Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Dodicesima Parte

Undicesima Parte

VI. Dal declino politico alla rivolta finale

Risalire la china filogovernativa

La CNT cerca a questo punto di recuperare il terreno perduto nel Mayo sangriento di Barcellona, rafforzando l’accordo con la UGT in vista di un governo «operaio e rivoluzionario». Il 15 maggio 1937, a dieci giorni dalla fine degli scontri, i due sindacati firmano una dichiarazione comune nella quale fissano due punti irrinunciabili: il riconoscimento della loro estraneità agli scontri e il rifiuto di ogni governo non diretto da Largo Caballero. La crisi politica provocata dalle dimissioni dal governo dei ministri del PCE , con tutte le conseguenze in fatto di armi e munizioni, permette a Manuel Azaña di disfarsi dello scomodo e perdente Largo Caballero per affidarsi a Negrín, socialista gradito al PCE . Questi fissa le condizioni dell’accordo politico: esclusione della CNT , soppressione del POUM , irrigidimento dell’apparato repressivo repubblicano. La CNT protesta vivamente contro l’emarginazione e minaccia di «sabotare il governo della controrivoluzione», ma un mese dopo intavola le trattative per rientrare a farne parte.
La presa di posizione nuovamente collaborazionista suscita notevoli critiche sul piano internazionale, cioè della AIT , l’associazione che raggruppa i sindacati libertari di una ventina di paesi. Il Plenum della AIT , che si tiene a Parigi l’11 giugno 1937, attacca la delegazione della CNT per il riproporsi della linea filogovernativa. In alternativa, l’organizzazione internazionale, che conta però adesioni limitate, promette che, se la CNT opterà per una scelta antigovernativa, essa proclamerà uno sciopero mondiale di solidarietà rivoluzionaria. Il segretario spagnolo, Mariano R. Vázquez, considera questa prospettiva con marcato sarcasmo: sarebbe una «tonteria che si può forse raccontare agli abitanti di Marte, ma che è troppo poco seria per essere pronunciata in un Plenum» [1]. D’altronde, la realtà anarcosindacalista internazionale non offre molte speranze per un’effettiva mobilitazione su scala europea date le ridotte forze operaie che, escludendo la Spagna, si riconoscono nella AIT .

Helmut Rüdiger, che come delegato della stessa associazione in Spagna conosce la situazione reale e valuta positivamente la linea della collaborazione governativa, fa invece rilevare come sia assurdo, da parte dell’ AIT , denigrare l’unico movimento di massa di cui dispone. Inoltre è convinto che, su un piano più generale, la rivoluzione non sia «una coraggiosa azione di qualche migliaio di uomini», bensì un movimento di dimensioni estese e radicate tanto da vincere su potenti oppositori. Dal suo punto di vista, se la CNT avesse portato a fondo la lotta armata a Barcellona nel famoso Maggio, si sarebbe trovata nella stessa situazione dell’8 dicembre 1933, quando aveva tentato un’insurrezione che ben presto si era dissolta perché isolata e destinata alla sconfitta.
La progressiva decadenza dell’anarcosindacalismo è confermata dalla facile espulsione della CNT dalla Generalitat: è finito il clima magico del 20 luglio 1936 con le dichiarazioni esaltanti e suadenti di Companys, il capo dell’Esquerra, più o meno sincero e leale. A ogni modo, sarà lo stesso Companys a perdere l’autonomia dal governo centrale, a fine ottobre 1937, quando quest’ultimo, sempre guidato da Negrín, deciderà di stabilirsi a Barcellona e assorbirà varie funzioni della Generalitat. L’intero governo catalano, dopo aver collaborato con i comunisti per ridimensionare l’influenza della CNT – FAI , si trova di fatto emarginato in un ruolo più formale che reale. Lo stesso è successo a Indalecio Prieto, socialista incaricato di gestire il cruciale ministero della Guerra, che si è schierato con Negrín e il PCE nella formazione di un governo senza CNT – FAI . A lui è attribuita, soprattutto dai comunisti, la responsabilità delle gravi sconfitte militari e viene quindi estromesso dalla sua carica ministeriale nella primavera del 1938. Il capo del governo, ovvero Negrín, assume su di sé anche il ministero della Guerra.
Le tappe del declino si possono analizzare attraverso i numerosi Plenum della CNT , della FAI e poi del Movimiento Libertario che comprende anche l’organizzazione giovanile, la FIJL . A meno di un mese dalle tragiche giornate di Barcellona, si svolge a Valencia un Plenum Nacional della CNT che manifesta una tendenza sempre più orientata verso il centralismo organizzativo e sempre più militarizzata. Ormai il comando «unico e implacabile», nonché «sottoposto a una stretta gerarchia» [2], è considerato positivo e auspicabile. Si profila inoltre il recupero dell’alleanza CNT – UGT , anche se con posti istituzionali di secondaria importanza, quale correttivo di un governo dove aumenta a vista d’occhio il potere del PCE . Tra le decisioni di questo Plenum, una novità consiste nella richiesta alle istituzioni statali di riconoscere l’esistenza di tre settori ideologici – marxista, repubblicano, libertario – nell’alleanza antifascista. A tutti e tre, sostiene il vertice della CNT , si dovrebbe dare lo stesso spazio, quanto meno nella nomina di funzio-nari statali addetti all’ordine pubblico e all’attività diplomatica.
Tali orientamenti sono confermati dal Plenum della FAI dei primi di luglio del 1937, nel corso del quale si ristruttura anche l’organizzazione interna abolendo i piccoli gruppi di affinità fondati su un’intesa politica e personale degli aderenti e su una considerevole autonomia di azione. Al loro posto subentrano le agrupaciónes, cioè sezioni territoriali più ampie, con centinaia di militanti, sottoposte agli organi di controllo e a una direzione centrale che può imporsi sui gruppi in nome della disciplina. In un certo senso la FAI liquida il faísmo, quel metodo di lotta antistatale e di organizzazione federativa che seguiva fin dalla sua nascita nel 1927. Il faísmo si basava infatti sul riconoscimento di un notevole livello di indipendenza personale e di gruppo, moderato solo dal senso di solidarietà militante. Anche quest’ultima era fondata sulla coscienza individuale, al di fuori di ogni forma di gerarchia organizzativa. Il nuovo funzionamento da partito non costituirebbe, stando ai deliberati del Plenum, una rinuncia ai valori dell’anarchismo, bensì esattamente il contrario, in quanto rafforzerebbe la difesa e l’incisività dell’Organizzazione. Si precisa inoltre che un affiliato alla FAI deve essere pronto a occupare qualsiasi carica pubblica e a rispondere del suo comportamento più o meno soddisfacente di fronte agli «órganos adecuados de la Organización» [3].
Nel giro di un anno e mezzo gli appartenenti alla FAI aumentano in modo molto consistente a causa della sempre più assillante emergenza bellica e della mobilitazione permanente in ogni settore sociale. Da circa 30.000 dei primi di luglio del 1936 si passa a più di 150.000 alla fine del 1937. Non si riesce però a definire se e quanto questa massiccia affiliazione sia dovuta a una effettiva scelta di idealità e di militanza, oppure derivi dalla crescente necessità di sopravvivenza e di protezione in un contesto eccezionalmente pericoloso.

Revisione dei principi
Nel Plenum Nacional della CNT di metà settembre 1937 si procede alla ridefinizione dei principi stabiliti nel quarto congresso di Saragozza del maggio 1936. Da allora sono intervenuti molti e profondi cambiamenti, soprattutto a causa della guerra, e secondo alcuni esponenti, tra i quali Horacio Prieto, ex segretario nazionale e leader della sezione catalana, tutto o quasi andrebbe rivisto e revisionato. La delibera finale, che non viene resa pubblica immediatamente per evitare contraccolpi interni, contiene in effetti principi e scelte che rafforzano la svolta in atto. Si prevedono diverse innovazioni, fra cui la fusione tra la CNT e la UGT e l’istituzione di una Repubblica socialista e democratica su base federale dopo elezioni generali alle quali partecipi pure l’organizzazione libertaria. Inoltre si prospetta la formazione di un governo nel quale siano rappresentate tutte le tendenze antifasciste in proporzione alla loro forza reale. Manca davvero poco per la costituzione di un vero e proprio partito politico emanazione del Movimiento Libertario. [4]

Horacio Prieto comincia a far circolare definizioni perentorie: il comunismo libertario sarebbe solo un’utopia, la CNT dovrebbe possedere una struttura simile a quella dello Stato, servirebbe una stretta unità fra azione politica istituzionale e azione economica e sociale attraverso la conquista di almeno una parte del potere legislativo ed economico. La sfida tra le nuove posizioni integrate nel potere statale e quelle classiche di rifiuto della collaborazione con lo Stato si ripresenta, a metà gennaio 1938, in un Plenum economico ampio, aperto cioè a molti delegati delle federazioni locali o di una comarca (una quasi provincia che raccoglie in media una ventina di comuni), accanto a quelli consueti delle federazioni regionali. Oltre ai rinnovati accordi sulla partecipazione al governo, si decide di ristabilire, nei posti di lavoro, una tangibile gerarchia di compensi salariali tra il personale tecnico specializzato e quello esecutivo. Particolarmente significativa è la svolta centralista della CNT , che prevede tra l’altro la «riduzione del numero di periodici e riviste libertarie», un vero e proprio attacco al tradizionale pluralismo e decentramento del movimento e dei suoi strumenti di propaganda.

Continua nella Tredicesima Parte

Note al capitolo
[1] J. Casanova, De la calle…, cit., p. 228.
[2] C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles…, cit., p. 227.
[3] Ivi, p. 229.
[4] Ivi, pp. 230-231.

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