Premessa
Tra il 1946 e il 1949 il gruppo “Terra e Libertà” di Siracusa pubblicò, senza l’autorizzazione ministeriale, una serie di numeri unici con titoli diversi.
Tra i gestori e i collaboratori a questi numeri unici troviamo compagni come Umberto Consiglio, Alfonso Failla ed altri. Abbiamo deciso di prendere un articolo del numero unico“Terra e Libertà. Voce del Movimento Anarchico in Sicilia” del Primo Maggio 1947.
L’analisi fatta dai compagni dell’epoca riguardava la situazione siciliana dopo il secondo conflitto mondiale, con la critica alle velleità borghesi latifondiste presenti all’interno della dirigenza del fu Movimento Indipendentista Siciliano e, soprattutto, contro i futuri “onorevoli” deputati dell’Assemblea Regionale Siciliana.
Ciò che viene riportato in questo scritto è più che mai attuale in questa regione: la borghesia locale (agricola, turistica, edilizia in particolare), in combutta con i politici locali seduti sugli scranni dei consigli comunali e dell’ARS, piange miseria economica ed invoca una purezza “siciliana” – o, in certi casi, simil-indipendentista – per difendere i propri interessi; lo sfruttamento umano ed animale che vi sta dietro continua imperterrito ed è accettato supinamente.
Per tali motivi, e riprendendo quel che dicevano i compagni ai tempi, è necessario uscire da tutta una serie di retoriche indipendentiste e nazionaliste che tendono a giustificare una serie di macro e, soprattutto, micro poteri o relazioni verticistiche e tossiche.
Nota
Nel seguente articolo vi è segnata una parte omessa ( “[…]” ) in quanto l’originale presentava uno strappo e, quindi, rendeva la frase illeggibile.
da “Terra e Libertà. Voce del Movimento Anarchico in Sicilia”, 1 Maggio 1947, Numero Unico.
Noi anarchici propugniamo una società che realizzerà il massimo di autonomia possibile nella convivenza umana.
“L’anarchia è una società basata sul libero accordo delle libere volontà dei singoli.”
Libertà – e quindi autonomia – dell’individuo nel comune, di questo nella regione e della regione nella più grande famiglia che abbraccerà tutta l’umanità.
Ma tutte queste autonomie presuppongono, come prima realizzazione indispensabile, la liberazione da ogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo e perciò il libero comune noi lo intendiamo formato di uomini e donne non più divisi in proprietari e nullatenenti ma affratellati nel godimento in comune di tutti i prodotti del lavoro, manuale ed intellettuale, che garantirà ad ogni essere umano la libera espansione della propria individualità in armonia con quelle degli altri.
Conseguentemente, protesi con il pensiero e la volontà verso l’Anarchia, partecipiamo alla lotta per la conquista di ogni effettiva libertà.
La richiesta di autonomia per la Sicilia, nella federazione dei popoli, ci trova perciò consenzienti.
Con questi intendimenti critichiamo il MIS [Movimento Indipendentista Siciliano], il movimento, ufficiale, per l’indipendenza siciliana.
A prima vista, osservando l’entusiasmo che anima ancora molti giovani nello agitarsi per l’autonomia siciliana, saremmo attratti anche noi a simpatizzare per tale movimento, tanta è la loro fede.
Ma appena riflettiamo sulle intenzioni dei capi del MIS ci accorgiamo che l’autonomia reclamata da essi, feudatari nobili e latifondisti borghesi, è maggior potere per sfruttare con più libertà i già sfruttati al massimo, contadini loro dipendenti. Vi sono dei precedenti, nella storia siciliana recente, che ammaestrano, al riguardo. Quando nel 1893-94 i contadini, i zolfatari, i lavoratori tutti di Sicilia si organizzarono in quei fasci gloriosi che seguirono l’inizio della lotta dei proletari anche per il resto d’Italia, furono i latifondisti nostrani, che ora reclamano l’autonomia, a sollecitare l’intervento dello Stato unitario contro i lavoratori che chiedevano non ancora la liberazione totale dallo sfruttamento padronale ma la riduzione delle ore lavorative (allora si lavorava nei campi e nelle miniere dall’alba al tramonto) dei patti di lavoro per i salariati e dei contratti d’affitto per i mezzadri e coloni che non ne avevano avuto fino ad allora.
Furono proprio nobili e borghesi siciliani, proprietari terrieri, che accusarono di separatismo presso il governo di Roma i lavoratori isolani. Vi fu persino un delegato di pubblica sicurezza, quello di Bisacquino, che produsse un documento artefatto per provare un accordo tra il movimento dei fasci operai ed il governo francese per l’annessione della Sicilia alla Francia, esistente solo nella fantasia malvagia dei reazionari latifondisti.
Si arrivò perfino ad affermare che esisteva un accordo per consegnare la Sicilia allo zar di Russia!
A tanto arrivarono i feudatari di Sicilia, per opporsi ai lavoratori che chiedevano dei miglioramenti inferiori a quelli già ottenuti dai loro fratelli dell’Italia centrale e settentrionale. Il risultato di quell’opera delittuosa fu quello di screditare presso l’opinione pubblica d’Italia il movimento dei fasci ed il governo di Roma per ordine di re Umberto l’assassino (“buono” per la storia ufficiale) inviò in Sicilia il generale Morra di Lavriano con pieni poteri. Lo stato maggiore del corpo di spedizione prese alloggio nei palazzi dei nobili a Palermo, e di là passarono gli ordini crudeli. Centinaia furono i morti tra i lavoratori, migliaia i carcerati ed i confinati nelle isole del bell’italo regno.
Così i fasci furono sciolti, tra il lutto di migliaia di famiglie ed i lavoratori furono costretti con la forza bruta a subire di nuovo lo sfruttamento dei feudatari.
La preoccupazione dei latifondisti
Ma ogni volta che in Italia le classi lavoratrici erano prossime a realizzare una vita migliore ed i nostri proprietari sentivano avvicinarsi il tuono di collera del popolo stanco di oppressioni quei mezzi, che avrebbero potuto migliorare la vita dei lavoratori, furono impiegati dai padroni per creare movimenti tendenti a separare la Sicilia dal resto d’Italia nella speranza di perpetuare il loro dominio di classe.
La controprova di questa affermazione l’abbiamo nell’indifferenza assoluta dei latifondisti siciliani nei confronti dell’avvocato Canepa di Palermo e di un gruppo di giovani arrestati nel 1930, sotto il fascismo, perché reclamavano l’autonomia. Allora non c’era pericolo dalla parte del popolo lavoratore, Mussolini faceva buona guardia ai privilegiati che gli avevano dato il potere. Dopo la liberazione dal fascismo il movimento separatista è stato la prima barricata della reazione in Italia. Il ragioniere Emanuele Campisi, già militante nel MIS, rivelò prima del 2 Giugno che la cassa del movimento separatista era tenuta dal feudatario don Lucio Tasca e che la massa degli aderenti non pagava quota alcuna all’organizzazione. Ciò prova, anche a chi non vuol vedere, la natura reazionaria e feudale del movimento separatista, nei suoi dirigenti.
Con questo non intendiamo affermare che tutti i separatisti siano animati da spirito reazionario. Coloro che presero le armi furono in gran parte degli amanti sinceri della libertà come Turri (Canepa) antifascista di vecchia data e tanti altri giovani.
Essi non combattevano certamente per rafforzare i privilegi dei nobili anzi venuti a contatto con i dirigenti del movimento separatista e conosciuti i loro scopi effettivi molti tra loro passarono dalla parte del popolo. Nei gruppi anarchici delle varie località di Sicilia contiamo parecchi valorosi ex militanti e combattenti del MIS. Costoro si sono convinti che l’autonomia del popolo siciliano è in contrasto stridente con quella reclamata dai vari principi, marchesi, conti, baroni e borghesi latifondisti, nostalgici di quei tempi in cui assoggettavano ed angariavano senza limitazione il popolo lavoratore delle nostre campagne e delle nostre città. Sanno che lo Stato unitario (come tutti gli Stati) per i suoi scopi imperialistici, ha favorito la grande industria del Nord a detrimento delle regioni agricole del Sud ma sono pure convinti che il popolo siciliano soffre ancorpiù perché la terra che è la fonte principale di vita in Sicilia, è in grandissima parte nelle mani di poche centinaia di famiglie che sperperano nei ritrovi mondani di lusso, fuori dalla Sicilia, il frutto del lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori siciliani dannati a vivere ammucchiati in catapecchie, spesso in compagnia di animali; che vedrebbero migliorato il loro livello di vita se i ricchi rinunciassero al superfluo soltanto.
Come estirpare il male
Ma i privilegiati, l’esperienza è lì ad insegnarcelo, non hanno mai rinunciato pacificamente ai loro privilegi. Il popolo siciliano ha già capito chiaramente che uno Stato a Palermo ribadirebbe le sue catene già strette abbastanza dallo Stato di Roma. I recenti entusiasmi per la sconfitta elettorale dei monarchici petulanti che avevano minacciato il ritorno dell’ultimo rampollo di Savoia al trono d’Italia passando per quello di Sicilia, non devono creare nuove illusioni.
Il parlamento che siederà nel salone di Ercole a Palermo non potrà fare nulla per liberare i lavoratori dallo sfruttamento e dalla miseria, come tutti i parlamenti. Non è di là che potrà venire l’espropriazione del latifondo che è il primo rimedio ai mali che affliggono il popolo lavoratore di Sicilia. Quando i contadini siciliani non porteranno più i frutti del loro sudore ai feudatari allora, ed allora soltanto, liberati da quelle mignatte, cominceranno a prendere respiro.
Il lavoro collettivo della terra (attenzione, non limitandola di canne od altro in tanti pezzetti!) metterà i suoi frutti a disposizione della società. Alla coltura estensiva del latifondo sarà sostituita la coltivazione intensiva e varia della terra che porterà verso l’interno dell’isola, oggi uniforme e squallido, la bellezza e la maggiore utilità della coltura granaria accompagnata con quella viticola, agrumaria e frutticola come si pratica nelle zone che guardano a mare. I prodotti della terra non più commerciati a vantaggio dei ricchi raggiungeranno copiosamente la mensa dell’operaio manuale e di quello intellettuale della città. I muratori costruiranno allora case arieggiate e comode per tutti degne di uomini, in sostituzione delle stamberghe in cui vegeta il popolo lavoratore in tutte le città della Sicilia. I lavoratori del legno lavoreranno ad arredarle con la stessa abilità che impiegano attualmente per abbellire le case dei ricchi insieme ad imbianchini e decoratori. Sarti e calzolai copriranno degnamente i corpi dei lavoratori oggi deturpati dai cenci. La vita ora soffocata nei limiti della proprietà privata, si svilupperà liberamente in tutte le direzioni. La figlia dell’operaio, del contadino non si sentirà più minacciata sotto lo sguardo del nobilastro, del borghese, che irridono sprezzanti le naturali aspirazioni all’eleganza ed al buon gusto delle nostre donne.
I figli dei nostri lavoratori che hanno in media più intelligenza dei rampolli degenerati di classi rammollite dall’opulenza, potranno ascendere liberamente le vette […] sapere e diventare buoni insegnanti, medici, ingegneri, agronomi, architetti etc; perché non saranno più soffocati dalla miseria che li danna all’ignoranza.
La Sicilia, allora, non subirà più la vergogna dei zolfatari dannati a vivere come bruti e le nostre miniere di asfalto non serviranno soltanto per gli scambi con le altre regioni del mondo ma ci permetteranno di pavimentare le strade, nelle città e nelle campagne che saranno allora percorse da moderni autobus a disposizione di tutti. Ed i nostri pescatori ed i nostri portuali lavoreranno con gioia ed i nostri marinai non saranno più costretti a rischiare la vita per vedersi defraudare dalla rapacità dei doganieri dello Stato.
I nostri vecchi lavoratori passeranno lietamente gli anni della loro vecchiaia, circondati da cure amorose e cesserà lo spettacolo indegno di ospizi come quelli attuali dove i vecchi ricoverati sono dannati a morte lenta per insufficiente alimentazione. Allora la Sicilia sarà veramente la terra decantata da poeti, non per una minoranza di privilegiati ma per tutto il suo popolo e per i lavoratori degli altri paesi che verranno tra noi a riposarsi.
I canti tristi, che tramando tradizioni di miserie e di oppressioni che gravano su tutta la nostra vita sociale fissando, con la suggestione dell’Arte, i sentimenti al passatismo, cederanno il posto a canti liberi e giocondi che glorificheranno una vita di benessere e di pace, di fratellanza e libertà. Avremo raggiunto allora l’autonomia, tutte le autonomie. Solo il libero comune, sulle rovine della proprietà privata dando a tutti il godimento egualitario delle ricchezze sociali effettuerà l’autonomia del popolo siciliano nella grande federazione universale. Per la realizzazione di questo grande ideale chiamiamo a raccolta i giovani siciliani assetati di libertà e di giustizia.
Ad essi, a tutti i lavoratori del braccio e della mente, diciamo che è vano sperare l’attuazione delle comuni aspirazioni dell’opera dello Stato e dei padroni. I deputati ed i governati non potranno mai costruire la società di benessere e di libertà che avrà vita soltanto grazie all’azione diretta, di noi tutti uomini e donne, se “vorremo” veramente seppellire per sempre il sistema economico-sociale attuale, basato sulla proprietà privata e sullo Stato, che per dare privilegi ai pochi condanna i più alla miseria, all’ignoranza ed al massacro periodico delle guerre.