Echi del maggio catalano nella vicina Aragona
Le conseguenze del Mayo sangriento non si limitano alla Catalogna, ma investono le realtà libertarie dell’intera Spagna repubblicana, dalle collettività rurali e industriali ai gruppi anarchici, specialmente quelli non in linea con le posizioni ufficiali della FAI . Il governo Negrín, in cui è cresciuto il ruolo del PCE , e ancor più il presidente Azaña si apprestano a mettere un freno alle esperienze più avanzate e radicate e quindi meno controllabili.
Il Consejo de Aragón, che malgrado la partecipazione di tutte le componenti antifasciste mantiene un’egemonia CNT – FAI , è uno dei principali obiettivi. Esso è riuscito non solo a coordinare in maniera autonoma la produzione agricola regionale, ma anche a modernizzare i metodi di coltivazione, e ha inoltre osato esportare direttamente dal porto catalano di Tarragona i propri prodotti, dall’olio alle mandorle, importando altri generi non producibili localmente.
La sfida al governo repubblicano di Valencia non può essere più sfacciata. Un Plenum del Frente Popular de Aragón dei primi di agosto del 1937 chiede l’urgente dissoluzione del Consejo e la restituzione delle terre agli antichi proprietari per riportare l’ordine dove, secondo la propaganda anticollettivista, comandano gruppi armati di incontrolados privi di scrupoli. La 11a Divisione agli ordini di Enrique Lister, di stretta osservanza moscovita, viene mandata in Aragona con il pretesto ufficiale di preparare un’offensiva bellica, ma con lo scopo effettivo di dissolvere il Consejo e le collettività rurali. Centinaia di militanti collettivisti sono arrestati e i depositi delle collettività sono occupati e presi in gestione dalle forze politiche avverse all’esperimento.
Lo stesso presidente del Consejo, Joaquín Ascaso, cugino di Francisco caduto nel luglio 1936 e di Domingo ucciso nel maggio 1937, viene arrestato.
L’intervento degli stalinisti sarà rivendicato da Lister nelle proprie memorie, pubblicate negli anni Settanta. Nei mesi successivi tutta l’Aragona diventa una retroguardia molto vicina al fronte, che si estende attorno a Teruel, e la zona è militarizzata a tutti gli effetti. Nel marzo del 1938 giunge il Corpo Truppe Volontarie italiano e tutta l’Aragona cade in mano ai franchisti e ai loro alleati. Un resoconto vivo dell’occupazione dei villaggi già collettivizzati, tra cui la nota Cretas, sarà fornito da Davide Lajolo, al tempo capitano volontario della Divisione Littorio, che ricorda un colloquio con una giovane orgogliosa, malgrado la sconfitta, di aver vissuto quell’esperienza [7].
Nelle altre regioni a produzione agricola collettivizzata il governo, attraverso il ministero competente gestito dai comunisti, conduce una politica di sostegno alla piccola proprietà e di boicottaggio delle collettività, sia direttamente che attraverso l’intervento dell’Instituto de Reforma Agraria. L’evoluzione negativa della guerra, con l’avvicinarsi del fronte e la progressiva militarizzazione dei giovani richiamati alla leva, e dell’intera società rende sempre più ardua la vita delle collettività e ne accelera il declino.
Nel bilancio delle collettività non si possono valutare solo le questioni economiche, peraltro complessivamente positive date le circostanze molto sfavorevoli, bensì va preso in esame anche il loro significato sociale. La crisi delle istituzioni repubblicane, in primis quelle repressive, è stata una conseguenza diretta della risposta popolare al golpe. Senza l’ostacolo dell’apparato poliziesco, in molti villaggi si è prodotta, con modalità più o meno spontanee, una mobilitazione economica, politica e ideale che in contesti precedenti era durata molto poco in quanto subito soffocata dallo Stato. I vecchi legami di subordinazione alle classi dominanti si sono dissolti e, per molti mesi, le classi subordinate, spesso armate, hanno sperimentato forme inedite di autogestione della produzione e dell’intera società, grazie anche alla spinta, o alla pressione, di militanti locali formatisi all’interno dei sindacati, per lo più a Barcellona [8].
Bilanci dei quattro ministri tra fallimenti e realizzazioni
Le riflessioni politiche pubbliche sull’insolita esperienza governativa si svolgono in alcuni incontri, promossi dalla CNT – FAI , nell’estate del 1937 a Valencia. Vi partecipano sia i militanti di base che i quattro leader ex ministri. Nei rendiconti presentati si parte da un punto particolarmente negativo: la fuga del governo da Madrid, il 7 novembre 1936, un paio di giorni dopo la sua nascita.
Secondo García Oliver, la CNT era stata chiamata a far parte di un’istituzione repubblicana che stava fuggendo proprio per evitare proteste e ribellioni da parte dei combattenti madrileni. I ministri libertari si sarebbero opposti a tale scelta, anche secondo la Montseny. Per Peiró invece c’era stato un sostanziale accordo. A ogni modo, quando il corteo governativo era stato fermato all’uscita orientale di Madrid da un gruppo di miliziani, appena tornati dalla sanguinosa battaglia di Sigüenza, l’intervento personale dei ministri CNT – FAI aveva evitato conseguenze più gravi.
Tra i resoconti degli ex ministri, quello di Juan López, assegnato al ministero del Commercio, appare come il più negativo. Nella scelta dei collaboratori riesce a prendere decisioni rapide e qualificate: oltre ad altri militanti cui affida incarichi di rilievo, nomina direttore generale del Commercio interno Horacio Prieto, già segretario della CNT e principale sostenitore della collaborazione istituzionale. In fin dei conti López si sente un apprendista dell’arte del gestire la macchina pubblica e, malgrado qualche decreto contro l’aumento dei prezzi, non riesce a realizzare nessuno degli importanti obiettivi desiderati. Il boicottaggio del ministero delle Finanze, gestito dal socialista di destra Juan Negrín, insieme alle resistenze a livello governativo e burocratico di quanti non vogliono mettere in discussione il sistema capitalista, rendono vani i suoi sforzi di rinnovamento. In realtà López si identifica in pieno con le tre principali finalità perseguite da Largo Caballero: creare l’Ejército Popular, mettere ordine nella vita politica del paese, sconvolta dal golpe, in nome dell’«unità e della disciplina politica», giungere a stabilire per legge una forte «unità economica posta assolutamente al servizio della guerra» [9] . Gli riesce invece, stavolta senza boicottaggi e anzi con vari appoggi, ad aprire un ufficio commerciale spagnolo nell’ URSS , che intensifica gli scambi con lo Stato dominato da Stalin. Concluso l’incarico ministeriale, López parte come portavoce della Repubblica per un giro propagandistico negli Stati Uniti e in Messico. Tornato dopo una lunga assenza, viene eletto, negli ultimi giorni della Repubblica, segretario del Movimiento Libertario ( CNT , FAI , FIJL ). La fine della guerra lo trova in Francia, dove si è recato per una missione, e da qui si dirige verso l’esilio in Messico. (Nel 1967 tornerà in Spagna con l’intenzione di cercare uno sbocco per il sindacalismo libertario, ma lo farà attraverso un’irrealistica collaborazione con elementi «sinceri» del sindacalismo falangista).
Un ex terrorista alla Giustizia
Joan García Oliver sostiene, nel suo bilancio pubblico, di aver realizzato non poche conquiste nei mesi passati da ministro della Giustizia. In un certo senso, si era già trovato in quell’ambiente avendo frequentato a lungo le aule di tribunale come imputato e le prigioni come detenuto. Nelle circostanze scaturite dal 19 luglio 1936, cerca di mettere a frutto gli anni di involontario passaggio dentro il meccanismo giudiziario e il sistema carcerario. Così, il 24 novembre 1936 emana un decreto che prevede la possibilità di difesa diretta da parte dell’imputato a tutti i livelli dell’iter giudiziario, un modo per esautorare gli avvocati, categoria di cui García Oliver diffida profondamente. Poche settimane dopo si occupa di punire chi specula sui bisogni indotti dalla guerra con l’accaparramento dei beni di prima necessità e con il mercato nero. Il 22 dicembre il ministro ex galeotto decide di abolire tutte le condanne penali per reati precedenti il 15 luglio 1936, allo scopo di cancellare la discriminazione classista subita dai condannati a causa delle condanne ricevute in precedenza. In effetti, prima dell’estate 1936, i condannati erano quasi tutti membri delle classi subalterne costretti a delinquere per pure ragioni di sussistenza. Una volta entrati nel circolo punitivo, questi pregiudicati, in realtà «criminali per necessità», ricevevano ulteriori pesanti condanne in base a quelle già accumulate, e il vortice diventava sempre più travolgente e insopportabile. Secondo García Oliver, il suo provvedimento costituisce un passo avanti verso una Spagna proletaria vincente che estromette la Spagna borghese.
A fine gennaio 1937 viene approvata un’amnistia totale che apre ulteriormente le carceri già abbandonate da molti detenuti liberati dalle azioni dirette del proletariato dopo il 19 luglio 1936. Alcune prigioni sono subito demolite, come quella femminile di Barcellona, mentre la documentazione giudiziaria e carceraria è spesso data alle fiamme nelle piazze. Una motivazione per l’amnistia è quella dell’equità territoriale, in quanto non in tutte le regioni repubblicane le porte delle prigioni erano state aperte dall’iniziativa popolare. Una seconda motivazione è quella di dare la possibilità ai detenuti di riscattarsi di fronte alla società inserendosi nelle milizie e contribuendo alla difesa della rivoluzione che li aveva liberati. È il caso, molto noto, della Columna de Hierro. Anche per molti altri militanti anarchici, quasi tutti dei ceti più poveri, la detenzione non era un’esperienza eccezionale bensì normale e a suo modo formativa. Infatti l’alfabetizzazione avveniva di frequente nelle celle dei detenuti più istruiti. Questo era stato il caso di Joan Peiró che, dopo aver scontato una condanna per motivi politici, da analfabeta diventa prima collaboratore e poi perfino direttore, negli anni Trenta, di vari fogli anarcosindacalisti. L’etichetta di «Università proletaria» per le carceri non era una definizione paradossale, bensì reale. Su questo terreno, i prigionieri politici solidarizzavano spesso con i condannati per delitti cosiddetti comuni che consideravano «compañeros de infortunio» [10]. (È peraltro curioso e indicativo che il primo Manifesto diffuso in Spagna nel 1869 dalla Prima Internazionale fosse diretto proprio agli «Hermanos en el Infortunio»).
Un’altra iniziativa nella quale García Oliver si riconosce sempre è quella dei campi di lavoro per detenuti fascisti o sospetti tali. L’idea si accompagna a una politica di relativa umanizzazione della vita nei campi e prevede la possibilità di recuperare forme di libertà attraverso l’educazione. La «coercizione morale» è un’idea libertaria di centrale importanza e costituisce un’alternativa umana alla pura repressione del «criminale». García Oliver difende questi campi, dove si puntava alla «redenzione» del fascista detenuto, ricordando che in ogni caso egli aveva esplicitamente previsto l’abolizione di ogni forma di tortura. La misura dei campi di lavoro si giustifica con una doppia finalità: utilizzare le energie fisiche dei condannati ostili al nuovo regime, nonché sottrarli alle esecuzioni di massa, le sacas, che hanno caratterizzato le prime settimane dopo la sconfitta del golpe. Particolarmente importante nel frenare e poi bloccare le esecuzioni di massa partite dalle carceri madrilene è la determinazione di un nuovo direttore del sistema penitenziario, l’anarchico sivigliano Melchor Rodríguez, nominato il 4 dicembre 1936. Egli ha già sintetizzato il proprio pensiero nella frase: «Si può morire per l’Idea, mai uccidere». In precedenza, per evitare che molti detenuti fascisti, in buona parte militari di professione di basso rango, potessero godere della eventuale caduta della capitale e unirsi alle fila dell’esercito franchista, dalle galere di Madrid erano stati fatti uscire un paio di migliaia di detenuti con la motivazione ufficiale di un trasferimento in carceri più lontane dal fronte. In realtà militari e civili, che avrebbero potuto costituire la Quinta Colonna propagandata dai golpisti, erano stati fucilati nei pressi della città e seppelliti in fosse comuni [11] . Appena nominato, Melchor Rodríguez impedisce, armi alla mano, che si continui nella pratica delle sacas, al punto che i prigionieri antirepubblicani lo definiscono «El Ángel Rojo» [12]. In occasione del primo anniversario della morte di Durruti, che cade il 20 novembre 1937, García Oliver, ex militante dei gruppi di azione e ora anche ex ministro, rivendica le proprie azioni armate dei primi anni Venti in un discorso dai toni perentori ed esaltati che tiene sulla tomba barcellonese del compagno di lotta. All’epoca, secondo le sue parole infiammate, anarchici decisi a tutto avevano vinto nella lotta all’ultimo sangue contro i sicari del padronato, i funzionari di polizia e gli esponenti più in vista del dominio reazionario. Qualche mese prima, a Valencia nel giugno 1937, lo stesso García Oliver ha pronunciato un discorso pieno di orgoglio per il proprio impegno quale ministro della Giustizia. Tra l’altro, la carica che ricopre in quel periodo riguarda direttamente la detenzione di un gruppo di anarchici italiani arrestati, nel febbraio 1937 nei pressi di Valencia, da una pattuglia agli ordini del PCE : sono accusati di essere agenti fascisti e detenuti in un carcere speciale dello stesso partito. La necessità di una soluzione istituzionale a una situazione così rischiosa è talmente evidente ai dirigenti CNT – FAI di Valencia che convincono uno degli arrestati, l’anarchico triestino Umberto Tommasini, a ritornare in carcere dopo essere riuscito a fuggire [13] .
Continua nell’Undicesima Parte
Note al capitolo
[7] D. Lajolo, Il «Voltagabbana». Una vita intensamente vissuta alla ricerca della libertà, Mondadori, Milano, 1976.
[8] L’analisi più robusta è ancora quella di W. Bernecker, Colectividades y revolución social, Crítica, Barcelona, 1982. Per una rassegna si veda C. Venza, Il sogno collettivista, «Spagna contemporanea», a. 1, n. 1, 1992.
[9] D. Marín, Ministros anarquistas. La CNT en el Gobierno de la II República: 1936-1939, Random House-Mondadori, Barcelona, 2005, pp. 229-230.
[10] Ivi, p. 215.
[11] J. Casanova in S. Juliá (cur.), Víctimas de la guerra civil, Temas de hoy, Madrid, 1999.
[12] È uscita da poco una biografia romanzata di A. Domingo, El ángel rojo, Almuzara, Córdoba, 2009.
[13] C. Venza (cur.), Umberto Tommasini. L’anarchico triestino, Antistato, Milano, 1984, pp. 368-369.