Mafia e antimafia: tra spettacolo e rapporti capitalistici

Il 16 Gennaio viene arrestato Matteo Messina Denaro dai carabinieri del ROS e del GIS presso la clinica palermitana “La Maddalena”.

I commenti di giubilo e congratulazioni verso i carabinieri da ambo gli schieramenti politici, le sciocchezzuole informative riguardanti Messina Denaro (i preservativi e il viagra usato, scomodare una figlia che neanche porta il suo cognome, intervistare le signore che facevano la chemioterapia insieme al boss etc) la dietrologia spicciola o pseudo-satirica (accordi tra lo Stato e Messina Denaro per il suo arresto, i meme sui social commerciali etc) sono prolificati a più non posso.

A differenza degli arresti di Riina (1993) e Provenzano (2006), con Messina Denaro notiamo un salto di qualità nella spettacolarizzazione dell’arresto – complici l’onnipresenza dei nuovi media -, e uno spaccato inquietante su come la lotta alla mafia sia solo di appannaggio dello Stato e del Capitale

-La questione delle informazioni

Come abbiamo analizzato in passato 1, i professionisti dei mezzi di comunicazione si focalizzano sostanzialmente su tre punti riguardo i contenuti da veicolare: la scelta delle informazioni, la messa in risalto delle notizie ed infine il contesto dei fatti avvenuti.

Attraverso questi tre punti, i mass-media determinano la direzione dei pensieri e delle conversazioni degli individui, concentrandosi su specifici argomenti o eventi e dando una percezione e comprensione binaria (buono o cattivo, giusto o sbagliato etc) di quest’ultimi.

In questo modo, le informazioni giornalistiche “non si limitano a informare il pubblico, ma hanno anche una sorta di limitazione da parte dello Stato, perché non tutte le attività pubbliche sono pubbliche. I mass media, con i cambiamenti e la velocità della loro azione, si pongono nei confronti del pubblico in modo diverso. Da mediatori dell’opinione pubblica diventano i loro creatori. Sebbene l’ambito delle cose che vengono divulgate al pubblico si espanda a quelle che non sono solo politiche, il pubblico vero e proprio si restringe, perdendo la sua precedente funzione critica”. 2

La perdita della funzione critica – con conseguente apatia o disaffezione politica – da parte degli individui, modella i rapporti umani come meri atti utilitaristici e consumistici, concentrandosi, per qualche giorno, sul nemico pubblico di turno: ieri il senzatetto che ha accoltellato una turista alla stazione, oggi il boss mafioso, domani il prossimo nemico pubblico mediatico che rimarrà sulla cresta dell’onda per non più di una settimana.

Come se fossimo nei “due minuti d’odio” di orwelliana memoria, la frustrazione degli individui si concentra allora sulla personificazione delle storture del sistema e non arriva mai al passaggio successivo: quello della critica al sistema in quanto tale.

Questa funzione normalizzatrice (e anche moralizzatrice, aggiungiamo) dei rapporti sociali ed economici torna utile negli attuali contesti antimafiosi.

Per anni le forze politiche ed economiche regionali e nazionali hanno intessuto rapporti con i clan mafiosi. Quando quest’ultimi, però, hanno preteso di cambiare le carte in tavola, presentandosi non più come alleati e/o subalterni ma come i padroni dei territori da loro controllati, la macchina repressiva poliziesca e giudiziaria non si è fatta attendere.

Il mondo politico e borghese si è sganciato pubblicamente nel chiedere supporto e/o sostegno ai gruppi della criminalità organizzata e abbracciando la lotta alla mafia.

Sciascia aveva denunciato nell’articolo “I professionisti dell’antimafia” uscito sul Corriere della Sera nel 1987, come la lotta contro un organizzazione criminale verticista e collusa col capitalismo potesse diventare uno strumento al servizio dei poteri economici e politici locali per rinnovare sé stessi.

Nel suo articolo, Sciascia riporta una disamina della lotta alla mafia in Sicilia, partendo da suoi scritti precedenti, passando per la gestione del “prefetto di ferro” Cesare Mori durante i primi anni della dittatura fascista, arrivando a portare esempi contemporanei: “prendiamo […] un sindaco che per sentimento o per calcolo cominci ad esibirsi – in interviste televisive e scolastiche, in convegni, conferenze e cortei – come antimafioso: anche se dedicherà tutto il suo tempo a queste esibizioni e non ne troverà mai per occuparsi dei problemi del paese o della città che amministra (che sono tanti, in ogni paese, in ogni città: dall’acqua che manca all’immondizia che abbonda), si può considerare come in una botte di ferro. Magari qualcuno molto timidamente, oserà rimproverargli lo scarso impegno amministrativo; e dal di fuori. Ma dal di dentro, nel consiglio comunale e nel suo partito, chi mai oserà promuovere un voto di sfiducia, un’azione che lo metta in minoranza e ne provochi la sostituzione? Può darsi che, alla fine, qualcuno ci sia: ma correndo il rischio di essere marchiato come mafioso, e con lui tutti quelli che lo seguiranno.3

Quel che ottenne Sciascia ai tempi fu una critica pesante da una serie di intellettuali e personaggi istituzionali perché ignorava e/o non considerava come i clan avessero distrutto (cementificazione, inquinamento ambientale etc) il territorio siciliano.

Quello che tali personaggi ignoravano era il concorso tra i clan, le istituzioni e la borghesia nel portare avanti queste politiche di distruzione del territorio basate su logiche di profitto: basti vedere il sacco di Palermo durante la sindacatura di Salvo Lima (1958-1963) o la presenza, sempre nel capoluogo siciliano, delle ditte edili catanesi tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. 4

I recenti casi giudiziari dell’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante 5 e, soprattutto, dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto 6, hanno dimostrato che lo scrittore di Racalmuto non si fosse sbagliato più di tanto nel 1987: l’antimafia in mano alla borghesia e alle istituzioni (e quindi a strutture di potere) opera in modo interclassista (in quanto riunisce persone sfruttate e sfruttatrici) e rinnovatore istituzionale (presentando lo Stato come assediato perennemente dai clan mafiosi).

-Su Matteo Messina Denaro e la questione mafiosa

Per questo paragrafo si ringrazia Drĕpănĭtānus

L’operazione mediatica portata avanti in questi giorni ha messo in secondo piano le relazioni economiche tra la borghesia e i clan della Sicilia Occidentale legati a Matteo Messina Denaro.

A partire dai rapporti pluridecennali con la famiglia D’Alì, potenti proprietari terrieri, di saline, banchieri e politici, i Messina Denaro – prima il padre, Francesco “Don Ciccio”, e poi il figlio, Matteo -, sono riusciti a legarsi con la borghesia presente nel territorio e a piazzare, al contempo, diversi prestanomi: da “Valtur” di Carmelo Patti 7 ai numerosi “Despar” gestiti da Giuseppe Grigoli 8, dall’appalto affidato ai Morici per strutturare il porto di Trapani per l’evento dell’America’s Cup del 2005 9 alla costruzione dei parchi eolici da parte delle società di Vito Nicastri 10 – strutture che, oggi giorno, continuano ad essere costruite da altre aziende presenti nel territorio. 11

Nella situazione di eccezionalità creatasi in trent’anni in cui “ci manciaru tutti (ci hanno mangiato tutti, ndt)”, la bolla scoppiata dall’arresto di Matteo Messina Denaro costituisce il classico “segreto di Pulcinella”: un’ovvietà che diventa di pubblico dominio col fine dello stupore, meraviglia e satireggiante.

Il quadro che viene fuori, però, è il connubio tra Capitalismo e mafia.

Numerosi scrittori e analisti si sono sperticati la mani nel descrivere questa unione con tanto di nomi da dare in pasto al pubblico ludibrio o alla santificazione.

La richiesta dell’intervento dello Stato, inteso come controllore delle azioni degli individui e dell’economia, si inserisce nel debellare il fenomeno criminale e mantenere intatta la distribuzione e circolazione delle merci.

C’è da dire, però, che i clan mafiosi sono una parte integrante nel tessuto sociale ed economico – e non un fattore meramente subculturale o comportamentale come esposto a livello istituzionale 12 ed intellettuale accademico tra gli anni ‘40 e gli anni ‘70 del ventesimo secolo.

Eradicare dei gruppi del genere è impensabile e impossibile con la struttura societaria odierna: le funzioni sociali, economiche e politiche che essi svolgono (reclutamento di persone come manovalanza sfruttata e mero supporto verso determinati partiti) tornano utili in contesti di crisi ciclica del Capitale.

Il fenomeno della “borghesia mafiosa”, formulata alla fine degli anni ‘70 13, si inserisce in questo contesto specifico, delineando una serie di mansioni adottate dai gruppi mafiosi nell’incrementare e reinvestire nei processi produttivi capitalistici, formando e mantenendo dei rapporti di dominio e subalternità nella sfera sociale.

In tal modo, i gruppi criminali riescono a condizionare le decisioni politiche e ad accaparrarsi dei fondi pubblici all’atto che altri settori produttivi da loro controllati sono in crisi – a causa di diversi fattori interni e/o esterni.

L’esistenza di questa “borghesia mafiosa” è divenuta di pubblico dominio a partire dagli anni ‘80, periodo in cui vi fu un cambiamento di rotta adottato dallo Stato Italiano verso i clan mafiosi.

Durante questa fase, i pentiti dei clan dell’epoca avevano confermato ciò che si affermava un decennio prima, ovvero che la mafia fosse una parte integrante del sistema capitalistico e i cui legami col potere politico nazionale e regionale erano (e lo sono tuttora) intrecciati.

Per evitare la perdita di consensi e profitti di fronte all’opinione pubblica, il mondo politico nazionale e regionale, insieme a quello economico, hanno iniziato a presentare in modo positivo ed eroico una borghesia rispettosa delle leggi e, al tempo stesso, deprecare le collusioni con i clan mafiosi.

Le borghesie (antimafiosa e mafiosa) che si sono venute a creare, in apparenza e pubblicamente, si contrappongono. L’unica differenza, però, è solo nei rapporti con le leggi dello Stato; per il resto la gestione produttiva e di sfruttamento rimane invariata da ambo le parti.

L’effetto che si è avuto con una situazione del genere è stata devastante: gli individui hanno accettato, in modo entusiasta e/o rassegnato, un potere istituzionale e un modo di produzione capitalistico pronti a difenderli e a nutrili.

La vittoria attuale dello Stato e del Capitalismo, insieme ai loro alleati e sostenitori, sta proprio nel riconoscimento del ruolo di dominazione e di controllo della vita – e quindi non di uno Stato che batte la mafia, come divulgato dalle principali testate giornalistiche.

Per scardinare tutto questo, occorre una lotta alla mafia che ribalti (e non prosegua) i rapporti di potere vigenti (leggi, santificazioni etc) e punti ad una gestione non alienante e distribuzione equa della produzione.

Note

1Paragrafo “L’apatia politica come rassegnazione e vittoria del potere”. Link: https://gruppoanarchicogalatea.noblogs.org/post/2022/09/11/la-catena-elettorale-seconda-parte/

2Ibidem

3Articolo pubblicato sul Corriere della Sera, 10 Gennaio 1987. Link: https://www.archivioantimafia.org/sciascia.php

4La presenza dell’azienda edile di Carmelo Costanzo a Palermo per l’appalto del Palazzo dei Congressi fu un chiaro e limpido esempio di collusione tra potere politico, imprenditoria e clan mafiosi. Chi denunciò questo stato di cose furono, ai tempi, Pio La Torre, deputato del Partito Comunista Italiano, Carlo Alberto dalla Chiesa, prefetto di Palermo, e Pippo Fava, giornalista de “I Siciliani”. Entrambi vennero uccisi dai clan mafiosi.

5Dalla seconda metà degli anni 2000, l’imprenditore Antonello Montante era stato protagonista e paladino della lotta contro il pizzo e le collusioni tra aziende e i clan mafiosi. Le alleanze politiche costruite prima con Lombardo e poi con Crocetta, seguite da varie dichiarazioni anti-mafiose, avevano portato Montante ai vertici di Confindustria (sia regionale che nazionale). Con l’arresto avvenuto il 14 Maggio del 2018, si scoprì come Montante avesse utilizzato il potere economico e i legami politici costruiti nei decenni passati per consolidare la sua posizione attraverso pratiche corruttive.

6Silvana Saguto, magistrato e considerata come una paladina della lotta alla mafia, creò un sistema corruttivo sulla gestione dei beni e aziende sequestrate ai clan mafiosi. A seguito delle indagini poliziesche, venne fuori un quadro inquietante su come questo personaggio e il suo “cerchio magico” (composto da amministratori giudiziari, avvocati etc) avesse gestito impunemente e in modo arrogante (con tratti da delirio di onnipotenza) i beni e le aziende sequestrate.

7“Carmelo Patti (ex Valtur): un tesoro da 1,5 miliardi confiscato dall’Antimafia”, IlSole24Ore, 24 Novembre 2018. Link: https://www.ilsole24ore.com/art/carmelo-patti-ex-valtur-tesoro-15-miliardi-confiscato-dall-antimafia-AEcskkmG?refresh_ce=1

8“Trapani, mafia: confiscati 700 milioni a Grigoli, re dei supermercati Despar”, Il Fatto Quotidiano, 24 Settembre 2013. Link: https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/24/trapani-sequestrati-700-milioni-a-giuseppe-grigoli-re-dei-supermercati-despar/721524/

9“Mafia: bufera sul porto di Trapani. Sigilli ai luoghi dell’America’s Cup”, La Gazzetta Meridionale, 9 Aprile 2013. Link: https://www.lagazzettameridionale.com/2013/04/mafia-bufera-sul-porto-di-trapani.html

10“Mafia: confiscati gli impianti del re dell’eolico”, Rinnovabili.it, 3 Aprile 2013. Link: https://www.rinnovabili.it/energia/eolico/mafia-sicilia-confisca-re-eolico-655/

11Dagli accordi stipulati tra Isla srl, Impresa Portuale srl di Trapani e la ditta Riccardo Sanges & C., sono arrivati nel Marzo del 2022 numerosi componenti per la costruzione degli impianti eolici nel territorio trapanese. Edison, a Giugno dello stesso anno, ha inaugurato un parco eolico tra le campagne di Mazara del Vallo, Castelvetrano e Salemi.

12Il 23 Giugno del 1949, durante la discussione al Senato sulle condizioni dell’ordine pubblico in Sicilia, il democristiano Mario Scelba, allora ministro degli Interni, rispose in tal senso alle accuse di collusione tra mafia, banditismo e Democrazia Cristiana: “[…] Onorevoli Senatori, basta mettere il piede a Palermo, o, senza andare a Palermo, incontrarsi con qualcuno della Provincia di Palermo, perché dopo pochi minuti si parli della mafia; e se ne parla in tutti i sensi, perché se passa una ragazza formosa, un siciliano vi dirà che è una ragazza mafiosa, oppure se un ragazzo è precoce, vi dirà che è mafioso. Si parla della mafia cucinata in tutte le salse: ma, onorevoli senatori, mi pare che si esageri in questo. […] il fenomeno della mafia non lo ha creato l’attuale Governo, non l’ha creato il Ministro dell’interno: avrà le sue radici e le sue tradizioni secolari, ma è certo che il Governo ha intrapreso un’azione concreta per eliminare le cause sociali che possono favorire il sistema della mafia.[…]”. “Senato della Repubblica, CCXXXII Seduta, Giovedì 23 Giugno 1949, Seduta Antimeridiana”, pagg. 8652-8653 (28-29 del documento pdf) Link: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/487082.pdf

13Vedere Santino Umberto, “La borghesia mafiosa. Materiali di un percorso di analisi”, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo, 1994; Mineo Mario, “Scritti sulla Sicilia”, Flaccovio, Palermo, 1995

 

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