Sull’espulsione del campo profughi autogestito di Lavrio, Grecia – Seconda Parte

Prima Parte

Un altro regalo della NATO a Erdoğan

Il giornalista curdo rifugiato Vedat Yeler ha definito lo sgombero e la distruzione del campo di Lavrio un “regalo della NATO a [Recep Tayyip] Erdoğan.” Lo sgombero è avvenuto pochi giorni prima (11 Luglio) del vertice NATO a Vilnius, in Lituania – dove avrebbero dovuto partecipare sia la Grecia che la Turchia. I due membri della NATO si sono scontrati per decenni sul conflitto di Cipro e sulle dispute territoriali nel Mar Egeo. In reciproche calunnie populiste, i politici turchi hanno accusato la Grecia di ospitare dei “terroristi” nel campo di Lavrio e, per anni, hanno pressato lo Stato greco affinché chiudesse lo spazio. Tuttavia, dopo la rielezione del regime sunnita-nazionalista di Erdoğan in Turchia e del governo di Nuova Democrazia di Mitsotakis in Grecia, rispettivamente nel Maggio e nel Giugno del 2023, si è assistito ad un cambiamento nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi. Durante una visita a Cipro, pochi giorni prima dello sgombero, il ministro degli Esteri greco ha dichiarato di voler migliorare le relazioni con la Turchia. L’attacco ai rifugiati politici curdi in Grecia può essere inteso come un tentativo di dimostrare questi sforzi prima del vertice NATO.

Dopo lo sgombero, il campo di Lavro è stato affidato al comune di Lavrio – il quale ha immediatamente coperto, tramite pittura, i simboli politici rivoluzionari presenti nel luogo da decenni. È stato un gesto politico. Il messaggio inviato dal governo di “Nuova Democrazia” è stato il seguente: la politica rivoluzionaria non sarà tollerata sotto questo esecutivo. Foto: Beja Protner, 15 Luglio 2023.

Non è la prima volta che i curdi vengono utilizzati come strumento nella geopolitica regionale e nella gestione delle relazioni interne della NATO. Una precedente occasione, in cui lo Stato greco ha giocato un ruolo cruciale, è stata la cospirazione internazionale del 15 Febbraio 1999 – che ha portato alla cattura del leader del PKK, Abdullah Öcalan. Per tutti gli anni Ottanta e Novanta, il movimento curdo aveva goduto del sostegno pubblico dei politici e dell’opinione pubblica greca di sinistra. Quando Öcalan fu esiliato dalla Siria, cercò rifugio in Europa e fu ospitato dai servizi segreti greci. Tuttavia, sotto le pressioni dell’UE e della NATO, gli venne rifiutato il rifugio in Grecia e fu trasferito all’ambasciata greca in Kenya, dove venne consegnato in seguito ai servizi segreti turchi.1 Di conseguenza, con la diretta complicità della Grecia, Öcalan fu imprigionato a vita e in completo isolamento sull’isola turca di İmralı.

Nel 1999, i rifugiati curdi e altri rifugiati rivoluzionari in Grecia si sono uniti alle migliaia di sostenitori locali per protestare contro quella che molti anziani greci ricordano come una delle azioni più vergognose dello Stato greco. Oggi, con lo sgombero del campo di Lavrio, il movimento curdo ha visto ancora una volta che non può fidarsi di nessuno Stato ma deve fare affidamento sulla solidarietà delle persone.

Per molti anni, la NATO ha sostenuto la violenza politica e i crimini di guerra della Turchia in Medio Oriente. Con il secondo esercito più grande della NATO, lo Stato turco ha condotto una guerra impari contro i guerriglieri del PKK in Kurdistan, commettendo atti di violenza politica e crimini di guerra contro i guerriglieri, la popolazione locale e l’ambiente, compresi incendi ecologicamente devastanti e attacchi con armi chimiche. La Turchia ha sostenuto materialmente e logisticamente l’ISIS e altre bande jihadiste in Siria e Iraq nella loro lotta contro i curdi. Inoltre, la Turchia ha bombardato, invaso e occupato diverse aree a maggioranza curda nel nord e nell’est della Siria, dove ha impiegato mercenari jihadisti per terrorizzare e abusare delle popolazioni locali, provocando la fuga di migliaia di persone. Allo stato attuale delle cose, dal punto di vista geopolitico, un membro della NATO può fare tutto questo senza alcuna reazione significativa delle istituzioni internazionali.

Recentemente, le relazioni tra la Turchia e altri membri della NATO sono sfociate ancora una volta nella violenza contro i rifugiati curdi e politici turchi esuli. Nel 2022, quando Finlandia e Svezia hanno deciso di aderire alla NATO – nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina -, la Turchia ha preso di mira i rifugiati curdi, [trattandoli] come merce di scambio nei negoziati. La Turchia ha posto il veto sull’adesione della Finlandia e della Svezia alla NATO: avrebbe accettato [i due paesi nell’Alleanza Atlantica] solo se questi consegnavano i rifugiati politici residenti nei loro Paesi – affinché fossero imprigionati (o peggio) in Turchia. Questo traffico di esseri umani è avvenuto con la Svezia, la quale ha estradato un certo numero di esuli politici in Turchia.

I rifugiati politici del Kurdistan e della Turchia organizzano regolarmente manifestazioni nel centro di Atene per protestare contro l’oppressione politica in Turchia, l’incarcerazione di Abdullah Öcalan, le invasioni militari, gli assassinii degli attivisti in Rojava (Siria) e Başûr (Iraq), l’uso di armi chimiche contro i guerriglieri del PKK nelle montagne del Kurdistan e, soprattutto, per condannare il silenzio delle istituzioni europee ed internazionali sui crimini della Turchia. Fonte foto, 20 Novembre 2022.

L’Unione Europea e la NATO hanno continuamente collaborato alla criminalizzazione del PKK e degli attivisti (pro-)curdi, adottando il discorso del “terrorismo” che la Turchia utilizza per legittimare i massacri, l’uso di armi chimiche, la persecuzione di massa di dissidenti politici, giornalisti e avvocati e le invasioni militari che hanno costretto all’esilio milioni di persone. Le discussioni al vertice NATO dell’11 Luglio hanno sviluppato ulteriori minacce contro la comunità politica curda in patria e in esilio. Ad esempio: nell’ambito di un nuovo patto di sicurezza bilaterale, Erdoğan ha incontrato il primo ministro svedese Ulf Kristersson e ha accettato di trasmettere il protocollo di adesione della Svezia alla Grande Assemblea Nazionale Turca per la ratifica; questo a condizione che la NATO si impegni a nominare un “coordinatore speciale per l’antiterrorismo” e che la Svezia collabori nell’affrontare le “preoccupazioni securitarie” della Turchia (in altre parole, l’esistenza di curdi organizzati politicamente). Questo significa che vi saranno maggiori persecuzioni ed estradizioni ai danni dei curdi in esilio e rifugiati politici che cercano di trovare sicurezza in Europa.

Non è chiaro se Erdoğan e Mitsotakis abbiano discusso della comunità politica curda e turca in Grecia durante il loro incontro al vertice NATO del 12 Luglio. Tuttavia, lo sgombero e la distruzione del campo di Lavrio [mostra come] lo Stato greco stia al fianco del governo turco nel suo progetto secolare di annientamento dei curdi in Turchia e altrove.

La questione dei rifugiati e i curdi

Se consideriamo sia la posizione dei curdi nella geopolitica della NATO che la guerra razzista dell’Unione Europea contro i migranti (dove lo Stato greco si schiera con l’oppressore), possiamo vedere come i sistemi integrati – che Öcalan e il movimento curdo chiamano le “forze della modernità capitalista”2 -, conducano una guerra contro la vita libera.

Mentre il governo turco continua a sfollare milioni di persone dalla Turchia e dal Kurdistan – molte delle quali cercano asilo in Europa -, l’UE protegge i suoi confini con metodi e discorsi genocidi, versando miliardi di euro alla Turchia – in modo che questa blocchi le migrazioni dal Sud globale. Secondo il cosiddetto accordo UE-Turchia del 2016, l’UE ha versato allo Stato turco 3 miliardi di euro per accogliere e contenere i migranti e i rifugiati del Sud globale – i quali cercano di raggiungere la sicurezza attraversando la Turchia.

In seguito a questo accordo, nel 2021 la Grecia ha dichiarato la Turchia “Paese sicuro” per i rifugiati provenienti da Siria, Afghanistan, Somalia, Pakistan e Bangladesh. Tuttavia, le persone provenienti da questi Paesi non hanno la possibilità di ottenere asilo in Turchia a causa della sua legislazione obsoleta in materia di rifugiati. Hanno un accesso limitato ai diritti di residenza, all’alloggio e al lavoro legale e sono sempre più esposti a deportazioni e respingimenti [il ritorno forzato dei rifugiati in un Paese in cui rischiano di essere sottoposti a persecuzioni], sfruttamento economico e sessuale, attacchi razzisti e omicidi, legittimati e incoraggiati da un discorso razzista anti-rifugiati. I curdi della Turchia conoscono bene queste forme di violenza sistematica, normalizzate da decenni di discriminazione nei confronti delle minoranze non turche.

Data la non trasparenza del corrotto Stato turco, è difficile dire quanto denaro dell’UE sia stato utilizzato per accogliere i 10 milioni di rifugiati – la maggior parte dei quali vive in condizioni di vita deplorevoli. Allo stesso tempo, la Turchia ha aumentato in modo esponenziale le sue scorte di armi e tecnologie militari e misure repressive e di sorveglianza. Sicuramente, i “fondi per i rifugiati” dell’UE sono stati utilizzati per intensificare la guerra contro i curdi – sia in patria che all’estero -, spingendo altri milioni di persone a cercare rifugio in Europa e nel resto del Nord globale.

Oltre al denaro, l’UE, tramite il suo silenzio, ha sostenuto la Turchia nei maltrattamenti sistematici contro i rifugiati e i dissidenti politici presenti nella penisola anatolica, oltre alla violenza politica, alla sponsorizzazione dei jihadisti, agli interventi militari e ai crimini di guerra del governo turco. Di fronte a tutti i tentativi di critica dei funzionari dell’UE, Erdoğan ha minacciato di “liberare” i rifugiati in Europa. L’UE, spinta da una xenofobia sistemica, rimane complice delle violenze della Turchia contro i curdi, i rivoluzionari di sinistra, i dissidenti politici, le donne, le minoranze sessuali e le popolazioni di migranti e rifugiati indesiderati – nonostante la Turchia stessa produca milioni di rifugiati.

In breve: ovunque si incroci il “problema” europeo con i migranti e il “problema” della Turchia con i curdi, le persone vengono uccise, sfollate, dissuase violentemente, incarcerate, private di diritti e, come atto finale di disumanizzazione, usate come oggetti di ricatto, contrattazione e commercio umano tra Stati.

Foto: Questo murales raffigurante famosi personaggi curdi e internazionalisti e martiri della lotta per la libertà del Kurdistan copriva l’ingresso dell’edificio principale del campo di Lavrio. Nella stella del simbolo del PKK, lo slogan in curdo dice: “Il nostro amore per la vita è così grande che possiamo sacrificarci per essa.” Le autorità greche hanno coperto il murales dopo lo sgombero del campo. Foto: Beja Protner, Marzo 2023.

Ho scritto questo saggio per cercare di rispondere alla domanda di Diana, “Perché ci hanno fatto questo?”, dopo che era stata sfrattata dalla sua casa insieme alla sua famiglia e al resto dei residenti del campo di Lavrio. Ho cercato di mostrare come l’imperialismo della NATO, la guerra europea ai migranti (compresi quelli che fuggono dalla Turchia e dal Kurdistan) e la guerra della Turchia contro i curdi e i dissidenti politici si siano intrecciati nelle relazioni dei poteri regionali e globali. Coloro che subiscono l’oppressione, la violenza politica e lo sfruttamento economico – e che resistono cercando una vita più libera attraverso la migrazione, l’autorganizzazione autonoma e l’autodifesa – sono sotto attacco ad ogni passo.

Oggi, le rovine del campo profughi rivoluzionario di Lavrio – che per decenni è stato un rifugio sicuro per i rifugiati politici e una culla per la solidarietà internazionalista -, testimoniano la violenza di ciò che il Movimento curdo chiama “Modernità capitalista”, un sistema integrato in cui la vita viene svalutata, sfruttata e spenta. Di fronte ad una forza così imponente, che ha colpito direttamente i residenti del campo di Lavrio ma che minaccia tutti noi, l’unico modo per resistere è stabilire una solidarietà internazionale e una lotta comune contro tutte le frontiere e le ingiustizie del mondo odierno.

Quelli di noi che sperano di agire in solidarietà con Diana e con tutti coloro che sono oppressi e lottano, dobbiamo chiederci [collettivamente] che cosa faremo per difendere la “vita libera insieme” – conosciuta e imparata a Lavrio. Senza i suoi abitanti e la loro politica, [il campo] è solo un insieme di vecchi edifici distrutti. Non dobbiamo permettere che le sue rovine diventino un’immagine del futuro.

Possiamo parlare e agire in risposta alla violenza sistematica dello Stato, organizzandoci contro la criminalizzazione e [supportando] le popolazioni oppresse e le persone che cercano la libertà e una vita migliore, sia in patria che in esilio. Onoriamo la storia del campo di Lavrio costruendo spazi alternativi di “vita libera insieme” e che connettano rivoluzionari, migranti e rifugiati, gente del posto e tutti gli oppressi. Facciamo in modo che l’eredità del campo di Lavrio viva in molti nuovi spazi auto-organizzati di cameratismo, solidarietà internazionalista e lotta.

Note

1Nota del Gruppo Anarchico Galatea: nella cattura di Öcalan giocò un ruolo decisivo il governo italiano di centro-sinistra, guidato all’epoca da Massimo D’Alema. Ocalan, quando arrivò in Italia dalla Russia il 12 Novembre 1998, venne arrestato dalla polizia italiana a causa di un mandato di cattura internazionale emesso sia dalla Germania che dalla Turchia. A differenza dello Stato tedesco, il governo turco pressò il suo omologo italiano affinché estradasse Ocalan. Il governo di D’Alema, però, non poteva concedere l’estradizione in quanto 1) l’imputato avrebbe rischiato la pena di morte in Turchia e 2) si palesava una violazione di due articoli (10 e 26) della Costituzione Italiana. Nell’articolo “Caso Ocalan e questione kurda. L’ipocrisia della diplomazia internazionale gioca sulla pelle di trenta milioni di kurdi”, Umanità Nova, n. 37, 29 Novembre 1998, veniva scritto: “[…] La Turchia nonostante ciò è un partner fondamentale sia dell’Alleanza Atlantica sia dell’Europa. L’Italia è legata alla Turchia da trattati commerciali e politici importanti che datano da molti anni. I soldati turchi che operano nei territori kurdi sono equipaggiati con armi italiane, come italiani sono gli elicotteri da combattimento e i blindati. Recentemente, il 22 settembre di quest’anno, il ministro degli Interni Napolitano ha firmato un accordo con la Turchia proprio sulla questione della collaborazione alla lotta contro il terrorismo. E per la Turchia terrorismo significa PKK. La questione di Ocalan, dunque, ha solamente scoperchiato l’ipocrisia di un Europa sorniona che fa orecchie da mercanti sul caso dei diritti umani e civili del popolo kurdo. […] la diplomazia italiana, come ha recentemente confermato Pietro Fassino, ha già delineato i suoi compiti. In sintesi la posizione è questa: “Ocalan è un capo di un’organizzazione illegale che è stato fermato in Italia e il nostro paese non intende con questo dare ospitalità a individui che combattono il governo turco con azioni terroristiche. L’Italia non entra nel merito della questione kurda perché essa è un problema interno della Turchia e non è un problema internazionale. L’Italia, nel pieno rispetto degli accordi internazionali, provvederà ad accettare l’estradizione del leader kurdo per quei paesi che lo richiederanno e dove, come in Germania, non vige la pena di morte. L’Italia denuncia l’aggressione della campagna turca contro le aziende italiane e ne chiede l’immediata sospensione”. Come si vede la diplomazia non solo italiana ma di tutti i paesi è come un elefante che balla in una pista di circo ricoperta da migliaia di bicchieri di vetro dove quest’ultimi rappresentano i trenta milioni di kurdi che vivono nell’area medio orientale. Nessuno si preoccupa di loro, sono solamente un problema di ordine pubblico interno ai singoli paese che li ospitano, l’importante è salvare i buoni affari! […].” Dopo quasi tre mesi di permanenza in Italia e una richiesta di asilo politico pendente, Öcalan partì dall’Italia il 16 Gennaio 1999 e arrivò a Nairobi, in Kenya. Un mese dopo, il 15 Febbraio, verrà catturato dai servizi segreti turchi. L’ipocrisia del governo italiano e dei mass media verrà descritta nell’articolo “Caso Ocalan e questione curda. L’Europa della vergogna”, Umanità Nova, n. 7, 28 Febbraio 1999: “[…] L’atteggiamento pavido dei governi europei che ha obbligato Ocalan ad una fuga sempre più disperata che alfine lo ha reso facile preda del governo turco non è che l’ennesimo atto, più eclatante solo perché maggiormente sotto l’occhio di vetro delle telecamere, della consapevole scelta di rimozione operata nei confronti della questione curda. […] Certo Ocalan per molti aspetti non è esattamente un personaggio dalla limpida biografia del rivoluzionario libertador che tanta sinistra buonista indulge a descrivere […] tuttavia la vicenda che lo vede coinvolto, la ribellione dei curdi in molti paesi, il crescere della repressione in Turchia non possono che suscitare indignazione. In quest’Europa degli steccati e dei capitali, gli appelli alla D’Alema per un processo equo mostrano il volto di un’Italia e di un’Europa ben più attente alle commesse militari con la Turchia ed a buoni rapporti con gli Stati uniti, gli alleati di sempre, che non al rispetto dei diritti umani.”

2Vedere nota 2

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