L’obiettivo di lasciare Putin senza soldi per la guerra non è stato raggiunto

Traduzione dall’originale “Цель оставить Путина без денег на войну не достигнута

L’Occidente si è rifiutato di acquistare direttamente il petrolio russo e ha fissato un prezzo massimo per il resto del mondo. Allo stato attuale, questa situazione non ha impedito alla Russia di continuare la guerra. Ma mette fine al suo futuro.

Il crollo delle entrate energetiche della Russia è ciò che potrà fermare la macchina da guerra russa”, ha dichiarato il primo ministro estone Kaja Kallas dopo l’entrata in vigore dell’embargo e le restrizioni sul prezzo, “ogni dollaro conta. Abbassare [i ricavi dati dall’esportazione] di un dollaro [significa] ridurre le entrate della Russia di 2 miliardi di dollari [all’anno]”

Questa [mossa] non ha fermato la macchina da guerra russa, non ha distrutto l’economia, ma l’ha privata di (parecchio) denaro.

Combinare le incompatibilità

In Occidente si è parlato di privare la Russia delle sue rendite petrolifere subito dopo lo scoppio della guerra. Il problema, stando alle parole di Tatiana Mitrova, docente invitata da Sciences Po, sembrava insormontabile. Era necessario ridurre notevolmente il flusso di petrodollari verso la Russia senza ridurre la circolazione di petrolio proveniente dalla Russia, e nel frattempo trovare una sostituzione per le 111 milioni di tonnellate di petrolio all’anno che l’UE importava dalla Russia – più di un terzo del suo consumo. La sostituzione è stata in gran parte una questione tecnica (Norvegia, Stati Uniti e Medio Oriente l’hanno trovata); serviva il tempo per concludere i contratti. Ma il tetto sul prezzo…

La Russia ha subito avvertito che non avrebbe fornito petrolio a quei Paesi che rispetteranno il tetto, il che potrebbe portare ad un collasso del mercato e ad un aumento dei prezzi. Non erano parole vuote. La Russia è il secondo fornitore di petrolio al mondo: se tagliasse drasticamente la produzione, l’equilibrio globale sarebbe sconvolto. Una delle banche più importanti del mondo, JP Morgan, ha scioccato tutti durante l’estate calcolando che un taglio della metà della produzione da parte della Russia – causato dal tetto [sul prezzo] -, avrebbe spinto il prezzo del petrolio fino a 380 dollari al barile. L’Occidente “ha fatto tutto il possibile per evitare che le esportazioni di petrolio russo diminuissero”, afferma Oleg Itzhoki, professore dell’Università della California di Los Angeles: “L’Europa era sostanzialmente pronta, perché i prezzi dell’energia erano già aumentati in modo folle e l’America in Aprile aveva fermato l’Europa [dal porre alla Russia] un embargo più rapido – avevano paura [che il prezzo schizzasse a] 200 dollari al barile”.

Infine, l’embargo doveva essere applicato: far sì che il maggior numero possibile di paesi non comprasse il petrolio russo per più di 60 dollari al barile.

Tra le correnti

[L’UE,] il principale mercato della Russia, ha rifiutato la maggior parte del petrolio russo. Dal 5 Dicembre l’UE non acquista più greggio dalla Russia via mare (fanno eccezione Bulgaria e Croazia). Il petrolio degli oleodotti può essere acquistato, ma la maggior parte dei Paesi dell’Unione si è rifiutata di comprarlo.

La risposta era ovvia: se l’Europa si fosse accordata con qualcuno per sostituire la Russia, alcuni consumatori sarebbero rimasti senza petrolio. È lì che la Russia ridirigerà i volumi che l’Europa si è rifiutata di acquistare. Andranno via mare; questo è stato il modo principale di consegnare [il petrolio] prima dell’embargo – la maggior parte delle esportazioni di petrolio russo passano attraverso i porti marittimi.

Principali canali di esportazione del petrolio russo nel 2021

Sono indicati i canali di esportazione verso i Paesi non CSI.

Volume totale delle esportazioni : 230 milioni di tonnellate

Canale

Volume delle esportazioni (in milioni di tonnellate)

In % delle esportazioni totali

Estensione dell’oleodotto «ESPO» (*) alla Cina

40

17,4%

Oleodotto «Druzhba»

37

16,1%

Porti del Mar Baltico

60

26,1%

Porti del Pacifico

35

15,2%

Porti del Mar Nero

19

8,3%

Totale delle Esportazioni verso i Paesi non CSI

191

83,04%

Fonti: FCS, Ministero dell’Energia, Argus

(*)«Siberia orientale – Oceano Pacifico»

Il «Gruppo dei Sette», l’UE e l’Australia hanno limitato il prezzo; hanno introdotto il cosiddetto tetto – un barile di petrolio russo trasportato via mare non dovrebbe costare più di 60 dollari (il tetto sarà periodicamente rivisto).

Come si può vietare alle aziende provenienti da altri paesi di fare qualcosa? Ecco come. Il tetto si applica a tutti i servizi relativi al trasporto di petrolio russo: se il prezzo è superiore ai 60 dollari, sarà impossibile trasportare il petrolio, assicurare le petroliere che lo fanno (secondo i regolamenti internazionali le navi dovrebbero essere assicurate). Più della metà del petrolio russo è stato trasportato da navi greche; è improbabile che i loro proprietari violino il divieto. Il 95% dell’assicurazione per le navi cisterna è venduto dai membri del Gruppo Internazionale di P&I Clubs.

Alle aziende colte in violazione di queste restrizioni verrà imposto un divieto di tre mesi: non potranno utilizzare i servizi elencati per 90 giorni. Se una petroliera viene sorpresa a trasportare petrolio russo ad un prezzo superiore ai 60 dollari al barile, la società proprietaria non potrà trasportare nulla per 90 giorni.

In risposta, la Russia ha assemblato una flotta che trasporterà petrolio sotto sanzioni, comprando più di 100 petroliere (circa la metà di quello che era necessario), per lo più vecchie e che stavano per essere demolite, e negoziare e farsi aiutare da “vettori grigi” per aggirare le sanzioni contro il Venezuela e l’Iran.

Guerra lampo

L’idea era chiara, ma era difficile prevedere a cosa avesse portato: a livello internazionale, non era mai stato utilizzato nulla di simile ad un tetto sul prezzo. Inoltre, misure simili sono in arrivo per i prodotti petroliferi russi: l’embargo UE (dal 5 Febbraio) e il massimale del prezzo (la data non è ancora determinata, l’ultima offerta è di 100 dollari per barile di diesel). Una vivida illustrazione dell’incertezza è la previsione della Banca Centrale Russa per il 2023: un calo dell’1-4% del PIL. Una discrepanza così ampia «non è tipico per le nostre previsioni», ha dichiarato il direttore del Dipartimento di Politica Monetaria della Banca Centrale Kirill Tremasov, ma non era chiaro quanto avrebbe perso la Russia in termini di produzione, esportazione, raffinazione ed entrate.
L’inizio sembra un trionfo per le sanzioni. Il prezzo del greggio degli Urals si è ridotto ben al di sotto del tetto massimo, e le forniture sono diminuite; inoltre “le restrizioni a Dicembre hanno rallentato il riorientamento delle forniture dalla Russia ai paesi asiatici”, dice la Banca centrale.

Il prezzo medio del greggio degli Urals dall’inizio dello scorso anno, secondo il Ministero delle Finanze, non era sceso al di sotto dei 68 dollari al barile, ma a Dicembre era a 50,47 dollari. Dal 15 Dicembre al 14 Gennaio era a 46,82 dollari; ad un certo punto il barile valeva 37 dollari.
Le esportazioni marittime si sono quasi dimezzate nella prima settimana dell’embargo – 1,6 milioni di barili al giorno contro una media di 3 milioni. Sono emerse delle difficoltà con le spedizioni. A Dicembre, la greca Avin International e il più grande operatore marittimo cinese, China Cosco Shipping, si sono rifiutati di trasportare il petrolio russo proveniente dall’oleodotto ESPO: era più costoso del tetto massimo.
Secondo le valutazioni del “Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita” (CREA), la combinazione del «tetto sul prezzo più embargo UE» ha privato la Russia di 160 milioni di euro giornalieri. È ormai un esercizio popolare calcolare quanto denaro perderà la Russia. Tra le ultime: circa 100 miliardi di dollari di ricavi da esportazione quest’anno.
Il sacrificio principale e ovvio – il bilancio: è stato calcolato per il 2023 sulla base di 70,1 dollari al barile. Altri tipi di petrolio russo sono stati più cari degli Urals; ma le sue quotazioni sono importanti per il bilancio: le tasse e i dazi sono calcolati su di esso. A Dicembre, il deficit di bilancio ha raggiunto il record di 3,9 trilioni di rubli. Si tratta in parte di sottigliezze contabili, ma anche di una conseguenza diretta del crollo delle entrate derivanti dal petrolio e dal gas. Quest’anno continua: a Gennaio, il Ministero delle Finanze prevede un deficit di 54,5 miliardi di rubli rispetto al piano [del bilancio]. A Febbraio, se il prezzo non sale, aumenterà considerevolmente. L’anno è appena iniziato e il ministro delle Finanze Anton Siluanov ha già definito, come opzione ottimistica per il bilancio federale, un’entrata di 8,9 trilioni di rubli provenienti dalla vendita di petrolio e gas (il 37% di tutte le entrate). Il Ministero delle Finanze ora ritiene che i ricavi del petrolio e del gas ammonteranno a 8 trilioni di rubli.

Un’altra vittima è il rublo. Il calo dei ricavi delle esportazioni di petrolio è stata la causa della caduta del rublo a Dicembre, nota la Banca centrale. Quando le restrizioni sui prodotti petroliferi entreranno in vigore, il rublo sarà di nuovo in difficoltà, avverte la capo economista dell’Alfa-Bank Natalia Orlova. Tuttavia, il bilancio trarrà vantaggio da questo: le entrate petrolifere sono fissate in dollari, e per ogni rublo in più nel suo corso dà circa 100 miliardi di rubli annui al tesoro. Le autorità si sono lamentate a lungo del rublo troppo forte, affermando che il tasso di cambio di 70 rubli circa per un dollaro fosse giusto. Ciò che non hanno potuto ottenere in sei mesi, le sanzioni lo hanno fatto in un solo mese.

Il crollo delle entrate non significherà che la Russia spenderà meno per la guerra, dice il direttore degli investimenti «Loko-Invest» Dmitry Field: si prenderanno più prestiti e si preleverà dal Fondo sovrano.

Sembra che questa situazione si adatti a Putin. Conferma di questo – un decreto che vieta le forniture di petrolio ai paesi che rispettano il tetto [sul prezzo]. È apparso solo alla fine di Dicembre e, nonostante tutte le affermazioni sinistre, si è rivelato abbastanza inutile: funzionerà solo dal 1 Febbraio, contiene molte eccezioni e non ha influenzato i prezzi.

Loro [l’Occidente] ottengono quello che vogliono: un mercato ben fornito e una riduzione dei ricavi russi”, riassume Ben Cahill del Centro americano per gli studi strategici e internazionali.

Costi provvisori

La questione è quanto durerà questa situazione. Le perdite astronomiche sono calcolate partendo dal presupposto che gli Urals rimarranno a buon mercato per tutto l’anno. Ad esempio, la stima di 100 miliardi di dollari citati sopra, ipotizza che lo sconto degli Urals rispetto al Brent rimarrà del 30-40%.

Le autorità russe sperano che si tratti di un fenomeno temporaneo e che il divario si riduca, come è avvenuto la scorsa primavera. In Marzo-Aprile, molti cominciarono a rinunciare al petrolio russo, le catene di approvvigionamento stabilite si ruppero e lo sconto sugli Urals superò il 30%. Ma gradualmente si sono formate nuove catene e lo sconto è stato ridotto della metà. Anche se, naturalmente, questo è parecchio.

Se il prezzo medio degli Urals non sarà inferiore ai 60 dollari al barile e la produzione non diminuirà, allora «non ci sarà alcun disastro per il bilancio», afferma il professor Yitzhoki. [Una cosa del genere potrebbe avvenire] se il prezzo medio degli Urals sarà sotto i 40 dollari.

È ancora alto [il prezzo], e la produzione non è ancora caduta. Le spedizioni via mare dopo la debacle di Dicembre sono aumentate. Solo gli acquirenti sono diversi. I principali sono la Cina e l’India, e anche… gli sconosciuti.

Questo è un modo diffuso per aggirare l’embargo, a giudicare dall’esperienza dell’Iran e del Venezuela: in acque neutrali, il petrolio viene trasferito a un’altra petroliera (possibilmente mescolato con petrolio di altra origine); sulla carta cessa di essere russo e viene consegnato all’acquirente. Vengono inventati altri schemi. Singapore è diventato uno dei principali centri di elusione legale delle sanzioni: i commercianti prendono prodotti petroliferi russi lì e li mescolano con altre varietà. «Riciclato» ciò, non vi sono rischi sanzioni: possono tranquillamente consegnare ovunque la miscela ottenuta.

La Russia è riuscita a reindirizzare la maggior parte del suo petrolio in altri paesi oltre l’Europa”, afferma Natalia Zubarevich, docente dell’Università Statale di Mosca. Il paese è stato in grado di sopportare l’impatto delle sanzioni europee, ha riconosciuto Bloomberg.

Secondo il “Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita”, la Russia, nel suo primo mese di attività sotto embargo e con il tetto sul prezzo, ha guadagnato 3,1 miliardi di euro con le esportazioni petrolifere.

Inoltre gli Urals non corrispondono a tutto il petrolio russo. Altre varietà, come notato, sono più costosi, e alcuni più costosi del tetto imposto. “Nei porti del Pacifico il limite del prezzo sembra non funzionare”, – dice l’esperto indipendente di petrolio e gas Sergey Vakulenko: la quotazione del petrolio ESPO spedito dal porto di Kozmino “supera costantemente i 70 dollari”, e “i volumi lì non sono affatto 800 mila barili al giorno”. Il totale di esportazioni verso l’Estremo Oriente (compreso l’oleodotto verso la Cina) è di circa 1,6-1,8 milioni di barili al giorno, ricorda Vakulenko.

Questione di prezzo
Il prezzo del petrolio russo è un concetto molto creativo. Gli Urals non sono mai stato scambiati, il suo valore viene calcolato da agenzie di prezzi secondo metodologie proprie, ma riconosciute dai mercati. Un barile di Urals nell’oleodotto «Transneft», in una petroliera nel porto di Novorossiysk o [verso] Gujarat (ora il principale mercato del petrolio russo, dice Vakulenko), ha costi diversi.
Le cifre che il Ministero delle Finanze ci fornisce – in cui vengono considerate le tasse -, riguardano il prezzo del petrolio a bordo di una petroliera in un porto russo. Questo petrolio deve essere consegnato all’acquirente e il prezzo aumenterà [a causa del] costo del trasporto. In passato, le petroliere partivano dal porto baltico di Primorsk dirigendosi principalmente nei porti dell’Europa settentrionale; adesso vanno in Asia. Per andare a Rotterdam ci vogliono sette giorni; per andare verso lo Stato di Gujarat ci vogliono in media 31 giorni (e altrettanti per tornare). Il sovrapprezzo aumenta di conseguenza. A ciò si aggiungono tutti i rischi associati alla Russia. In Gujarat, il petrolio russo è scambiato con uno sconto di 6-10 dollari al barile rispetto al Brent, dice Vakulenko.
Quindi si scopre che il prezzo del petrolio russo è crollato, ma allo stesso tempo non è crollato. Inoltre, prendendo in considerazione tutti i recenti shock (rottura di legami consolidati, riluttanza a rivelare dati etc) le quotazioni calcolate dalle agenzie di prezzo non corrispondono alla realtà, nota Vakulenko. “Se parliamo del prezzo di vendita del petrolio russo, non è 46-50 dollari, ma 70 o 75 dollari. Viene pagato più o meno come il petrolio arabo o iraniano”, conclude.
“Le sanzioni non hanno ancora distrutto l’industria petrolifera russa. Il problema è quanto si guadagna da essa. Con gli sconti che ci sono, è possibile pompare grandi volumi ma si guadagna molto meno”, riassume Zubarevich.
Quindi chi guadagna dalla differenza tra i 50 dollaria Primorsk e i 70 dollari in Gujarat?

Questo calo del prezzo ufficiale è una grande perdita per il bilancio russo. In teoria, gli acquirenti petroliferi dovrebbero trarne vantaggio, ma in realtà questo non accade spesso”, sostiene Vakulenko.

I commercianti, i trasportatori e chi aggira le sanzioni sono quelli che fanno la differenza. Secondo Bloomberg, i profitti dei trader di Singapore sono raddoppiati rispetto al solito: fino al 20% contro la media del 10-12%. Molti sono probabilmente legati alla Russia.

Secondo Vakulenko, i vincitori potrebbero essere le società russe, che “mantenendo l’immagine di vendere petrolio a basso costo, ne traggono beneficio”: meno tasse, e in più si può lasciare parte del ricavato nei conti di “società amiche fuori dalla Russia e utilizzarle per transazioni che sarebbero difficili condurre a proprio nome in un clima di sanzioni”.

Questo ricorda molto gli “anni ‘90”, quando le compagnie estrattive vendevano il petrolio a basso costo ai commercianti per pagare meno tasse, e i commercianti lo vendevano poi a caro prezzo, ma pagavano anche poche tasse, perché il centro del profitto era nei Paesi con le aliquote più basse. La lotta contro questi schemi ha portato alla fine a legare le tasse alle quotazioni di mercato.

Ma c’è un’importante differenza rispetto agli anni ’90: ora lo Stato può voltarsi dall’altra parte – naturalmente, se vede dove e verso chi fluisce il denaro, può controllare almeno una parte di questi flussi, ritiene Vakulenko. È possibile pensare a molti modi per spendere quella “parte di denaro ottenuta”. Ad esempio, per comprare qualcosa per la guerra, per finanziare “le attività di gruppi filorussi o semplicemente anti-sistema al di fuori della Russia”, o anche per iniziare a raccogliere “l’oro del partito” che garantirà “un’esistenza confortevole dopo la sconfitta in guerra”.

Perdite costanti

Non è solo per i soldi. Il Tesoro statunitense ritiene che il tetto [sul prezzo] funzioni e funzioni bene, scrive il professor Konstantin Sonin dell’Università di Chicago a seguito di una tavola rotonda con il vice segretario al Tesoro Ben Harris, responsabile delle sanzioni, aggiungendo che l’effetto del tetto potrebbe non essere la cosa più importante. Le sanzioni non vengono mai introdotte per punire i colpevoli e ristabilire immediatamente la giustizia, osserva Mitrova: “Hanno un altro compito: strangolare lentamente ma inevitabilmente l’economia sotto sanzione, togliendo [così] non il flusso di denaro corrente ma le prospettive di sviluppo.”

Sono in arrivo un secondo embargo UE e un secondo tetto sul prezzo dei prodotti petroliferi. Saranno un test più serio per la Russia. Sarà più difficile ri-orientare i prodotti petroliferi verso l’Asia che il petrolio stesso: i Paesi asiatici hanno una capacità di raffinazione in eccesso – e, quindi, hanno bisogno di petrolio [da raffinare].

Gli esperti stanno discutendo se l’attacco all’Ucraina rappresenti la fine della storia della Russia come potenza energetica, dice Sonin: “La fornitura di petrolio e gas all’Europa occidentale è stata interrotta, apparentemente, per sempre. Daniel Yergin, autore del famoso “Il premio. L’epica corsa al petrolio, al potere e al denaro”, pensa che la Russia rimarrà un fornitore principale dopo la guerra, ma non giocherà un ruolo importante”.

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