Traduzione dall’originale “Sobre la represiòn y el estado contrainsurgente en el Perù”
-Papà, i poliziotti mangiano carne umana?
-Allora perché uccidono le persone in questo modo?
(“Redoble por Rancas” di Manuel Scorza)
Contesto internazionale
Il momento attuale è caratterizzato dall’intensificazione della lotta di classe a livello mondiale. Questa lotta si acuisce in modo direttamente proporzionale all’aggravarsi della crisi del capitale e all’aggravarsi della miseria della classe operaia. Osserviamo una recessione tecnica per due trimestri consecutivi soprattutto nei settori produttivi dei paesi imperialisti (ad esempio, Stati Uniti, Germania e Inghilterra), che è legata all’aumento del tasso di disoccupazione in specifici settori del settore degli idrocarburi, miniere, gas e impianti petroliferi, oltre all’aumento dell’occupazione nel settore dei servizi. Inoltre, si stanno verificando alti tassi di inflazione, soprattutto nei settori alimentari e abitativi, aspetti che colpiscono maggiormente la classe operaia. D’altra parte, la guerra inter-imperialista insita nella crisi porta ad un aumento del prezzo del petrolio e del gas, generando un effetto domino sui prezzi di tutti i prodotti a livello mondiale. La carenza di fertilizzanti si traduce in una minore produzione nei settori agricoli a livello globale, mentre le grandi aziende legate alla lavorazione e alla vendita di carburante e alle banche falliscono o entrano in crisi. Tutto ciò ha come conseguenza diretta l’aumento del costo della vita per la classe operaia. Sebbene si registrino miglioramenti in alcuni settori e una minima riduzione dell’inflazione in alcuni Paesi, si prevede che nei prossimi mesi il rallentamento economico generale si aggraverà e un terzo dell’economia mondiale entrerà in recessione.
Per questo motivo, le persone lavoratrici di tutto il mondo sono le più colpite e hanno protestato maggiormente. Ciò si è visto in modo più evidente nel Gennaio 2022 in Kazakistan; dopo la guerra inter-imperialista del 24 Febbraio, abbiamo assistito a lotte in Iraq, Sudan, Spagna, Albania, Perù, Sri Lanka, ecc. tra Marzo e Aprile; in Ecuador, Germania, Inghilterra, Sri Lanka, Bruxelles, Tunisia, Belgio, ecc. tra Giugno e Luglio; in Francia, Spagna, Grecia, Germania, Italia a Ottobre; e in Perù, Turchia, Cina, Iran, ecc. tra Dicembre e Gennaio 2023.
La crisi in Perù
Il Perù è un Paese che dipende dalle importazioni di combustibili, fertilizzanti e prodotti alimentari; d’altra parte, la sua economia di esportazione primaria lo rende sensibile agli shock economici esterni. Pertanto, tutti questi aumenti dei prezzi incidono direttamente sul costo della vita della popolazione (ad esempio, con l’aumento del costo dei trasporti, tutti i beni trasportati aumentano di prezzo). La mancanza di fertilizzanti porta a una minore produzione e l’alto costo dei fertilizzanti fa aumentare il prezzo dei prodotti agricoli. Allo stesso tempo, la sua moneta è stata svalutata, tra gli altri fattori, dall’aumento dell’inflazione e dal rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve statunitense, i cui effetti si sono fatti sentire maggiormente negli ultimi mesi. A questo possiamo aggiungere che l’impatto della guerra ha avuto l’effetto opposto a quello previsto, riducendo il prezzo dei minerali. Tutto ciò ha generato un aumento dell’inflazione di oltre 2 punti, raggiungendo il livello più alto degli ultimi 26 anni con l’8,46% e oltre il 15% nei prodotti alimentari. Ciò significa che i prodotti fondamentali per il consumo della classe operaia – come le patate, ad esempio -, sono aumentati, a livello di prezzo. di oltre il 100%. La crescita trimestrale del Prodotto Interno Lordo nel 2022 è diminuita – con un calo dal 3,8% all’1,7% nell’ultimo trimestre.
Il capitalismo peruviano ha, tra i suoi tratti fondamentali, quello di compensare la bassa produttività del suo capitale nella competizione globale con un sfruttamento raddoppiato della forza lavoro. Ciò è reso possibile dalla persistenza strutturale di un esercito di contadini disoccupati e semi-proletarizzati, che partecipano regolarmente alle economie “informali”, alla produzione agricola su piccola scala e alle economie illegali con l’obiettivo primario di riprodurre la propria esistenza. È questo processo che spiega – a grandi linee – l’esplosività della lotta di classe.
Le persone lavoratrici peruviane sono sottoposte al giogo capitalista, sia per l’impossibilità di vendere la loro forza lavoro, sia perché, se lo fanno, sono sottoposte ad un maggiore sfruttamento, che si esprime in orari di lavoro che in alcuni casi, come nell’agroindustria, superano le 15 ore al giorno. Le persone lavoratrici delle regioni più in difficoltà, come Apurímac, hanno un reddito mensile di 714 Sol peruviani (pari a 171 euro, ndt); a Puno, invece, il reddito medio è di 805 Sol peruviani (pari a 193 euro, ndt). Ciò equivale rispettivamente a 189 e 213 dollari statunitensi al mese, anche se è probabile che tali redditi siano ancora più bassi. Nelle regioni dell’altopiano meridionale del Perù, è notevole anche l’alto tasso di anemia nei bambini, con un’incidenza di circa il 50% in Apurimac e Ayacucho e del 70% a Puno.
I problemi economici, sociali e sanitari di queste regioni povere, inoltre, hanno come altra caratteristica un forte razzismo che è intrinseco alla violenza strutturale del capitalismo in Perù.
Quello che abbiamo vissuto nell’ultimo mese in Perù è stato il passaggio dalle lotte tra due frazioni che rappresentano la borghesia nazionale ad uno scenario di lotta di classe in cui la classe operaia si confronta con i rappresentanti statali della borghesia e si è spinta fino ad un attacco diretto alla proprietà borghese. In questo senso, sosteniamo che I) la crisi politica in Perù è un’espressione della crisi mondiale del capitale; II) lo sviluppo delle lotte attuali ha implicato il passaggio dalle dispute inter-borghesi nello Stato a un’incipiente manifestazione di lotta di classe (lavoro contro capitale), dovuta all’intervento diretto delle persone lavoratrici contro i rappresentanti statali della classe borghese e, in alcuni casi, direttamente contro i mezzi di produzione della borghesia; III) che la repressione brutale è consustanziale al carattere di classe dello Stato capitalista peruviano, indipendentemente da chi ricopre il ruolo di personale politico, e IV) che le condizioni e l’intensità dell’escalation della violenza poliziesca e militare ci permettono di fare riferimento ad uno Stato di contro-insurrezione, il cui carattere renderemo esplicito in seguito.
Ripercorriamo gli eventi più rilevanti di questo processo di lotte con le vene ancora aperte.
Il 12 Dicembre sono stati segnalati sei morti ad Apurímac e uno ad Arequipa. La tredicesima è stata significativa perché la maggioranza delle persone lavoratrici sono passate dall’attacco alle istituzioni governative locali e nazionali all’attacco contro la proprietà borghese stessa. Il 15 Dicembre, 10 persone sono state uccise nella regione di Ayacucho. Il 16 si contano 3 morti a Junín, 3 a La Libertad e altri 3 a Cusco. Le lotte continuano, ma sono rallentate dalle vacanze di fine anno, che significano più lavoro e vendita di prodotti. Dopo queste date, le mobilitazioni sono riprese con le persone lavoratrici organizzate autonomamente che sono tornate a prendere il comando – soprattutto quelle di Puno, Ica e Cusco. Subito dopo Natale, le lotte hanno ricominciato a farsi sentire nelle regioni meridionali del Perù. Il 4 Gennaio, le principali regioni del macro-sud del Perù hanno iniziato uno sciopero a tempo indeterminato.
Lo sviluppo delle mobilitazioni contro il governo ha ricevuto una risposta brutale dalle forze repressive dello Stato capitalista. Il 9 Gennaio, quando alcuni contingenti di persone lavoratrici della città di Juliaca si sono spostati nei pressi dell’aeroporto Inca Manco Capac, la polizia ha iniziato le sue azioni repressive, sparando direttamente sui corpi delle persone manifestanti. Secondo il personale medico che ha assistito le persone ferite e ispezionato i morti, i proiettili usati dalla polizia non erano comuni pallettoni, ma MUNIZIONI MILITARI, in particolare proiettili espansivi noti come “dum dum”. Questo tipo di munizioni ha la particolarità di espandersi nel corpo dopo l’impatto, causando danni agli organi interni. Inoltre, sono state lanciate bombe lacrimogene e pellet dagli elicotteri. Così, gli oltre 17 morti che si sono registrati fino al momento della stesura di questo comunicato (11 Gennaio, ndt) e le numerose persone ferite sono state vittime di un’aggressione sproporzionata che, senza dubbio, è avvenuta sotto la compiacenza della coalizione borghese che sostiene la famigerata Dina Boluarte. Tra le persone cadute vale la pena menzionare una madre con un marito epilettico, incapace di lavorare a causa della sua condizione, che avevano perso il figlio di 17 anni, unico appoggio per il loro sostentamento. Inoltre, un medico è stato ucciso a tradimento mentre soccorreva uno dei feriti.
Critica alla sinistra capitalista
La sinistra capitalista ha mostrato la sua analisi emblematica dell’attuale lotta di classe riducendo tutto ad una questione di identità o di autonomia politica. Questo non fa che dimostrare la sua posizione meccanica sulla realtà, che si basa sulla frammentazione reificata del politico con l’economico. Nella sua variante più istituzionalista abbiamo assistito ad analisi che servono solo alla prassi della classe dirigente.
Per Nicolás Lynch “la gente è venuta a chiedere il reintegro di Castillo [come presidente], e non è per identità politica, ma per identità sociale o sociologica; la gente si è identificata come cholo (meticcio, ndt), insegnante”. Secondo lui, il “popolo” non aveva un’identità politica con il programma o le azioni politiche di Castillo, ma piuttosto un’identità sociologica.
Da parte sua, come fenomenologo francese, Guillermo Lumbreras ha sottolineato che “la divisione del Perù in due parti è la divisione tra Noi che abbiamo la Costituzione dalla nostra parte e gli Altri che non ce l’hanno (…) quello che sta accadendo è che gli Altri si stanno sollevando, in molti casi si tratta di una rivolta di classe, ma non qui; qui va molto oltre, è un’opposizione tra coloro che sono nel sistema e coloro che non vivono nel sistema.”
Per il “grande” politologo Martin Tanaka, “il dramma è che ci troviamo attualmente in una sorta di momento pre-hobbesiano: il puro confronto”. Secondo lui, la lotta germoglierebbe in uno “stato di natura” dove gli individui, in condizioni di parità, sono in una lotta di tutti contro tutti; un “analisi” molto comoda per giustificare la repressione della classe dominante. Non è un caso che questo ingenuo pasquino sia pubblicato da uno dei media più allineati agli interessi borghesi.
Altri, come Juan Carlos Ubilluz, hanno seguito il postmodernismo di Negri e Hardt: “La protesta sociale è multiforme (…) È un’entità che, come uno sciame, agglutina più elementi e svolge un’azione politica prima di disperdersi. La moltitudine è un gruppo aperto di cittadini che, da prospettive politiche diverse, si materializzano per rifiutare una specifica ingiustizia”. In breve, non ci sono classi, non ci sono lotte, e i politici non hanno alcun legame con la classe capitalista peruviana, non ci sono interessi politici, né alcun significato nelle lotte. Al contrario, l’identitario e il politico hanno la precedenza, ringiovaniti dalla terminologia strutturalista, dalla fenomenologia francese e dal postmodernismo.
Héctor Béjar aggiunge fattori economici alla questione: “Questo popolo emergente non è più il proletariato dei vecchi termini industriali: ora ha un proprio capitale (piccolo o medio che sia), proprie fonti di finanziamento e ha perso la paura verso gli strumenti della repressione del vecchio potere dominante (…) Credo che ora ci sia una vera e propria nuova situazione in Perù.” Tuttavia, le sue argomentazioni sono lontane dalla realtà: la maggior parte della popolazione peruviana può garantire la propria vita e quella delle proprie famiglie solo vendendo la propria forza lavoro; una piccola impresa o un “capitale” non interferiscono con la caratteristica fondamentale e predominante della classe operaia, soprattutto nel suo legame e nella sua dipendenza dalla riproduzione capitalistica globale. Il “capitale” è tale, in senso proprio, solo se possiede la capacità di espandere la propria scala di produzione. Pensare a un lavoratore “capitalista” senza “capitale” è come pensare ad un samurai senza spada o a un cavaliere senza armatura.
Allo stesso modo, organizzazioni riformiste come il “Movimiento por la Unidad Popular” (MUP), “Nuevo Perú”, “Convergencia Socialista”, “Partido Comunista Peruano” e “Patria Roja” hanno sottolineato che “il comportamento di Dina Boluarte [è] l’espressione concreta del tentativo di fermare l’attuale processo di democratizzazione generato dal basso (…) che si esprime nella lotta per il rispetto della volontà popolare, l’uguaglianza del voto e il rifiuto della discriminazione razzista e di classe che si esprimono nel disinteresse e nel disprezzo dei peruviani”. Gran parte di queste organizzazioni sono vagoni di coda di Castillo e delle fazioni borghesi da lui rappresentate. Finiscono per appellarsi ai meccanismi borghesi di dominio per cambiare il dominio della borghesia. Capisca chi può! Non solo, ma agiscono come una “maglia democratica” che fissa e racchiude tutto sul piano della prassi borghese; e navigano persino nel mare della confusione categoriale, indicando come “fascismo” ciò che non ha né progetto né potere di essere tale. Il loro obiettivo: la conciliazione di classe.
La sinistra capitalistica e i suoi operatori politici nelle organizzazioni sociali e nei centri sindacali sono stati caratterizzati da un vergognoso quietismo nelle ultime ore di fronte agli assassinii del 9 Gennaio. Il caso più paradigmatico è quello della CGTP, guidata dal PCP-UNIDAD stalinista. In un primo momento, non solo ha pensato di incontrare Dina Boluarte, ma, invece di mobilitare i propri iscritti contro il massacro perpetrato dal suo governo, il sindacato si è limitato a chiedere una “veglia contro la repressione a Juliaca”. Allo stesso tempo, tra i partiti che chiedono di mantenere la mobilitazione contro Boluarte, c’è l’interesse a incanalare la rivolta proletaria in un processo costituente che, in altre parole, non sarà altro che un riassetto delle fazioni capitaliste e la continuazione dello sfruttamento.
Lo Stato contro-insurrezionale
Ci schieriamo contro la visione borghese dello Stato peruviano – la quale borghesia vede lo Stato come un organo incompiuto o privo di semplici riforme politiche e istituzionali per il suo buon rapporto con la cosiddetta “società civile”. Intendiamo lo Stato come un organo che sintetizza le relazioni sociali capitalistiche e garantisce l’accumulazione del capitale in tutte le sue fasi. Non è il grande risolutore di conflitti, né esercita la sua funzione di mediazione della contraddizione capitale/lavoro senza ricorrere permanentemente alla violenza. La presunta fragilità istituzionale dello Stato, osannata dalle posizioni liberali e riformiste, nasconde la sua funzione essenziale nel modo di produzione capitalistico.
Ora, la particolarità dello Stato peruviano è espressione della particolarità del suo capitalismo; i suoi limiti e le sue possibilità sono imposti dalla 1) forma di organizzazione economica, 2) dall’estrazione del plusvalore e 3) dalla lotta di classe. Si tratta di elementi costitutivi dei progetti borghesi che hanno trionfato nel XX secolo e che si sono radicalizzati nel XXI secolo; la lotta di classe è il fattore più dinamico in questo scacchiere di determinazioni, risponde alla forma di accumulazione nazionale e alle condizioni di organizzazione della classe borghese, soprattutto in tempi di crisi economica e politica.
Lo Stato è influenzato dalla lotta di classe, soprattutto nei momenti critici di mobilitazione della classe operaia. Quello che osserviamo oggi in Perù è l’escalation repressiva della risposta dello Stato all’insurrezione della classe operaia, dove non c’è spazio o tolleranza per l’opposizione politica alla frazione dominante della classe borghese che ora coopta lo Stato rappresentato da Dina Boluarte. La violenza dello Stato è imposta perché 1) gli interessi economici della classe capitalista peruviana sono minacciati, 2) la borghesia non è in grado di controllare la risposta proletaria alla crisi economica e politica, 3) il miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia è un’impossibilità sistemica e 4) non può più sostenere l’istituzionalità borghese come [accade] in condizioni “normali” (o tranquille, ndt). Contrariamente al rifiuto politico della grande borghesia, il movimento proletario tende a trascinare settori che fino a quel momento erano rimasti smobilitati; finché la classe operaia sarà l’unica a poter imporre le proprie richieste conquistando altri strati della popolazione, la classe borghese tenderà alla contro-insurrezione e al terrorismo di Stato. Questo è uno dei fattori che spiega perché nei Paesi dipendenti (dove la politica e l’economia dipendono da fattori esterni, ndt) la violenza è la regola e non l’eccezione, perché il grado minimo di consenso sociale non può essere raggiunto con un miglioramento riguardante le condizioni di vita, ma solo attraverso il costante appello alla violenza.
Quello che sta accadendo oggi in Perù è ben lontano dal fascismo, perché il fascismo implica un progetto sostenuto [dalla borghesia], capace di aderire politicamente e corporativamente alle masse lavoratrici e di imporsi sulla democrazia borghese; in Perù non abbiamo la negazione di questo tipo di democrazia, ma la sua affermazione. Lo Stato di diritto è costantemente affermato dai principali organi della grande borghesia e da ingenui democratici; è l’aspirazione ultima dei riformisti che lo contrappongono al “fascismo”.
Cosa significa questo per la nostra classe? La grande giustificazione storica della conciliazione di classe e la nebulosità delle contraddizioni che sostengono lo sfruttamento del capitale sul lavoro. Per questo aderiamo alla categoria di Stato contro-insurrezionale per esplicitare il contenuto dell’escalation di violenza e repressione popolare in Perù, attualizzandola nei suoi termini corretti, perché la classe operaia che si mobilita non lo fa in modo ordinato e programmatico, non esistono le condizioni storiche per generare questo tipo di organizzazione. La sconfitta storica della sinistra, il neoliberismo e, soprattutto, le nuove forme di organizzazione della produzione a livello mondiale e il suo sviluppo concreto in Perù ci consegnano un proletariato atomizzato, profondamente eterogeneo, ma non per questo meno proletario. Non entriamo nel disorientamento teorico che implica il ricorso al caos e al nonsenso come spiegazioni valide; lasciamo i dilemmi esistenziali agli intellettuali piccolo-borghesi.
Il momento attuale dello Stato in Perù è quello della contro-insurrezione, dell’esaurimento di tutte le forme in cui una mera istituzionalità liberale potrebbe manifestarsi. La difesa dello Stato borghese avviene attraverso l’annientamento diretto e premeditato della popolazione mobilitata. Significa che la grande borghesia al potere sente l’imperiosa necessità di ricorrere a metodi di guerra che sono stati istituzionalizzati in America Latina con l’addestramento diretto dell’imperialismo statunitense; il ricorso alla radicalizzazione della violenza di fronte alla massiccia mobilitazione della popolazione lavoratrice risponde alle contraddizioni capitalistiche che essa stessa non può controllare a causa del suo carattere subordinato ai flussi economici dell’accumulazione globale. Questa risposta della classe operaia aggrava le condizioni di gestione e appropriazione capitalistica che hanno cercato di riaggiustarsi dopo il licenziamento di Pedro Castillo e la messa all’angolo delle fazioni borghesi che rappresentava.
La criminalizzazione del movimento operaio, qualunque sia la sua forma, e il cinismo dei rappresentanti del potere statale rivelano l’intolleranza dell’opposizione all’interno dello schema generale del dominio in Perù, poiché il livello di interrogazione sociale ha raggiunto la negazione stessa dello Stato e dei suoi rappresentanti politici. Le azioni intraprese da chi è al potere ci ricordano i tempi della nostra storia in cui i meccanismi militari cercavano di annientare il movimento operaio generale attraverso il ricorso diretto al terrore militare. La contro-insurrezione in Perù si sta svolgendo a causa dell’evidente protagonismo del potere militare e delle Forze Armate nelle azioni dello Stato. Di fronte a questa unità annichilente dobbiamo opporci [attraverso] l’unità della classe operaia!
Le nostre proposte
Di fronte alla brutale repressione dello Stato capitalista, chiediamo di mantenere l’organizzazione autonoma delle persone lavoratrici e le misure di lotta e resistenza contro la politica repressiva di Dina Boluarte e dei poteri militari.
Solo la mobilitazione indipendente delle persone lavoratrici può aprire un orizzonte in grado di garantire la vittoria delle loro lotte immediate e, con il progressivo sviluppo della loro coscienza, orientarsi verso la trasformazione delle condizioni di sfruttamento imposte dal modo di produzione capitalistico.
Le persone lavoratrici devono aderire agli appelli generali alla lotta e sviluppare delle forme e metodi per sostenere il movimento della loro organizzazione indipendente.
Gli organismi che nascono da questa mobilitazione possono essere i semi di un’istanza superiore che avanza e sviluppa un programma che esprime gli interessi storici della classe operaia, al di là delle soluzioni istituzionali e democratiche oggi predominanti. La soluzione costituente e la richiesta di nuove elezioni sono solo palliativi, che possono solo riprodurre in altri termini il dominio di classe che esiste solo a causa della contraddizione capitale/lavoro.
Mantenere la solidarietà di classe e rafforzarne l’organizzazione in base agli interessi storici della classe è il compito fondamentale che si apre con questo nuovo ciclo di lotte.
“L’umanità non insegue mai chimere sciocche o irraggiungibili; l’umanità corre dietro a quegli ideali la cui realizzazione sente vicina, sente matura e sente possibile” (José Carlos Mariátegui).
Tutto il potere alla classe operaia!