Traduzione dall’originale “Online Patriots and Traitors: The War, Authoritarianism, and State-Sponsored Digital Vigilantism in Russia“
Il 24 febbraio la Russia ha iniziato un’invasione su larga scala dell’Ucraina. Dal punto di vista strategico, questa decisione è stata un errore di calcolo basato su una scarsa intelligence e su cicli di informazioni che hanno portato Putin a sottovalutare l’esercito e i cittadini ucraini e a sopravvalutare le capacità dell’esercito russo. [1] Tuttavia, nonostante i fallimenti militari della Russia, la campagna sembra aver raggiunto una serie di obiettivi politici in patria. In particolare, è diventata un punto di svolta nel processo di autocratizzazione della Russia stessa. Se prima della guerra le ondate di repressione politica avevano in gran parte schiacciato l’opposizione al regime, la guerra con l’Ucraina ha permesso al regime di consolidare ulteriormente queste conquiste e di consolidare una forma più palese di dittatura.
Essendo la Russia un Paese altamente digitalizzato, il processo di arretramento democratico è stato profondamente intrecciato con l’uso delle tecnologie digitali. Fino alla fine degli anni Duemila, il regime non considerava la sfera dei media online come una minaccia politica significativa. [2] Tuttavia, nell’ultimo decennio si è assistito ad una proliferazione di tecniche avanzate di controllo e di censura della sfera pubblica online, come il blocco, la sottrazione di infrastrutture Internet, la creazione di un ambiente legale per normalizzare la censura online, la manipolazione degli intermediari digitali e il modellamento proattivo delle discussioni online tramite bot e “troll”. L’aggressione all’Ucraina è stata sfruttata per aumentare ulteriormente il controllo del regime sullo spazio informativo. Vietando i restanti media online indipendenti e le piattaforme mediatiche globali con il pretesto della sicurezza nazionale in tempo di guerra, il governo ha rafforzato il controllo sullo spazio informativo.
Sebbene il Cremlino abbia sperimentato per un decennio varie tecniche di controllo della sfera online, la guerra ha portato alla ribalta nuove strategie. Oltre a censurare o manipolare le informazioni, la guerra ha incoraggiato e facilitato il vigilantismo digitale – sponsorizzato dallo Stato come parte dell’autoritarismo consolidato. A differenza delle precedenti forme di controllo online, che implicavano la passività dei cittadini, il governo ha iniziato a fare affidamento sul potenziale dei media digitali per dare a coloro che sono fedeli al regime la possibilità di fornire assistenza nella persecuzione dei concittadini che si oppongono alla guerra.
La sfera online è stata a lungo considerata uno spazio democratico che incoraggia la partecipazione e il libero flusso di informazioni. Tuttavia, quando gli Stati autoritari hanno iniziato ad adattarsi alle sfide digitali tra la fine degli anni 2000 e l’inizio del 2010, molti studiosi hanno sottolineato come i media digitali possano essere utilizzati per rafforzare il controllo autoritario. Gli autocrati esperti di tecnologia hanno abbracciato il potere dei media digitali costruendo varie forme di quello che Rebecca McKinnon chiama “autoritarismo in Rete” (in originale “networked authoritarianism”, ndt)[3]. In linea con questa tendenza, il regime di Putin ha sperimentato tecniche avanzate di controllo. Ad esempio, ha investito ingenti risorse nello sviluppo di media online di Stato favorevoli al regime, [4] nella manipolazione dei motori di ricerca [5] e degli aggregatori di notizie [6], nell’utilizzo di bot [7] e “troll” a pagamento [8] per manipolare le discussioni online e gli algoritmi dei social media plasmando così l’opinione pubblica online. Tuttavia, queste tecniche sono state raramente concepite per coinvolgere attivamente i cittadini. Come altri regimi autoritari, il regime di Putin pratica la smobilitazione. Invece di coinvolgere attivamente i cittadini nella politica, ha fatto affidamento sull’apatia politica, cercando di tenere i cittadini lontani dalla politica. [9] Adottando le nuove tecnologie digitali, le autorità hanno cercato di fabbricare il consenso e di presentare la leadership come popolare, limitando i flussi di informazione alternativi o scatenando bot e troll a pagamento per esaltare la popolarità, piuttosto che coinvolgere attivamente i cittadini nella politica, come accadeva nei passati regimi violenti. [10]
L’invasione russa dell’Ucraina rappresenta sia una continuazione che una rottura con la strategia precedente. Da un lato, il regime ha usato la guerra come pretesto per espandere la sua presa sulla sfera online, portando avanti quella che Gregory Asmolov chiama “società disconnessa” – uno stato di dominio sui flussi di informazione e di isolamento dallo spazio mediatico globale. [11] In definitiva, questa strategia mira a rendere i cittadini meno informati e passivi, limitando l’accesso a informazioni alternative e creando la visibilità di un sostegno massiccio all’invasione. D’altra parte, sfruttando le nuove opportunità offerte dai social media e dai dati open-source, il governo ha introdotto molteplici iniziative per incoraggiare il vigilantismo digitale e dare a coloro che sono favorevoli al regime e alle sue azioni in Ucraina gli strumenti per contribuire alla persecuzione di altri cittadini considerati non leali.
Il vigilantismo digitale non è un fenomeno nuovo nel mondo online. Benjamin Loveluck definisce il vigilantismo digitale come “[una serie di] azioni dirette online di sorveglianza mirata, dissuasiva o punitiva che tendono a basarsi sulla denuncia pubblica o su un eccesso di attenzione non richiesta, e sono eseguite in nome della giustizia, dell’ordine o della sicurezza”. [12] Esistono almeno quattro tipi diversi di vigilantismo digitale, come il flagging (segnalare dei comportamenti incivili collettivi, piuttosto che individuali, sui social media), l’investigazione ( indicare sui social media i nomi di individui specifici sospettati di illeciti), l’hounding (una forma intensa di investigazione guidata dall’indignazione dell’opinione pubblica, supportata da prove incriminanti e, in ultima analisi, dall’umiliazione del sospettato) e il leaking organizzato (far trapelare informazioni sensibili su istituzioni e organizzazioni). Tuttavia, una caratteristica distintiva di queste forme di vigilantismo digitale è che sono svolte dagli utenti dei social media di propria iniziativa. Raramente, se non mai, i vigilanti tentano di provocare la risposta delle autorità o lo Stato stesso affida ai cittadini le funzioni di applicazione della legge.
A differenza delle forme di vigilanza digitale dal basso verso l’alto, il regime di Putin ha cercato di avviare pratiche di vigilanza dall’alto, esplorando il potenziale dei social media e degli open data. Esistono diverse forme di vigilantismo sponsorizzate dallo Stato.
Ad esempio, l’organizzazione denominata Comitato per la Difesa degli Interessi Nazionali (CDNI) si è occupata di raccogliere dati da fonti aperte e dai social media per creare un dataset sui cittadini non fedeli allo Stato e/o critici alla guerra. I profili dei cittadini non fedeli [al regime] sono pubblicati sui profili dei social media del CDNI: Vkontake, Odnoklassniki e Telegram. Pur presentandosi come un gruppo di “cittadini preoccupati”, l’organizzazione è collegata al partito al potere (“Russia Unita”) e a una serie di organizzazioni civiche controllate dal regime. Prima dell’invasione dell’Ucraina, [l’organizzazione] stava raccogliendo un database di cittadini critici nei confronti del governo. Dal 2012, il regime di Putin ha introdotto una serie di “leggi sugli agenti stranieri” per reprimere l’opposizione politica. Queste leggi sono utilizzate per creare atteggiamenti negativi nei confronti dei critici del regime, ma anche per imporre restrizioni finanziarie e burocratiche verso l’opposizione politica, ostacolandone [in tal modo] le attività.
Poiché il governo dispone di risorse limitate, nel momento in cui scriviamo (13 Giugno, ndt) ha etichettato come agenti stranieri solo ottantacinque organizzazioni, quarantacinque organi di informazione e 121 persone. Basandosi sulle apparizioni nei media e sui dati dei social media, il CDNI ha compilato un database molto più ampio di circa 1.000 persone presentate come agenti stranieri.
Dopo l’inizio della guerra, l’organizzazione ha cambiato obiettivo e ha iniziato a raccogliere informazioni sui “traditori” (cittadini russi critici nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina) e sui “nemici” (cittadini dell’Ucraina e di altri Paesi critici nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina).
Durante questi tre mesi di guerra, [il CDNI] ha creato più di 300 profili basati su profili di social media e apparizioni sui media. Poiché il CDNI non è gravato da regolamenti burocratici, integra il lavoro [svolto lentamente] dalle agenzie statali. Di conseguenza, i vigilantes digitali svolgono alcuni dei ruoli dell’apparato repressivo, utilizzando le potenzialità offerte dai media digitali: una ricchezza di dati pubblicamente disponibili, la velocità dei social media e l’anonimato.
Pur essendo collegato al regime, il CDNI è stato creato da “cittadini preoccupati”. Dall’inizio dell’invasione, il regime di Putin ha avviato una forma più diretta e dall’alto verso il basso di vigilantismo digitale: rapporti anonimi su coloro che si oppongono alla guerra. Il 4 Marzo 2022, il Parlamento russo ha approvato la legge federale n. 32 che criminalizza le critiche alle azioni dell’esercito russo. Le sanzioni per le violazioni di questa legge possono variare da multe significative fino a quindici anni di reclusione. Nel momento in cui scriviamo (13 Giugno, ndt), ci sono stati circa 2.000 casi amministrativi e sessanta casi penali in base a questa nuova legge sulla censura. Per facilitare l’attuazione della legge, il governo ha creato dei bot Telegram per segnalare le violazioni della legge. I bot di Telegram sono applicazioni di terze parti che girano all’interno di questa piattaforma. I bot possono svolgere diverse funzioni, come la raccolta di informazioni, l’esecuzione automatica di canali Telegram e l’integrazione con altri servizi. I governi locali di sette regioni hanno creato dei bot che raccolgono segnalazioni anonime di cittadini che protestano contro la guerra. Allo stesso modo, il partito al potere “Russia Unita” ha creato un proprio bot (er_stopfake_bot) che invita gli utenti ad inviare informazioni sui cittadini che diffondono “fake news” sull’esercito russo o che protestano contro la guerra. Dopo la segnalazione fatta al bot, il partito sostiene di inviare queste informazioni ai servizi di sicurezza. Alla fine di Aprile 2022, il partito ha dichiarato di aver ricevuto 5.000 segnalazioni da parte dei cittadini.
Tuttavia, questi tentativi di utilizzare i media digitali per segnalazioni e denunce anonime spesso incontrano [una decisiva opposizione]. Ad esempio, i bot creati dai governi locali hanno nomi identici [del tipo] ZaPravdu5XX_bot, dove XX sta per il numero della regione. Poiché i bot sono stati creati solo per sette regioni, gli utenti critici nei confronti della guerra hanno risposto rapidamente a questa iniziativa creando bot e canali Telegram con nomi identici per altre regioni non prese di mira dal governo. Mentre i bot sono disfunzionali e vengono utilizzati per confondere chi vuole denunciare i propri concittadini, i canali rispondono agli aspiranti vigilanti con dichiarazioni contro la guerra, informazioni alternative sulla guerra o messaggi umilianti che condannano la pratica delle denunce.
Ad esempio, quando si accede al bot ZaPravdu39 per inviare informazioni sulle violazioni della legge sulla censura, sembra che questo canale faccia riferimento a due articoli del Codice penale russo – il 353 (“Pianificazione, preparazione, lancio o scatenamento di una guerra aggressiva”) e il 354 (“Inviti pubblici ad iniziare una guerra aggressiva”). Queste leggi prevedono pene detentive fino a vent’anni. Il messaggio [in questione] suggerisce che l’attacco all’Ucraina è un crimine e che il presidente Putin e il governo dovrebbero essere puniti dalla legge. Il bot ZaPravdu55_bot fornisce un elenco di link a canali Telegram di media indipendenti che forniscono informazioni obiettive sulla guerra. Alcuni canali che si travestono da bot fanno semplicemente dichiarazioni umilianti e contro la guerra, come “Volevi fare la spia su qualcuno, stronzo?”. (ZaPravdu50_bot, Zapravdu77_bot, e ZaPravdu99_bot), “No alla guerra. Volevi fare la spia su qualcuno? Figlio di puttana” (ZaPravdu71_bot), “Le denunce nello stile di Pavlik Morozov sono sbagliate. Non porteranno a nulla di buono”. (ZaPravdu12_bot). (Nella propaganda sovietica, Pavlik Morozov era un ragazzo che denunciò il padre per aver venduto grano a contadini ricchi e venne ucciso dai familiari per questo, ndt).
Finora, il numero di contro-bot creati dai critici del governo è superiore al numero di bot originali creati dallo Stato. Poiché è abbastanza facile trovare i bot originali, è improbabile che queste contromisure impediscano ai sostenitori del regime di denunciare. Tuttavia, è probabile che almeno alcuni dei vigilanti si perdano in una moltitudine di bot identici e disfunzionali o che almeno percepiscano la condanna pubblica verso la pratica della segnalazione.
Da tempo gli studiosi avvertono che le tecnologie digitali, piuttosto che essere “tecnologie di liberazione” [13] di default, vengono riproposte e utilizzate sia dai cittadini che dai governi per obiettivi democratici e non democratici. [14] Uno dei modi non democratici in cui i governi possono utilizzare i media digitali è la sorveglianza dei cittadini e la raccolta di dati per la repressione. Il vigilantismo digitale sponsorizzato dallo Stato rappresenta una nuova tappa nell’evoluzione dell’uso non democratico dei media digitali. Utilizzando la guerra come pretesto per un’ulteriore autocratizzazione, il regime di Putin ha esternalizzato alcune delle sue funzioni repressive a vigilanti disposti a impegnarsi volontariamente nella sorveglianza e a perseguitare i propri concittadini. Abbracciando il potenziale dei media digitali, il regime non solo ha trasformato i contenuti generati dagli utenti in uno dei suoi strumenti, ma ha anche consegnato questo strumento a coloro che sono disposti a usarlo.
Note
[1] Vladimir Gel’man, “Why the Kremlin Invaded Ukraine,” Riddle, March 12, 2022, https://ridl.io/en/why-the-kremlin-invaded-ukraine/“>https://ridl.io/en/why-the-kremlin-invaded-ukraine/
[2] Sarah Oates, Revolution Stalled: The Political Limits of the Internet in the Post-Soviet Sphere (Oxford: Oxford University Press, 2013).
[3] Rebecca McKinnon, “Liberation Technology: China’s “Networked Authoritarianism,”” Journal of Democracy 22, no. 2 (2011): 32–46.
[4] Ilya Yablokov, “Conspiracy Theories as a Public Diplomacy Tool: The Case of Russia Today (RT),” Politics 35, no. 3–4 (2015): 301–315.
[5] Daria Kravets and Florian Toepfl, “Gauging Reference and Source Bias Over Time: How Russia’s Partially State-Controlled Search Engine Yandex Mediated an Anti-Regime Protest Event,” Information, Communication, & Society (2021), Advance online publication.
[6] Françoise Daucé and Benjamin Loveluck, “Codes of Conduct for Algorithmic News Recommendation: The Yandex.News Controversy in Russia,” First Monday 26, no. 5-3 (2021).
[7] Denis Stukal, Sergey Sanovich, Richard Bonneau, and Joshua A. Tucker. “Detecting bots on Russian political Twitter,” Big data 5, no. 4 (2017): 310–324.
[8] Anton Sobolev, “How Pro-government “Trolls” Influence Online Conversations in Russia” (Preprint, 2019), http://www.wpsanet.org/papers/docs/2019W-Feb-Anton-Sobolev-Trolls-VA.pdf.
[9] Maxim Alyukov, “Making Sense of the News in an Authoritarian Regime: Russian Television Viewers’ Reception of the Russia–Ukraine Conflict,” Europe-Asia Studies 34, no. 3 (2022): 337–359.
[10] Sergei Guriev and Daniel Treisman, “Informational autocrats,” Journal of Economic Perspectives 33, no. 4 (2019): 100–127.
[11] Gregory Asmolov, “Russia, Ukraine, and the Emergence of “Disconnective Society,” Riddle, April 21, 2022, https://ridl.io/en/russia-ukraine-and-the-emergence-of-disconnective-society/.
[12] Benjamin Loveluck, “The Many Shades of Digital Vigilantism. A Typology of Online Self-justice,” Global Crime 21, no. 3–4 (2020): 213–241.
[13] Larry Diamond, “Liberation technology,” Journal of democracy 21, no. 3 (2010): 69–83.
[14] Sheena Chestnut Greitens, “Authoritarianism Online: What Can We Learn From Internet Data in nondemocracies?” PS: Political Science & Politics 46, no. 2 (2013): 262–270.
[15] Evgeny Morozov, The Net delusion: How not to Liberate the World (Westminster, UK: Penguin Books, 2011).