Non ci sono abbastanza risorse per tutti, quindi i meritevoli devono riprodursi: cosa c’è dietro le idee malthusiane – Seconda Parte

Prima Parte

Eredi: chi e come utilizzano le idee di Malthus oggi giorno

Nonostante le critiche contemporanee, le idee di Malthus vennero considerate da molti scienziati e politici del XX secolo. Tra i suoi eredi ci sono stati molti storici importanti, come Fernand Braudel, un rappresentante della scuola delle “Annales”, che aveva studiato l’origine del capitalismo. Braudel prestò molta attenzione alla demografia e propose il termine “sovraccarico demografico”1, intendendo le fluttuazioni della popolazione che causano conflitti sociali ed economici. L’approccio neo-malthusiano fu seguito dal medievalista britannico Michael Postan, che studiò lo sviluppo economico e i processi demografici nelle società preindustriali.

Malthus era stato citato anche dagli economisti. Il “padre del neoliberismo” John Maynard Keynes, uno degli economisti più influenti della prima metà del XX secolo, si era ispirato alle idee malthusiane quando discusse dell’impatto della pressione demografica o della sovrappopolazione sull’economia europea. Nel suo libro “Le conseguenze economiche della pace”, Keynes osservò che Malthus “svelò il diavolo” dissipando le illusioni ottimistiche degli ideologi illuministi. Il premio Nobel Jan Tinbergen, che polemizzò con [Keynes], non solo collegò le idee malthusiane con la demografia e l’economia, ma concordò anche sulla necessità di misure di controllo delle nascite per lo sviluppo dei Paesi arretrati.

L’idea che tali controlli fossero necessari per i Paesi poveri con popolazioni in rapida crescita si era diffusa negli anni ’60 e ’70, in un periodo di rapida crescita demografica mondiale e di un ancor più rapido aumento delle disuguaglianze internazionali. Le idee neo-malthusiane presero quindi il posto dell’eugenetica, che in precedenza era servita come giustificazione per le politiche di controllo della popolazione. Queste idee furono alimentate anche dai crescenti timori circa la limitatezza delle risorse del pianeta e dei cambiamenti climatici. Nel 1968, Paul Ehrlich, biologo dell’Università di Stanford, pubblicò “The Population Bomb”, il libro che lo rese famoso, in cui descriveva i pericoli di una continua crescita della popolazione e i rischi associati ai gas serra e all’esaurimento delle risorse. Tutto questo avveniva sullo sfondo della Guerra Fredda, che stimolava l’interesse per la biopolitica globale2 e l’opportunità di influenzare la situazione sociale nei Paesi che erano diventati bersaglio della redistribuzione del potere tra USA e URSS. Meno persone, meno povertà e meno potenziali comunisti [significava] più opportunità di controllo da parte degli Stati Uniti.

Nel 1968 fu fondato il “Club di Roma”, un’organizzazione sociale internazionale creata dal magnate industriale italiano Aurelio Peccei e dal direttore generale dell’OCSE per gli affari scientifici Alexander King. Il Club riunì i rappresentanti dell’élite politica, finanziaria e scientifica mondiale interessati alle questioni ambientali e al futuro della biosfera. L’organizzazione produce tuttora rapporti e si occupa di questioni economiche, demografiche e ambientali. Il primo rapporto, “I limiti della crescita”, venne pubblicato nel 1972. In esso si sosteneva che un’ulteriore crescita della popolazione mondiale, l’industrializzazione e l’inquinamento avrebbe potuto portare all’esaurimento delle risorse e al collasso globale entro un secolo. L’unico modo per evitare un simile esito era controllare i trend di crescita. Il controllo delle nascite, giustificato in questo modo, non solo era stato discusso e promosso dai programmi internazionali, ma era stato anche utilizzato dalle leadership politiche di alcuni Paesi nei decenni successivi.

Un partito, un bambino

La “politica del figlio unico” in Cina è durata dal 1979 al 2015. Il governo cinese stima che in quel periodo siano state evitate circa 400 milioni di nascite. Il programma cinese è stato elogiato dai politici dei Paesi occidentali sviluppati e il Segretario generale delle Nazioni Unite Javier Perez de Cuellar ha sottolineato il ruolo dell’organizzazione [internazionale] nell’attuazione [di tale programma]. Ma le azioni violente del governo [cinese] sono state spesso ignorate.

Come funzionava il programma? Il programma era stato attuato dai funzionari dei singoli insediamenti che rischiavano di subire detrazioni salariali o di essere licenziati se non raggiungevano la quota locale [fissata]. I funzionari pubblici, quindi, lottavano per raggiungere gli obiettivi, spesso trascurando la salute e la dignità delle donne. Tutte le donne in età fertile dovevano sottoporsi regolarmente a test di gravidanza obbligatori; nella provincia di Jiangsu, erano costrette a farlo in un luogo pubblico due volte al mese. A partire dai primi anni ’80, il governo richiese a quelle donne che avevano avuto un parto e/o se avevano più di un figlio di mettersi dei dispositivi intrauterini o spirale intrauterina (IUD) o di sterilizzarsi chirurgicamente. Spesso queste procedure erano forzate. I dati delle Nazioni Unite del 2019 mostravano che il 18,3% delle donne cinesi di età compresa tra i 15 e i 49 anni erano sterilizzate e il 34,1% aveva uno IUD: si tratta di centinaia di milioni di persone.

Le donne con lo IUD venivano controllate periodicamente con radiografie per assicurarsi che la spirale fosse al suo posto. I design delle spirali erano state modificate in modo tale da poter essere rimosse solo chirurgicamente.

Le donne che violavano il limite del figlio unico dovevano pagare multe salatissime, superiori al reddito annuale della famiglia. I bambini nati senza il permesso dello Stato, chiamati popolarmente “heihaizi” o “bambini neri”, non potevano essere registrati ufficialmente, il che significava che non potevano andare a scuola o trovare un lavoro. Oggi in Cina vivono circa 13 milioni di persone non registrate.

Un’altra forma di intervento riproduttivo, oltre alle spirali e alla sterilizzazione, era l’aborto, anche quello forzato. Più di 300 milioni di essi sono stati praticati durante la “politica del figlio unico”. Allo stesso tempo, la procedura era diventata selettiva ed era stata eseguita sulla base del genere. Le famiglie spesso decidevano di abortire quando scoprivano che la madre aspettava una bambina, oppure uccidevano un bambino già nato. A causa di ciò, la Cina ha il rapporto sessuale più sbilanciato del mondo, con solo 100 femmine per ogni 121 maschi nati nel 2004.

Questi metodi violenti di controllo riproduttivo continuano a essere utilizzati anche dopo l’allentamento del 2015 – ovvero con l’introduzione della “politica dei due figli”. Finora, le famiglie che hanno superato il limite devono pagare multe salatissime e le donne di alcune province sono state sottoposte ad esami regolari o aborti forzati. Inoltre, secondo uno studio dell’Associated Press pubblicato nel 2020, il controllo riproduttivo viene utilizzato dal governo della Repubblica Popolare Cinese per opprimere la minoranza uigura nella regione dello Xinjiang. Negli ultimi anni, gli uiguri hanno dichiarato di essere stati sterilizzati con la forza e rischiano di essere inviati in campi penali se violano le restrizioni sul controllo delle nascite.

India: stato di emergenza

Nel Giugno 1975, il governo di Indira Gandhi impose lo stato di emergenza in risposta agli scioperi e alle proteste di massa scoppiate nel paese. Lo stato di emergenza durò quasi due anni, fino a quando il partito di Indira perse le elezioni contro una coalizione di opposizione nel Marzo 1977. Durante questo periodo, oltre alle persecuzioni politiche e all’aumento della censura, il governo effettuò una sterilizzazione di massa delle donne indiane.

A metà degli anni ’70, le idee sui pericoli della sovrappopolazione erano in aumento e l’India sembrava essere uno dei Paesi chiave per l’attuazione delle politiche di controllo delle nascite. Il Paese ricevette aiuti nell’ordine dei miliardi di dollari dagli Stati Uniti e dalle organizzazioni internazionali come la Fondazione Ford e l’UNFPA per programmi umanitari, compresi quelli volti a regolare la sfera riproduttiva. Il presidente della Banca Mondiale Robert McNamara, di ritorno da un viaggio in India nel 1976 e nel bel mezzo dello stato di emergenza, lodò la mossa del Paese di affrontare il suo “problema demografico”, senza menzionare le misure repressive adottate. Tra il 1975 e il 1977 circa 11 milioni di donne indiane vennero sterilizzate forzatamente e ad un altro milione di donne vennero applicati degli IUD.3 Secondo la BBC, quasi duemila donne sono morte a causa delle operazioni sbagliate. Come in Cina, l’attuazione del programma fu affidata ai funzionari e agli insegnanti di base, che dovettero a loro volta sottoporsi alla sterilizzazione e diventare un modello per la popolazione.

La popolazione indiana è più che raddoppiata di 700 milioni di unità negli ultimi 40 anni. Ma il tasso di fertilità complessivo del Paese è in calo: nel 2017 era di 2,24 nascite per donna e continua a diminuire. Come in altri Paesi, in seguito alla crescita economica e all’aumento del benessere, il tasso di fertilità potrebbe scendere a 2,1 nascite per donna senza misure coercitive.

Contraccezione in Perù

A metà del XX secolo, un’esplosione demografica è stata osservata non solo in Asia e in Africa, ma anche in America Latina. In Perù, ad esempio, la popolazione è cresciuta di oltre 2,5 volte in 40 anni, passando dagli otto milioni nel 1950 a 21,5 milioni all’inizio degli anni Novanta. Tuttavia, la situazione demografica del Perù e di altri Paesi della regione aveva attirato l’attenzione di politici e aziende, soprattutto statunitensi.4 Ad esempio, Clarence Gamble, erede della statunitense “Procter & Gamble”, approvava le idee eugenetiche e sosteneva la distribuzione di contraccettivi e le politiche di controllo delle nascite nei Paesi poveri. Nel 1957 aveva fondato il “Pathfinder Fund”, ancor oggi esistente, che finanzia quelle ONG che si occupano di salute riproduttiva in 60 Paesi del mondo.

L’attuazione di programmi di controllo delle nascite è sempre stata associata, nel lavoro delle ONG e degli Stati, all’educazione riproduttiva. Una pioniera in questo campo in Perù era stata Irene Silva de Santolaya, la prima donna eletta al Senato peruviano nel 1956. Promosse l’ “educazione familiare”, che comprendeva la formazione per la diffusione delle informazioni sulla contraccezione e sulla salute riproduttiva nelle scuole, raggiungendo così i bambini e i loro genitori, soprattutto quelli che vivevano nei villaggi. Oltre che nelle scuole, gli specialisti di questi programmi tenevano lezioni nelle cliniche per il controllo delle nascite – aperte in America Latina negli anni Sessanta.

Oltre a proclamare la protezione delle famiglie dalle malattie e dalla povertà, promuovevano attivamente l’uso di contraccettivi ormonali. La loro distribuzione era percepita dallo Stato, dagli operatori sanitari e dai rappresentanti delle ONG come un beneficio e persino un obbligo per le donne, ma non tutte ne avevano diritto.

Alcuni ricercatori hanno definito l’attuazione del “Programma di Salute Riproduttiva e Pianificazione Familiare” (in spagnolo: “Programa de Salud Reproductiva y Planificación Familiar”) come un genocidio deliberato. Il programma è stato il culmine delle idee eugenetiche già documentate nel Codice Penale del Perù del 1924, che divideva i peruviani nelle seguenti categorie: “civilizzati”, “semi-civilizzati” e “selvaggi”. Le discussioni sul controllo delle nascite si concentravano regolarmente sui poveri e sugli indigeni, i “selvaggi”, la cui riproduzione doveva essere controllata. All’inizio del secolo, il controllo riproduttivo prese la forma della sterilizzazione forzata. I medici venivano dalle città e convincevano le donne dei poveri insediamenti rurali a sottoporsi all’operazione. Spesso ricorrevano all’inganno, chiamandola sterilizzazione per rimuovere un tumore e sostenendo che la donna sarebbe stata in grado di partorire in futuro. La barriera linguistica tra i medici di lingua spagnola e i pazienti di lingua quechua aveva aggravato la situazione. Tra il 1996 e il 2001, circa 300.000 donne peruviane erano state sterilizzate nell’ambito della politica neo-malthusiana di Alberto Fujimori.

[Conclusione]

I programmi di sviluppo internazionale portati avanti dalle multinazionali, fondazioni e ONG possono assumere molte forme nei singoli Paesi, spaziando dalle politiche conservatrici e neoliberali a progetti socialdemocratici. Il persistente sistema globale di disuguaglianza mantiene le condizioni in cui molti Paesi e popoli sono costretti a tentare di modernizzarsi e superare la loro situazione [di povertà]. Tuttavia, l’attuazione di questi programmi avviene spesso a spese delle popolazioni più vulnerabili e addirittura aumenta la vulnerabilità di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. In questa situazione ricorrente, ci sarà sempre un posto per le idee di Thomas Malthus, che vedeva la via del benessere sociale attraverso metodi di controllo duri e spesso disumani.

Gli ultimi due secoli hanno dimostrato che il limite posto da Malthus può essere superato dallo sviluppo tecnologico e dai cambiamenti nelle istituzioni sociali. La maggior parte dei Paesi in via di sviluppo ha registrato negli ultimi 50 anni lo stesso declino della fertilità che si è verificato in Europa – dove, con l’esplosione demografica del XIX secolo legata alla rivoluzione industriale, è seguita una stabilizzazione della popolazione. Inoltre, i cambiamenti culturali e sociali della fine del XX secolo – idee individualiste, crisi del matrimonio, vulnerabilità economica giovanile – hanno portato, secondo la seconda fase della transizione demografica, alla riduzione della fertilità nella maggior parte dei Paesi sviluppati.

Nonostante queste tendenze, la paura persistente della sovrappopolazione sta diventando la base per l’attuazione di politiche che portano non tanto a sostenere le società in via di sviluppo quanto a rafforzarne il controllo. Progetti benintenzionati ispirati alle idee neo-malthusiane – aumentare la prosperità, salvare il clima, conservare le risorse – finiscono spesso per affiancarsi ad un crescente sfruttamento, interventi chirurgici forzati e ad un’eugenetica appena celata. La difesa della libertà riproduttiva e dell’integrità corporea, insieme alla continua sfiducia dell’opinione pubblica verso la buona fede degli Stati e delle organizzazioni internazionali, sono considerate l’unico modo per non esacerbare le discriminazioni esistenti.

Bibliografia
Follett С., “Neo‐Malthusianism and Coercive Population Control in China and India: Overpopulation Concerns Often Result in Coercion”, 2020;
Fong M., “One child: The story of China’s most radical experiment”, Simon and Schuster, 2016;
Johnson K. A., “China’s Hidden Children: Abandonment, Adoption, and the Human Cost of the One-Child Policy”, 2020;
Mara Hvistendahl, “Unnatural Selection: Choosing Boys over Girls, and the Consequences of a World Full of Men”, New York: Public Affairs, 2012.
Diamond J., “Collapse: How societies choose to fail or succeed”, New York:Viking Press, 2005

Note del Gruppo Anarchico Galatea e di Nikita Shevchenko

1Una popolazione in ascesa vede modificarsi i propri rapporti con lo spazio che occupa, con le ricchezze di cui dispone; cammin facendo supera le «soglie critiche» ed ogni volta la sua intera struttura è rimessa in discussione. In una parola, il gioco non è mai semplice, univoco: un sovraccarico sempre maggiore di uomini finisce spesso, finiva sempre ieri, col superare le possibilità alimentari delle società. Questa verità, banale prima del Settecento, è valida oggi ancora per alcuni paesi arretrati. Si rivela così invalicabile un certo limite di miglioramento materiale. Perché, quando si aggravano, le spinte demografiche provocano un deterioramento del livello di vita, aumentano il numero sempre impressionante dei sottoalimentati, dei miserabili, degli sradicati.” (estratto dal libro di Fernand Braudel, “Civiltà materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano (secoli XV-XVIII)”, Einaudi, Torino, 2006, Capitolo Primo “Il peso del numero”, pag. 44)

2Vedere Schlosser, Kolson. “Malthus at Mid-Century: Neo-Malthusianism as Bio-Political Governance in the Post-WWII United States.” Cultural Geographies, vol. 16, n. 4, 2009, pp. 465–84.

3Vedere Vicziany, Marika. “Coercion in a Soft State: The Family-Planning Program of India: Part I: The Myth of Voluntarism.” Pacific Affairs, vol. 55, n. 3, 1982, pp. 373–402.

4Vedere Hall, M.-Françoise. “Population control: Latin America and the United States”, International Journal of Health Services, vol. 3, no. 4, 1973, pp. 725–30.

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