estera perseguita dal nostro Stato sia della disponibilità di armi formidabili nelle mani delle nostre Forze armate. Ma […] dobbiamo tenere la polvere da sparo asciutta. Le Forze Armate devono essere sempre all’altezza della loro vocazione.”

Il ricordo della guerra è diventato la misura di tutte le cose, uno strumento di moralizzazione e di pressione sulla società. Ad esempio, il canale televisivo di opposizione “Dožd’” ha subito pressioni da parte dello Stato dopo che i presentatori hanno lanciato un sondaggio in onda per i telespettatori dal titolo “Leningrado si sarebbe dovuta arrendere per salvare centinaia di migliaia di vite?” L’ufficio del procuratore ha risposto lanciando un’indagine sul canale e gli operatori via cavo hanno rimosso “Dožd’” dai loro palinsesti. Nel 2016, quando ci sono state molte polemiche pubbliche sull’uscita del film “Panfilov’s 28 Men” di Andrei Shalopa, Vladimir Medinsky ha chiesto, con durezza, la fedeltà della versione ufficiale dell’impresa. “Indipendentemente dal fatto che la storia sia inventata o meno, è una leggenda sacra che non deve essere toccata [] e le persone che lo fanno sono feccia”, concludeva il ministro della cultura.

L’apoteosi del nuovo approccio sulla guerra, non come tragedia ma come mezzo con cui la Russia raggiunge tutti i suoi obiettivi, compresa la giustizia mondiale, è stato il discorso di Putin prima della parata del 9 Maggio 2022. Secondo alcune voci, il Presidente avrebbe annunciato l’inizio della mobilitazione, ma si è limitato ad un discorso militante con molti riferimenti storici: “Oggi le milizie del Donbass, insieme ai soldati dell’esercito russo, combattono in una terra dove Sviatoslav e Vladimir Monomakh, i soldati di Rumyantsev e Potemkin, Suvorov e Brusilov, dove gli eroi della Seconda Guerra Mondiale Nikolay Vatutin, Sidor Kovpak e Lyudmila Pavlichenko hanno combattuto i nemici fino alla morte. Mi rivolgo ora alle nostre Forze Armate e alle milizie del Donbass: state combattendo per la Madrepatria, per il suo futuro, affinché nessuno dimentichi le lezioni della Seconda Guerra Mondiale.”

Il tempio principale delle Forze Armate russe, inaugurato nel 2018

Negli ultimi 30 anni il ricordo della guerra in Russia è diventato il culto dei risultati militari da parte dello Stato. L’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia ha rafforzato ciò – [e quindi] non lo ha creato. Il 21 Settembre 2022, dopo aver annunciato la prima mobilitazione russa dal 1941, Vladimir Putin si è recato a Veliky Novgorod per partecipare alle celebrazioni del 1160° anniversario del Paese. In piedi, presso il monumento eretto nel 1000° anniversario della Russia, ha dichiarato: “Essere patrioti è l’essenza della natura e del carattere del popolo russo. Ora, nel corso di un’operazione militare speciale, i nostri eroi, i nostri soldati e ufficiali, i nostri volontari, stanno mostrando queste supreme qualità umane, combattendo coraggiosamente, spalla a spalla, come fratelli, per salvare la popolazione del Donbass. Per un cielo di pace per i nostri figli, per la nostra patria, che sarà sempre e solo libera e indipendente”.

Le due idee chiave, i due simboli che si sono dimostrati così importanti per le autorità russe negli ultimi due decenni – l’idea di servire lo Stato e l’idea di una vera e propria guerra che cancellerà tutti i peccati – si sono fusi insieme in questo discorso e hanno fissato un nuovo consenso autorevole: la guerra per lo Stato e lo Stato per la guerra.

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Potevamo, ripetevamo: come la guerra è diventata l’idea nazionale della Russia – Prima Parte

Traduzione dall’originale “Можем, повторяем: как война стала национальной идеей России

Cos’è la politica memoriale e perché Putin ama tanto Aleksandr Nevskij.

La guerra con l’Ucraina sembrava a molti impossibile e incredibile; ma, a livello simbolico, il terreno per questo attacco è stato preparato per decenni. Così afferma il giornalista, ricercatore sui media e politologo Yegor Sennikov. In un nuovo testo di Perito per il progetto “Last war, Next war”, [Sennikov] spiega cosa sia la politica commemorativa e di come i monumenti, le tombe di soldati sconosciuti e le dichiarazioni ufficiali degli ideologi del regime abbiano reso logica e inevitabile la politica estera aggressiva della Russia.

I guerrieri di Nevskij schiacciarono gli svedesi sulla Neva, eliminarono gli invasori da Kopor’e e ottennero la vittoria sul lago Chudskoe. Questa vittoria è stata decisiva, ha fermato l’offensiva nemica e ha mostrato a tutti, in Occidente e in Oriente, che la potenza della Russia non si è spezzata e che nella terra russa ci sono persone pronte a combattere per essa, senza risparmiarsi”. Queste parole sono state pronunciate da Vladimir Putin l’11 Settembre 2021 alla cerimonia di inaugurazione del monumento commemorativo “Aleksandr Nevskij con la sua druzhina” nella regione di Pskov, sulle rive del lago Chudskoe. Il Presidente è stato accompagnato all’inaugurazione da Vladimir Medinsky, ex Ministro della Cultura, e da Kirill, Patriarca della Chiesa ortodossa russa. Gli ospiti sono stati accolti dal governatore della regione di Pskov, Mikhail Vedernikov, e dal metropolita di Pskov e Porkhov, Tikhon (Georgiy Alexandrovich Shevkunov). Il pubblico ha ascoltato il discorso del capo di Stato in silenzio e sembrava essere d’accordo su tutto. Ma i residenti del villaggio di Samolva, vicino a dove si trova il monumento, hanno avuto molte domande sul progetto. “Mediazone” ha riportato che a causa del costante passaggio di camion con materiali da costruzione, la strada che porta al villaggio è stata completamente rovinata. Di conseguenza, il museo della Battaglia del Ghiaccio situato proprio lì, a Samolva, è stato chiuso: i turisti non potevano raggiungerlo. E nel villaggio, le consegne di cibo e la raccolta dei rifiuti sono state interrotte. Putin, però, non si è quasi accorto di tutto questo, perché è arrivato alla cerimonia di inaugurazione del monumento in elicottero.

Il complesso commemorativo “Aleksandr Nevskij con la sua druzhina” nella regione di Pskov, costruito nel 2021

Alcuni dei soldati di Aleksandr Nevskij, immortalati nel complesso, hanno il volto di persone reali: i militari della sesta compagnia del 104 ° reggimento paracadutisti della 76a divisione aviotrasportata delle Guardie di Pskov. Durante la seconda guerra cecena hanno imbracciato le armi contro i guerriglieri ceceni, “cioè”, ha detto Putin, “hanno dato prova di grande eroismo nel nostro tempo”. Meno di sei mesi dopo la cerimonia di inaugurazione, i combattenti del 104° Reggimento paracadutisti delle Guardie dimostreranno ancora una volta prova di sé stessi – ovvero con l’occupazione della città di Bucha.

Il monumento ad Aleksandr Nevskij e la retorica con cui è stato inaugurato hanno dimostrato, negli ultimi decenni, diverse tendenze caratteristiche della politica commemorativa in Russia. In primo luogo, il significato storico della figura del principe è stato spiegato attraverso la lotta contro un nemico esterno. In secondo luogo, uno Stato russo forte e indipendente è stato presentato come un valore supremo. In terzo luogo, la guerra era un elemento chiave che collegava la storia e la modernità: gli autori del monumento hanno tracciato un parallelo diretto tra la Battaglia dei ghiacci e le battaglie in Cecenia, mentre Putin ha tracciato un parallelo diretto tra sé e Nevskij. Tutti questi elementi semantici non erano nuovi; il presidente si stava semplicemente basando su idee presenti in molti dei suoi precedenti discorsi e in occasione dell’inaugurazione di altri monumenti. Da quando Putin è al potere, la glorificazione delle guerre del passato è diventata l’idea principale della politica statale di commemorazione, trasformandosi gradualmente in una glorificazione dell’idea stessa di guerra.

Come e perché è stato possibile? Ogni regime ha bisogno di memoriali e monumenti. Danno ai cittadini una comprensione della trama: chi è “noi”? Chi è il nostro nemico? Chi è nostro amico? A volte i monumenti devono essere costruiti, a volte si adattano a quelli che le autorità precedenti hanno creato. E a volte è sufficiente assemblare attrezzature militari all’aperto, dipingerle “come gzhel” e aprire questo “parco divertimenti” per le famiglie con bambini. ‍

Nel nuovo progetto speciale “Last War, Next War”, esaminiamo come le autorità russe si siano impossessati dei monumenti di guerra sovietici e, [contemporaneamente abbiano] costruito i propri memoriali di guerra come parte della generale svolta militarista che alla fine ha portato [alla guerra] in Ucraina.

Un monumento come dichiarazione politica

Monumenti e memoriali esistono da quando l’uomo ha preso coscienza della propria mortalità. I primi monumenti erano le lapidi, la cui funzione era quella di preservare la memoria di un particolare individuo. In seguito, con l’emergere delle alleanze tribali e degli antichi Stati, le persone iniziarono a rendere eterni eroi ed eventi – importanti per i governi in carica. Nacquero così archi di trionfo che commemoravano vittorie e conquiste militari, monumenti a leader e comandanti e targhe commemorative sugli edifici. Installare o non installare questo o quel monumento divenne un atto politico. “Un’opera d’arte tangibile e statica, avallata da attori statali, congela nel tempo una dichiarazione autorevole di ciò che dovrebbe essere ricordato; tali memoriali interpretano il passato e cercano di informare l’opinione pubblica futura”, scrive a questo proposito la ricercatrice americana Kathleen Smith.

In alcuni casi, intere città o parti di esse sono simboli che danno un valore al passato e al futuro. Prendiamo ad esempio la Piazza del Palazzo di San Pietroburgo. Al centro si trova la Colonna di Alessandro, eretta per commemorare la vittoria su Napoleone nella Guerra Patriottica del 1812, una delle più gloriose e importanti nella storia della Russia imperiale. Il monumento si trova di fronte al Palazzo d’Inverno. A destra della residenza imperiale si trova l’edificio del Corpo di Guardia, dietro di esso lo Stato Maggiore, che oltre al dipartimento militare ospitava il Ministero degli Affari Esteri, e a sinistra l’Ammiragliato. Ogni elemento non è solo casuale, ma anche collegato ad altre parti nel suo insieme – che in definitiva glorifica l’impero e riflette l’interazione dei suoi attori principali: l’imperatore, i cortigiani, le guardie, i militari, i diplomatici e la marina. Questa è più comune nelle nuove città, che sono state originariamente fondate per diventare importanti centri simbolici. In questo senso, una “parente” stretta di San Pietroburgo è Washington, DC, anch’essa concepita come capitale di una nuova nazione. Al suo centro si trova il National Alley con il suo complesso di edifici del XIX secolo. Dal Campidoglio al Lincoln Memorial, dal Washington Monument ai principali musei storici, artistici e scientifici, in tutto questo insieme si celebrano gli ideali repubblicani e democratici degli Stati Uniti.

Piani urbanistici di Washington e San Pietroburgo

Uno dei fondatori dell’analisi della dimensione simbolica della politica è stato il filosofo americano Murray Edelman, che propose di analizzare come il potere utilizzi i simboli per manifestare i suoi desideri. In particolare, invitò a prestare attenzione su come i simboli politici vengano utilizzati per motivare i cittadini ad agire come [vuole la classe dirigente]. Secondo Edelman, il dibattito sui monumenti non è solo una discussione sull’estetica o sulla rilevanza di una figura storica, ma una forma di discorso politico.

URSS: da Engels al Milite Ignoto

Per volere della Sapienza, i muri dell’intera città – dentro e fuori, in basso e in alto – sono dipinti in uno stile bellissimo, raffigurando tutte le scienze in modo straordinariamente ordinato”. Anatoly Lunacharsky, il primo Commissario del Popolo per l’Educazione dell’URSS, ricordava come questa citazione del filosofo italiano Tommaso Campanella, sulla struttura di una città ideale, influenzò fortemente il desiderio di Vladimir Lenin nell’avviare una campagna monumentale in URSS. Prima della rivoluzione, i monumenti venivano eretti raramente in Russia; ad esempio, a Mosca c’erano non più di 10 monumenti durante tutto il XIX secolo. Con l’installazione in massa di nuove sculture e monumenti e la demolizione di quelli vecchi, Lenin voleva trasmettere ai cittadini le idee del nuovo governo bolscevico. Ad esempio, il desiderio di giustizia e il rifiuto di un passato imperiale in cui i rivoluzionari e i pensatori di sinistra erano banditi e gli operai e i contadini erano oppressi. Tra gli eroi commemorati in URSS nel 1918-1920 vi sono Karl Marx e Friedrich Engels, il poeta Taras Shevchenko e il pubblicista Aleksandr Herzen, il terrorista Ivan Kaliaev e il rivoluzionario V. Volodarski. Tuttavia, il programma leninista di propaganda monumentale ebbe vita breve: molti dei monumenti erano fatti di gesso e non erano adatti a rimanere in strada per anni.

Un monumento a Karl Marx a Mosca, costruito nel 1961

Le politiche commemorative sovietiche cambiarono di pari passo con la linea del partito. Dopo lo scoppio della Grande Guerra Patriottica, ad esempio, le autorità rivolsero nuovamente la loro attenzione ai personaggi che i primi bolscevichi avevano “buttato giù dalla nave della modernità”: Aleksandr Nevskij, Alexander Suvorov, Yuri Dolgoruky, Fëdor Ushakov, ecc. Allo stesso tempo, si verificò un altro evento simbolicamente importante: in molte strade del centro di Leningrado furono restituiti i nomi storici. Così, la Prospettiva “25 Ottobre” tornò a essere la Prospettiva “Nevskij”.

Gradualmente, la stessa vittoria nella Grande Guerra Patriottica divenne un “punto di raccolta” simbolico per l’intera politica commemorativa sovietica. A metà Ottobre del 1964, Leonid Brezhnev divenne leader del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e capo dell’URSS durante un colpo di Stato interno nel partito. Molti dei suoi colleghi non lo consideravano un leader forte, per cui aveva bisogno di compiere gesti sia pratici che simbolici per consolidare la sua posizione. Uno di questi era rafforzare la memoria della Grande Guerra Patriottica. I veterani erano la parte della società a cui Breznev aveva deciso di appoggiarsi, quindi era importante per lui ottenere il loro sostegno. Lo stesso Segretario Generale e molti dei suoi collaboratori, tra l’altro, erano anch’essi veterani della Grande Guerra Patriottica.

Il 9 Maggio 1965, il giornale Pravda uscì con un enorme articolo intitolato “La gloria immutabile della Madrepatria”. Si trattava di una ristampa di otto pagine del discorso di Breznev. Il contenuto era breve: il lavoro congiunto dell’esercito e del fronte interno sotto la guida del Partito Comunista aveva assicurato la vittoria dell’Unione Sovietica nella guerra, aveva dimostrato la giustezza incondizionata dei bolscevichi e il successo del regime comunista, e aveva giustificato tutte le perdite umane e logistiche. Questo fu, da quel momento in poi, il mito ufficiale sovietico sulla Seconda Guerra Mondiale. Lo stesso giorno, per la prima volta dal 9 Maggio 1945, si tenne sulla Piazza Rossa la parata del Giorno della Vittoria. Ad eccezione di piccole modifiche alla cerimonia (i cavalli usati per sfilare 20 anni prima furono sostituiti dai GAZ-13 Čajka), la parata ereditò quella originale [di matrice] staliniana. È notevole che non sia stato Brezhnev a rivolgersi alla nazione, ma il Ministro della Difesa sovietico, Maresciallo Rodion Malinovsky, un veterano della Prima Guerra Mondiale e generale della Seconda Guerra Mondiale. Da quel momento in poi, la commemorazione della guerra e della vittoria divenne un elemento centrale della politica sovietica in materia di memoria.

Enormi monumenti come il complesso della Fortezza di Brest in Bielorussia, inaugurato all’inizio degli anni Settanta, o i grandiosi complessi di Novorossijsk, che commemorano gli eventi della guerra in Malaya Zemlya (dove Leonid Brezhnev trascorse la maggior parte della guerra), erano l’incarnazione della nuova politica commemorativa. Il 3 Dicembre 1966 si tenne una manifestazione “luttuosamente solenne” vicino al Cremlino, come scrisse la Pravda. Erano presenti, tra gli altri, la madre di Zoya Kosmodemyanskaya, il maresciallo sovietico Konstantin Rokossovsky, il capo del Comitato cittadino di Mosca del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Nikolai Yegorichev e “altri funzionari”. L’evento è stato organizzato in coincidenza con il 25° anniversario di un evento chiave della Grande Guerra Patriottica: all’inizio del Dicembre 1941, le truppe sovietiche lanciarono una controffensiva e respinsero i tedeschi da Mosca. L’evento più importante dell’anniversario è stata l’inaugurazione di un nuovo monumento commemorativo, la Tomba del Milite Ignoto.

Complesso commemorativo “Fortezza-Eroe di Brest”, costruito nel 1971

I memoriali sono talvolta apparsi come risposta ad una “richiesta dal basso”, da parte di attivisti e veterani che desideravano che anche episodi poco noti della guerra fossero immortalati in bronzo o granito. È il caso, ad esempio, della commemorazione dell’impresa dei partigiani nelle cave di Adzhimushkay in Crimea.

Quando la Germania occupò la Crimea, le cave divennero l’ultimo punto in cui i resti delle truppe sovietiche continuarono a resistere ai nazisti. Dopo la guerra, i veterani e gli attivisti locali scrissero più volte alla stampa centrale sull’importanza di quegli eventi e richiamarono l’attenzione sul sito. Le autorità hanno infine seguito la loro iniziativa: nel 1966 è stato aperto un museo e nel 1982 un memoriale.

Negli ultimi anni dell’URSS, i ricordi della Grande Guerra Patriottica furono generalmente costruiti intorno ad una discussione sui sacrifici fatti dal popolo e sui risultati ottenuti grazie alla vittoria. Questi ultimi comprendevano letteralmente tutti i risultati ottenuti dall’URSS dopo il 1945, dalla liberazione dei popoli colonizzati dall’oppressione dei paesi sviluppati (l’URSS sosteneva l’Asia e l’Africa) ai voli spaziali e alla diffusione dell’idea comunista in tutto il mondo. La guerra stessa fu descritta come un mostruoso fenomeno catastrofico. Le sue vittime caddero per la libertà delle nazioni, ma nulla poteva giustificare [la guerra]. Questo approccio iniziò a cambiare poco prima del crollo dell’Unione Sovietica.

Memoriale agli eroi delle cave di Adzhimushkay, costruito nel 1982

Continua nella Seconda Parte

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Lo scioglimento dei ghiacciai dell’Antartico come stravolgimento del clima mondiale

Premessa
Lo scioglimento dei ghiacciai antartici sta rallentando il rimescolamento delle acque oceaniche, con conseguenze potenzialmente devastanti per il clima globale nelle prossime centinaia di anni. Secondo uno studio di Qian Li et al. (edito sulla rivista “Nature” di Marzo 2023), le correnti oceaniche profonde potrebbero rallentare fino al 40% entro il 2050. Il rapido scioglimento dei ghiacciai antartici sta peggiorando la circolazione oceanica globale, con conseguenze disastrose per il clima globale, la biodiversità marina e i ghiacci. Le correnti oceaniche profonde trasportano calore, anidride carbonica, ossigeno e sostanze nutritive per migliaia di chilometri. Con l’aumento della temperatura dell’aria, l’acqua dolce proveniente dallo scioglimento dei ghiacciai entra nell’oceano; questa riduce la salinità e la densità dell’acqua oceanica di superficie, indebolendo il flusso dell’acqua verso il basso e impedendone il mescolamento. In un momento dove i governi e le borghesie mondiali discutono su “transizioni ecologiche” – ovvero utilizzare risorse energetiche rinnovabili e abbandonare gradualmente quelle di origine fossile -, la ricerca in questione non fa altro che confermare come lo scioglimento dei ghiacciai causato dai cosiddetti gas serra, altererà in un prossimo e non troppo lontano futuro la vita di chiunque abiti in questo pianeta. Se questo andazzo non dovesse cambiare, assisteremo a cambiamenti climatici sempre più marcati che altereranno e stravolgeranno la vita degli esseri viventi (vegetali e animali umani e non).
Visto il costo monetario dell’articolo pubblicato su “Nature”, abbiamo ripiegato su una sintesi fatta dallu ricercatoru stessu e pubblicata sul sito “the conversation”. Come introduzione di questa sintesi vi sarà l’articolo “Southern Ocean heat sink hindered by melting ice” scritto da Joellen L. Russell, docente del dipartimento di geoscienze dell’Università dell’Arizona, e pubblicato sulla rivista “Nature”.

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Il dissipatore di calore dell’Oceano meridionale [è] ostacolato dallo scioglimento dei ghiacci

Pubblicato su “Nature”, Vol. 615, n. 7954 Marzo 2023, pagg. 799-800
Traduzione dall’originale “Southern Ocean heat sink hindered by melting ice”

A mo’ di appunto del Gruppo Anarchico Galatea
Sulle note presenti nell’articolo di Russell, dove abbiamo potuto abbiamo inserito link alternativi in modo che tuttu possano leggere e/o scaricare le ricerche menzionate dal docente dell’Arizona.

L’Oceano Meridionale ha un ruolo straordinario nel mitigare i cambiamenti climatici: acquisisce la maggior parte del calore assorbito dagli oceani di tutto il mondo – che si stima sia il 93% del calore totale intrappolato a causa dell’aumento dei gas serra1. Questo risultato è reso possibile dal fatto che l’acqua fredda risale dalle profondità dell’oceano fino alle acque superficiali, dove scambia calore con l’atmosfera. Le acque più profonde dell’Oceano Meridionale si stanno riscaldando molto più velocemente rispetto al resto dell’oceano2 3, suggerendo che potrebbe esserci un afflusso di calore atmosferico supplementare. Tuttavia, a pag. 841 [del n. 7954 di “Nature”], Li Qian et al.4 riportano delle simulazioni che attribuiscono il riscaldamento osservato ad una minore produzione di acque oceaniche fredde e dense in prossimità dell’Antartide. I forti venti occidentali che circondano l’Antartide sono responsabili della risalita dell’acqua fredda dalle profondità dell’Oceano Meridionale. Dalla metà del XX secolo, questi venti sono aumentati di forza e si sono spostati verso il Polo Sud 5. Questi cambiamenti sono avvenuti in risposta sia al raffreddamento della stratosfera, causato dalla perdita di ozono, sia al riscaldamento della troposfera sottostante, dovuto all’aumento della concentrazione di gas serra.6 Tuttavia, non è ancora chiaro come il cambiamento dei venti abbia influenzato la circolazione e il rimescolamento dell’oceano profondo. Le misurazioni della superficie dell’oceano hanno mostrato un aumento della velocità del vento 7, dell’altezza e della potenza delle onde 8, nonché dell’energia cinetica della maggior parte delle principali correnti oceaniche.9 Le misurazioni in superficie hanno anche mostrato che lo strato misto nella parte superiore dell’Oceano Meridionale si sta riscaldando e aggravando [sempre più].10

Ma i processi oceanici più cruciali per il clima avvengono sotto i ghiacci, o in presenza di venti e onde elevate. E l’oceano – l’Oceano Meridionale, in particolare – è estremamente difficile da osservare sistematicamente, anche nelle migliori condizioni. Inoltre, ostacoli tecnici e logistici impediscono a qualsiasi singolo metodo di fornire un quadro coerente che determini le specificità del cambiamento climatico mentre emerge un nuovo equilibrio globale. L’oceano sta cambiando ovunque sia stato misurato e i modelli numerici sono necessari per comprendere e riconciliare le osservazioni. È in questo contesto che lo studio di Li Qian et al. è così importante e tempestivo. L’acqua densa dell’oceano esaminata nello studio è nota come “Antarctic Bottom Water” (AABW) e nasce come acqua fredda e carica di sale sulle piattaforme continentali intorno all’Antartide.

Questa acqua densa scorre lungo il pendio continentale e, scendendo, si mescola con l’acqua più calda e più fresca per formare l’AABW11. L’AABW scorre poi verso nord e rinfresca l’oceano abissale, che è quello strato [di mare che si trova] ad una profondità compresa tra i 4.000 metri e il fondo. Questi processi, su piccola scala, sono notoriamente difficili da simulare in modo realistico e utilizzando i modelli di “accoppiamento globale” [ – i quali] riuniscono diversi aspetti del sistema climatico, tra cui l’oceano, l’atmosfera e il ghiaccio marino. I [glaciologi] e altri scienziati del clima stanno lavorando duramente per integrare i ghiacci terrestri nei modelli di accoppiamento globale climatico; ma purtroppo nessuno dei modelli della generazione attuale (né di quelle precedenti) include lo scioglimento delle calotte glaciali dell’Antartide o della Groenlandia. Per ora, queste simulazioni stimano il futuro innalzamento del livello del mare, calcolando il volume di ghiaccio che si scioglierebbe a causa del riscaldamento e ignorando le potenziali retroazioni che potrebbero verificarsi se l’acqua di fusione venisse reimmessa nell’oceano.

Li Qian et al. non sono i primi ad aver affrontato questa lacuna in uno studio di modelli (si vedano, ad esempio, gli articoli 12 13). Tuttavia, sono stati i primi ad esaminare se l’acqua di fusione proveniente dall’Antartide sia direttamente o indirettamente causa dell’aumento della temperatura osservata sul fondo dell’oceano (Fig. 1).

Fig. 1 Interazioni ghiaccio-oceano nell’Oceano meridionale. I venti occidentali spingono l’ “acqua profonda circumpolare” fredda verso la superficie dell’Oceano Meridionale, dove possono assorbire calore dall’atmosfera. Una parte di questo fluido si mescola con l’acqua densa lungo la piattaforma antartica – che scorre lungo il pendio continentale e si mescola con altra acqua profonda circumpolare per formare l’acqua di fondo antartica (AABW). L’AABW rinfresca l’oceano abissale (lo strato tra i 4.000 metri e il fondo), che si sta riscaldando più velocemente del resto dell’oceano globale, e la fonte di questo calore non è chiara. Li Qian et al. hanno simulato la formazione dell’AABW e la circolazione dell’oceano abissale in risposta ai cambiamenti passati e futuri del vento, del calore e dell’acqua di fusione. Hanno scoperto che l’aumento dell’acqua di fusione dei ghiacci antartici inibisce la formazione di AABW e riduce il raffreddamento abissale, suggerendo che il riscaldamento osservato è una ripartizione del vecchio calore oceanico e non il risultato di nuovo calore atmosferico.

Gli autori hanno utilizzato un modello che simula accuratamente le interazioni oceano-ghiaccio e che riproduce il volume e le caratteristiche osservate dell’AABW lungo il bordo dell’Antartide nelle posizioni geografiche corrette 14. Hanno prima imposto dei cambiamenti nel vento, nel calore e nell’acqua di fusione misurati 15 tra il 1991 e il 2019, per vedere come avrebbero risposto la formazione dell’AABW e la circolazione dell’oceano abissale. Hanno poi modellato la risposta ai cambiamenti previsti tra il 2020 e il 2050 secondo gli attuali modelli climatici globali. In precedenza sono state proposte due ipotesi per spiegare in parte o completamente il riscaldamento profondo osservato.

La prima sostiene che l’AABW si formi allo stesso ritmo di prima, ma ad una temperatura leggermente più alta.16

Il secondo suggerisce che la produzione di AABW sia diminuita, permettendo ad altre acque (più calde) di intromettersi nel suo vecchio territorio.17

Questi due meccanismi influenzano il clima in modo diverso: il primo sequestra attivamente il “nuovo” calore (proveniente dall’atmosfera) nell’oceano profondo, mentre il secondo distribuisce il “vecchio” calore nell’oceano profondo.

Lo studio di Li Qian et al. sostiene quest’ultima ipotesi: l’aumento dell’acqua di fusione inibisce la formazione di AABW fredda, riducendone il volume e quindi riscaldando l’oceano abissale e diminuendone la ventilazione.

Le simulazioni degli autori suggeriscono che questa tendenza continuerà e che la combinazione di vento e perturbazioni di riscaldamento ha un effetto limitato sull’oceano abissale. Lo studio delle acque profonde dell’oceano potrebbe sembrare lontane dalle preoccupazioni quotidiane, ma queste acque sono cruciali per distinguere tra i cambiamenti climatici transitori e [quelli] di equilibrio. Il precedente riguarda il cambiamento di temperatura che deriva dall’aumento del calore atmosferico e dell’anidride carbonica prima che gli oceani profondi abbiano avuto il tempo di equilibrarsi 18 (oltre al calore, gli oceani sequestrano circa il 25% delle emissioni antropogeniche di CO2 19 ). La profondità in cui viene immagazzinato il calore atmosferico e la CO2 influenza il tempo che l’oceano impiegherà per entrare in equilibrio con l’atmosfera “nuova”, e quindi definisce la scala temporale del cambiamento climatico transitorio. Insieme ai risultati di altri studi (vedi note 12 e 13), le simulazioni di Li Qian et al. indicano che il calore atmosferico non riesce a raggiungere le profondità oceaniche e che solo le profondità intermedie sono attualmente disponibili per tamponare gli effetti antropogenici sul clima.

La scala temporale associata al cambiamento climatico transitorio sarà probabilmente più breve che lunga, il che è una cattiva notizia per gli esseri umani di questo secolo. La convergenza dei modelli climatici globali, del sistema terrestre e del tempo meteorologico migliora la capacità degli scienziati nel fare previsioni accurate.20

Tali previsioni sono essenziali per preparare meglio la società e far fronte a degli eventi estremi come siccità e inondazioni, ondate di calore e incendi. 21 Lo studio di Li Qian et al. compie un passo nella giusta direzione, evidenziando l’influenza dell’oceano, da cima a fondo, sul clima globale. Gli scienziati delle istituzioni australiane – tra cui gli autori e molti altri – sono da tempo apprezzati per le loro spedizioni oceanografiche e per la ricerca sul clima. La nostra fortuna è che vivono alle porte dell’Oceano Meridionale, il soggetto più influente e meno compreso nella risposta del sistema Terra al cambiamento climatico antropogenico.

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I torrenti di acqua di fusione dell’Antartico stanno rallentando il flusso di rimescolamento delle correnti oceaniche – e ne minacciano il collasso.

Traduzione dall’originale “Torrents of Antarctic meltwater are slowing the currents that drive our vital ocean ‘overturning’ – and threaten its collapse

Al largo delle coste dell’Antartide, trilioni di tonnellate di acqua fredda e salata affondano a grandi profondità. Quando l’acqua si inabissa, alimenta i flussi più profondi della circolazione “ascensionale”, una rete di forti correnti che attraversa gli oceani di tutto il mondo. La circolazione ascensionale trasporta calore, carbonio, ossigeno e nutrienti in tutto il mondo e influenza in modo fondamentale il clima, il livello del mare e la produttività degli ecosistemi marini.

Ma ci sono segnali preoccupanti che indicano che queste correnti stanno rallentando. Potrebbero addirittura collassare. Se ciò accadesse, priverebbe l’oceano profondo di ossigeno, limiterebbe il ritorno dei nutrienti alla superficie del mare e potenzialmente causerebbe un ulteriore scioglimento dei ghiacci – in quanto l’acqua vicino alle piattaforme di ghiaccio si riscalda. Ci sarebbero importanti ramificazioni globali per gli ecosistemi oceanici, il clima e l’innalzamento del livello del mare.

Lo schema del video mostra i percorsi del flusso negli strati superiori, profondi e inferiori dell’oceano.

 

La nostra nuova ricerca, pubblicata oggi sulla rivista Nature, utilizza le proiezioni di nuovi modelli oceanici per esaminare i cambiamenti nell’oceano profondo fino all’anno 2050. Le nostre proiezioni mostrano un rallentamento della circolazione antartica e un riscaldamento delle profondità oceaniche nei prossimi decenni. Le misurazioni fisiche confermano che questi cambiamenti sono già in corso.

La colpa è del cambiamento climatico. Con lo scioglimento dell’Antartide, una maggiore quantità di acqua dolce si riversa negli oceani. Questo interrompe l’affondamento dell’acqua fredda, salata e ricca di ossigeno verso il fondo dell’oceano. Da lì quest’acqua si diffonde normalmente verso nord per rinfrescare le profondità degli oceani Indiano, Pacifico e Atlantico. Ma tutto questo potrebbe finire presto. Nel corso della nostra vita.

Perché è importante?
Come parte di questo rimescolamento, ogni anno circa 250 trilioni di tonnellate di acqua gelida di superficie dell’Antartide affondano negli abissi oceanici. Lo sprofondamento in prossimità dell’Antartide è bilanciato dalla risalita ad altre latitudini. La circolazione ascensionale che ne deriva trasporta l’ossigeno nell’oceano profondo e alla fine riporta le sostanze nutritive alla superficie del mare, dove sono disponibili per sostenere la vita marina.
Se la circolazione antartica rallenta, l’acqua marina ricca di nutrienti si accumulerà sul fondo del mare, a cinque chilometri di profondità. Questi nutrienti andranno persi negli ecosistemi marini in superficie o in prossimità di essa, danneggiando l’attività ittica.

I cambiamenti nella circolazione ascensionale potrebbero far sì che il ghiaccio riceva più calore, in particolare intorno all’Antartide occidentale – un’area con il maggior tasso di perdita di massa di ghiaccio negli ultimi decenni. Questo accelererebbe l’innalzamento globale del livello del mare.

Un rallentamento del moto ondoso ridurrebbe anche la capacità dell’oceano di assorbire anidride carbonica, lasciando più emissioni di gas serra nell’atmosfera. E più gas serra significa più riscaldamento, peggiorando la situazione. L’indebolimento della circolazione antartica indotta dall’acqua di fusione potrebbe anche spostare le fasce di precipitazioni tropicali di circa mille chilometri verso nord.

In parole povere, un rallentamento o un collasso del “capovolgimento [meridionale] della circolazione [atlantica]” cambierebbe il nostro clima e l’ambiente marino in modo profondo e potenzialmente irreversibile.

Segni di un cambiamento preoccupante
Le zone remote degli oceani che circondano l’Antartide sono tra le regioni più difficili per pianificare e intraprendere campagne sul campo. I viaggi sono lunghi, il tempo può essere brutale e il ghiaccio marino limita l’accesso per gran parte dell’anno.

Ciò significa che ci sono poche misurazioni per monitorare il cambiamento del margine antartico. Ma laddove esistono dati sufficienti, possiamo vedere chiari segni di un aumento del trasporto di acque calde verso l’Antartide, che a sua volta causa lo scioglimento dei ghiacci in punti chiave.
In effetti, i segni di scioglimento intorno ai margini dell’Antartide sono molto chiari, con volumi sempre più grandi di acqua dolce che si riversano nell’oceano e rendono le acque vicine meno salate e quindi meno dense. E questo è tutto ciò che serve per rallentare la circolazione ascensionale. L’acqua più densa affonda, quella più leggera no.

La perdita di massa di ghiaccio antartico negli ultimi decenni, basata su dati satellitari, mostra che tra il 2002 e il 2020 l’Antartide ha perso in media circa 150 miliardi di tonnellate metriche di ghiaccio all’anno, aggiungendo acqua di fusione all’oceano e innalzando il livello del mare (fonte: NASA).

 

Come lo abbiamo scoperto?
Oltre alle scarse misurazioni, i modelli incompleti hanno limitato la nostra comprensione della circolazione oceanica intorno all’Antartide.

Ad esempio, l’ultima serie di proiezioni dei modelli climatici globali analizzati dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico presenta delle distorsioni nella regione. Ciò limita la capacità di questi modelli di prevedere il futuro destino della circolazione antartica.
Per esplorare i cambiamenti futuri, abbiamo utilizzato un modello oceanico globale ad alta risoluzione che rappresenta realisticamente la formazione e l’affondamento di acqua densa vicino all’Antartide.

Abbiamo eseguito tre diversi esperimenti: uno in cui le condizioni sono rimaste invariate rispetto agli anni Novanta; un secondo forzato dai previsti cambiamenti di temperatura e vento; e un terzo che includeva anche i previsti cambiamenti delle acque di fusione dell’Antartide e della Groenlandia.

In questo modo abbiamo potuto separare gli effetti delle variazioni dei venti e del riscaldamento dai cambiamenti dovuti allo scioglimento dei ghiacci.
I risultati sono stati sorprendenti. Il modello prevede che la circolazione ascensionale intorno all’Antartide rallenterà di oltre il 40% nei prossimi tre decenni, guidata quasi interamente dalle spinte dell’acqua di fusione.
Nello stesso periodo, il nostro modello prevede anche un indebolimento del 20% del “capovolgimento meridionale della circolazione atlantica”, che mantiene il clima mite in Europa. Entrambi i cambiamenti ridurrebbero drasticamente il rinnovamento e il rimescolamento all’interno dell’oceano.

Sappiamo da tempo che le correnti ascensionali dell’Atlantico settentrionale sono vulnerabili: le osservazioni suggeriscono che un rallentamento è già in atto e le proiezioni indicano un punto di svolta imminente. I nostri risultati suggeriscono che l’Antartide sembra pronto ad eguagliare la sua controparte dell’emisfero settentrionale – e non solo.

E adesso?
Gran parte dell’oceano abissale si è riscaldato negli ultimi decenni, con gli andamenti più rapidi e rilevati vicini all’Antartide – in uno schema molto simile ai nostri modelli simulativi.

Le nostre proiezioni si estendono fino al 2050. Oltre il 2050, in assenza di forti riduzioni delle emissioni, il clima continuerà a riscaldarsi e le calotte glaciali continueranno a sciogliersi. In tal caso, prevediamo che il rimescolamento dell’Oceano Meridionale continuerà a rallentare fino alla fine del secolo e oltre.
Il previsto rallentamento del rimescolamento antartico è una risposta diretta all’apporto di acqua dolce proveniente dallo scioglimento dei ghiacci. I flussi di acqua di fusione sono direttamente collegati al riscaldamento del pianeta, che a sua volta dipende dai gas serra che emettiamo.

Il nostro studio dimostra che il continuo scioglimento dei ghiacci non solo innalzerà il livello del mare, ma modificherà anche le massicce correnti di circolazione ascensionale – che possono provocare un ulteriore scioglimento dei ghiacci e quindi un maggiore innalzamento del livello del mare, danneggiando il clima e gli ecosistemi in tutto il mondo. È un’altra ragione per affrontare la crisi climatica – e in fretta.

Note

1Rhein, M. et al. in Climate Change 2013: The Physical Science Basis (eds Stocker, T. F. et al.) Ch. 3 (Cambridge Univ. Press, 2013). Link: https://scholar.google.com/scholar_lookup?&title=Climate%20Change%202013%3A%20The%20Physical%20Science%20Basis&publication_year=2013

2Purkey, S. G. & Johnson, G. C. J. Clim. 23, 6336–6351 (2010). Link: https://journals.ametsoc.org/view/journals/clim/23/23/2010jcli3682.1.xml

3Purkey, S. G. & Johnson, G. C. J. Clim. 26, 6105–6122 (2013). Link: https://journals.ametsoc.org/view/journals/clim/26/16/jcli-d-12-00834.1.xml

4Li, Q., England, M. H., Hogg, A. McC., Rintoul, S. R. & Morrison, A. K. Nature 615, 841–847 (2023). Link: https://www.nature.com/articles/s41586-023-05762-w

5Swart, N. C. & Fyfe, J. C. Geophys. Res. Lett. 39, L16711 (2012). Link: https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1029/2012GL052810

6Thompson, D. W. J. et al. Nature Geosci. 4, 741–749 (2011). Link: https://www.atmos.colostate.edu/~davet/ao/ThompsonPapers/Thompson_etal_NatureGeoscience2011.pdf

8Reguero, B. G., Losada, I. J. & Méndez, F J. Nature Commun. 10, 205 (2019). Link: https://www.nature.com/articles/s41467-018-08066-0

9Hu, S. et al. Sci. Adv. 6, eaax7727 (2020). Link: https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.aax7727

11Orsi, A. H., Johnson, G. C. & Bullister, J. L. Prog. Oceanogr. 43, 55–109 (1999). Link: https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S007966119900004X

12Bronselaer, B. et al. Nature 564, 53–58 (2018). Link: https://www.nature.com/articles/s41586-018-0712-z

13Bronselaer, B. et al. Nature Geosci. 13, 35–42 (2020). Link: https://www.nature.com/articles/s41561-019-0502-8

14Purich, A. & England, M. H. Geophys. Res. Lett. 48, e2021GL092752 (2021). Link: https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/2021GL092752

15Tsujino, H. et al. Ocean Modelling 130, 79–139 (2018). Link: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S146350031830235X?via%3Dihub

16Vedi nota 2

17Vedi nota 3

18Nijsse, F. J. M. M., Cox, P. M. & Williamson, M. S. Earth Syst. Dyn. 11, 737–750 (2020). Link: https://esd.copernicus.org/articles/11/737/2020/

19Friedlingstein, P. et al. Earth Syst. Sci. Data 14, 1917–2005 (2022). Link: https://essd.copernicus.org/articles/14/1917/2022/

20Harris, L., Xi, C., Putnam, W., Zhou, L. & Chen, J. H. NOAA Tech. Memo. OAR GFDL; 2021-001 (NOAA, 2021). Link: https://repository.library.noaa.gov/view/noaa/30725

21NSTC. Earth System Predictability Research and Development Strategic Framework and Roadmap (US National Science Technology Council, 2020). Link: https://www.icams-portal.gov/organization/researchandinnovation/esp_randd_strategic_framework_roadmap.pdf

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Francia: Il movimento contro la riforma delle pensioni. Sulla soglia di una rivolta?

Traduzione dall’originale “France: The Movement against the Pension Reform. On the Threshold of an Uprising?

In Francia, una nuova ondata di protesta è scoppiata contro il governo di Emmanuel Macron in risposta ad una riforma delle pensioni impopolare. Questo promette di essere la più potente agitazione in Francia [dai tempi] del movimento dei “Gilet Gialli. Nella seguente introduzione e traduzione, esploriamo le radici, le forme e le prospettive di questo movimento.

Introduzione

I bastardi lo sanno bene: ciò che temevano nella quasi-insurrezione del 2018 non era tanto un soggetto sociale – checché ne dica la peggiore sociologia di sinistra – e nemmeno un insieme di pratiche. Era un’ingovernabilità, determinata e diffusa. Un’ondata di odio verso l’universo neoliberista.”(cit. La Haine)

Dopo due mesi di proteste tradizionali e scioperi occasionali gestiti dall’intersyndicale (il coordinamento degli otto maggiori sindacati nazionali in Francia), il movimento contro la riforma pensionistica del governo Macron è arrivato al culmine quando Elizabeth Borne (primo ministro di Macron e capo del governo) ha annunciato che avrebbe utilizzato l’articolo 49 comma 3 della Costituzione [Francese] per attuare la riforma pensionistica senza un voto dell’Assemblea nazionale.

Durante questi primi due mesi, un gran numero di persone è sceso in piazza, ma nonostante il sostegno dell’opinione pubblica, le proteste e gli scioperi non sono stati combattivi. Tuttavia, i deputati dell’Assemblea Nazionale erano divisi; era possibile che la maggioranza si sarebbe opposta alla riforma pensionistica, quindi Borne ha evitato ciò [grazie al citato articolo]. La legge deve ancora essere approvata dal Senato, ma per ora non è questo il punto. I deputati francesi contrari a Macron e Borne hanno chiesto un voto di fiducia, che avrebbe fatto decadere il governo di Borne.

Nella notte di giovedì 16 Marzo, le persone si sono riunite spontaneamente in luoghi simbolici a Parigi e in altre città per protestare contro l’uso dell’articolo 49 comma 3. Con il passare della notte, si sono rifiutate di andarsene, nonostante la polizia sia diventata sempre più violenta. Alla fine, la polizia ha arrestato un gran numero di persone in tutta la Francia – quasi 300 solo a Parigi – che sono state quasi tutte rilasciate senza accuse il giorno successivo.

Nel fine settimana sono scoppiate proteste spontanee (“les “manifs sauvages””) e, approfittando di uno sciopero della raccolta dei rifiuti, hanno riempito le strade di Parigi con i cassonetti in fiamme. Con l’intensificarsi della violenza della polizia, l’aspetto “spontaneo” di queste proteste gioca un ruolo tecnico importante. La maggior parte delle proteste di massa in Francia, come quelle che hanno avuto luogo prima di giovedì, sono “déclarées”: i gruppi le dichiarano in anticipo presso la polizia. Le proteste spontanee sono legali, ma il quadro per la repressione è meno chiaro rispetto alle manifestazioni autorizzate. Si tratta di una questione importante: i tribunali devono ancora decidere se si possa essere arrestati semplicemente per essersi trovati nelle vicinanze di una protesta spontanea, quali siano le conseguenze per chi guida una protesta spontanea, se il diritto costituzionale francese a manifestare includa le proteste spontanee e cosa possa fare legalmente la polizia per colpire le persone che partecipano a queste proteste.

Inoltre, tutte le proteste autorizzate hanno un luogo o un percorso prestabilito, mentre le attuali proteste spontanee sono imprevedibili. Non convergono su un luogo strategico, né hanno un obiettivo particolare, a parte quello di infastidire i poliziotti. Gruppi che vanno da 100 a 1000 persone si muovono in direzioni diverse ed intorno ad una determinata area, barricando le strade, dipingendo e incendiando oggetti. Proprio come è accaduto durante la rivolta [dopo la morte di] George Floyd del 2020 negli Stati Uniti, la polizia non riesce a contenere e controllare più gruppi contemporaneamente.

“Possiamo gestire una protesta da 10.000 persone, ma dieci proteste da 1000 persone in tutta la città ci travolgeranno”. Agente di polizia di Los Angeles, estate 2020

Più si affaticano, più i poliziotti diventano violenti. Le persone sono molto coraggiose, ma subiscono anche gravi ferite e traumi.

(traduzione: “Questa è una follia. Ho finito le parole”)

Queste proteste spontanee di strada si verificano di notte, mentre la mattina presto e durante il giorno, lo sciopero si intensifica, con persone che organizzano sempre più blocchi. Lo sciopero è iniziato prima dell’applicazione dell’articolo 49 comma 3 di giovedì scorso; i principali settori che stanno partecipando sono: il trattamento dei rifiuti (raccolta e incenerimento), la distribuzione del carburante (raffinerie e trasporti), e il trasporto pubblico (trasporto cittadino, treni e aeroporti).

I sindacati hanno chiesto uno sciopero a livello nazionale questo giovedì 23 Marzo. Quando la leadership lo ha annunciato la scorsa settimana, è apparso come uno sforzo per la pacificazione, per far uscire la gente dalle strade; ma poiché la gente non ha cessato di scendere in strada, [questa situazione] rappresenta un’opportunità di escalation. Ci aspettiamo che il paese venga bloccato e che i sindacati vengano sopraffatti dalle azioni dirette spontanee in tutto il paese, coinvolgendo sia i gruppi autonomi che le sezioni sindacali locali. Ciò ha già cominciato a verificarsi, ad esempio a Fos-sur-Mer o a Rennes.

A Parigi, le persone che guidano lo sciopero sono i netturbini, che lavorano in tre luoghi diversi. Sono in sciopero dal 7 Marzo e da allora hanno mantenuto i picchetti. Solo un picchetto è stato violato dalla polizia, e da allora si è riformato. Hanno bisogno di soldi per continuare lo sciopero. Sono diventati in qualche modo le stelle del movimento, perché l’immondizia che si accumula nelle strade di Parigi ha fornito alla folla notturna il materiale ideale da incendiare – una risorsa senza fine finché i camion della spazzatura restano inutilizzabili.

In generale, le persone che partecipano ai picchetti sono lavoratori [e lavoratrici] e persone di sinistra di vario genere, mentre coloro che percorrono le strade di notte sono più giovani e chiassosi. Questi gruppi non sono antagonisti tra loro – una cosa che non è sempre accaduta nel panorama politico francese. La gente sembra divertirsi a incontrarsi quando e dove può; non ci sono assemblee generali che riuniscono tutte le generazioni, ma né i sindacati né la sinistra più anziana condannano le rivolte notturne.

Nei mesi precedenti si è sviluppata una conversazione su come il COVID-19 abbia causato una rottura nella trasmissione di tecniche, storie e culture di lotta nei circoli attivisti francesi, e su come questo abbia portato alla propagazione di una politica centralizzata (e francamente noiosa) in molte università. In questo movimento, stiamo assistendo all’emergere di nuove formazioni politiche e di esperimenti decentrati e autonomi di azione diretta e resistenza, che rivelano i limiti dei mezzi tradizionali di controllo e repressione. Gli eventi della scorsa settimana dimostrano che possiamo mettere a tacere i timori sulla passività delle giovani generazioni.

Lunedì scorso, l’Assemblea nazionale ha votato per non respingere il governo, suscitando ulteriore indignazione. Il fatto che il governo di Macron e Borne rimanga al potere manterrà stabile, per ora, il precario equilibrio tra le agende nazionaliste e di sinistra. Ma per quanto tempo?

(traduzione “I manifestanti sono arrabbiati a #Dijon! Dopo il passaggio forzato del governo sul 49.3, manichini con l’effigie di Emmanuel Macron, Elisabeth Borne, Olivier Véran e Olivier Dussopt vengono bruciati in Place de la République a #Dijon
( LBP/Jérôme DELABY)”)

Come nel movimento dei Gilet Gialli del 2018, il nazionalismo è una forza trainante di queste proteste. Nessunu ha ancora tirato fuori le bandiere francesi, ma potrebbero fare presto la loro comparsa. Nel bene e nel male, dopo i Gilet gialli, l’immaginario politico francese mainstream si è concentrato quasi interamente sulla Rivoluzione francese. Si chiede la decapitazione di Macron, per proteggere il sacro onore della democrazia francese, e così via dicendo. Tutto questo si accompagna ad un nazionalismo ampio e – per ora – confuso. Il partito di estrema destra “Rassemblement National” di Marine Le Pen è in attesa di capitalizzare la situazione.

Per continuare a crescere, il movimento dovrà superare i suoi limiti attuali. Finora le rivolte e i blocchi sono stati a maggioranza bianca. La maggior parte della classe operaia di colore non beneficerà comunque dell’attuale sistema pensionistico; a meno che non sia chiaro cosa potrebbero guadagnare da questo movimento, probabilmente non scenderanno in piazza e questo limiterà la possibilità di un’insurrezione. Inoltre, sebbene siano circolate immagini drammatiche da Parigi e da altre città, a differenza dei Gilet Gialli, questo movimento è partito dalle grandi città e non è chiaro quanto si diffonderà nelle zone più rurali del Paese.

Allo stesso modo, resta da vedere come un nuovo ciclo di agitazioni in Francia influenzerebbe i movimenti in altre parti del mondo. Il ritmo delle agitazioni in Francia è generalmente sfasato rispetto agli eventi politici di altri Paesi. Il movimento “Occupy” e i suoi equivalenti hanno avuto luogo in Spagna, Grecia, Stati Uniti e persino in Germania nel 2011, ma l’equivalente francese, “Nuit Debout”, si è verificato ben cinque anni dopo; il movimento dei Gilet gialli è iniziato un anno prima della maggior parte delle rivolte globali del 2019. Ma con la ripresa dei movimenti in Grecia e altrove, gli eventi in Francia potrebbero contribuire a plasmare l’immaginario popolare in tutto il mondo. Nessuna delle tensioni che hanno catalizzato le rivolte globali del 2019 e la rivolta [dopo la morte] di George Floyd del 2020 è stata risolta. Dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Russia all’Iran, i governi hanno semplicemente tentato di reprimere il dissenso con la forza bruta, mentre le persone diventavano lentamente e costantemente più disperate e arrabbiate.

A breve termine, lu compagnu in Francia sperano di costruire il potere per resistere alle imminenti leggi repressive contro le persone migranti, le persone senza documenti, le persone senzatetto e lu abusivu [ – leggi] che sono in cantiere da parte del governo di Macron e Borne. A Parigi e nelle zone limitrofe, in particolare, la lotta contro la preparazione della città per i Giochi Olimpici dell’estate 2024 è nella mente di molte persone. Reclamare le strade è urgente quando gli sgomberi, la distruzione di parchi e spazi pubblici e la costruzione di infrastrutture massicce e inutili nella periferia nord di Parigi vengono utilizzati come strumenti per controllare e ripulire quartieri tradizionalmente popolari.

Il movimento “Nuit Debout” del 2016, [appartenente ad] una parte della resistenza contro la legge sul lavoro introdotta quell’anno con l’articolo 49 comma 3, è un precedente per il movimento che sta emergendo oggi.

La macronie è quasi finita?

Originale in francese

L’annuncio, giovedì 16 Marzo, dell’utilizzo del 49.3 da parte del governo per imporre la sua riforma pensionistica ha spinto il movimento di protesta in una nuova dimensione. Nonostante una repressione feroce, una strana miscela di rabbia e di gioia si diffonde su tutto il territorio: manifestazioni selvagge, blocchi a sorpresa di strade, invasione di centri commerciali o di ferrovie, lanci di spazzatura sugli uffici dei deputati, incendi notturni di rifiuti, tagli mirati dell’elettricità, ecc La situazione è ormai ingestibile e il Presidente non ha altra corda al suo arco che promettere che resisterà a tutti i costi e [far] sprofondare [il tutto] in un impeto di violenza. I prossimi giorni saranno quindi decisivi: o il movimento si stanca – ma tutto indica il contrario -, oppure il [governo] quinquennale di Macron crolla. In questo testo cercheremo di fare il punto della situazione, analizzando le forze coinvolte, le strategie e gli obiettivi a breve e medio termine.

Solo contro tutti

Se consideriamo le due forze ufficialmente presenti, la situazione è unica in quanto nessuna delle due può permettersi di perdere. Da un lato, abbiamo il “movimento sociale”, che spesso pensiamo sia scomparso ma che ritorna sempre in mancanza di qualcosa di meglio. I più ottimisti vedono in questo il preludio necessario per costruire un rapporto di forza che potrebbe aprire la strada ad una rivolta o addirittura a una rivoluzione. I più pessimisti credono che, al contrario, sia compromesso fin dall’inizio – che la canalizzazione e la ritualizzazione del malcontento popolare contribuisca alla buona gestione dell’ordine dominante e quindi al suo mantenimento e rafforzamento.

Comunque sia, sulla carta questo “movimento sociale” ha tutte le carte in regola per vincere: i sindacati sono uniti, le manifestazioni sono numerose, l’opinione pubblica gli è largamente favorevole e il governo, sebbene sia stato eletto democraticamente, è molto in minoranza. Le stelle sono quindi allineate, tutte le luci sono verdi; in queste condizioni oggettivamente favorevoli, se il “movimento sociale” perde, significa che non potrà mai più immaginare o pretendere di vincere qualcosa.

Scioperi e blocchi sono scoppiati in tutta la Francia.

Dall’altra parte ci sono Emmanuel Macron, il suo governo e alcuni fanatici che credono in lui. Sanno di essere una minoranza, ma è da lì che traggono la loro forza. Macron non è un presidente che è stato eletto per piacere o solo per essere apprezzato. Egli incarna il capolinea della politica: la sua pura e perfetta aderenza all’economia, all’efficienza, allo spettacolo. Non vede le persone, la vita, gli esseri umani; vede solo atomi da cui estrarre valore. Macron è una sorta di droide malvagio che vuole il meglio per coloro che governa e contro la loro volontà. La sua idea di politica è un foglio Excel: finché i calcoli saranno corretti e i numeri giusti, continuerà ad andare avanti a ritmo costante. D’altra parte sa che se esita, trema o si arrende, non potrà pretendere di governare niente e nessuno.

Un confronto non è però una simmetria. Ciò che minaccia il “movimento sociale” è la stanchezza e la rassegnazione. L’unica cosa che potrebbe far desistere il presidente è il rischio concreto di una rivolta. Dopo il ricorso all’articolo 49.3, giovedì 16 Marzo, vediamo che la situazione sta cambiando. Ora che la negoziazione con le autorità è diventata obsoleta, il “movimento sociale” sta ribollendo e superando se stesso. I suoi contorni stanno diventando pre-insurrezionali.

Rimane una terza forza, non ufficiale, l’inerzia: coloro che, per il momento, rifiutano di unirsi alla battaglia per pigrizia, casualità o paura. Al momento giocano effettivamente a favore del governo; ma più la situazione sarà instabile, più dovranno schierarsi: o a favore del movimento o del governo. Il grande risultato dei Gilet Gialli è stato quello di far uscire la frustrazione e l’insoddisfazione da dietro gli schermi.

(traduzione: “Numerosi scontri tra polizia e manifestanti in Place d’Italie durante la manifestazione contro la riforma delle pensioni a Parigi.”)

Il miglior pensionamento è l’attacco 1

Ma cosa c’è veramente dietro questo confronto e la sua messa in scena? Cos’è che stringe il cuore, ispirando coraggio o rabbia? La posta in gioco è il rifiuto del lavoro.

Ovviamente nessuno osa formulare la questione in questo modo, perché non appena si parla di lavoro, una vecchia trappola si chiude su di noi. Il suo meccanismo è però rudimentale e ben noto: dietro il concetto stesso di lavoro si sono volontariamente confuse due realtà ben distinte. Da un lato, il lavoro come partecipazione singolare alla vita collettiva, alla sua ricchezza e creatività. Dall’altro, il lavoro come forma particolare di lavoro individuale nell’organizzazione capitalistica della vita, cioè il lavoro come dolore e sfruttamento. Se ci si azzarda a criticare il lavoro, o addirittura a desiderarne l’abolizione, di solito ciò viene inteso come un capriccio piccolo-borghese o un nichilismo punk da strapazzo. Se vogliamo mangiare il pane, abbiamo bisogno di panettieri; se vogliamo i panettieri, abbiamo bisogno di fornai; se vogliamo i fornai, abbiamo bisogno di muratori; e per la pasta che mettiamo nel forno, abbiamo bisogno di contadini che seminano, raccolgono e così via. Nessuno, ovviamente, è in grado di contestare queste prove.

Il problema, il nostro problema, è che se rifiutiamo il lavoro a tal punto, se siamo milioni nelle strade e sui marciapiedi per evitare di essere sottopostu ad altri due anni di lavoro, non è perché siamo pigru o sogniamo di entrare in un club di bridge, ma perché la forma che lo sforzo comune e collettivo ha assunto in questa società è insopportabile, umiliante, spesso senza senso e mutilante. Se ci pensate, non abbiamo mai lottato per la pensione ma sempre contro il lavoro.

Che la gente riconosca collettivamente, su larga scala, che per la grande maggioranza di noi il lavoro è dolore: le autorità non possono permettere che questa idea prenda piede, perché implicherebbe la distruzione dell’intero edificio sociale, senza il quale non sarebbero nulla. Se la nostra condizione comune è quella di [essere consapevoli di] non avere potere sulla nostra vita, allora, paradossalmente, tutto diventa di nuovo possibile. Notiamo che le rivoluzioni non hanno necessariamente bisogno di grandi teorie e analisi complesse; a volte è sufficiente una piccola richiesta che si mantiene fino alla fine. Basterebbe, ad esempio, rifiutare di essere umiliatu: da un orario, da un salario, da un manager o da un compito. Basterebbe un movimento collettivo che sospenda l’angoscia del calendario, della lista delle cose da fare, dell’agenda. Basterebbe rivendicare la minima dignità per se stessu, per la propria famiglia e per lu altru, e l’intero sistema crollerebbe. Il capitalismo non è mai stato altro che l’organizzazione oggettiva ed economica dell’umiliazione e del dolore.

(traduzione: “Lione inizia a parlare il linguaggio del governo. E questo è anche brutale. #manif17Mars Chi avrà la palma della rivolta sabato 18 Marzo? I favoriti: Rennes, Lione, Nantes e Parigi! Ma molti outsider potrebbero creare la sorpresa… #ToutCramer #Revolution”)

Una critica della violenza

Detto questo, dobbiamo riconoscere che nell’immediato futuro l’organizzazione sociale che stiamo contestando non è tenuta insieme solo dal ricatto sulla sopravvivenza – e imposta a tuttu. È tenuta insieme anche dalla violenza della polizia. Non entreremo nel merito del ruolo sociale della polizia e delle ragioni per cui si comporta in modo così detestabile; queste sono già state sintetizzate abbastanza bene nel testo “Perché tutti i poliziotti sono dei bastardi”. Ciò che ci sembra urgente è pensare strategicamente alla loro violenza, a ciò che essa reprime e soffoca attraverso il terrore e l’intimidazione.

Negli ultimi giorni, ricercatori e commentatori hanno denunciato la mancanza di professionalità della polizia, i suoi eccessi, la sua arbitrarietà, a volte persino la sua violenza. Persino su BFMTV [il canale d’informazione conservatore più seguito in Francia] si sono stupiti del fatto che delle 292 persone arrestate giovedì 16 Marzo a Place de la Concorde, 283 siano state rilasciate dalla polizia senza essere perseguite e le restanti 9 abbiano ricevuto una semplice ammonizione. Il problema di questo tipo di indignazione è che, concentrandosi su una disfunzione percepita del sistema, si impedisce di vedere ciò che può essere solo una strategia intenzionale. Se centinaia di BRAV-M [le Brigades de répression des actions violentes motorisées, unità motociclistiche della polizia istituite durante le proteste dei Gilet gialli] si aggirano per le strade di Parigi per inseguire e picchiare lu manifestanti, se venerdì un decreto prefettizio ha vietato qualsiasi assembramento in un’area che comprende circa un quarto dell’intera capitale, è perché [Emmanuel] Macron, [il ministro dell’Interno Gérald] Darmanin e [il prefetto della polizia di Parigi Laurent] Nunez hanno concordato il metodo: svuotare le strade, offendere i corpi, terrorizzare i cuori… in attesa che passi.

Ripetiamo, non si vince mai “militarmente” contro la polizia. La polizia rappresenta un ostacolo che deve essere tenuto sotto controllo, schivato, far esaurire, disorganizzare o demoralizzarlo. Eliminare la polizia non significa sperare ingenuamente che un giorno deponga le armi e si unisca al movimento, ma al contrario fare in modo che ogni suo tentativo di ristabilire l’ordine attraverso la violenza produca più disordine. Ricordiamo che il primo sabato del movimento dei Gilet Gialli, sugli Champs Elysees [un famoso viale di Parigi], la folla che si sentiva particolarmente legittimata cantava “la polizia [è] con noi”. Poche cariche della polizia e gas lacrimogeni dopo, il viale più bello del mondo si è trasformato in un campo di battaglia.

(traduzione: “A Parigi, la manifestazione dei gilet gialli sugli Champs-Élysées degenera in violenza”)

Imparare le lezioni della repressione

Detto questo, le nostre capacità decisionali strategiche per la strada sono molto limitate. Non abbiamo uno staff, ma solo il nostro buon senso, i nostri numeri e una certa inclinazione all’improvvisazione. Nella configurazione attuale, possiamo comunque trarre alcune lezioni da queste ultime settimane:

-Il controllo delle manifestazioni, cioè il compito di mantenerle entro i limiti dell’innocuità, è un compito condiviso tra i leader sindacali e le forze di polizia. Una manifestazione che si svolge come previsto è una vittoria per il governo. Una manifestazione che travalica i limiti preparati per essa diffonde l’ansia tra i vertici del governo, demoralizza la polizia e ci avvicina all’abolizione del lavoro. Una folla che non accetta più il percorso guidato dalla polizia, che danneggia i simboli dell’economia ed esprime la sua rabbia con gioia, è una perturbazione e quindi una minaccia.

-Finora, ad eccezione del 7 Marzo, tutte le manifestazioni di massa sono state contenute dalla polizia. I cortei sindacali sono rimasti perfettamente ordinati e lu manifestanti più determinatu sono statu sistematicamente isolatu e brutalmente repressu. In alcune circostanze, un po’ di audacia libera l’energia necessaria per uscire dall’inquadramento; in altre, può consentire alla polizia di chiudere violentemente ogni possibilità. Succede che quando si vuole rompere una finestra, prima ci si rompe il naso sul bordo della cornice.

-Per la loro velocità di movimento e la loro estrema brutalità, i poliziotti del BRAV-M sono l’ostacolo più temibile. La fiducia che si sono costruiti negli ultimi anni e soprattutto nelle ultime settimane deve essere minata. Se non possiamo escludere la possibilità che piccoli gruppi possano occasionalmente superarli e ridurre la loro audacia, l’opzione più efficace sarebbe che la folla pacifica di sindacalisti e manifestanti non tollerasse più la loro presenza, si alzasse con le mani in alto ogni volta che questi poliziotti tentano di sfondare la manifestazione, gridasse contro di loro e li spingesse via. Se la loro presenza nelle manifestazioni inizierà a creare disordine invece di ristabilire l’ordine, il signor Nunez sarà costretto a esiliarli sull’Ile de la Cité [l’isola al centro di Parigi], per rinchiuderli nel loro garage di rue Chanoinesse.

-Giovedì 16 Marzo, dopo l’annuncio del ricorso all’articolo 49.3, una manifestazione sindacale annunciata in anticipo e più volte convocata, è confluita dall’altra parte del ponte della Concorde, davanti all’Assemblea Nazionale. Poiché l’obiettivo primario della polizia è quello di proteggere i rappresentanti della nazione, la folla è stata respinta verso sud. Grazie a questa manovra, lu manifestanti si sono ritrovatu spintu e dispersu nelle vie turistiche del centro città. I cumuli di rifiuti lasciati [a terra a causa] dello sciopero dei netturbini, si sono trasformati spontaneamente in falò, rallentando e impedendo la reazione della polizia. In modo spontaneo, in molte città del Paese, i roghi di bidoni della spazzatura sono diventati la firma del movimento.

-Venerdì 17 Marzo, un nuovo appello sul concentramento a Place de la Concorde era stato contenuto. Sebbene lu manifestanti fossero coraggiosu e determinatu, si sono ritrovatu in una trappola, una morsa, incapaci di recuperare la loro mobilità. La prefettura non ha commesso lo stesso errore del giorno precedente. Sabato, un terzo appello a riunirsi nella stessa piazza ha convinto le autorità a vietare tutti gli assembramenti in un’area che si estende dagli Champs Élysées al Louvre, dai Grands Boulevards alla rue de Sèvres – in altre parole, [coprendo] circa un quarto di Parigi intorno al Palazzo presidenziale dell’Eliseo e all’Assemblea nazionale. Migliaia di agenti di polizia dislocati nell’area sono stati in grado di impedire l’inizio di qualsiasi raduno molestando lu passanti. Dall’altra parte della città, un raduno a Place d’Italie ha preso alla lettera il dispiegamento di polizia e ha dato vita a una manifestazione spontanea nella direzione opposta. I gruppi mobili sono riusciti a bloccare le strade per diverse ore, incendiando i bidoni della spazzatura e sfuggendo temporaneamente al BRAV-M.

-L’ABC della strategia è che le tattiche non devono scontrarsi, ma comporsi. La prefettura di Parigi ha già presentato la sua narrazione della battaglia: manifestazioni di massa responsabili ma innocue da una parte, rivolte notturne guidate da frange radicali e illegittime dall’altra. Chiunque sia stato in strada in quest’ultima settimana sa quanto questa caricatura sia una menzogna e quanto sia importante [per il governo] mantenerla. Perché questa è la loro arma definitiva: dividere la rivolta in buoni e cattivi, responsabili e incontrollabili. La solidarietà è il loro peggior incubo. Se il movimento acquista intensità, i cortei sindacali finiranno per essere attaccati e, di conseguenza, si difendono. I blocchi a sorpresa delle tangenziali da parte di gruppi della CGT [Confédération Générale du Travail, un sindacato nazionale] indicano che una parte della base è già decisa ad andare oltre i rituali. Quando lunedì la polizia è intervenuta a Fos-sur-Mer per far rispettare gli ordini del prefetto, i lavoratori sindacalizzati sono passati allo scontro. Più le azioni si moltiplicheranno, più la morsa della polizia si allenterà. Gérald Darmanin ha ricordato che negli ultimi giorni ci sono state più di 1200 manifestazioni spontanee.

(traduzione: “Gli incendi della spazzatura illuminano la notte lungo Rue de Prague a #Paris”)

Il potere è logistico – blocchiamo tutto”

Al di là della sua stessa violenza, l’efficacia della polizia risiede anche nel suo potere di diversione. Determinando il luogo, la forma e il momento dello scontro, essa sottrae energia al movimento.

Il blocco è cruciale e vitale se scommettiamo sul disordine e sulla minaccia che esso rappresenta sul potere [- facendo rinunciare a] Macron [l’] estensione della durata del lavoro. Infatti, nessuno aspetterà all’infinito lo sciopero generale di una classe operaia e di un movimento sindacale erosi da 30 anni di neoliberismo; il gesto politico più ovvio, spontaneo ed efficace è ora il blocco dei flussi economici, l’interruzione del normale flusso di merci e persone.

Quello che è stato organizzato a Rennes per due settimane può servire da esempio. Piuttosto che affrontare la polizia come obiettivo primario, i cittadini di Rennes hanno dato vita ad assemblee semi-pubbliche in cui vengono concepite azioni di blocco. All’alba di questo lunedì, un appello per le “città morte” ha visto centinaia di persone distribuite in diversi punti della città, arrivando a bloccare le strade principali e la circonvallazione di Rennes. Due settimane prima, 300 persone hanno dato fuoco ai bidoni della spazzatura nel cuore della notte, bloccando la strada di Lorient fino al mattino presto. La sfida non è mai affrontare la polizia, ma coglierla di sorpresa, diventare furtivi. Anche dal punto di vista di chi giura solo sui numeri e aspetta ancora lo sciopero generale, questa moltiplicazione dei punti di blocco e del disordine è evidente. Se dopo l’esplosione in risposta all’uso dell’articolo 49.3 di giovedì scorso ci fosse stato solo l’appello [della dirigenza sindacale ufficiale] a manifestare il giovedì successivo, tuttu si sarebbero rassegnatu ad un’ultima resistenza e alla sconfitta. I blocchi e il disordine diffuso hanno ispirato il coraggio, la fiducia e lo slancio di cui il movimento aveva bisogno per proiettarsi oltre le scadenze stabilite dai leader sindacali.

(traduzione: “Blocco del deposito di petrolio del porto di Lorient. Diverse decine di blocchi questa mattina in Francia: porti, depositi, zone economiche, strade… (@GuiheneufS) #Revolution #greve23mars #manifestations #manifestation #ReformesDesRetraites”)

Occupare per incontrarsi e organizzarsi

Il crollo della politica classica con i suoi partiti e la sua disillusione ha aperto la strada a innovativi esperimenti autonomi. Il movimento contro la legge sul lavoro, Nuit Debout [un movimento del 2016], i Gilet Gialli, les Soulèvements de la Terre [le rivolte della terra, una recente serie di mobilitazioni ambientali che utilizzano l’azione diretta di massa] e molti altri hanno confermato negli ultimi anni che non solo non c’era più nulla da aspettarsi dalla rappresentanza [politica], ma che nessuno la voleva più.

Ognuna di queste sequenze meriterebbe un’analisi approfondita dei suoi punti di forza e di debolezza, ma ci atterremo a un fatto fondamentale: disfare il potere implica inventare nuove forme e per questo, nell’atomizzazione della metropoli, abbiamo bisogno di luoghi in cui incontrarci, pensare e agire. Per decenni, l’occupazione di edifici, campus universitari o altri luoghi faceva parte delle pratiche ovvie di ogni movimento. Un presidente di università che accettava l’intervento della polizia nel suo campus veniva immediatamente condannato, poiché si dava per scontato che la riappropriazione collettiva e partecipativa dello spazio fosse una risposta minima contro la privatizzazione di tutti gli spazi e del controllo dello spazio pubblico.

È chiaro che oggi nessuna occupazione è tollerata. Come è successo a Rennes, l’occupazione di un cinema abbandonato e trasformato in una Maison du Peuple [“casa del popolo”] – dove si incontravano sindacalisti, attivistu e gente del posto -, è stato sgomberato entro 48 ore dal sindaco socialista della città, inviando centinaia di poliziotti. Per quanto riguarda le università, le autorità invocano spudoratamente i rischi di disordini e la possibilità di lezioni a distanza per chiudere [gli edifici] amministrativi o inviare la polizia contro le stesse persone studenti. D’altra parte, tutto questo sottolinea quanto sia importante avere luoghi in cui incontrarsi e organizzarsi, quanto questi possano aumentare le nostre capacità. A Parigi, è stata tentata l’occupazione della Bourse du Travail dopo un’assemblea chiassosa e un banchetto spontaneo sotto il tetto del movimento operaio. Tuttavia, si è spenta nella notte, a causa dell’indecisione o dell’incomprensione dei sindacati e dei ribelli autonomi. Abbiamo bisogno di luoghi per costruire connessioni e solidarietà e abbiamo bisogno di connessioni e solidarietà per tenere i luoghi. La storia dell’uovo e della gallina.

A Rennes, il movimento ha temporaneamente superato il problema: una volta evacuatu, lu partecipanti della Maison du Peuple si sono riunitu in pieno giorno e hanno continuato a organizzare blocchi e riunioni, probabilmente in attesa di essere sufficientemente unitu e fortu per riprendersi un posto con un tetto, acqua corrente e riscaldamento. A Parigi, i limiti raggiunti dall’esperimento Nuit Debout sembrano aver precluso la possibilità di riunirsi all’aperto. La caricatura che permane vorrebbe che le discussioni all’aperto producano solo monologhi senza inizio né fine. Tuttavia ricordiamo l’aperitivo da Valls2 e la possibilità, anche dalla nostra egocentrica solitudine metropolitana, di decidere al volo di precipitarci sotto casa del Primo Ministro con diverse migliaia di persone. Il fatto che il governo sia così intenzionato a lasciarci senza punti di incontro dimostra quanto sia urgente istituirli.

(traduzione: “#Paris continua la caccia ai manifestanti intorno alla Bastiglia. Gas e uso di granate stordenti. #reformesdesretraites #macron13h #manifestations #reformedesretraites #reformeretraites #MotionDeCensureTransPartisane #Retraites” )

Verso l’infinito e oltre

Come abbiamo detto, i contorni del movimento stanno diventando pre-insurrezionali. Ogni giorno i blocchi si moltiplicano, le azioni si intensificano. Giovedì sarà quindi decisivo. Dal punto di vista della riforma, se le manifestazioni di giovedì sfuggiranno al controllo, Macron si troverà con le spalle al muro. O si assumerà il rischio di un sabato nero 3 in tutto il Paese – cioè la “vestificazione gialla” che lui teme più di ogni altra cosa – oppure si tirerà indietro venerdì, invocando il rischio di significative esplosioni incontrollabili.

Tutto è in gioco ora, e non solo. La sinistra è in agguato, pronta a vendere una scappatoia elettorale, l’illusione di un referendum, o addirittura la costruzione della Quarta Internazionale, qualsiasi cosa serva per invocare la pazienza e il ritorno alla normalità. Per resistere ed evitare la cooptazione e la repressione, il movimento dovrà affrontare al più presto la questione centrale di ogni rivolta: come organizzarsi. Senza dubbio, alcunu stanno già pensando e parlando di come vivere il comunismo e diffondere l’anarchia.

(traduzione: “Una manifestazione spontanea nel centro di #Montpellier ha dato fuoco alle barricate nel centro della città.”)

Note

1Riferimento a “la migliore forma di difesa è l’attacco”; il testo originale fa un gioco di parole sulla somiglianza tra le parole francesi per “ritirata” e “pensionamento”.

2Il 9 Aprile 2016, durante un’assemblea generale, lu partecipanti al movimento Nuit Debout hanno deciso di auto-invitarsi a casa del primo ministro Manuel Valls per un aperitivo. Un mese dopo, il 10 Maggio 2016, di fronte a un movimento sociale indisciplinato, Valls ha annunciato di aver deciso di invocare l’articolo 49.3 della Costituzione per attuare l’impopolare Loi Travail [legge sul lavoro] senza il voto dell’Assemblea nazionale – e ponendo un precedente per la crisi attuale.
3A partire dal 1° Dicembre 2018, il movimento dei Gilet Gialli si è ripetutamente mobilitato il sabato, sconvolgendo le aree urbane.

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Il fallimento della Credit Suisse come ennesima dimostrazione del fallimento capitalista

La settimana scorsa, la Saudi National Bank ha annunciato di non poter fornire assistenza finanziaria alla Credit Suisse – di cui detengono il 10% delle azioni. Questa situazione ha innescato una paura tra i vari clienti, specie dopo i fatti avvenuto negli Stati Uniti con la Silicon Valley Bank; in pochi giorni la banca elvetica ha avuto delle perdite di 10 miliardi di franchi al giorno. La Banca Nazionale Svizzera, per tamponare queste perdite, ha fornito inizialmente 54 miliardi di franchi, per poi arrivare a circa 100 miliardi di franchi.

Nel fine settimana, precisamente il 19 Marzo, viene pubblicato un comunicato stampa della Banca Nazionale Svizzera:

UBS ha annunciato oggi l’acquisizione del Credit Suisse. L’acquisizione è stata resa possibile grazie al sostegno del governo federale svizzero, dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari FINMA e della Banca Nazionale Svizzera (BNS). Con l’acquisizione del Credit Suisse da parte di UBS, è stata trovata una soluzione per garantire la stabilità finanziaria e proteggere l’economia svizzera in questa situazione eccezionale. Entrambe le banche hanno accesso illimitato alle strutture esistenti della BNS, attraverso le quali possono ottenere liquidità dalla BNS in conformità con le “Linee guida sugli strumenti di politica monetaria”. Inoltre, sulla base dell’ordinanza d’emergenza del Consiglio federale, il Credit Suisse e UBS possono ottenere un prestito di liquidità con status di creditore privilegiato in caso di fallimento per un importo totale di 100 miliardi di franchi. Inoltre, sulla base dell’ordinanza d’emergenza del Consiglio federale, la Banca nazionale può concedere al Credit Suisse un prestito di aiuto alla liquidità fino a 100 miliardi di franchi, coperto da una garanzia di insolvenza della Confederazione. […] Con l’erogazione di ingenti aiuti di liquidità, la Banca nazionale adempie al suo mandato di contribuire alla stabilità del sistema finanziario e continua a collaborare strettamente con la Confederazione e la FINMA a questo scopo.[…]”1

La decisione presa, specie prima che aprissero i mercati asiatici con le possibili conseguenze ancor più disastrose per la banca svizzera, è stata spiegata così dal presidente della confederazione svizzera Alain Berset: “Venerdì (17 Marzo, ndt), i deflussi di liquidità e la volatilità del mercato hanno dimostrato che non era più possibile ripristinare la necessaria fiducia e che era assolutamente necessaria una soluzione rapida e stabilizzante. Questa soluzione è stata l’acquisizione del Credit Suisse da parte di UBS. Il Consiglio federale l’ha sostenuta dopo diversi incontri con la Banca nazionale svizzera, con il nostro regolatore FINMA, con Credit Suisse e UBS. Il Consiglio federale è quindi fiducioso che, in questa difficile situazione, l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS sia la soluzione migliore per ripristinare la fiducia che è venuta a mancare negli ultimi tempi sui mercati finanziari e per gestire al meglio i rischi per il nostro Paese e i suoi cittadini.2

L’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS è stata di 3,25 miliardi di franchi. La “soluzione commerciale”, secondo Karin Keller-Sutter, ministro delle finanze svizzero, ha evitato un salvataggio che potesse danneggiare, secondo loro, le persone contribuenti svizzere: “Volevamo davvero evitare un salvataggio per diverse ragioni. Ma forse sono tornata alla questione del contesto del “too big to fail.” Voglio dire, il contesto “too big to fail” non avrebbe potuto essere applicato qui. Davvero, perché di solito si applica a una banca che non è più in grado di far fronte alle proprie passività. E qui abbiamo un problema di liquidità. Quindi non è affatto tipico. Come ho detto nella mia introduzione, anche il fallimento del Credit Suisse avrebbe avuto un danno collaterale, un enorme danno collaterale sul mercato finanziario svizzero, nonché un rischio di contagio per UBS e altre banche e anche a livello internazionale. Mi sono quindi messa in contatto con i miei colleghi del Regno Unito e degli Stati Uniti. Erano molto, molto grati per questa soluzione perché temevano davvero che il Credit Suisse potesse fallire con tutte le perdite. E, sapete, in questo scenario il contribuente ha meno rischi. Voglio dire, il fallimento sarebbe stato il rischio più alto perché il costo dell’economia sarebbe stato enorme. […]3

Dello stesso avviso è stata la FINMA che, in un comunicato stampa, paventa una crisi di fiducia verso il Credit Suisse “che si è manifestata con notevoli deflussi di fondi dei clienti. Questa situazione è stata intensificata dagli sconvolgimenti del mercato bancario statunitense nel Marzo 2023. Il rischio è che la banca diventi illiquida, anche se rimane solvibile, ed è necessario che le autorità intervengano per evitare gravi danni ai mercati finanziari svizzeri e internazionali.4

L’acquisto di Credit Suisse da parte di UBS è stata una delle più significative nel sistema bancario dalla crisi del 2008. Ma questo non cambia il fatto che l’acquisizione abbia delle ombre che, prima o poi, si ripercuoteranno nell’ambito economico svizzero e, più in generale, mondiale. Come dimostrato per l’ennesima volta, le banche privatizzano i guadagni e socializzano le perdite; le istituzioni (in questo caso svizzere) hanno fatto accettare questo acquisto non solo agli azionisti (specie piccoli) ma anche alle oltre 50mila persone lavoratrici di Credit Suisse – che, in una logica di contenimento dei costi da parte di UBS, buona parte di esse verranno licenziate.

In un commento del “Financial Times” del 19 Marzo sul Credit Suisse, la transizione avvenuta è stata “disordinata e sgradevole che nessuno vuole davvero. Sembra anche necessaria. Ma non è dato sapere se questa operazione possa arrestare le corse delle banche europee. La rassicurazione è un gioco pericoloso in una situazione di panico finanziario. Può confermare i timori degli investitori con la stessa facilità con la quale vengano placati. Potrebbe essere necessaria un’azione più ampia da parte delle banche centrali.

Per evitare ulteriori “paure” derivanti dalla questione del Credit Suisse, la Fed, la Banca del Canada, la Banca d’Inghilterra, la Banca del Giappone e la Banca Centrale Europea hanno annunciato misure per aumentare il flusso di moneta nel sistema finanziario globale – garantendo, in teoria, un’adeguata liquidità e “allentare le tensioni sui mercati globali”.

Il crollo di Credit Suisse è, quindi, un’espressione del vasto cambiamento avvenuto nel panorama finanziario nell’ultimo anno, quando le banche centrali, con in testa la Fed statunitense, hanno rapidamente aumentato i tassi di interesse dopo aver fornito denaro essenzialmente gratuito per 15 anni con varie forme di “alleggerimento quantitativo”.

In tal modo, gli Stati si sono affrettati a mobilitare denaro e a fornire credito nell’ordine delle migliaia di miliardi per salvare il sistema finanziario – e quindi l’intera economia dal collasso. Senza la circolazione del denaro e del credito – dove le banche gestiscono finché ne traggono profitto -, nel sistema capitalistico non c’è altro da fare. Per questo i governi fanno tutto il possibile per sostenere le banche attraverso l’acquisto dei loro prestiti tossici, dare iniezioni di capitale o concedere un’affidabilità creditizia garantita dallo Stato. Lo scopo di tutta questa assistenza è che avvenga un reset della crisi e si ricominci da capo.

Coloro che pagheranno principalmente questi salvataggi o “soluzioni commerciali” (giusto per citare Keller-Sutter) saranno le persone lavoratrici, disoccupate e pensionate con la fatica fisica e mentale, i bassi salari, un’esistenza perennemente insicura e una riduzione progressiva delle pensioni.

La classe politica e quella borghese, invece, non solo non pagherà nulla (in quanto si ricicleranno in mille modi come dei novelli camaleonti di depretesiana memoria), ma faranno accettare questo stato di cose alla massa attraverso i mezzi di comunicazione (tradizionali e nuovi).

In questo modo, i presunti “errori” commessi da qualche singola azienda, specie in ambito finanziario, verranno presentati come degli eventi rari che accadono all’improvviso e, spesso, per colpa di chi agisce in modo non etico o “umano”.

Note

1“Swiss National Bank provides substantial liquidity assistanceto support UBS takeover of Credit Suisse”. Link: https://www.snb.ch/en/mmr/reference/pre_20230319/source/pre_20230319.en.pdf

2“Berset: UBS Buying Credit Suisse Was ‘Best Solution”. Link: https://www.youtube.com/watch?v=zIQReTJpArI

3“Swiss Finance Minister: UBS Buying Credit Suisse Is Not a Bailout”. Link: https://www.youtube.com/watch?v=r1VZ5oPmPd8

4“FINMA approves merger of UBS and Credit Suisse”. Link: https://www.finma.ch/en/news/2023/03/20230319-mm-cs-ubs/

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“La quantità di acqua utilizzata per far evaporare il litio è enorme”

Traduzione dall’originale ““La cantidad de agua que se usa para evaporar el litio es tremenda”

Premessa
Nel continente sudamericano, le violenze contro le persone (repressione ai danni di popolazioni native, epidemie, sfruttamento lavorativo) e interi habitat naturali (mega-miniere, perforazioni petrolifere, coltivazioni e allevamenti intensivi e progetti idroelettrici ed eolici) sono all’ordine del giorno. Chi vive bene in questa situazione sono le classi dominanti (borghesia e politica istituzionale) che, più o meno abilmente, riescono a manipolare l’opinione pubblica locale e internazionale.
Un esempio calzante di questa situazione repressiva e borghese è l’estrattivismo minerario in Sudamerica, in particolare di quelle risorse considerate importanti per la “transizione ecologica” dei paesi del “Primo Mondo”.
Il litio, in questo senso, rientra appieno nel discorso: materiale diventato vitale, secondo la vulgata mainstream, per una cosiddetta “economia capitalista green, salvatrice del pianeta”, viene estratto e venduto a caro prezzo dove, a farne le spese, sono territori e persone.
L’articolo che presentiamo è un’intervista fatta ad un biologo ricercatore argentino, Folguera, dove questi spiega i meccanismi nefasti dell’estrazione del litio (consumo spropositato d’acqua) e la proprietà privata di queste saline – in mano a grandi istituti finanziari mondiali.
Quel che ci preme sottolineare con questa premessa è la parte in cui gli intervistatori parlano di una gestione nazionale di determinate risorse, citando come esempio il Messico di AMLO.
Sintetizzando all’osso, la nazionalizzazione non comporta affatto una gestione e distribuzione dal basso od orizzontale di determinate risorse. Lo Stato, in quanto incarnazione di una struttura di poteri – compresa la gestione della violenza istituzionale sotto forma di esercito e forze dell’ordine -, gestisce la produzione e la distribuzione delle risorse in senso verticista, immettendo queste nei mercati internazionali e lasciando invariati e alla base i rapporti di sfruttamento esistenti (sebbene possa dare qualche contentino sotto forma di assicurazione e diritti lavorativi). La questione messicana sulla gestione del litio o, per meglio dire, il controllo delle risorse in generale da parte di uno Stato non può essere letto in senso rivoluzionario – inteso come liberazione da determinati schemi sociali, culturali ed economici -, ma come mantenimento di uno status quo verticale, borghese e autoritario.

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[“La quantità di acqua utilizzata per far evaporare il litio è enorme”]. Lo ha detto Guillermo Folguera, biologo, filosofo e ricercatore del CONICET. Intervenuto al programma radiofonico Estás Muteadx, ha parlato della produzione di litio in Argentina, del cambiamento climatico e della crisi idrica.
In Messico, il governo di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ha nazionalizzato il litio e la sua industria attraverso un decreto presidenziale. La misura implica una modifica della Costituzione del Paese, che con questo decreto considera il litio come una risorsa strategica che dovrebbe essere di proprietà dello Stato. Il Messico possiede una delle più grandi riserve di litio al mondo e, sebbene il provvedimento non revochi le concessioni già rilasciate, d’ora in poi l’esplorazione e lo sfruttamento di questo minerale saranno di esclusiva competenza dello Stato messicano.
Guillermo Folguera, biologo e ricercatore presso il Consiglio Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnica (in spagnolo “Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas” (CONICET)), ha affermato che è importante che le corporazioni e le multinazionali smettano di determinare le politiche pubbliche nei Paesi dell’America Latina. La misura del Messico potrebbe essere vista come positiva perché significa un ritiro delle aziende dalle risorse naturali, ma anche lo sfruttamento del litio da parte dello Stato comporta dei rischi per i territori e i loro abitanti.
Il problema è che gli Stati in molti casi, e il caso argentino ne è un esempio, quando prendono le risorse naturali, le usano nella stessa direzione”, ha detto Folguera, sostenendo che la distinzione che spesso viene fatta tra “imprese private versus Stati” è falsa, come se le multinazionali si appropriassero dei territori senza il permesso dello Stato. “Uno degli aspetti più evidenti riguarda il potere dei grandi azionisti, che in Argentina sono anche gruppi finanziari come BlackRock, quello del debito. È un grande operatore nel settore del litio e delle azioni minerarie in generale. Quindi anche questa distinzione non è così netta”, ha spiegato. Per quanto riguarda la nazionalizzazione delle riserve di litio in Messico, il biologo ha spiegato cosa ha generato in lui la notizia: “Da un lato la gioia, per il ritiro di alcune società e la necessità di pensare in termini nazionali. E poi la domanda sul perché gli Stati latinoamericani riproducano le pratiche autoritarie di queste stesse corporazioni.”
Alla notizia della nazionalizzazione del litio in Messico, è inevitabile pensare all’Argentina e alla situazione dell’industria nel nostro Paese. Non solo in termini di chi sfrutta le risorse minerarie ed energetiche, ma anche di come lo fa e quali sono le conseguenze per i territori e le comunità.
Nel caso del litio o “oro bianco”, la promozione dei suoi benefici è sempre accompagnata da un discorso che sottolinea il contributo ecologico della sostituzione dei combustibili, ma non fa riferimento specifico ai danni causati dalla sua esplorazione e sfruttamento in un futuro non troppo lontano. In Argentina non esiste un quadro giuridico che regoli l’estrazione del litio. Attualmente nel Paese ci sono diversi progetti di estrazione del litio che vengono sviluppati come accordi tra privati, dato che le saline – da cui viene estratto – sono nella maggior parte dei casi di proprietà privata.

Estás Muteadx (EM): Come si estrae il litio in Argentina e quali sono i rischi che comporta?
Folguera (F): Il litio estratto in Argentina, che è in salamoia, si trova fondamentalmente nelle saline. Ci sono due grandi miniere attive, una nella zona tra Catamarca e Salta e l’altra a Jujuy. Ci sono molti progetti, credo che ce ne siano più di 30. Il processo avviene attraverso tecniche di evaporazione: si generano grandi “zuppe” in una sorta di piscina di diversi colori in cui il litio inizia a decantare e poi si ottiene un composto, che credo sia il carbonato di litio, che è quello che finisce per essere esportato. Tutti questi progetti utilizzano sostanze chimiche. Infatti, proprio di recente c’è stata una fuoriuscita di acido da un camion dell’azienda “Livent” ad Antofagasta, in Catamarca. Inquinano molto con le sostanze chimiche. E forse l’elemento più importante, di cui non si parla spesso, è che trattandosi di tecniche di evaporazione, la quantità di acqua utilizzata è enorme, in un luogo dove l’acqua scarseggia. Il progetto minerario utilizza un’enorme quantità di acqua, così come il fracking e l’agroalimentare. Questa è l’idea dell’acqua come elemento chiave a perdere. Nel caso del litio è molto chiaro che tutte le tecniche che predominano nel caso della Puna, che è condivisa da Bolivia, Cile e Argentina, coinvolgono la teoria dell’acqua (intesa come strumento per le salamoie di litio, ndt). Con questa perdita di acqua si sacrificano le popolazioni e gli ecosistemi locali. E molto probabilmente, al di là dell’aspetto locale, anche un’intera parte degli affluenti sarà colpita. I territori si stanno letteralmente prosciugando.

EM: A cosa serve oggi il litio?
F: È difficile rispondere a queste domande in modo chiaro. Gli ultimi dati che ho trovato dicono che più o meno il 54% è destinato alle batterie, di cui una parte è per i telefoni cellulari. E una parte molto importante è destinata ai veicoli europei e del Primo Mondo che stanno mettendo in atto la “transizione energetica”. E poi viene utilizzato per molte altre cose, per l’industria farmaceutica, per l’agroalimentare. Ci sono molte ramificazioni: viene utilizzato per le industrie militari, ed è molto difficile trovare queste percentuali. Il mio problema con questo è che si può concepire che la “transizione energetica” debba avvenire e che la situazione del cambiamento climatico, della crisi climatica è pazzesca; l’abbiamo vista e la sentiamo ogni giorno, e sono scenari che danneggiano innanzitutto le comunità più vulnerabili. Il cambiamento climatico colpisce tutti, ma alcuni più di altri. Il punto è che, per me, discutere in modo isolato [significherebbe] nascondere più di quanto si riveli. Ciò che va discusso è perché l’Europa non promuova il trasporto pubblico. Perché dovrei sostenere che ogni europeo debba avere una o due auto? L’Europa, la Cina o gli Stati Uniti non stanno ripensando il trasporto pubblico per gli spostamenti. E queste sono discussioni che non hanno luogo. Perché non discutiamo dell’obsolescenza programmata quando sappiamo perfettamente che i telefoni cellulari sono fatti per rompersi in due o tre anni. Facendo qualche ricerca, ci si rende conto, ad esempio, che Samsung è una delle grandi forze trainanti di tutto questo. Un altro esempio è la Toyota. Mi sembra che se non apriamo un po’ la discussione, entriamo in dicotomie che sono sempre dicotomie di morte.

EM: Cosa succede quando le batterie al litio smettono di funzionare e non vengono trattate correttamente? Anche in questo caso, quando vengono gettate, compare una nuova modalità di contaminazione.
F: Compare e compare molto rapidamente. Il litio è visto come un ripiego. Tutti lo riconoscono, anche le grandi industrie. Il litio permette di costruire rapidamente una sorta di ponte verso un altro Stato. Per esempio, l’anno scorso sono stato a Fiambalá (Catamarca) e c’è un progetto che prima era canadese, ora è cinese. Le proiezioni dicono che l’azienda sarà lì ad asciugare [il litio], con contaminazione chimica, in un luogo dove non c’è acqua. E con un impianto [grande] un terzo di Fiambalá. Immaginate di vivere in un posto in cui vi mettono accanto un impianto di quelle dimensioni. Stiamo parlando di cinque o dieci anni. È qualcosa che sarà molto veloce, molto predatorio. Ecco perché credo che sia molto importante fare tutto il possibile, perché le comunità sentiranno rapidamente l’impatto, gli ecosistemi si prosciugheranno e la “puna latinoamericana” si trasformerà in una groviera. Mi sembra terribile perché c’è una promessa costante e quello che vediamo è che oggi questa logica venga portata avanti praticamente con l’acqua della gente.

I territori colpiti

Un’altra cosa che non si discute in Argentina è come occupare il territorio. Per esempio, chi sarebbe contrario ai parchi eolici? Sembrano belli, li si vede da lontano. Quando ci si avvicina e si inizia a discutere di cosa significhi per una popolazione avere queste turbine eoliche accanto a sé, è una follia. È un modo di occupare il territorio che possono chiaramente condividere [gli abitanti di] Buenos Aires, Rosario o Puerto Madryn, guardandolo da un televisore”, ha detto Folguera, spiegando che le comunità vengono espulse dai loro territori quando vengono installati questi progetti. “Nessuno può vivere vicino alle turbine eoliche perché generano un enorme inquinamento ambientale. Uno dei principali danni generati da queste pale, che generano energia con il movimento del vento, è che sono terribilmente aggressive nei confronti di uccelli e pipistrelli che sono impollinatori. In altre parole, si danneggia un intero ecosistema e quindi si finisce per colpire anche delle forme produttive (intese per l’andamento di un habitat naturale, ndt)”, ha detto.
Per concludere, il ricercatore del CONICET ha sottolineato l’importanza di pensare a questo problema da una prospettiva economica. “Tutto ciò di cui stiamo parlando è più finanziario che produttivo. Si tratta fondamentalmente del mercato finanziario internazionale e delle forme di speculazione. Tutta la parte di mega-minerarie e agro-imprese che sono state fortemente promosse dal neoliberismo, diciamo, anche se la storia delle miniere e dell’agricoltura risale a molto tempo fa, questa forma è chiaramente neoliberale. E in questo senso, per il mercato finanziario internazionale non importa che si tratti di litio, oro, argento, rame, pino, eucalipto, un chilo di carne di maiale, soia o grano. E poi si parla di cambiamento climatico. A mio avviso, la crisi climatica [, per come viene trattata,] ha più a che fare con il linguaggio pubblicitario che con una reale preoccupazione, e queste imprese trascendono “la crepa(del cambiamento climatico, ndt) e si sviluppano con diversi governi ai margini delle comunità”, ha affermato.

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In vista della Coppa del Mondo, il Qatar ha fatto pressioni sull’agenzia delle Nazioni Unite per non indagare sugli abusi [lavorativi]

Traduzione dall’originale In World Cup Run-Up, Qatar Pressed U.N. Agency Not to Investigate Abuses”

Premessa

Nel Settembre dello scorso anno pubblicavamo “Il Mondiale si farà in Qatar”, traduzione dell’articolo “El mundial se harà en Qatar”, pubblicato su “La Oveja Negra”, a. II, numero 84, Settembre 2022.

Tra le critiche riportate nello scritto, vi era lo sfruttamento di numerosi lavoratori (migranti e locali) in Qatar. Molti dei lavoratori migranti provenivano dall’India, Pakistan, Bangladesh e altri del sud-est asiatico – territori noti per essere governati e controllati da elitè militari, suscettibili di atti di corruzione e violenza contro chi si ribella allo sfruttamento.

Agli inizi di Dicembre del 2022 scoppia il caso del “Qatargate”: alcuni deputati del Parlamento Europeo, corrotti in precedenza da funzionari qatarini, difendevano gli interessi economici energetici del paese del Golfo nella sede istituzionale di Bruxelles, presentando la petromonarchia come all’avanguardia di diritti umani e mettendo a tacere qualsiasi critica. Dal canto suo, il Qatar, attraverso un suo diplomatico, ha negato l’atto e, contemporaneamente, ha minacciato velatamente l’Europa che tali accuse di corruzione possano influenza negativamente i rapporti economici tra lo Stato qatarino e l’Unione Europea.

Se guardiamo la questione da un punto di vista geopolitico, possiamo notare come i giacimenti energetici qatarini (in special modo quello ricadente nel progetto North Field East) siano vitali e fondamentali per le infrastrutture economiche europee nell’attuale contesto energetico internazionale dove il conflitto in Ucraina ha messo a dura prova il sistema di sfruttamento, passaggio, approvvigionamento e distribuzione energetica dell’Unione Europea.

A questa questione va aggiunta quella lavorativa dove lo sfruttamento e le morti dei lavoratori avvenute durante le fasi di costruzione delle infrastrutture per il “Mondiale 2022” sono un altro dato assodato.

Per cui l’operazione portata avanti da Tamim bin Hamad Al Thani, parlamentari europei, esponenti della FIFA e organizzazioni dei diritti dei lavoratori, rientra nello schema di presentare in modo apparentemente positivo (rispetto dei diritti umani e quant’altro di similare) quel che in realtà non c’è stato.

In questo post presentiamo una traduzione dell’articolo del “The New York Times” dove, a distanza di mesi, viene fuori il quadro inquietante dei rapporti tra Qatar e Organizzazione Internazionale del Lavoro e come quest’ultima non abbia intrapreso alcuna azione di protesta e/o critica in vista della Coppa del mondo del 2022. Seppure il giornale in questione appartenga alla sfera del mainstream, abbiamo ritenuto valide determinate questioni messe in evidenza e che in parte erano venute fuori prima dell’inizio del Mondiale.

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Le pressioni presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro si è intrecciata con una campagna di influenza che ha scatenato uno scandalo di corruzione al Parlamento europeo.

Con una serie di incursioni e arresti di quest’inverno, le autorità belghe hanno portato alla luce quello che, a loro dire, era un affare sporco nel cuore del Parlamento europeo. I politici sono accusati di aver intascato del denaro per elogiare la piccola nazione del Golfo, il Qatar, e minimizzare le sue violazioni riguardante i diritti del lavoro nel periodo precedente alla Coppa del Mondo.

Tuttavia, ben prima che si sapesse che il denaro fosse passato di mano in questo schema [corruttivo], il Qatar ha intrapreso una campagna politica durata anni e che ha contribuito a trasformare l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), il “cane da guardia” dei diritti dei lavoratori delle Nazioni Unite, da critico ad alleato, come ha scoperto il New York Times.

La campagna includeva viaggi gratuiti per un leader sindacale; un intenso e divisivo lavoro di pressione per evitare un’indagine; un’udienza parlamentare con domande concordate; e un contributo di 25 milioni di dollari del Qatar all’organizzazione del lavoro come parte di un pacchetto di cambiamenti promessi, secondo i documenti e le interviste fatte con più di una dozzina di funzionari del lavoro attuali e passati. Infine, alla vigilia della Coppa del Mondo, i funzionari con il Ministero del Lavoro del Qatar hanno chiesto all’agenzia dell’ONU di astenersi da qualsiasi commento che potesse oscurare il torneo.

Ospitare la Coppa del Mondo faceva parte di un lungo e costoso sforzo del Qatar per coltivare la propria immagine globale. Ma la candidatura è stata macchiata da accuse di corruzione e ha attirato l’attenzione sul sistema di sfruttamento del lavoro del Qatar. Anche ora che il torneo è finito, le nuove rivelazioni che coinvolgono un’agenzia delle Nazioni Unite, evidenziano le modalità segrete con cui alcune ricche monarchie del Golfo Persico, governi autoritari e uomini forti continuano a usare la loro ricchezza per influenzare le istituzioni globali.

Secondo un funzionario vicino alle indagini, che ha parlato a condizione di [mantenere l’]anonimato perché non autorizzato a discutere del caso, le autorità belghe considerano la campagna del Qatar presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro come una parte fondamentale dei suoi sforzi per plasmare l’opinione pubblica, in particolare tra i parlamentari europei. Il Qatar ha negato qualsiasi illecito. Non vi è alcuna indicazione che l’organizzazione sindacale sia sotto inchiesta.

Un rapporto confidenziale della Confederazione Internazionale dei Sindacati, che fa parte dell’organo di governo dell’agenzia del lavoro delle Nazioni Unite, ha rilevato che la confederazione presenta vulnerabilità “operative, finanziarie, costituzionali e politiche” alla corruzione. Il rapporto, ottenuto dal Times, cita un urgente bisogno di proteggersi contro “le minacce poste al movimento sindacale globale.”

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro può indagare sui governi, portarli in tribunale ed etichettarli come violatori dei diritti – azioni che possono mettere a rischio gli investimenti stranieri e danneggiare la reputazione.

Nel momento in cui la Coppa del Mondo ha preso il via, l’agenzia aveva placato le critiche e ritirato una denuncia che accusava il Qatar di lavoro forzato e sfruttamento. L’agenzia ha dichiarato di aver ottenuto importanti concessioni e di non aver fatto nulla di diverso in risposta alle pressioni del Qatar. Ma a porte chiuse, queste mosse sono state divisive, hanno detto i funzionari attuali e passati.

È possibile per i Paesi che hanno il potere e il denaro manipolare il sistema tramite la prepotenza degli altri”, ha dichiarato Marie Clarke Walker, sindacalista canadese che ha fatto parte dell’organo direttivo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

I funzionari del lavoro affermano di aver agito con integrità. Ciò che alcuni potrebbero vedere come un’attenuazione delle critiche, secondo i funzionari dell’agenzia, è stata la diplomazia in azione. Dicono che i 25 milioni di dollari – uno dei più grandi e singoli contributi di questo tipo, che non è stato annunciato quando l’accordo è stato reso pubblico – non ha influenzato [alcunché]. Loro e il Qatar lo hanno descritto come un segno di impegno e miglioramento del paese stesso.

Piuttosto che rivolgersi a McKinsey, hanno deciso di fidarsi dell’esperienza dell’OIL”, ha detto Corinne Vargha, direttrice del dipartimento standard dell’organizzazione, parlando del Qatar.

In effetti, diversi dipendenti attuali e passati hanno affermato che l’organizzazione del lavoro ha spesso trattato il Qatar più come un cliente pagante che come un Paese sotto esame. Il contributo del Qatar ha finanziato l’ufficio dell’organizzazione a Doha e ha fornito milioni per le spese amministrative generali.

Il Qatar si impegna con l’OIL attraverso gli stessi canali ufficiali utilizzati con le altre agenzie delle Nazioni Unite”, ha dichiarato il governo in un comunicato. E ha aggiunto: “Il fatto che l’OIL abbia deciso di adottare una posizione sfumata e obiettiva, volta a realizzare un cambiamento positivo sul campo in Qatar, sia stata accolta con cinismo e sfiducia è, anche se purtroppo non sorprende, completamente assurdo”.

Questo dibattito sulla linea di demarcazione tra diplomazia e influenza commerciale è familiare all’interno delle agenzie delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali. Gruppi come l’Interpol, l’Organizzazione marittima internazionale e l’Organizzazione mondiale della sanità sono stati messi sotto osservazione per le condizioni con cui avvantaggiavano i membri di governi autoritari o dei partner aziendali.

I diritti del lavoro in Qatar sono migliorati da quando l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha aperto il suo ufficio a Doha nel 2018. Il Qatar ha stabilito un salario minimo e ha detto che i lavoratori possono cambiare lavoro senza il permesso dei datori di lavoro. I funzionari del lavoro hanno dichiarato di aver ottenuto questi miglioramenti attraverso delicate trattative. Le critiche, a loro dire, avrebbero solo minato questi progressi.

Ma i difensori dei lavoratori, i gruppi per i diritti umani e alcuni politici si sono detti stupiti da quelle che considerano dichiarazioni pubbliche unilaterali e che minimizzano i problemi. I rapporti del Dipartimento di Stato, ad esempio, hanno citato continui esempi di lavoro forzato.

I lavoratori edili migranti e locali sono rimasti intrappolati nei debiti a lungo termine da parte di datori di lavoro che hanno confiscato i loro passaporti e le loro carte bancarie e hanno trattenuto la loro paga – condizioni che alcuni gruppi per i diritti umani hanno paragonato alla moderna schiavitù.

I parlamentari europei hanno utilizzato le dichiarazioni positive dell’organizzazione sindacale per giustificare la propria posizione nei confronti del Qatar. L’organizzazione sindacale, a sua volta, ha amplificato le [dichiarazioni politiche], creando una camera d’eco di commenti positivi.

L’OIL ha detto che il Qatar è un leader nei diritti del lavoro”, ha detto l’eurodeputata greca Eva Kaili al Parlamento Europeo a Novembre. Tre settimane dopo è stata accusata di corruzione.

Il Qatar è stato molto efficace nel controllare non solo la narrazione, ma anche l’inquadramento”, ha detto Mustafa Qadri, un ricercatore sui diritti umani che ha scritto un primo rapporto sugli abusi sul lavoro legati alla Coppa del Mondo. “Per le riforme vi è stato un mero tifo che dato al governo una valutazione “A” senza che queste fossero state effettivamente attuate”.

Per il movimento globale dei diritti dei lavoratori, le conseguenze della Coppa del Mondo sono state pesanti. In alcune interviste, più di una dozzina di persone dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e partner annessi hanno dichiarato che le loro organizzazioni sono rimaste bloccate, in animazione sospesa, mentre si svolgeva l’indagine sulla corruzione a Bruxelles.

Il sindacalista Luca Visentini è stato arrestato a Bruxelles alla fine dell’anno scorso ed è stato sollevato. Sebbene non sia stato incriminato, è stato rivelato che la sua campagna di successo per la guida della Confederazione Internazionale dei Sindacati è stata finanziata in parte da un gruppo no-profit gestito da un ex parlamentare che ha poi ammesso di aver agito come agente del Qatar. Il rapporto interno ottenuto dal Times mostra che il governo del Qatar ha pagato il volo di Visentini a Ottobre. In una lunga dichiarazione, Visentini ha negato qualsiasi illecito e ha affermato che la donazione non è mai stata legata alle direttive sul Qatar. Egli attende la decisione se può tornare al suo lavoro.

È un danno enorme per l’intero movimento per i diritti dei lavoratori”, ha dichiarato Houtan Homayounpour, ex responsabile dell’ufficio progetti dell’OIL in Qatar.

Le cose sono iniziate in modo diverso. Nel 2014, mentre il lavoro migrante alimentava il boom edilizio multimiliardario della Coppa del Mondo, i rappresentanti sindacali internazionali hanno presentato una denuncia all’Organizzazione Internazionale del Lavoro, accusando il Qatar di violazioni dei diritti.

Dal momento in cui i lavoratori migranti iniziavano il processo di ricerca del lavoro in Qatar, essi venivano coinvolti in un sistema di grande sfruttamento che facilitava la riscossione del lavoro forzato da parte dei loro datori di lavoro”, hanno dichiarato i rappresentanti.

Quando vengono presentate delle denunce, l’organizzazione può avviare un’indagine formale. Gli attuali e precedenti funzionari del lavoro hanno ricordato che i funzionari del Qatar riempivano le stanze della negoziazione dell’agenzia a Ginevra, esortandoli a non indagare.

L’OIL è l’unica agenzia delle Nazioni Unite composta non solo dai governi ma anche da gruppi che rappresentano i lavoratori e i datori di lavoro. Secondo Luc Cortebeeck, un sindacalista belga che ha guidato il gruppo dei lavoratori dell’agenzia, i diplomatici qatarini hanno radunato i datori di lavoro e i Paesi che hanno interessi commerciali con il Qatar per opporsi a un’indagine.

L’indagine proposta, nota come commissione d’inchiesta, non si è mai concretizzata.

La campagna di pressione senza precedenti ha avuto successo”, ha scritto Cortebeeck nel suo libro del 2020, “Still Work to Be Done”.

L’organizzazione sindacale ha invece inviato una delegazione in Qatar nel 2016 e alla fine ha ottenuto delle concessioni. Per far sì che la denuncia e l’indagine proposta venissero abbandonate, il Qatar ha detto che in cambio avrebbe normato alcune tutele per i lavoratori, promettendo ulteriori cambiamenti in futuro e ha dato il suo grande contributo.

Il governo ha dimostrato un chiaro impegno verso importanti riforme del lavoro”, ha detto in un dichiarazione la settimana scorsa Gilbert F. Houngbo, direttore generale dell’OIL. Ha detto che la denuncia è stata gestita come tutte le altre.

Non è raro che i Paesi risolvano i reclami, e alcuni funzionari del lavoro hanno visto questo come un buon accordo. Il governo del Qatar ha dichiarato di essere l’unico Paese della regione a impegnarsi con gruppi esterni per migliorare le condizioni di lavoro. L’accordo con l’OIL “non è illegale, né inusuale, e accordi simili esistono tra altri governi e agenzie delle Nazioni Unite in tutto il mondo”, si legge nella dichiarazione.

Dopo un’intensa attività di pressione, alcuni all’interno dell’organizzazione sono rimasti delusi dal fatto che il reclamo sia stato chiuso senza un’indagine formale.

Credo davvero che fosse necessaria una commissione d’inchiesta per poter proteggere meglio i lavoratori”, ha dichiarato Clarke Walker. “Abbiamo un processo per affrontare la questione. Avremmo dovuto usare quel processo”.

La signora Vargha, responsabile degli standard lavorativi dell’OIL, ha dichiarato che l’agenzia ha fatto pressione sul Qatar affinché mantenesse le sue promesse. “Il Ministero del Lavoro non era in grado di mantenere quanto concordato”, ha detto. Alla fine, il Paese ha preso provvedimenti per criminalizzare il lavoro forzato e abolire il sistema “kafala”, che lega i lavoratori ai loro posti di lavoro.

L’applicazione di queste politiche è stata incoerente e gli abusi continuano, dicono i gruppi per i diritti e il Dipartimento di Stato. Bhim Shrestha, un nepalese che ha lavorato a Doha come migrante dal 2013 al 2021, ha detto che i cambiamenti offrono maggiori tutele verso quei lavoratori legati ai progetti della Coppa del Mondo. I lavoratori del commercio al dettaglio e i lavoratori locali, secondo lui, sono stati lasciati indietro.

Piuttosto che usare il palcoscenico della Coppa del Mondo per evidenziare questi abusi, l’organizzazione sindacale e i suoi affiliati hanno spesso assunto un tono positivo [verso il regime qatarino].

Nel suo rapporto investigativo interno, diffuso tra i leader sindacali la scorsa settimana, la confederazione sindacale ha concluso che il suo cambiamento “da una critica severa a un elogio qualificato” è stato fatto in buona fede. Houngbo ha detto che anche quando l’OIL ha elogiato i progressi del Qatar, ha chiarito che bisognava lavorare ancora.

Lo scorso Novembre, l’influenza del Qatar è stata messa in mostra durante un’audizione della commissione del Parlamento europeo sulle violazioni del lavoro.

Un primo testimone veniva dall’ufficio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro a Doha. I membri della commissione hanno detto che non avevano idea che l’ufficio fosse finanziato dal Qatar stesso.

Un secondo testimone veniva dalla Confederazione Internazionale dei Sindacati, il cui futuro alto funzionario, Visentini, aveva ricevuto viaggi gratuiti in Qatar e una donazione per la campagna elettorale da un donatore legato al Qatar. Il donatore era Pier Antonio Panzeri, un ex parlamentare che nel frattempo si è dichiarato colpevole di corruzione e sta collaborando con gli investigatori.

Il terzo testimone è stato il ministro del Lavoro del Qatar. Era stato istruito da Panzeri, che ha anche preparato delle domande amichevoli con la commissione, secondo le prove rivelate dalla rivista tedesca Der Spiegel.

Inoltre, la presidente della commissione aveva anche ricevuto viaggi non dichiarati in Qatar. Da allora si è dimessa dalla commissione, ma ha negato di aver commesso illeciti.

L’intera faccenda sembrava fuori luogo”, ha detto Minky Worden di Human Rights Watch, che ha dato il via all’udienza descrivendo abusi salariali, spese di reclutamento illegali e decessi che non erano stati indagati.

Poi il tono è cambiato. Un parlamentare di sinistra, lo spagnolo Miguel Urbán Crespo, l’ha descritta come bizzarramente ottimista. A posteriori, ha attribuito la colpa alla “diplomazia del caviale” del Qatar. “Non è morale”, ha detto. “È un danno strutturale per tutte le organizzazioni delle Nazioni Unite”.

Poco prima del calcio d’inizio della Coppa del Mondo, nell’ambito di un regolare incontro con l’OIL, il governo qatarino ha avanzato una richiesta che un funzionario del lavoro ha descritto come casuale, quasi di circostanza: L’agenzia poteva permettere al Qatar di avere i riflettori puntati [solo] sul calcio, senza alcun commento di distrazione?

L’agenzia dice che non ha ammorbidito il suo messaggio su richiesta del governo. Ma con gli occhi del mondo puntati sul Qatar, le dichiarazioni pubbliche dell’agenzia durante la Coppa del Mondo non hanno fatto menzione di persistenti abusi sul lavoro, optando, invece, per applaudire la sua cooperazione con il governo.

L’agenzia ha anche postato su Twitter una foto del suo più alto funzionario mentre si godeva il torneo.

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Tennessee: l’eterocisnormatività che avanza

Il governatore del Tennessee Bill Lee ha firmato il 2 Marzo due leggi: la prima criminalizza come abusi sui minori le cure per la transizione di genere rivolte alle persone giovani transgender 1; la seconda vieta le esibizioni drag nelle proprietà pubbliche. 2

La legge che vieta le cure per la transizione di genere, in sostanza, impedisce al personale medico di fornire assistenza sanitaria a quei minori che si identificano o vogliano vivere “con una presunta identità incompatibile con il suo sesso o di trattare un presunto disagio o angoscia derivante da una discordanza tra il sesso del minore e l’identità dichiarata,3 proibendo, quindi, l’uso di bloccanti della pubertà e di trattamenti ormonali.

Questo attacco verso le persone non-etero-cisnormate (in particolare quelle transgender e trans-non-binary) negli Stati Uniti non è di certo una novità: fin dallo scorso anno, a seguito del rovesciamento della sentenza “Roe vs Wade”, diversi Stati a maggioranza repubblicana hanno attuato o preso in considerazione leggi di questo tipo.

Nel caso del Tennessee, la legge è stata è stata votata dalla maggioranza repubblicana e da tre rappresentanti del Partito Democratico – dove uno di questi, Antonio Parkinson, ha dichiarato: “I miei elettori non lo volevano. È molto semplice, molto diretto. I miei elettori dicevano: “Lasciate che questi bambini siano bambini”. Lasciateli crescere e prendere una decisione da adulti quando saranno adulti.4

La legge che vieta le esibizioni drag nelle proprietà pubbliche è per proteggere le persone giovani da spettacoli ritenuti “adulti” e, quindi, moralmente discutibili e inappropriati.

Secondo “PEN America”5 dalla prima settimana di Gennaio 2023 “i legislatori di otto Stati hanno introdotto leggi volte a limitare o censurare gli spettacoli drag. In totale sono state presentate 14 proposte di legge in Arizona, Arkansas, Missouri, Nebraska, South Carolina, Tennessee, Texas e West Virginia. Altre proposte di legge sono in fase di elaborazione, anche in Montana e Idaho.6

Le proposte di legge “definiscono drag chiunque si esibisca in abiti o modi diversi dal genere assegnatogli alla nascita. Questa definizione sembra estendersi ben oltre gli spettacoli di drag, includendo qualsiasi esibizione di una persona trans” o verso le donne “che indossano i pantaloni o gli uomini che indossano il kilt. In base a molte di queste proposte di legge, un uomo che volesse leggere una storia sul kilt ai bambini della sua biblioteca locale non potrebbe farlo indossandone uno, senza rischiare una sanzione per sé o per la biblioteca.7

A questo si aggiunge come le leggi “anti-drag” si scaglierebbero contro i mezzi lavorativi di una parte di popolazione povera o a basso reddito che vive con esibizioni e/o lavori sessuali e, al contempo, aumenterebbero le violenze da parte delle forze dell’ordine e gruppi di estrema destra (come i Proud Boys).

Queste due leggi emanate nel Tennessee non sono altro che il proseguimento della “Tennessee House Bill 1895” 8 emanata nel Maggio del 2022 – dove si impone al commissario per l’istruzione di trattenere una parte dei fondi statali per il finanziamento dell’istruzione qualora, nel contesto degli sport scolastici, non si riesca a determinare il sesso assegnato dalla nascita degli studenti -, e degli attacchi perpetrati contro il reparto transgender del “Vanderbilt University Medical Center” da parte del commentatore di destra Matt Walsh e i suoi accoliti.9

Le leggi emanate dal Tennessee per difendere le persone giovani sono, in realtà, un incentivo per ulteriori discriminazioni in campo scolastico e, più in generale, sociale.

Da un’indagine svolta dal “Centers for Disease Control and Prevention” (CDC) nel 2017 10 sulla popolazione studentesca di 10 distretti scolastici statali e urbani, è stato rilevato che circa l’1,8% delle persone studenti delle scuole superiori si identifica come transgender; di questi, il 27% si sente insicuro a scuola o nei viaggi di andata e ritorno, il 35% è vittima di bullismo e la stessa percentuale tenta il suicidio.

Quel che però interessa ai legislatori è mantenere l’attuale status quo, raccogliendo i consensi da frange religiose cristiane e gruppi politici fascistoidi. La dimostrazione recente di tutto questo è avvenuto al “Conservative Political Action Conference”(CPAC), un raduno nazionale repubblicano tenutosi il 5 Marzo di quest’anno nel Maryland.

Tra i vari interventi al CPAC in cui venivano attaccate le persone transgender 11, riportiamo le parole del commentatore politico conservatore Michael Knowles: “Non ci può essere una via di mezzo nel trattare con il transgenderismo. È tutto o niente. Se il transgenderismo è vero, se gli uomini possono diventare donne, allora è vero per tutti di tutte le età. Se il transgenderismo è falso così com’è, se gli uomini non possono diventare donne come non possono in seguito, è falso anche per tutti e se è falso allora non dovremmo indulgere soprattutto perché l’Indulgenza richiede di togliere i diritti e le usanze a così tante persone. Se è falso, allora per il bene della società, e specialmente per il bene dei poveri che sono caduti in preda a questa confusione, il transgenderismo deve essere sradicato completamente dalla vita pubblica – l’intera ideologia [è] assurda ad ogni livello.” 12

L’attuale aggressione del mondo politico istituzionale americano (repubblicani e democratici che siano) contro una parte della popolazione che non ricade nell’attuale modello culturale etero-cis-normato, sta creando un’atmosfera tossica di isteria e odio verso un supposto nemico che, in tempi di crisi sociale ed economica generalizzata, torna sempre utile.

Nessuno verrà a salvarci: non i Democratici, per quanto “progressisti”, non la “Human Rights Campaign”, non il prossimo influencer emergente di TikTok e sicuramente non gli amministratori delegati del capitalismo arcobaleno. La nostra emancipazione collettiva, la sicurezza della nostra comunità, la nostra volontà di lottare, combattere e conquistare un futuro liberato: questo starà a noi.13

Note

3Ibidem

4Memphis Democrat explains vote to pass anti-transgender legislation for minors”, Actionnews5, 2 Marzo 2023. Link: https://www.actionnews5.com/2023/03/01/memphis-democrat-explains-vote-pass-anti-transgender-legislation-minors/

5Un’organizzazione senza scopo di lucro che lavora per difendere e celebrare la libertà di espressione negli Stati Uniti e nel mondo attraverso il progresso della letteratura e dei diritti umani,

6HomeLaws restricting drag shows should scare everyone who believes in free expressionLaws restricting drag shows should scare everyone who believes in free expression”, PEN America, 19 Gennaio 2023. Link: https://pen.org/drag-show-laws/

7Ibidem

10Johns MM, Lowry R, Andrzejewski J, et al., “Transgender identity and experiences of violence victimization, substance use, suicide risk, and sexual risk behaviors among high school students. 19 States and large urban school districts, 2017”, Morbidity and Mortality Weekly Report, Vol. 68, n. 3, 25 Gennaio 2019, pagg. 67–71. Link: https://www.cdc.gov/mmwr/volumes/68/wr/mm6803a3.htm

11Per maggiori approfondimenti leggere “Human Rights Campaign: Extremists at CPAC Laid Bare Hatred at Root of Vile Legislation Targeting Trans People”, hrc.org, 6 Marzo 2023. Link: https://www.hrc.org/press-releases/human-rights-campaign-extremists-at-cpac-laid-bare-hatred-at-root-of-vile-legislation-targeting-trans-people

13“Capire il massacro. Sulla sparatoria al Club Q a Colorado Springs. Costruire un movimento per la liberazione”. Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2023/01/12/capire-il-massacro-sulla-sparatoria-al-club-q-a-colorado-springs-costruire-un-movimento-per-la-liberazione/

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[Volantini] 8 Marzo


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La società in cui viviamo è strutturata in tanti anelli che compongono una catena di oppressione.
L’etero-patriarcato è uno di questi anelli: esso consiste nella violenza e nella subordinazione nei confronti delle donne e delle soggettività non etero-normate.
Pensiamo che occorra mettere in discussione le forme e i comportamenti maschilisti interiorizzati che ci vengono propinati da questa società.
Allo stesso tempo, critichiamo le posizioni egemoniche di un femminismo liberale, bianco e borghese che emargina ed esclude le sessualità e i corpi cosiddetti “non regolamentati”, sostenendo apertamente un razzismo e un classismo tipico dell’attuale status quo.
Visto che i generi sono costruzioni sociali imposti spingiamo per la completa decostruzione dei nostri modi di vederci e di relazionarci con le altre persone, senza regole e norme calate dall’alto su ciò che vogliamo essere.
La lotta contro l’etero-patriarcato non può essere scissa da quella antispecista. L’esercizio del dominio coinvolge tutte le specie: la liberazione deve essere totale.
Siamo anarchicu e prendiamo le distanze da qualsiasi gruppo, collettivo o coordinamento di petizione che sostenga la riforma dell’attuale sistema di dominio; non pretendiamo nulla da nessun tipo di istituzione e rigettiamo un capitalismo dal volto umano (ma feroce e competitivo nelle vite di tuttu noi)
Il nostro supporto e la nostra solidarietà vanno a chi si muove verso una società autogestita e orizzontale, libera da una cultura machista e autoritaria.

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L’elezione della coalizione guidata da Giorgia Meloni ha fatto sì che, all’indomani delle elezioni, si alzasse nuovamente l’asticella degli attacchi dei movimenti di destra e neoconservatori nei confronti delle persone non eterosessuali e non maschili.
Così, ad una settimana dall’8 Marzo, Meloni rilascia un’intervista, a cui fanno eco le parole di Cristina Gramolini di ArciLesbica, secondo cui “l’ideologia gender danneggia le donne”. Senza dimenticare l’appoggio dato dalla Società Psicoanalitica a Meloni riguardo il parere negativo sull’assunzione di farmaci bloccanti della pubertà.Su altri piani, si è assistito alla presentazione di svariate proposte di legge che, senza mettere in discussione direttamente la legge 194, di fatto andrebbero a puntellare e minare l’accesso all’Interruzione Volontaria di Gravidanza, proponendo di riconoscere soggettività giuridica all’embrione. Una pratica già vista in altri paesi.
Cosa lega, ad esempio, una sparatoria ad un club queer, come successo più volte negli Stati Uniti, all’attacco all’accesso all’IVG? O la lotta contro “l’ideologia gender” e gli attacchi transqueerlesboomofobi nelle strade italiane durante i Pride?
L’attacco anti-abortista fa il paio con l’aggressione verso le persone trans binary e non binary e verso la comunità queer, favorendo una concezione del rapporto tra sessi e generi strettamente binaria e legata, sostanzialmente, all’immaginario del padre di famiglia cisgender etero, bianco e borghese. Un mondo “ordinato”, mai esistito – se non nelle fantasie storiche e scientifiche di determinati soggetti politici – e che spesso ha nascosto le violenze domestiche istituzionalizzate e socialmente accettate.
Per questo motivo, abbiamo deciso di tradurre materiali riguardanti la lotta per l’accesso all’aborto in varie parti del mondo: dagli Stati Uniti a San Marino, dalla Russia all’America Latina, passando per Polonia, Ungheria ecc.

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Versione Stampa

L’attuale conflitto russo-ucraino ha portato la Russia ad un baratro sociale, culturale ed economico non indifferente.
Approfittando del conflitto,la Duma ha approvato una serie di norme ai danni delle donne e delle persone non eteronormate, il tutto con la benedizione della borghesia e della Chiesa Ortodossa russa.
Affrontare la giustizia sociale e riproduttiva attraverso una lente transfemminista potrebbe diventare un mezzo per affrontare il regime di Putin e sfidare l’establishment russo. Il “genere” nell’attuale sfera politica russa sta assumendo sempre più importanza come questione di sicurezza nazionale: dal divieto totale di rappresentazione delle persone LGBTQ+ nell’arte e nei media all’osannamento della donna-madre.
La difesa dei “valori tradizionali” da parte del governo russo pone questo come il principale custode dell’eteronormatività e procreazione della nazione. La crociata contro i diritti LGBTQ+, l’Interruzione Volontaria di Gravidanza e l’ “ideologia di genere” unisce Putin con quei movimenti conservatori di tutto il mondo che utilizzano le campagne anti-gender come “collante ideologico” contro l’egemonia occidentale e in difesa della borghesia e delle spese militariste.
Questo è ciò che sta avvenendo dove, da un lato, molti uomini sono stati mobilitati, arruolati o sono fuggiti dal Paese e, dall’altro, il budget per le prestazioni sociali si è ridotto (o addirittura esaurito) in alcune aree del paese – a favore di quello militare e della propaganda.
La “Resistenza femminista contro la guerra” è uno dei movimenti anti-bellici più significativi della Russia che si impegna attivamente contro i tentativi del Cremlino di reprimere quei gruppi impegnati nella difesa della riproduzione/giustizia sociale. Le azioni e le attività di questo movimento resistente sono il supporto psicologico, legale ed economico, oltre a consigli su come difendersi nelle reti internet ed espatriare dal paese (specie se lo richiedono persone mobilitate e/o in procinto di essere chiamate alle armi).
Come Gruppo Anarchico Galatea, ci siamo impegnatu nella scrittura di testi riguardanti il conflitto russo-ucraino e nella traduzione di articoli provenienti dal giornale femminista antimilitarista russo “Zhenskaya Pravda” (legato a “Resistenza Femminista contro la Guerra”).
Invitiamo tuttu lu compagnu a supportare questa realtà che si oppone alla guerra e opera, tra mille difficoltà, a livello di azioni ed attività di mutuo aiuto e contro-informazione.

Pubblicato in Comunicati | Commenti disabilitati su [Volantini] 8 Marzo