Traduzione dall’originale “Ресурсов не хватит на всех, поэтому плодиться должны достойные: что стоит за идеями мальтузианства”
L’antropologa Nikita Shevchenko parla della teoria di Thomas Malthus e delle sue implicazioni politiche nel Sud globale.
La sovrappopolazione della Terra è una delle maggiori preoccupazioni del XXI secolo. Ai dibattiti scientifici e alle dichiarazioni di climatologi e di politici vengono affiancate le citazioni dei cattivi di Hollywood e le varie decine di idee cospirazioniste sul «miliardo d’oro» che controlla la distribuzione delle risorse. Questo discorso risale alle idee dell’economista inglese Thomas Malthus, vissuto a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Marx e Lenin criticarono la sua teoria come disumana, ma le organizzazioni internazionali e molti governi hanno ripreso le idee malthusiane. L’antropologa Nikita Shevchenko esamina se stiamo effettivamente crescendo più velocemente di quanto riusciamo a sfamarci, se esiste una via d’uscita dalla “trappola malthusiana”, quali crimini sono disposti a commettere i governi nel controllare la fertilità e come il neo-malthusianesimo sia diventato, oggi giorno, una forma accettabile di eugenetica.
Il padre della crescita
Thomas Robert Malthus (1766-1834) è stato un economista e demografo inglese. Nato in una famiglia di discendenti di farmacisti reali, Malthus ottenne un master al Jesus College di Cambridge, rimanendovi come insegnante. Otto anni dopo la laurea, nel 1798, pubblicò la sua opera più famosa, “Saggio sul principio di popolazione”, in cui rispondeva all’eccessivo ottimismo delle idee illuministe sullo sviluppo della società. L’opera venne approfondita per tutto il resto della sua vita, affinando le sue argomentazioni e rispondendo alle critiche. L’ultima, la sesta edizione, venne pubblicata nel 1826.
“L’idea di base del lavoro di Malthus è che la crescita della popolazione superi sempre la crescita della produzione alimentare, il che porta inevitabilmente alla crisi. La crescita della forza lavoro riduce i costi e aumenta la povertà.”
Quando Malthus era ancora in vita, le sue opinioni influenzarono le politiche pubbliche. Il “Saggio” contribuì al “Census Act” del 1800, dopo il quale l’Inghilterra iniziò a condurre un censimento nazionale ogni dieci anni. Malthus faceva da consulente ai politici sulla povertà, sovrappopolazione e migrazione e prima di morire divenne uno dei primi membri della Royal Statistical Society, che esiste ancora oggi. Fu uno dei critici della “Poor Law” e sostenne che aiutare i poveri avrebbe portato all’inflazione e peggiorato la loro situazione nel lungo periodo. Influenzato dalle idee di Malthus, la legge fu modificata nel 1834: invece di aiuti in denaro e cibo, i poveri venivano ora mandati nelle case di lavoro e costretti ai lavori forzati. Lo scienziato sostenne anche l’introduzione della “Corn Laws”, che limitò le importazioni e aumentò notevolmente il prezzo del cibo per la popolazione. Le restrizioni durarono dal 1815 al 1846 e furono revocate solo dopo la “Grande Carestia irlandese”, che uccise oltre un milione di persone.
La trappola malthusiana
“La prostituzione, che nuoce alla procreazione, tende evidentemente ad affievolire i più nobili affetti del cuore e degradare il carattere. Ogni illecito commercio (se non si adoprino turpi mezzi riprovati dalla morale) non è, meno del matrimonio, efficace ad accrescere la popolazione, e presenta una maggiore probabilità di vedere i figli posti a carico della società di cui dovevano essere membri. Le quali considerazioni provano che la castità non è, come taluni suppongono, una virtù forzata, inventata da un sistema di società puramente artificiale, ma una solida base nella natura e nella ragione: infatti, costituisce il solo mezzo legittimo di evitare i vizii e le calamità che il principio della popolazione trascina seco.” (Malthus Thomas Robert, “Saggio sul principio della popolazione”, Stamperia dell’Unione Tipografico-Editrici, Torino, 1868, Libro IV “Delle speranze di potere in futuro guarire o attenuare i mali che il principio della popolazione trascina”, Capitolo II “Effetti della restrizione morale sulla società”, pag. 342)
I timori di Malthus erano giustificati? Secondo lui, la popolazione cresceva geometricamente e la produzione alimentare cresceva aritmeticamente, con un inevitabile ritardo. Questo ritardo era dovuto ai limiti naturali dell’agricoltura tradizionale: le dimensioni della terra coltivabile e la fertilità del suolo.
Quando la drammatica crescita della popolazione non poteva essere compensata da un aumento della produzione alimentare, la società cadeva nella cosiddetta “trappola malthusiana.”
Malthus vedeva due soluzioni a questo problema, entrambe legate al controllo della popolazione. La prima era il controllo preventivo, che prevedeva la riduzione della fertilità. Questo metodo prevedeva sia restrizioni morali e la diffusione nella società di alcuni atteggiamenti e idee che incoraggiavano le persone a non avere figli o a non sposarsi, sia mezzi medici: contraccezione e aborto (anche se Malthus stesso, da ardente cristiano, fosse contrario a queste cose). Il secondo metodo era il controllo positivo, cioè azioni o fattori mirati che aumentavano la mortalità: guerre, epidemie, carestie.
Malthus credeva che entrambi i metodi avrebbero ristabilito l’equilibrio tra popolazione e risorse, aumentando la quantità di cibo per persona e, quindi, migliorato il benessere della società. I critici sottolineavano questo paradosso nella sua teoria: i disastri naturali e sociali aumentavano il benessere umano, mentre la riduzione della mortalità, cioè l’accesso all’assistenza sanitaria, alla sicurezza, all’alimentazione adeguata, lo peggioravano.
Sebbene Malthus era ascoltato dai politici, gli scienziati percepivano il suo lavoro in modo ambiguo. Ebbe molti seguaci (le sue idee ispirarono la teoria della selezione naturale di Charles Darwin e la teoria dell’evoluzionismo dell’antropologo Alfred Wallace) e molti critici. L’economista americano Henry George riteneva che Malthus trascurasse la differenza essenziale tra gli esseri umani e le altre specie viventi – una mente in grado di controllare la riproduzione. Per lo stesso motivo fu criticato da Marx ed Engels, nonché da tutta la tradizione socialista: le accuse ai poveri erano inaccettabili in quanto la radice della povertà dei lavoratori, secondo la teoria [socialista], era lo sfruttamento capitalistico, non l’eccessivo tasso di natalità.
Ma a criticare le idee di Malthus erano soprattutto i progressi tecnologici e la rivoluzione industriale del XIX secolo, che avevano portato ad un enorme aumento della produzione alimentare e di merci in generale in Europa e in America. L’economista non era riuscito nemmeno a prevedere la transizione demografica che ne era seguita, specie quando una parte minore della popolazione forniva cibo al resto e il reddito cresceva nonostante l’aumento della popolazione. L’esplosione demografica che si era verificata nell’Europa del XIX secolo e, nel XX secolo, nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, dimostrava che il limite posto dalla teoria malthusiana era superabile.
Tuttavia, la teoria malthusiana descriveva abbastanza accuratamente la situazione in Europa dal Medioevo fino all’inizio del XIX secolo, quando gli alti tassi di natalità erano compensati da alti tassi di mortalità infantile, carestie ed epidemie. Inoltre, i moderni Paesi del Terzo Mondo, soprattutto nell’Africa tropicale, si trovavano ad affrontare un problema malthusiano: la diminuzione della mortalità dovuta alla diffusione dei moderni mezzi medici si combinava con un alto tasso di natalità ed uno scarso sviluppo economico, con conseguente sovrappopolazione, fame e povertà. L’antropologo americano Jared Diamond suggerisce di considerare i massacri ruandesi come conseguenze della moderna crisi malthusiana.
Il genocidio in Ruanda come “trappola malthusiana”
Il massacro del popolo tutsi in Ruanda avvenne dal 6 Aprile al 18 Luglio 1994. Si stima che il genocidio abbia provocato tra le 500mila e 1 milione di vittime, quasi l’11% della popolazione totale del Paese e tre quarti della popolazione tutsi. Il genocidio faceva parte di una guerra civile iniziata nel 1990 tra il governo hutu e il Fronte Patriottico Ruandese, composto principalmente da rifugiati tutsi. Gli Hutu erano un popolo di agricoltori e i pastori tutsi costituivano la maggioranza della popolazione del Paese.
Le uccisioni erano iniziate il 6 Aprile 1994 quando l’aereo in cui viaggiavano il presidente-dittatore ruandese Habyarimana e il neo-presidente del Burundi Ntaryamira (il presidente precedente era stato ucciso dai ribelli tutsi l’anno prima), era stato abbattuto da due missili mentre atterrava all’aeroporto della capitale ruandese. Il genocidio fu condotto in gran parte dal governo hutu. Vennero coinvolte le forze militari e di polizia e si mobilitarono anche i cittadini comuni, il cui odio fu alimentato dai media – in particolare da “Radio Télévision Libre des Mille Collines” che invitava a uccidere gli “scarafaggi”.
A metà Luglio 1994, le truppe tutsi riuscirono a conquistare la capitale dopo un’offensiva vittoriosa. Furono uccise tra le 25mila e le 60mila persone come rappresaglia; ma dopo il massacro finì.
Perché è successo questo? Oggi il genocidio ruandese è un esempio di come la propaganda politica abbia alimentato l’odio tra i popoli. In Ruanda, come nel vicino Burundi, il conflitto etnico e l’intolleranza erano scoppiati nel periodo post-coloniale, quando gli hutu di entrambi i Paesi avevano combattuto per rovesciare i tutsi – portati al potere dai belgi che consideravano i tutsi più “europei” e dalla pelle chiara.
In Burundi, molti hutu erano stati uccisi durante i disordini, ma il governo tutsi rimase in carica. In Ruanda, invece, gli hutu ebbero la meglio, uccidendo decine di tutsi nel 1963. Ma il conflitto non si limitò all’odio reciproco tra i due popoli. Diamond osserva che nel nord-ovest del Ruanda, gli Hutu massacrarono anche altri Hutu. Durante il massacro furono uccisi molti Pigmei, che rappresentavano l’1% della popolazione del Paese. Senza sminuire l’odio etnico e le azioni criminali della leadership politica ruandese, Diamond suggerisce di cercare le radici di quanto accaduto nella demografia e nella geografia della regione.
L’Africa tropicale ha una forte crescita demografica (in Uganda, ad esempio, la popolazione cresce del 3% all’anno). L’esplosione demografica che si era verificata nei Paesi della regione nella seconda metà del XX secolo, era avvenuta grazie alla diffusione delle coltivazioni provenienti dal Nuovo Mondo (mais, fagioli, manioca), alle vaccinazioni e al miglioramento delle condizioni igieniche, nonché all’istituzione dei confini nazionali. Il problema della crescita demografica in questi Paesi era spesso descritto come “malthusiano”, perché la crescita della popolazione superava la produzione alimentare. Lo stesso vale per il Ruanda.
Il Ruanda e il vicino Burundi sono, ancor oggi, i Paesi più popolosi dell’Africa e tra i più popolosi del mondo. Il Ruanda è 10 volte più popolato rispetto alla vicina Tanzania e tre volte più della Nigeria. Anche dopo il genocidio, nel 1999, il Ruanda ha raggiunto una densità di popolazione di 760 persone per miglio quadrato, per una popolazione totale di otto milioni. Questa cifra si colloca tra il Regno Unito (610) e i Paesi Bassi (950), paesi con un’agricoltura incommensurabilmente più produttiva, dove una piccola percentuale della popolazione può fornire cibo al resto. In Ruanda l’agricoltura non era meccanizzata: invece di mietitrebbie e trattori, si usavano zappe e forconi. Grazie al disboscamento intensivo e all’espansione dei terreni coltivabili, la produzione alimentare pro capite era aumentata dal 1966 al 1981, per poi crollare ai livelli dei primi anni Sessanta. La trappola malthusiana aveva funzionato: la popolazione cresceva, ma la produzione alimentare no. Questa strategia agricola aveva provocato l’erosione del suolo e la conseguente siccità – causando la carestia del 1989.
La comunità di Kanama, nel nord-ovest del Ruanda, era l’area più densamente popolata del Paese. Si era raggiunta la cifra record di 2.040 persone per miglio quadrato nel 1993. Ciò era dovuto ai terreni fertili di origine vulcanica. La popolazione era abbastanza omogenea: l’area era popolata prevalentemente dagli Hutu, il che non aveva impedito loro di uccidere circa il 5% della popolazione locale nel 1994. Perché era successo questo?
L’economista belga Catherine André e il suo insegnante, Jean-Philippe Plato, avevano condotto una ricerca a Kanama nel 1988 e nel 1993. André aveva intervistato i rappresentanti delle famiglie numerose locali e apprese che, a causa del boom demografico della regione, le proprietà terriere si erano ridotte continuamente: nel 1993, c’erano solo 0,07 acri (283 metri quadrati) di terra per ogni contadino. Una quantità del tutto insufficiente per sfamarsi. Inoltre, a causa della mancanza di lavoro disponibile, i giovani e le ragazze erano rimasti a vivere con i genitori, aumentando le tensioni sociali.
Ma c’erano anche proprietari di appezzamenti relativamente grandi, e il divario tra loro e i contadini poveri si era allargato col tempo. Anche i proprietari di grandi appezzamenti, spesso, non disponevano di risorse. Come ha raccontato un insegnante tutsi, miracolosamente sopravvissuto ma che aveva perso la moglie e i quattro figli nel massacro del 1994, al ricercatore francese Gerard Prunier: “Le persone che erano costrette a mandare i propri figli a scuola e a piedi nudi, uccidevano coloro che potevano comprare le scarpe ai loro figli”.
Le dispute sui terreni erano diventate la causa di numerosi conflitti e l’aggravarsi delle questioni ereditarie aveva portato ad una crisi delle relazioni familiari. I tassi di criminalità erano aumentati costantemente fino al 1994 e nel Kanama e in altre regioni erano associati all’eccessiva densità della popolazione e [all’accesso al cibo]. Tutto questo aveva creato le premesse per gli omicidi di massa. Catherine André, dopo aver appreso del destino degli abitanti di Kanama a seguito del genocidio, aveva concluso che erano stati soprattutto i grandi proprietari terrieri, le persone coinvolte in numerose cause legali e i giovani provenienti dalle famiglie impoverite ad unirsi attivamente nella milizia: mentre alcuni regolavano vecchi conti, i più poveri della regione morivano di fame, avendo perso i loro ultimi beni in mezzo al caos e alle uccisioni.
Il principale oppositore della “trappola malthusiana” è la transizione demografica globale: una diminuzione dei tassi di crescita della popolazione associata a matrimoni tardivi, il rinvio della nascita del primo figlio, l’aumento degliintervalli tra le nascite e l’aumento della percentuale di persone senza partner e figli.
In Uganda, Kenya, Ruanda e altrove in Africa, i tassi di crescita sono diminuiti di poco ogni anno. Nonostante questo, la popolazione ha continuato a crescere: il Ruanda conta oggi 13,5 milioni di persone.
Le ragioni economiche e demografiche che hanno contribuito al coinvolgimento del Ruanda nel massacro del 1994, osserva Diamond, non assolvono in alcun modo la leadership politica coinvolta nel fomentare la discordia. Ma la conoscenza di queste ragioni può essere utilizzata per prevenire situazioni che potrebbero portare a tragedie simili.