La vittoria presidenziale di Gustavo Francisco Petro Urrego in un paese pesantemente controllato (politicamente ed economicamente) dagli USA e dalle logiche del FMI, può essere vista – specie a livello estero – come una rinascita per la Colombia.
Ogni rottura con la politica neoliberista precedente (specie quella di Duque) è stata accolta, quindi, con estremo favore e con la vana speranza di migliorare le condizioni di vita di coloro che sono sempre stat* esclusi e fatto oggetto di numerose violenze (istituzionali e non).
Ma dobbiamo considerare come le logiche di potere sono imperanti in ogni regime che si rispetti, anche quello più popolare e democratico: tenere buone (e in molti casi avvantaggiare) le classi capitaliste e militari significa mantenere saldo il potere politico conquistato dai partiti.
Al tempo stesso, aumentare i salari e legiferare norme contro le discriminazioni verso quelle persone marginalizzate da secoli (appartenenti alla comunità LGBTQIA+, popolazioni native e/o afrodiscendenti) sono delle misure con cui i detentori del potere istituzionale creano un bacino elettorale e, soprattutto, spengono qualsiasi velleità gestionale diversa dalle logiche Stato-Capitale.
Con questo primo post inizieremo a riportare delle analisi a 360° sulla situazione colombiana, scritte da compagn* che si trovano e/o sono originari* del suddetto territorio.
La questione LGBTQIA+ in Colombia: storia e attualità delle violenze e della normalizzazione statale e borghese (1)
Articolo scritto da Federica per il Gruppo Anarchico Galatea
-La situazione attuale
In Colombia, in questi ultimi anni, le violenze (come minacce, assassinii e abusi della polizia) contro le persone LGBTQIA+ sono in costante aumento: basti considerare ciò che è avvenuto tra il 2019 e il 2020 dove vi sono stati, rispettivamente, tra i 322 e i 738 casi.
Per quanto riguarda le persone uccise, i corpi ritrovati presentavano segni di tortura, e anche se questo fatto è riconosciuto dalla polizia non si riesce a frenare questo tipo di violenza.
Nel 2022 la situazione sta peggiorando ulteriormente: solo nei primi 6 mesi si sono registrati 354 violenze e almeno 25 morti.
In molti casi la sistematicità è evidente.
A Medellin negli ultimi mesi si sono verificati 13 casi di assassinii ai danni di uomini gay; in tutti i casi sono stati uccisi dopo aver concordato un incontro sessuale.
Secondo Temblores ONG gli uomini gay sono diventati degli obiettivi per i gruppi militari a causa del pregiudizio sociale esistente.
Nei cliché dell’immaginario collettivo gli uomini gay sono persone solitarie, senza famiglia; spesso devono nascondersi per paura di essere scoperti e discriminati e non hanno le cure e attenzioni di cui godono le altre persone negli spazi pubblici. Spesso vengono immaginati come ricchi disposti a dare tutti i loro beni in cambio di sesso; a causa di questi cliché vengono sedotti per essere poi attaccati e derubati. Un tempo per gli incontri c’erano solo i luoghi pubblici; al giorno d’oggi invece il ventaglio di possibilità di incontro è ampliato grazie alle app di incontri online.
La Fiscalia invece di dare il giusto peso ai fatti ed ai termini utilizzati, sminuisce il tutto riducendolo a “crimine passionale”. I corpi vengono sottoposti a pratiche degradanti come buttare il preservativo sopra al cadavere.
Per le forze dell’ordine e la magistratura questa pratica serve per concentrarsi sui particolari scabrosi della vittima, distogliendo l’attenzione dall’assassinio.
Il modus operandi si può quindi riassumere in tre punti che si ripetono con sistematicità:
1) la vittima è più facile da sottomettere in quanto si fida dell’incontro concordato;
2) si sminuisce l’omicidio ad “incontro sessuale finito male” solo per il fatto che la vittima appartiene alla comunità LGBT+;
3) l’utilizzo di atti crudeli sistematici sui corpi delle vittime attraverso torture e degradazioni.
Nonostante dal 2007 la Fiscalia abbia riconosciuto che per i gruppi criminali l’orientamento sessuale delle vittime può essere un motivo di dominazione, ci sono problemi nel registro di questi casi non solo perché alcune delle vittime non dichiaravano pubblicamente il proprio orientamento sessuale e/o di genere ma anche perché lo stesso Stato ha delle difficoltà nel tenere un registro adeguato – in cui la discriminante di essere parte del gruppo LGBTQIA+ ha un peso.
Il 93% dei casi resta nell’impunità. L’autorità ci mette troppo tempo ad intervenire, portando spesso le vittime minacciate a preferire l’esilio per la propria incolumità. Altre volte si assiste a una ri-vittimizzazione quando finalmente ci si decide a sporgere denuncia o, nel peggiore dei casi, al suicidio.
Un esempio eclatante, in quest’ultimo caso, fu Sergio Urrego, uno studente di Bogotà amante della lettura che gli aveva fatto sviluppare un pensiero critico verso le istituzioni. Dichiaratamente gay, anarchico e ateo – caratteristiche destinate a creargli non pochi problemi nell’adattarsi nella società borghese – si scontrò con l’ottusità di una rettrice e un sistema educativo che, invece di rispettare le differenze e le libertà individuali, cercarono di reprimerle brutalmente.
La rettrice e vari psicologi e professori della scuola di Urrego lo costrinsero a dichiarare pubblicamente la sua omosessualità in varie occasioni – dopo aver visto una foto in cui si baciava col suo ragazzo -, convincendo al tempo stesso la famiglia del suo compagno a denunciarlo per molestie sessuali.
In seguito alle pressioni subite venne ricoverato per una crisi di nervi e dopo qualche giorno si lanciò dall’ultimo piano di un centro commerciale, mettendo così fine alla sua vita.
I genitori di Sergio Urrego, che lo avevano sempre appoggiato nelle sue scelte, rilasciarono immediatamente delle dichiarazioni in cui accusarono l’istituzione scolastica di discriminazione, e ricevettero subito l’appoggio dei compagni di scuola e della ULET (Union libertaria estudiantil y del trabajo, di cui Sergio faceva parte) che organizzarono manifestazioni in suo sostegno.
Questo permise che il caso si imponesse all’attenzione pubblica e non venisse insabbiato.
Il caso Urrego pone tutt’oggi l’attenzione su come i carnefici siano persone interne alle istituzioni, ovvero coloro che dovrebbero rispettare una serie di norme antidiscriminatorie e proteggere, in teoria, chi viene fatto oggetto di violenze.
In particolare ci si riferisce agli stessi agenti di polizia che, anziché proteggere le vittime, diventano essi stessi aggressori e generando così timori e sfiducia verso la forza pubblica da parte della popolazione discriminata (afrodiscendenti, LGBTQIA+, persone che fanno uso di droghe, persone senza fissa dimora).
La questione della polizia ha spaccato il movimento LGBTQIA+ in due parti.
Una parte ha avanzato delle richieste di riforma dell’istituzione della polizia dove si chiede un impostazione e un’attenzione alle differenze di genere e sessualità – perciò che sia non solo femminista ma che protegga anche i diritti della popolazione LGBTQIA+.
L’altra, invece, ritiene che la polizia non sia migliorabile e che la migliore difesa per i gruppi discriminati sia l’autodifesa. Per questo hanno fondato il collettivo TOLOPOSUNGO (todos los polizia son unas gonorreas) movimento trans e “marika” (gay) a favore dell’abolizione della polizia contro la violenza e l’abuso di polizia:
“Noi gridiamo / Abolizione della polizia / Non è una mela / E’ tutto l’albero / Istituzione marcia / Che l’amore sia l’arma più letale / Siamo la diversità / Mai più tasse spese per uccidere / Dolore umano / Dolore del corpo / dolore reale / Giustizia adesso! Giustizia adesso!”