Una guerra guerreggiata non porta solo morti e distruzioni. Per contrastare la destabilizzazione sociale-politica interna la censura e la repressione contro la dissidenza sono fondamentali per quei governi impegnati direttamente nel conflitto. Quel che succede in Russia, dall’inizio della “Tragedia”, rappresenta in tutto e per tutto questo stato di cose: chiusura di siti internet e giornali che riportano notizie “non allineate al regime putiniano”, controllo dei social network commerciali russi (VK) e stranieri (Meta, Twitter etc) da parte delle autorità e delle aziende private colluse con il governo, denunce, processi e condanne per disfattismo e via dicendo. Questi controlli del governo di Putin servono a presentare, a livello mediatico internazionale, la Russia e i suoi popoli come compatti nel voler proseguire questa guerra e, allo stesso tempo e in modo nascosto, annichilire qualsiasi forma di dissidenza politica interna (parlamentare ed extraparlamentare che sia). Da quasi un anno a questa parte, nel nostro blog, stiamo dando voce a diverse piattaforme di resistenza russa. “Posle” (traduzione di “dopo”) è un sito, creato da dellu compagnu come risposta alla propaganda guerrafondaia di Putin e soci – e, conseguentemente, all’attuale stretta autoritaria russa sulla “Tragedia” in Ucraina. Con l’obiettivo di presentare una serie di vie d’uscite dalla situazione creata dal regime putiniano, lu compagnu di “Posle” hanno pubblicato una serie di interviste, analisi e critiche su quel che succede in Russia e come viene percepita la guerra in Ucraina dalla popolazione russa.
Come fanno i russi a spiegare il loro sostegno alla guerra in Ucraina? Perché continuano a sostenere la guerra nonostante la loro mancanza di entusiasmo? I sociologi Svetlana Yerpyleva e Sasha Kappinen riportano i risultati e le conclusioni della loro ricerca su come i russi sostengano in modo depoliticizzato la guerra.
Quando abbiamo cominciato ad esaminare il sostegno all’invasione russa dell’Ucraina all’interno della società russa, ci siamo imbattuti in un paradosso. Molte persone che abbiamo intervistato sono rimaste scioccate dalla notizia dello scoppio della guerra. Erano inorridite. Non riuscivano a capire come fosse possibile un evento del genere. “È stato insopportabilmente difficile”, “Ero inorridito”, “Non dovrebbe essere così”, “Stiamo facendo un terribile errore”, “Ho avuto un attacco di isteria, ho pianto”, “Non ho parlato per tre giorni”, “Il mio mondo è crollato”, “Non mi sarei mai aspettato di vedere una vera guerra nel XXI secolo e che il mio Paese fosse l’aggressore in questa situazione”: questo hanno detto le persone intervistate. Un mese dopo, tutte loro, in un modo o nell’altro, hanno iniziato a sostenere la guerra – o almeno a giustificarla. Che cosa è successo?
Moralmente disorientate, le persone intervistate hanno cercato di inserire la guerra in una visione globale [completamente] rivista. Hanno cercato di trovare le condizioni e gli argomenti per compensare la percepita riprovevolezza dell’invasione russa dell’Ucraina; hanno normalizzato la guerra convincendosi che “le guerre vanno sempre avanti”; hanno attribuito il loro shock iniziale alla loro ingenuità, al fatto di non aver capito che “il mondo non è perfetto”; infine, hanno abbracciato la loro impotenza e irrilevanza nel cercare di influenzare una situazione che era fuori dal loro controllo. Naturalmente hanno fatto riferimento, oltre ad appropriarsene, dei cliché della propaganda per difendere la guerra. Non lo hanno fatto in modo automatico ma con uno sforzo cognitivo, retorico e persino fisico. Questi sforzi hanno permesso loro di superare il conflitto morale, risolvere i dilemmi etici, riprendersi dallo shock e tornare alla vita di tutti i giorni. Di conseguenza ciò che ieri sembrava loro impossibile ora è visto come inevitabile.
Questa visione dinamica di come il sostegno alla guerra si sia diffuso nella società russa, ci permette di comprendere la logica e i meccanismi di base dietro una parte significativa di questo sostegno. Naturalmente, tra i sostenitori della guerra ci sono persone convinte, politicizzate, con opinioni profondamente radicate che sostengono il conflitto in modo molto diverso. La guerra e i suoi cambiamenti coincidono con le loro aspirazioni, speranze e idee sull’ordine mondiale. Ma queste persone sono una minoranza tra chi abbiamo intervistato e, si può dire, una minoranza tra i russi. Il sostegno alla guerra da parte della maggior parte dei nostri intervistati (e di una parte considerevole della popolazione russa) non è una conseguenza della loro consapevolezza politica. È passiva e reattiva: non serve come azione nella loro vita quotidiana e non deriva dai loro interessi, bisogni o principi morali (al contrario, li contraddice ampiamente). Al centro di questo sostegno c’è la depoliticizzazione della società russa. Questa è una delle principali conclusioni del prossimo rapporto analitico prodotto dal nostro team di ricerca – che descrive e analizza questo particolare sostegno depoliticizzato alla guerra.
Sin dall’inizio della guerra, il nostro team ha utilizzato metodi qualitativi (interviste sociologiche) per monitorare la percezione dei russi riguardo la guerra. Cerchiamo di capire cosa c’è dietro il sostegno alla guerra e come la guerra influenzi la nostra società. Abbiamo scelto metodi qualitativi per comprendere la logica, i meccanismi di sostegno e di condanna della guerra – [argomenti] invisibili dietro i numeri. Nella primavera del 2022 abbiamo raccolto oltre duecento interviste tra chi sosteneva la guerra, chi vi si opponeva e chi aveva dei dubbi – e abbiamo pubblicato un rapporto analitico, che potete leggere qui. Nell’autunno del 2022, abbiamo deciso di concentrarci nell’esaminare il sostegno alla guerra, raccogliendo quasi 90 interviste su chi supportava il conflitto Mentre nel nostro primo rapporto confrontavano tre gruppi di persone con atteggiamenti diversi nei confronti della guerra, nel secondo rapporto, che sarà pubblicato a breve, siamo riusciti a cogliere e a descrivere i modelli generali di sostegno depoliticizzato alla guerra nella società autoritaria russa. Tale sostegno non si basa solo nel supportare l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia in quanto tale. In un certo senso è un caso particolare di molti russi che sostengono decisioni governative contrarie ai loro interessi, soprattutto se le cause e le conseguenze di queste decisioni vanno oltre l’esperienza immediata della loro vita privata. Quando tali decisioni riguardavano la politica interna, i loro effetti negativi colpivano principalmente le persone in Russia, rimanendo invisibili al resto del mondo. Questa volta, purtroppo per l’Ucraina, il peso delle loro conseguenze è ricaduto interamente sui cittadini del paese vicino.
Come funziona questo supporto?
In primo luogo, le persone sostenitrici della guerra non provano sentimenti positivi nei confronti del conflitto, nonostante giustifichino e in generale “sostengano” le azioni del governo – in questo caso, la decisione della Russia di invadere l’Ucraina. In effetti, la maggior parte delle persone intervistate prova paura e ansia di fronte al protrarsi del conflitto militare. “L’ansia è intensa, non finisce in nessun modo, è terribile, la gente muore da entrambe le parti”, spiega uno di loro (maschio, 50 anni, amministratore circense, Ottobre 2022). La paura è diventata eccezionalmente alta quando è iniziata la mobilitazione militare nel Settembre 2022; poche settimane dopo questa paura è passata in secondo piano, trasformandosi in un’ansia assillante senza una causa. Inoltre, molte persone non riescono a immaginare scenari ottimistici. Il desiderio principale delle persone intervistate che non si oppongono alla guerra è, paradossalmente, voler fermare essa (preferibilmente a favore della Russia). Ma anche la vittoria della Russia è auspicata non perché si creda in un cambiamento positivo dopo la guerra, ma perché perdere sembrerebbe un disastro ancora più grande.
In secondo luogo, i principali argomenti a difesa delle azioni del governo non derivano dalla propaganda di questi atti. È esattamente il contrario: la maggior parte delle persone intervistate cerca di dimostrare di avere un atteggiamento negativo nei confronti del fenomeno dell’aggressione militare. Quindi, il loro sostegno si basa sull’idea che non ci sia spazio per le alternative (“Sono contrario alla guerra, ma non c’era altro modo”, “La guerra è brutta, ma è una misura forzata”). Per queste persone l’invasione dell’Ucraina non sembra essere una soluzione ottimale ma, piuttosto, [deriva dal] risultato di una mancanza di scelta e dell’impossibilità di risolvere la situazione in modo migliore. Secondo la stessa logica, molti russi hanno risposto all’annuncio della mobilitazione militare: è spaventoso e orribile, ma non c’è modo di farne a meno. “Non mi sento euforico all’idea di dover andare in guerra, di uccidere qualcuno. No, assolutamente no” (uomo, 28 anni, computer graphics artist, Ottobre 2022), “Non ho alcun desiderio di andare in guerra” (uomo, 60 anni, imprenditore, Ottobre 2022) – ammettono le persone intervistate, aggiungendo che se riceveranno una convocazione, saranno “costrette” ad andare in guerra. “Dove altro possiamo andare?”, “Beh, se è necessario”, concludono con un pesante sospiro. Sia la guerra che la mobilitazione sono passi estremamente spiacevoli, ma forzati ed inevitabili, che la maggior parte delle persone intervistate, per loro stessa ammissione, preferirebbero evitare ma che ritengono necessari sopportare.
In terzo luogo, le persone sostengono alcuni elementi delle decisioni del governo e ne condannano altri. Abbiamo già scritto qui del sostegno contraddittorio all’ “operazione speciale”. Le persone partecipanti al nostro studio considerano le azioni della Russia giustificate e necessarie e, allo stesso tempo, desiderano una fine anticipata della guerra a causa del suo prolungamento. Possono deplorare la mobilitazione ma credono che i buoni cittadini non debbano voltare le spalle al proprio Paese – anche se [opera in modo] sbagliato. Possono desiderare una vittoria russa, ma non vedono alcuna ragione per aver iniziato la guerra o le sue conseguenze positive. “Mi schiero con coloro che sono rimasti e sono disposti ad andare in guerra se necessario”, dice una persona intervistata. “Se il nostro Paese è in guerra, è molto grave. Ma se perdiamo questo conflitto sarà ancora peggio. Non l’abbiamo iniziata noi ma dobbiamo finirla”. In un’altra parte dell’intervista, tuttavia, ammette: “Non capisco. Cosa vuole la NATO dalla Russia? Ho paura che l’Ucraina e l’area del Donbass possano disintegrarsi in piccole entità fuori dal controllo di chiunque, come la Somalia. Ci sarà poca soddisfazione da questo stato di cose, perché i territori che nessuno controlla rappresentano gravi problemi economici e politici” (donna, 21 anni, studentessa, Novembre 2022). In questo senso, non è facile definire ogni individuo “sostenitore” della guerra o “oppositore”. Sono sostenitori e oppositori allo stesso tempo. Per sostenere questo conflitto in una società autoritaria e depoliticizzata che fa la guerra e chiede sostegno ai suoi abitanti, è sufficiente rimanere in silenzio, fare i conti con la realtà e continuare a vivere la propria vita. Per opporsi, invece, bisogna superare l’inerzia della depoliticizzazione, formulare una posizione e parlare (anche in un’intervista anonima con un sociologo). Di conseguenza, anche l’accettazione contraddittoria, l’approvazione che coesiste con la condanna, continua a produrre un tacito sostegno alla guerra.
Infine, le persone spesso giustificano le decisioni del governo senza guardare alle loro ragioni ma solo alle loro conseguenze (anche le argomentazioni geopolitiche preparate dalla propaganda russa sembrano ancora troppo astratte e incomprensibili per molte persone). Definiamo questo tipo di giustificazione della guerra in Ucraina come “giustificazione inversa”, un’argomentazione apologetica che inverte il corso dell’argomentazione. In queste giustificazioni, le conseguenze e gli “effetti” inevitabili della guerra, come il comportamento aggressivo degli ucraini e dell’AFU (Forze Armate dell’Ucraina, ndt) nei confronti dei russi, iniziano ad essere visti come cause del conflitto e diventano argomenti di difesa di quest’ultimo.
In parole povere: visto che le bombe ucraine cadono sui nostri territori di confine e l’Occidente sostiene l’AFU, l’ “operazione speciale” era effettivamente necessaria. “Senta, lei mi ha chiesto: crede nella minaccia dell’Ucraina? Sì, [ci credo]. Uccidimi [se non ci credo]. Il 24 non ci credevo. E ora ci credo. Quando tutto [è iniziato a succedere,] ho visto, ho capito che non avevano scherzato”, ammette uno degli intervistati (maschio, 60 anni, imprenditore, Ottobre 2022). Un’altra persona intervistata amplia questo pensiero:
“I ragazzi che sono andati lì, all’inizio, non volevano andarci. E ora vogliono andare fino in fondo. Nessuno sapeva che vi era il vero fascismo – pensavamo che fosse tutto finito. […] Molte persone non erano in vena di combattere. Pensavano che fosse [una mossa] per spaventarli. Ma quando abbiamo scavato più a fondo, c’era qualcosa che nemmeno gli uomini adulti si aspettavano. Perciò penso che la Russia abbia dovuto incidere quel bubbone. Non credo che sarebbe scomparso. Perché a giudicare da come stanno andando le cose, il conflitto sarebbe avvenuto (donna, 52 anni, professore universitario, Novembre 2022).
Inoltre, con il tempo, la guerra stessa sta diventando più tangibile e reale, diventando parte del mondo circostante (anche se ancora mediato, per la maggior parte dei russi, da smartphone e schermi televisivi). Molti iniziano a percepirla come il maltempo fuori dalle finestre o come una catastrofe naturale: una manifestazione di processi e crisi mondiali globali, alla cui potenza, come al maltempo, non si può resistere. “Ora è nuvoloso”, dice uno dei nostri intervistati in risposta ad una domanda sul suo atteggiamento nei confronti della guerra. “Questo è quello che succede. Sul campo, in generale, si spara sempre, si uccide, da qualche parte” (uomo, 42 anni, professionista IT, Ottobre 2022). Inoltre, durante i lunghi mesi di guerra, alcuni russi sono in contatto con parenti e conoscenti ucraini e vedono peggiorare il loro atteggiamento nei confronti dei cittadini russi. Questi episodi confermano l’inevitabilità e, allo stesso tempo, la validità della guerra, come se fosse un’esperienza a posteriori. Così, molte persone russe non hanno più bisogno di cercare attivamente argomenti in difesa della guerra – cosa che facevano nei primi mesi dell’invasione russa. È come se la guerra cominciasse a giustificarsi da sola, e i russi stanno facendo i conti con ciò che sembrava impossibile sei mesi fa.
In effetti, anche il sostegno forzato, impulsivo e ideologicamente indifferente alla guerra non è innocuo. Questo sostegno contribuisce, in ultima analisi, a normalizzare la guerra e a mantenere lo status quo. La nostra ricerca, comunque, mostra che in Russia il sostegno massiccio alla guerra deriva principalmente dalla struttura dello Stato e della società, che ha preso forma negli ultimi decenni. Per sostenere la guerra in una situazione dove essa è di fondamentale importanza per la dottrina ufficiale dello Stato – e [soprattutto] si trova al centro dell’ideologia del regime politico -, non è necessario uscire dalla depoliticizzazione, bensì il contrario. Per opporsi alla guerra, invece, la politicizzazione si rivela fondamentale. Dal momento che la depoliticizzazione della società russa è stata determinata in parte dagli sforzi coerenti delle autorità negli ultimi vent’anni, una posizione antibellica richiederebbe che le persone superino la loro inerzia e si sforzino di abbandonare la loro posizione apolitica. I russi, che vivevano in uno Stato autoritario depoliticizzato dove le istituzioni sociali erano state distrutte per così tanto tempo, sono diventati ostaggi di questo sistema fin dall’inizio della guerra e non hanno potuto condannare la decisione dello Stato. Anche se questa decisione era contraria ai loro interessi.
“Il numero di morti, le distruzioni e le sofferenze che la guerra ha provocato non costituiscono una ragione per condannarla?”, chiedono i russi contrari alla guerra ai loro connazionali. “Non è sufficiente dire che la guerra è un crimine?” La nostra ricerca mostra che non è abbastanza. Ciò che agli oppositori della guerra sembra una reazione umana individuale (ed eticamente colorata (nel senso di politico nonostante la depoliticizzazione, ndt)), una scelta morale di un singolo è, in realtà, il risultato [complessivo] delle azioni delle forze sociali. In un certo senso, possiamo distinguere due livelli di coloro che sostengono passivamente la guerra e, allo stesso tempo, giudicano ciò che sta accadendo: il socio-politico (utilizzato dagli insensibili e dai cinici) e il personale (dove rimangono umani ai loro stessi occhi).
Questa conoscenza è essenziale nella discussione della responsabilità collettiva che costituisce il terreno per le decisioni politiche a livello internazionale. Sotto un diverso sistema politico-sociale, molti dei sostenitori della guerra, insicuri e forzati, si sarebbero opposti. Questa situazione dimostra ancora una volta l’enorme potere che l’ordine sociale e la società ha sull’individuo. [Allo stesso tempo] dà anche qualche speranza: se la situazione socio-politica dovesse cambiare, alcune persone che sostengono la guerra potrebbero rapidamente iniziare a condannarla.