Questione migranti. Situazione dal confine polacco-bielorusso – 2

dal canale Telegram di “No Borders Team”

 

I morti al confine. Altre vittime delle politiche [di frontiera] dell’UE e della Bielorussia.

In meno di una settimana, nelle foreste della Podlasie sono state trovate tre persone morte ed è ancora in corso la ricerca di altri due corpi.
Il 7 Gennaio, nella zona di Przewłoki, la Guardia di Frontiera ha trovato il cadavere di un uomo. Sebbene la polizia non abbia ancora fatto un annuncio ufficiale, la famiglia e gli amici sono convinti che si tratti di Ibrahim Dihiya, proveniente dallo Yemen. Era un medico.
Giovedì 12 Gennaio, un altro corpo è stato trovato dai soldati nella foresta di Bialowieza. Probabilmente giaceva nella foresta da molto tempo. L’identificazione del defunto è in corso e la polizia e l’ufficio del procuratore, dopo aver rilasciato un breve comunicato stampa, rimangono in silenzio.
Venerdì 13 Gennaio, in mattinata, è arrivata la notizia del ritrovamento di un altro corpo al confine e continuano le ricerche di altre due persone decedute, i cui corpi sarebbero stati avvistati dai soldati. I soldati che hanno riferito di aver trovato i corpi, li hanno lasciati nella foresta e poi non sono stati in grado di individuare la loro posizione. Ora l’esercito ha negato di aver visto qualcosa. Conoscendo il loro livello di manipolazione e di menzogne, possiamo aspettarci il peggio.
Ci auguriamo che le famiglie dei dispersi possano scoprire al più presto la sorte dei loro cari e dare loro una degna sepoltura.
Ogni volta che sentiamo parlare della morte di un’altra persona al confine tra Polonia e Bielorussia, sulla rotta balcanica, nel Mediterraneo o nel Canale della Manica, proviamo, oltre al dolore anche molta rabbia. Sappiamo che dobbiamo continuare a lottare per l’abolizione del regime di frontiera, affinché non ci siano più persone che muoiono a causa di esso e le loro famiglie e i loro cari debbano soffrire. Sappiamo che dobbiamo pronunciare i loro nomi ad alta voce: questi non sono cadaveri da telegiornale, sono persone. E altre persone, quelli che decidono la forma del sistema di frontiera e quelli che eseguono gli ordini di quel sistema, sono responsabili di queste morti.
A parte il minuto di silenzio, combattiamo! Contro le frontiere!

-I quattro iracheni che hanno iniziato lo sciopero della fame nel centro di Lesznowola il 3 Gennaio scorso e che sono in carcere da un anno e mezzo, interrompono la loro protesta.
Ognuno di loro ha una storia drammatica, essendo state vittime di violenze, prima nel Paese d’origine e poi in Bielorussia e Polonia.
Uno degli uomini sta lottando per raggiungere la moglie e il figlio, che vivono in Svezia e hanno la cittadinanza svedese. Questo non è un motivo [valido] per la parte polacca di tentare l’espulsione dell’uomo – dopo aver rifiutato di inoltrare una domanda di ricongiungimento familiare, scaricando la responsabilità sulla parte svedese. In qualsiasi momento potrebbero essere compiuti ulteriori sforzi per deportare quest’uomo in Iraq, particolarmente pericoloso a causa del suo precedente coinvolgimento sociale.
I [restanti] tre scioperanti chiedono di essere trasferiti al SOC di Krosno Odrzańskie. Le loro condizioni di salute si stanno deteriorando.
Finalmente, dopo gli interventi parlamentari e legali, dopo un ulteriore clamore mediatico e manifestazioni esterne, le autorità della struttura hanno avviato colloqui con i manifestanti.
Il 13 Gennaio, tutti e quattro sospendono lo sciopero.
Nonostante le promesse del comandante [delle guardie di frontiera], il caso non si muove; nessuno è stato ancora trasferito e uno degli scioperanti ha ricevuto un’altra decisione negativa sulla sua domanda di protezione internazionale.
Tutti sono sotto l’assistenza legale dell’organizzazione “Stowarzyszenie Interwencji Prawnej” e di attivistu indipendenti; tutti sono ancora in lotta per la loro vita, dignità e diritti, bloccati in centri e in un limbo burocratico, anche se per il momento non riprendono lo sciopero.
Tuttavia, l’ondata di proteste nei centri polacchi per stranieri non si ferma.

-Il 14 Gennaio, un’altra persona inizia uno sciopero della fame presso il SOC di Bialystok.

Sewar è un attivista siriano che è stato detenuto nel suo Paese d’origine dopo un commento su Facebook. Ha trascorso più di 9 mesi in carcere ed è stato torturato fisicamente e psicologicamente.
Dopo essere fuggito dalla Siria, soffre di PTSD (Sindrome da Stress Post-Traumatico, ndt) e ha molta paura degli spazi ristretti.
Ha cercato di ottenere protezione in Europa per 21 volte. Le guardie di frontiera polacche gli hanno negato l’asilo ad ogni tentativo e lo hanno respinto oltre la recinzione. Una guardia ha usato lo spray al peperoncino quando il [ragazzo] siriano ha cercato di far valere i suoi diritti. Alla fine, contro ogni procedura, è stato collocato nel Centro sorvegliato di Białystok.
Da allora soffre di attacchi di panico ricorrenti, causati sia dalla claustrofobia che dalla situazione attuale in generale. Ha già fatto diversi tentativi di suicidio. La sua condizione è stata diagnosticata come pericolosa per la sua sopravvivenza, eppure si trova ancora tra le mura di un istituto che, invece di aiutarlo, prolunga l’incubo.
Lo stesso schema che vediamo nelle foreste di Podlasie è stato trasposto nei centri per stranieri.
Continuiamo ad assistere a situazioni di disumanizzazione delle persone intrappolate nei centri di detenzione: dal rivolgersi a loro con dei numeri al negare le cure mediche di base in situazioni di pericolo di vita, oltre all’ostruzione e alla criminalizzazione degli sforzi di aiuto dellu attivistu.
La Guardia di Frontiera pubblica post su edifici ristrutturati e ottimi menù, mentre dietro le porte chiuse mostra il suo vero volto.
In una situazione in cui ogni protesta e resistenza viene accolta con crescente aggressività, brutalità e repressione, la determinazione dei detenuti a lottare per la propria dignità, libertà e un futuro migliore appare eroica.
Il nostro compito è dimostrare a [alle persone recluse protestanti] che non sono sole e alle guardie di frontiera che non possono [agire in modo] impunito e che saranno chiamate a rispondere della loro violenza e crudeltà.
Non crediamo in alcun cambiamento giuridico, perché in definitiva la legge è sempre contro la libertà.
Crediamo in un mondo senza confini, dove chiunque possa vivere dove vuole, indipendentemente dalla sua nazionalità, origine o religione.

Violenza contro Sewar
Oggi ricorre il 12° giorno di sciopero della fame condotto da un migrante siriano nel centro di detenzione di Bialystok e la Guardia di Frontiera polacca ricomincia ancora una volta il noto gioco del “non diremo nulla, non sta succedendo nulla”.
Ogni volta che le persone in movimento private della libertà intraprendono una forma di protesta come lo sciopero della fame, ci viene ricordato quanto questa sia difficile e definitiva. Solo le persone spinte all’estremo decidono di compiere un simile passo. In quale stato di disperazione si trovano coloro che, dopo averne già passate tante, in mancanza di altre opzioni, sono costretti a lottare e soffrire di più in nome della libertà e della dignità?
Sewar ha già trascorso nove mesi nelle carceri siriane come prigioniero politico; inizialmente è stato collocato in un centro sorvegliato dalla Polonia per due mesi. Dopodiché la sua detenzione è stata prolungata per altri quattro mesi.
Pur avendo solo 24 anni, dal suo arrivo in Polonia è già diventato brizzolato. Il suo corpo porta le cicatrici della tortura. Soffre di claustrofobia, ansia, grave PTSD a causa degli abusi subiti. Ha una storia di ben sei tentativi di suicidio, commessi durante la sua permanenza nel Centro Sorvegliato per Stranieri. Nonostante ciò, continua a essere detenuto. Già prima dell’inizio del suo sciopero della fame, è stato messo in isolamento, il che aggrava ulteriormente la sua ansia.
Durante il fine settimana, la sua salute è peggiorata in modo significativo. Sewar è diventato debole e non riusciva a camminare. Si è lamentato di un dolore insopportabile alla testa. È stato visitato e i risultati sono stati allarmanti, ma la Guardia di Frontiera ha deciso di non mandarlo in ospedale. L’Ufficio dell’Ombudsman è intervenuto nel suo caso, ma la Guardia di Frontiera ha sostenuto che le sue condizioni erano buone e non c’era bisogno di ricoverarlo.
L’altro ieri (23 Gennaio, ndt) lu attivistu hanno perso i contatti con lui. Il suo telefono non funzionava. Secondo i testimoni, verso le 12.00 Sewar è stato portato fuori dal recinto di un campo in un’auto della polizia. C’era il sospetto che potesse essere stato portato in uno degli ospedali, così lu sostenitoru hanno cercato per ore di rintracciarlo in uno di essi, senza successo. La Guardia di Frontiera non ha trasmesso alcuna informazione ai rappresentanti [legali di Sewar].
Quando lu attivistu sono finalmente riuscitu a contattarlo in tarda serata, Sewar ha detto che gli agenti della Guardia di Frontiera lo avevano portato da qualche parte e, immobilizzatolo, gli avevano fatto bere della zuppa. Gli avevano anche dato delle medicine. È tornato al centro abbastanza sconvolto, troppo debole per muoversi, ricordando vagamente quello che era successo. Per diverse ore non ha parlato né risposto a nessuno.
È finito di nuovo in isolamento…
Nonostante le sue cattive condizioni, è determinato a continuare lo sciopero e a portarlo avanti fino alla fine.
Come dice lui stesso, non mollerà.
Nelle conversazioni con i giornalisti, tuttavia, la Guardia di Frontiera sostiene che Sewar è stato tutto il tempo nel centro e che lo sciopero è stato interrotto da lui. Volontariamente.
Dopo tutto, non è successo nulla…

Aiuti e attraversamenti dalla foresta di Podlasie
Seconda metà di Gennaio al confine tra Polonia e Bielorussia. L’attenzione dei media sulla crisi [migratoria] è terminata da tempo, con il governo che ci rassicura – in modo pressante – sull’efficacia delle barriere al confine.
Nonostante tutto questo, le persone stanno ancora cercando di raggiungere un luogo in cui siano al sicuro e possano condurre una vita normale. Nessun muro e nessuna violenza da parte delle autorità potrà impedirglielo. È per questo che siamo ancora nella regione di Podlasie: per fornire attività di aiuto.
Nelle ultime settimane il numero di tentativi di attraversare il confine è diminuito; ma negli ultimi 17 mesi il numero è sceso a volte, per poi tornare improvvisamente alle stelle. Le persone sono meno, ma sono ancora qui.
Ieri sera abbiamo incontrato tre persone nella foresta, giovani uomini provenienti dal Sudan. Quando li abbiamo trovati erano fradici, infreddoliti e affamati. Al momento non c’è gelo a Podlasie, ma le notti sono fredde e molto umide: questo tempo è ancora più fastidioso delle temperature minime. Dopo aver trascorso diverse ore nella foresta, anche se si è vestiti bene, ti congeli; l’umidità filtra tra i tessuti, attraversando uno strato dopo l’altro. E loro erano nella foresta da diversi giorni.
Era molto buio, riuscivamo a malapena a vederli. Uno degli uomini giaceva immobile. I suoi compagni di viaggio lo chiamavano, ma lui non rispondeva. La paura che segue chiunque presti soccorso alla frontiera ci ha attraversato la mente. Ultimamente ci sono giunte di nuovo notizie di ritrovamenti di cadaveri alla frontiera…
Ci avvicinammo e gli scuotemmo la spalla. Una volta. La seconda. Dopo un attimo – che a noi è sembrato un’eternità -, ha aperto gli occhi. Parlava a bassa voce e si vedeva che era esausto. Aveva un ginocchio danneggiato, probabilmente a causa di una barriera di confine costata milioni di euro.
Due degli uomini non erano ancora maggiorenni. Erano tutti in attesa da due mesi, erano stati picchiati e derubati, sottoposti più volte a spintoni. Non avevano contatti con il mondo, entrambi i telefoni erano stati danneggiati dalle guardie di frontiera polacche – il noto metodo di distruzione delle porte USB.
Abbiamo curato il ginocchio, li abbiamo confortati con zuppa calda e tè. Li abbiamo aiutati a cambiarsi con abiti asciutti. Il loro viaggio continua, sono ancora vivi – nonostante i servizi di frontiera abbiano fatto di tutto per privarli della vita e della speranza.
Ci sono ancora persone nella foresta. Ci saranno per sempre, finché i Paesi del Nord globale non cambieranno le loro politiche e non garantiranno il diritto alla libertà di movimento. La determinazione di chi fugge dalla guerra e dalla povertà è molto più forte dei muri, delle ginocchia slogate, dei congelamenti e del rischio di morire.
Non possiamo dimenticarlo.
Non possiamo fingere di non vederlo.
Parlatene, scrivetene. Sostenete le persone e i gruppi che aiutano alle frontiere.
Chiediamo insieme che questo sistema oppressivo cada.

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