Il movimento anarchico e la guerra civile spagnola – Settima Parte

Sesta Parte

Membri di Mujeres Libres. Fotografia realizzata dalla Federación Local de Mujeres Libres di Barcellona. Da sinistra a destra: Conchita Liaño, Eugenia, Jacinta Escudero, María Carrión, Mercedes Comaposada, Juanita Storach, Pura Pérez, Felicidad, Suceso Portales, Felisa Castro, Lucía Sánchez Saornil, Encarnación Navarro, Apolina de Castro, Mª Teresa Hernández e Soledad Storach.

Mujeres Libres: l’avvio di una nuova società liberata

Mujeres Libres (ML) è la forma organizzata più importante che assume il processo di liberazione femminile all’interno della prospettiva anarchica. Già ai tempi della Prima Internazionale, il congresso di Saragozza del 1872 aveva dichiarato l’importanza della donna nell’impegno rivoluzionario e libertario. Due risoluzioni della sezione spagnola dell’Internazionale erano eloquenti:

[…] la donna è un essere libero e intelligente e come tale responsabile dei propri atti, così come l’uomo; poiché questo è un dato di fatto è necessario metterla in condizioni di libertà affinché sviluppi le proprie facoltà. E ancora: Se si relega la donna esclusivamente alle faccende domestiche, la si sottomette alle dipendenze dell’uomo, e pertanto ciò significa toglierle la propria libertà [8] .

Le dichiarazioni di principio e l’affermazione che l’indipendenza economica è un elemento prioritario per l’emancipazione non bastano a risolvere il problema della partecipazione marginale delle donne al movimento nel suo complesso. Per questo motivo si apre, durante la Seconda Repubblica, un dibattito sul tipo migliore di organizzazione per facilitare la presenza e la visibilità femminile. La maggioranza degli interventi sostiene che sia sbagliata la formazione di una struttura di sole donne in quanto l’unica via per la emancipazione passerà, come per gli uomini, attraverso una rivoluzione sociale che avrebbe permesso a tutti e a tutte di vivere liberi e libere. Tale è, ad esempio, la posizione di Federica Montseny, la militante più nota. Un insieme di gruppi, a Madrid e a Barcellona, dichiarano invece l’utilità di un’organizzazione separata, autonoma e specializzata. Perciò nasce, nell’aprile 1936, il movimento Mujeres Libres ( ML ) e una rivista omonima. Di questa escono irregolarmente tredici numeri, di cui l’ultimo nell’autunno del 1938, in un momento in cui le speranze di vittoria bellica si sono ridotte di molto o sono scomparse del tutto.

In parte ML , che non raccoglie comunque tutte le militanti anarchiche, trova una propria base di riferimento nella lunga tradizione del movimento libertario che valorizza le potenzialità dei singoli per «agire al di fuori di ogni coercizione e gerarchia» [9] . L’opzione verso l’autonomia organizzativa, che si fonda su una scelta separatista, pur senza definirsi femminista, è vista con poco favore da molti attivisti e leader della CNT – FAI . L’omogeneità e la coerenza con i principi dell’anarchismo organizzato e, al tempo stesso, la volontà di critica e di parziale rottura segnano la storia delle ML dal 1936 al 1939. Il loro piano di azione è chiaro fin dall’inizio e si può riassumere in due parole chiave: capacitación e captación.

Il primo concetto, al quale corrisponde l’inglese empowerment, si riferisce all’autoformazione delle aderenti che partecipano a corsi teorici e pratici di attività libertaria. In tal modo ci si propone di mutare le tiepide simpatizzanti con qualche idea libertaria in attiviste convinte e preparate, cioè in grado di promuovere e organizzare altri gruppi di donne. È una forma particolare di «lavoro politico» su se stesse volto a potenziare le capacità innate inserendole in un più ampio contesto sulla base di una maturazione sia psicologica che professionale. Il secondo termine rinvia invece al tradizionale proselitismo che, logicamente, non vale solo per le organizzazioni libertarie femminili.

Malgrado la considerevole novità del progetto, per così dire anarco-femminista, occorre tener conto che le ML seguono un filone teorico per vari aspetti tradizionale. Ad esempio accettano la «natura femminile» e non mettono in discussione i ruoli di genere e la relativa divisione del lavoro che è all’origine di molte situazioni di emarginazione. In altri ambiti libertari, in Spagna e in Francia, si è già aperta una discussione sui modelli familiari e sul controllo delle nascite, temi che non paiono affrontati da ML .
Tra le esponenti di punta si possono citare alcuni casi significativi.
Ad esempio Mercedes Comaposada che, pur essendo andata a lavorare in fabbrica a dodici anni, si dedica tenacemente agli studi e riesce a diventare avvocata, mettendo così al servizio del movimento libertario la propria attività professionale. O ancora Lucía Sánchez Saornil, prima impiegata e poi scrittrice e poetessa, che diventa segretaria della Federación Nacional de Mujeres Libres. Entrambe hanno insegnato nei corsi di istruzione elementare per operai e operaie, promossi dalla CNT di Madrid nei primi anni Trenta, e insieme decidono di tenere corsi separati per donne allo scopo di evitare che i pregiudizi e la misoginia penalizzino l’apprendimento femminile. A esse si unisce Amparo Poch, una delle prime donne laureate in medicina nella storia spagnola, che si impegna a diffondere la coscienza delle caratteristiche peculiari della vita sessuale femminile.
A Barcellona, negli stessi anni, muove i primi passi un gruppo culturale femminile interno alla CNT che cerca di favorire, con soluzioni concrete, la partecipazione delle donne alle attività sindacali. Così nascono gli asili a domicilio per le madri che intendono partecipare alle assemblee e alle riunioni degli organi sindacali catalani. Nella metropoli mediterranea agiscono donne intraprendenti come la maestra razionalista Pilar Grangel o la più giovane Concha Liaño, particolarmente sensibile al recupero della dignità femminile attraverso i Liberatorios de prostitución. Dall’incontro dei gruppi delle due città più importanti sorge la Federación Nacional de Mujeres Libres ( ML ) sulla base di affinità di vedute e volontà di collaborazione. Lo statuto della federazione precisa che la finalità è di «rendere capace la donna e di emanciparla dalla triplice schiavitù alla quale è stata e continua a essere sottomessa: schiavitù dell’ignoranza, schiavitù di donna e schiavitù di lavoratrice» [10] .

Per quanto decisamente schierata per la parità completa tra i sessi, ML accetta il ritiro delle miliziane dal fronte a partire dall’autunno 1936. Le motivazioni rimandano a un’asserita maggiore capacità delle donne nelle mansioni di retrovia, dall’assistenza alla cura, al loro scarso addestramento militare e ai pericoli di malattie veneree derivanti dalla presenza di prostitute. Le Brigadas de Trabajo sono la cornice nella quale vengono organizzati, su basi autogestite, i gruppi di ML , i quali prepareranno centinaia di donne ad assumere lavori tradizionalmente svolti dagli uomini, dalla metallurgia alla conduzione dei mezzi pubblici.
Per quanto riguarda la guerra e la propaganda bellica, le donne libertarie organizzate si orientano verso la diffusione di parole d’ordine non facili come quella di «guerra pacifista». A tal proposito affermano:

Lottiamo proprio per la pace nel mondo, perché lottiamo contro il fascismo che fa della guerra la sua dottrina, la sua tattica, il suo mezzo potente di ricatto internazionale [11].

Il rigetto di stereotipi militaristi, sessisti e razzisti è ben presente nella propaganda di ML che critica apertamente slogan come «Madrileni, non permettete che le vostre donne siano violentate dai mori!».
Tale appello propagandistico agli istinti primordiali è considerato inaccettabile, così come la riduzione della donna a pura vittima passiva e non più soggetto attivo della lotta in corso. Nel dicembre 1936 si ribadisce al combattente libertario che «la guerra per la guerra è una mostruosità: tieni sempre presente che se combatti è per un’idea» [12] .

Un altro punto caratteristico riguarda l’educazione dei bambini e delle bambine, insieme all’impegno a proteggerli dai danni morali e materiali del conflitto in corso. Contro le spinte verso la militarizzazione dell’infanzia si proclama che «i bambini non possono, né devono essere cattolici, né socialisti, né comunisti, né libertari. I bambini devono semplicemente essere ciò che sono: bambini» [13] .
Nell’ottobre 1938, ML presenta al Plenum che si tiene nella capitale catalana la richiesta di aderire al Movimiento Libertario. L’intenzione è di essere considerata la quarta componente del movimento, oltre a CNT , FAI e FIJL , pur mantenendo una certa autonomia necessaria per aprire le proprie fila alle donne sensibili, ma non ancora schierate ideologicamente. La richiesta viene respinta in quanto si ritiene che un movimento di sole donne sia incompatibile con il modello organizzativo anarchico, che prevede l’eguaglianza tra i sessi. Malgrado ciò, ML può contare sulla solidarietà di vari gruppi locali della CNT e di alcuni organi di stampa per continuare a pubblicare la rivista e a svolgere i tanti impegni assunti.

In un bilancio di questo originale movimento bisogna valutare il fatto che, oltre alla formazione delle militanti, la sua azione consisteva nell’educazione e nell’assistenza e appoggio allo sforzo bellico. In tale ambito sembra – stando alle fonti non troppo abbondanti, per lo più di provenienza interna – che gli obiettivi siano stati raggiunti. La creazione di una sorta di «donna nuova», cosciente e decisa, preparata e protagonista, è di difficile stima quantitativa, ma vari studi ritengono che si possa valutare un’adesione tra le 20.000 e le 30.000 partecipanti. In ogni caso la cornice della guerra, scoppiata a pochi mesi dalla nascita del movimento, nonché la breve durata dell’esperienza, traumaticamente interrotta dalla vittoria franchista, non permettono di giudicare esattamente il peso, nel complesso non marginale, di ML sulla condizione femminile spagnola.

«Anarcomilitaristi»?
Le riflessioni di Cipriano Mera, favorevole alla militarizzazione come inevitabile «male minore» e logica conseguenza del «circostanzialismo politico» praticato dai vertici della CNT – FAI , partono dall’ennesimo decesso «dei compagni più capaci» per approdare, forse in modo non immediatamente collegabile, alla considerazione che «non potevamo continuare a operare a capriccio», per cui si doveva «porre fine alle azioni disordinate e obbedire a un piano di guerra» [14].

Il limite dell’autodisciplina è ritrovato, dall’esperto attivista sindacale e politico, nell’elementare istinto di sopravvivenza, che non può soggiacere al senso di «responsabilità militante» richiesto dall’Organizzazione (che lui cita spesso con la maiuscola). Gli anarchici spagnoli, dopo decenni di lotte e di preparazione, nel momento delicato e inevitabile della guerra dimostrano di avere «anche troppa volontà», ma poco «senso della realtà». Dopo pochi giorni lo stesso Mera compie un’insubordinazione per realizzare un’operazione da lui ritenuta indispensabile. L’atto di disobbedienza si dirige contro un colonnello, suo superiore, un attendista che viene apostrofato in questi termini:

A lei non interessa vincere la guerra. La guerra non verrà vinta a base di tranquillità, come lei desidera. Se lei vuole vivere tranquillo, chieda di ritirarsi o se ne vada in un ufficio dove il nemico non possa avvicinarsi nemmeno per telefono [15] .

L’urgenza di una scelta adatta alle circostanze belliche si rivela superiore al principio della disciplina, pur invocato da Mera. Eduardo Pons Prades, militante della CNT catalana nel ramo della Madera (legno), oltre che membro del Partido Sindicalista, a 18 anni è già un giovanissimo sottufficiale istruttore, oltre a combattere in varie battaglie con una Brigata Mixta. Com’è prevedibile, nelle sue memorie di guerra, uno dei suoi tanti libri, si qualifica come «soldado de la República» e riproduce spesso la sua fotografia in divisa militare. Anche per lui è scontata l’accettazione della militarizzazione delle milizie [16].

Sicuramente la valutazione di molti altri protagonisti libertari – da José Peirats ad Abel Paz, da Vernon Richards a Gaston Leval – va nel senso opposto: l’aver accettato la militarizzazione è stato un errore enorme, collegato a quello della collaborazione governativa. Non solo non ha rafforzato le formazioni armate della CNT – FAI , ma le ha inserite in un meccanismo istituzionale di tipo tradizionale nel quale il loro margine di autonomia si è ridotto a zero. L’aver ignorato il sentimento antimilitarista della base sindacale e politica ha comportato un indebolimento dell’entusiasmo rivoluzionario, cioè di quell’elemento che avrebbe potuto contrastare il progressivo declino del peso libertario e il deterioramento della situazione spagnola nel suo complesso.

L’ipotesi guerrigliera
Collegato, in qualche maniera, con la questione scottante della militarizzazione è il tema della possibile guerriglia quale metodo più efficace di condurre la lotta armata. A suo favore si schierano, nel dibattito dell’epoca, alcuni esponenti della CNT – FAI tra i quali García Oliver. Vi sono non pochi riferimenti storici, dentro e fuori della Spagna, che rendono credibile tale modello organizzativo e di azione, a partire dai gruppi di popolani che nel 1808 praticarono per primi la guerrilla contro gli invasori francesi (qui nacque lo stesso termine militare, usato per «piccola guerra irregolare»), sconvolgendone i piani di battaglia e costringendoli infine alla ritirata. È inoltre viva la memoria della straordinaria, per quanto perdente, esperienza dei maknovisti in Ucraina, le cui formazioni si dissolvevano nei villaggi rurali dopo lo scontro per ricostituirsi poco dopo prendendo alle spalle il nemico.

L’ipotesi guerrigliera, con azioni di sabotaggio e di attacco dietro le linee franchiste, è affrontata, ma con relativa convinzione, dagli organismi della CNT – FAI durante il 1937. Questa sembra più coerente con i principi e l’identità anarchica in quanto può attribuire alle singole unità una grande libertà di azione e rende meno necessaria e ossessiva la tendenza al comando unico. Oltretutto, l’apertura di una lotta da condurre nelle montagne sarebbe stato il modo concreto per utilizzare a fini bellici le migliaia, o decine di migliaia, di uomini dai sicuri sentimenti antifascisti scappati dai loro villaggi per evitare la repressione e rifugiatisi nelle catene montuose di mezza Spagna. Uno degli obiettivi delle azioni al di là del fronte è quello di liberare i detenuti che sono in attesa del plotone di esecuzione e dar loro la possibilità di partecipare ancora alla lotta. Questa finalità viene raggiunta in un paio di casi, così come si compiono azioni giustiziere contro falangisti particolarmente duri nelle violenze contro i civili dei villaggi occupati. L’iniziativa non pare estranea agli stessi comandi dell’Ejército Popular, che addestra un corpo di guerriglieri, il 14° Battaglione, per questi scopi. È chiaro che si tratta non di una scelta strategica ma di un modesto esperimento inserito nella guerra tradizionale, che si svolge in trincea, con attacchi, difese, avanzate o ritirate in formazioni più o meno massicce.

L’evoluzione della guerra, con le vittorie quasi costanti dell’esercito golpista (la sconfitta, più fascista italiana che franchista, di Guadalajara del marzo 1937 è un’eccezione) spinge i vertici militari e politici repubblicani, che già avevano un progetto simile, verso una ristrutturazione quanto più possibile regolare e tradizionale, cioè completamente militarizzata e con una disciplina gerarchica. Gli stessi organismi della CNT – FAI sembrano poco inclini verso lo sviluppo su larga scala dell’iniziativa guerrigliera e nel giro di qualche mese l’alternativa alla guerra frontale e classica viene accantonata. D’altra parte, l’eventuale frantumazione dei fronti, con lo sconvolgimento totale della vita nelle retrovie, avrebbe inevitabilmente avuto contraccolpi negativi su un altro dei terreni della rivoluzione libertaria: le collettività contadine.

Continua nell’Ottava Parte

Note al capitolo
[8] R. Merighi, Mujeres Libres. Un’esperienza di femminismo libertario, Quaderni di donne & Ricerca, Torino, 2004, pp. 7-8. In ogni caso lo studio di riferimento, per le miliziane e non solo, è M. Nash, Rojas. Las mujeres republicanas en la Guerra Civil, Taurus, Madrid, 1999. Con un’ottica militante femminista, M. Ackelsberg, Mujeres Libres. Attualità delle lotte delle donne anarchiche nella rivoluzione spagnola, Zero in condotta, Milano, 2005.
[9] R. Merighi, Mujeres Libres…, cit., p. 9.
[10] Ivi, p. 20.
[11] Ivi, p. 41.
[12] «Mujeres Libres», XXI Semana de la revolución, dicembre 1936.
[13] L. Sánchez Saornil, Otra vez y mil veces más. ¡Los niños!, in Horas de revolución, Sindicato Único del ramo de la Alimentación, Barcelona, 1937, p. 22.
[14] C. Mera, La rivoluzione armata in Spagna: memorie di un anarcosindacalista, La Fiaccola, Ragusa, 1978, p. 50.
[15] Ivi, p. 51.
[16] E. Pons Prades, Un soldado de la República, G. Del Toro, Madrid, 1974.

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