Tra il 17 e il 18 Luglio 1936 un gruppo di alti ufficiali spagnoli (Mola, Franco, Varela, Queipo de Llano e altri) iniziarono quello che sarebbe passato alla storia come “Alzamiento Nacional”, un’insurrezione nazionalista contro il governo del “Fronte Popolare”.
Nonostante il governo avesse spostato i vari ufficiali dell’esercito da una parte all’altra della Spagna, questi, diretti dal generale Emilio Mola, riuscirono a coordinarsi ed iniziarono il golpe.
In meno di quarantotto ore, gli insorti controllavano un terzo del territorio spagnolo, iniziando nelle zone di occupazione una violenta repressione contro militanti politici di sinistra e anarchici, oltre che contro quei militari fedeli al governo repubblicano.
Da questo punto in poi, in Spagna, iniziava una guerra civile dove, da un lato vi sarebbero stati i militari e i loro alleati monarchici (i carlisti) e stranieri (italiani e tedeschi) e, dall’altro, i gruppi di sinistra, sindacalisti e anarchici insieme ai repubblicani e solidali provenienti dall’estero.
I testi che presenteremo sono tratti dai capitoli III, IV, V e VI del libro di Claudio Venza, “Anarchia e potere nella guerra civile spagnola (1936-1939)”, pubblicato da Eleuthera nel 2009. Storico, nonché compagno anarchico della Federazione Anarchica Italiana, Venza ricostruisce la situazione spagnola partendo dal 1868 (con l’arrivo di Giuseppe Fanelli in Spagna) per spiegare come il movimento anarchico spagnolo si fosse ben radicato nel tessuto sociale locale.
Il tentativo del golpe militare trovò una pronta risposta in varie parti della Spagna da parte della popolazione.
I militanti della CNT-FAI ebbero il merito e il pregio di mettere in pratica i principi di collettivizzazione e autogestione dei campi, dei trasposti e delle fabbriche in modo ben diverso rispetto alle modalità adottate dal regime sovietico durante e dopo la guerra civile russa. Oltre a questo, a livello culturale, il movimento Anarchico, dove era maggiormente presente, ruppe definitivamente con un passato oscurantista clericale, patriarcale e borghese, puntando alla creazione di centri di studi (gli “Ateneos Libertarios”) e di gruppi di difesa della donna (“Mujeres Libres”)
La collaborazione con la Repubblica, come spiega Venza, non venne accolta di buon grado dai e dalle militanti dell’epoca. Checché ne possano dire una serie di detrattori comunisti internazionalisti – con in testa Bordiga e i suoi -, o i servi delle dittature fasciste e staliniste,non si possono ignorare (o buttare via) la resistenza armata e gli esperimenti sociali, economici e culturali iniziati e portati avanti in fase di guerra.
L’operazione di Venza è questa: ricostruire un percorso storico ben preciso, “con le sue luci e le sue ombre” ricostruendo i limiti dati dalla guerra e i pregi delle azioni fatte dai compagni e dalle compagne dell’epoca.
III. Breve ma calda l’estate del 1936
Una stagione inedita
Il 19 luglio 1936, il primo giorno della risposta popolare vincente sul golpe in molte città, rappresenta una svolta epocale nelle vicende dell’anarchismo spagnolo. Prima di quella data, il movimento è costituito da una struttura sindacale fondata sull’azione diretta, la CNT , e da un’organizzazione specifica con obiettivi politici esplicitamente rivoluzionari, la FAI . Dopo quella data, il movimento libertario è una realtà importante, anzi in crescita, ma meno indipendente. Esso è compartecipe di uno sforzo enorme, la lotta armata contro i golpisti, che coinvolge entità antifasciste molto diverse da quelle libertarie e perfino parti di istituzioni regionali e statali. Così la CNT – FAI , spesso un’unica sigla a partire dal 19 luglio, cambia radicalmente i parametri di comportamento e le prospettive politiche e teoriche. Bloccare il golpe, che secondo le previsioni dei generali felloni, a capo di una parte rilevante delle forze armate, non avrebbe trovato ostacoli seri, è un’impresa rischiosissima non solo per chi imbraccia le armi. Di fatto è coinvolta, e stravolta, dalla guerra civile tutta l’impostazione tradizionale della confederazione sindacale e della federazione politica. Il nuovo scenario bellico è molto diverso, e sicuramente più arduo, di qualsiasi piano precedentemente discusso e valutato nei congressi locali e nazionali. I militanti della CNT e della FAI combattono nelle strade di molte città insieme a settori lealisti dei vecchi nemici – Guardias de Asalto e Guardia Civil – contro i militari rivoltosi e i loro complici falangisti e carlisti. L’orgogliosa separatezza – o il settarismo, secondo i critici – degli attivisti e dei simpatizzanti libertari viene messa da parte, così come viene messa tra parentesi la propria identità: si entra in un fronte più ampio e politicamente complesso e contraddittorio. È questa alleanza «contro natura» che permette di battere il golpe in quasi tutti i centri urbani più importanti.
A Madrid, tre governi nominati da Azaña si susseguono freneticamente. Tutti e tre tentano più volte di accordarsi con i generali ribelli, offrendo persino posti di responsabilità ministeriale, ma ottengono solo netti rifiuti. I militari golpisti ritengono di poter occupare, nel giro di poche ore, le sedi del potere politico e dei mezzi di comunicazione e quindi di sgominare eventuali resistenze popolari. Una parte non trascurabile di soldati e ufficiali resta però fedele al governo del Frente Popular e molti militari non rispondono all’appello degli insorti, anche per la generale confusione di ordini e contrordini. In questo contesto le organizzazioni sindacali, che dispongono di migliaia di uomini pronti alla battaglia, svolgono un ruolo di grande rilievo ottenendo, sia pure con ritardo, che un governo debole e ormai senza possibilità di scelta consegni loro le armi. Un epico assalto alla caserma madrilena della Montaña, dove si sono asserragliati centinaia di ufficiali golpisti, pone fine alle illusioni e alle vite dei congiurati. A Valencia i comandanti militari sono incerti sull’avvio di scontri armati contro le due agguerrite forze sindacali, la CNT e la UGT . Inoltre la stessa CEDA cittadina è incerta sul da farsi e quindi manca l’appoggio alla ribellione delle organizzazioni di destra che altrove sono determinanti.
A Bilbao, la seconda città industriale del paese, i militari sanno di non poter sperare nel favore della popolazione pur se in maggioranza cattolica e conservatrice. Al di là di precisi riferimenti ideologici, l’elemento che pesa di più, anche tra le classi medie basche, è la volontà di autonomia regionale, e a questo proposito i militari e le destre sono stati assai espliciti nel proclama dell’Alzamiento: nessuna autonomia.
A Barcellona, celebre roccaforte anarcosindacalista e sede della Generalitat, un governo autonomo dotato di proprie forze di polizia, il braccio di ferro inizia la mattina del 19 luglio con l’ingresso nei quartieri centrali di colonne militari provenienti dalle caserme di periferia. Il comandante dell’operazione è il generale Manuel Goded, considerato un eccellente stratega, che sta per giungere in volo dalle Baleari. Nel giro di poche ore alcune migliaia di militanti anarcosindacalisti, insieme alle truppe rimaste fedeli al governo e a contingenti di Guardia Civil e di Guardias de Asalto, riescono a bloccare la conquista del centro cittadino da parte delle truppe ribelli. Sorgono numerose barricate a opera dei gruppi libertari rionali e si mobilita l’intera organizzazione con la sua vasta area di simpatia e di solidarietà. I leader più popolari – los hombres de acción, come García Oliver, Durruti, Ascaso – sono in prima fila nei combattimenti e mostrano chiaramente quale sia la posta in gioco in quelle ore e in quei giorni.
Nell’assalto all’ultima caserma ribelle che resiste, quella di Atarazanas (o Drassanes, in catalano), ai piedi della Ramblas e vicino al porto, viene ucciso Ascaso, da sempre compagno di Durruti in tante imprese rischiose considerate eroiche da molti proletari. Sarà un bombardamento di artiglieria e aereo, condotto quest’ultimo da alcuni aviatori leali alla Repubblica, a far arrendere l’ultima guarnigione ribelle. Al suo arrivo all’aeroporto di Prat de Llobregat, il generale Goded, presunto condottiero della conquista di Barcellona, viene arrestato. Processato pochi giorni dopo, viene fucilato per alto tradimento. L’esecuzione avviene nel castello di Montjuïc, lo stesso che aveva visto le torture di centinaia di anarchici a fine Ottocento e la fucilazione del maestro Ferrer, la cui memoria è più che mai viva nel 1936.
Un vertice controverso e un Comité tuttofare
Il panorama frammentato della Spagna dopo il semifallito golpe permette di riflettere meglio sui problemi che si pongono alle organizzazioni anarcosindacaliste e anarchiche. Il quadro non appare caratterizzato, come spesso si è scritto e ribadito [1] , da una netta egemonia libertaria, nemmeno ammettendo che l’incontro di Barcellona del 20 luglio 1936 tra Companys, presidente della Generalitat, e la delegazione anarchica si sia effettivamente svolto come lo ha raccontato nelle sue memorie uno dei protagonisti, l’orgoglioso e polemico García Oliver. Vale la pena di riportare tale descrizione che ha rappresentato in molte occasioni la prova di un indiscutibile riconoscimento della supremazia libertaria. La rappresentanza della CNT è formata dai membri del Comité de Defensa Confederal de Cataluña tra cui Aurelio Fernández, Durruti e lo stesso narratore, che cita pure la presenza, a lui poco gradita, di Diego Abad de Santillán del Comité Peninsular de la FAI .
Scrive García Oliver:
“Companys riconobbe che noi soli, gli anarcosindacalisti barcellonesi, avevamo vinto l’esercito ribelle. Dichiarò che mai ci era stato riconosciuto il trattamento che meritavamo e che eravamo stati ingiustamente perseguitati. Disse che ora, padroni della città e della Catalogna, potevamo scegliere tra accettare la sua collaborazione o mandarlo a casa. Se tuttavia ritenevamo che poteva essere utile alla lotta, che, terminata in città, non lo era nel resto della Spagna, potevamo contare su di lui, sulla sua lealtà di uomo e di politico. Si diceva convinto che quel giorno moriva un passato di vergogna e si augurava sinceramente che la Catalogna marciasse alla testa dei paesi più avanzati in materia sociale. Data l’incertezza del momento che si viveva nel resto della Spagna, molto volentieri, in quanto presidente della Generalitat, era disposto ad assumersi tutte le responsabilità affinché un organismo di lotta unitario, che poteva essere un Comité de Milicias Antifascistas, prendesse la direzione della battaglia in Catalogna. Cosa che si poteva fare immediatamente poiché, come aveva fatto con noi, egli aveva convocato in una sala contigua tutti i rappresentanti dei partiti e dei movimenti antifascisti, che si erano già dichiarati disponibili” [2] .
Secondo altri testimoni e altri storici l’incontro sarebbe avvenuto in termini diversi e senza questa indiscussa egemonia cenetista. Ovviamente il responsabile della polizia della Generalitat, Francesc Escofet, sostiene nelle sue memorie di aver comunicato a Companys una valutazione ottimistica dell’efficienza dei militari e dei poliziotti fedeli alla Generalitat e alla Repubblica: senza gli anarchici avrebbero comunque sconfitto i ribelli, «anche se lo sforzo sarebbe stato naturalmente maggiore» [3]. Va tuttavia considerato che Escofet difficilmente avrebbe potuto scrivere alcunché di diverso in quanto massimo responsabile del braccio armato della Generalitat.
Dopo qualche trattativa e una rapida consultazione all’interno della CNT , i delegati anarcosindacalisti accettano di entrare nella nuova struttura: il Comité de Milicias Antifascistas. Questa etichetta inventata permette all’anarchismo barcellonese di non cadere in una delle due contraddizioni che gli si parano davanti: quella etica e quella politica. Se avesse seguito la linea di García Oliver, quella di «ir a por el todo», avrebbe dovuto imporre una sorta di «dittatura anarchica», alquanto paradossale, sulle altre componenti del fronte antifascista. Se avesse lasciato completamente sgombro il terreno del potere politico e si fosse ritirato nelle proprie organizzazioni e nei propri ambienti sociali, avrebbe fatto un regalo a quelle forze che avevano partecipato agli scontri in una misura, secondo García Oliver, ridotta. La CNT aveva invece contribuito con centinaia di militanti morti nelle giornate del 18-19 luglio nella capitale catalana, e questo fatto costituiva un punto di forza, come sostiene Cesar M. Lorenzo, per rivendicare forme di partecipazione alla gestione della società e delle istituzioni. La nascita del Comité ha quindi offerto, secondo lo stesso autore, un’onorevole via d’uscita dalla imbarazzante questione istituzionale e, più in generale, politica [4] .
Il Comité comprende, oltre alla CNT – FAI , rappresentanti dell’ampio ventaglio delle forze antigolpiste, dalla Esquerra catalana di Companys alla UGT , dal POUM al neonato Partit Socialista Unificat de Catalunya ( PSUC ) e a formazioni autonomiste minori. Le proporzioni non rispettano l’effettivo potere di ognuno, ma rispondono al vivo desiderio di unità contro i militari insorti. Si verifica qui un incontro di rilievo storico eccezionale fra le tre tendenze ideologiche presenti nelle formazioni antifasciste spagnole: l’anarchismo, il marxismo e il repubblicanesimo.
I compiti del Comité de Milicias Antifascistas vanno ben al di là dei problemi militari e di una supervisione politica. Esso svolge molteplici funzioni: dalla ricostituzione di un minimo di amministrazione pubblica al rifornimento alimentare di una metropoli con 1.000.000 di abitanti, dai servizi sanitari alla propaganda del nuovo ordine e al mantenimento dello stesso, dai contatti con la categoria dei tecnici per farli cooperare con la nuova economia alla riconversione delle fabbriche in industrie di guerra, dalla spinta alla coltivazione di tutta la terra disponibile ai rapporti con il governo di Madrid, dalla vigilanza delle coste al sussidio per le famiglie dei miliziani.
Di importanza non secondaria, tra le urgenze da risolvere a Barcellona, è l’indispensabile prevenzione e punizione degli atti ingiustificati di esproprio e violenza. Alcuni gruppi di malavitosi, attivi nella città vecchia alle spalle del porto, pensano di poter approfittare della crisi dei tradizionali organi di polizia per agire secondo i propri metodi e interessi. Di fronte al moltiplicarsi di tali episodi e al pericolo di una degenerazione della rivoluzione in caos armato su grande scala, il Comité decide di intervenire bruscamente e senza titubanze. Si sente anche il bisogno di rispondere con i fatti alle voci messe in giro da ambienti politici interessati a presentare gli anarchici come incontrolados.
Ricorda Peirats che
“diversi elementi della CNT , colpevoli di abusi, furono fucilati per ordine della Confederaci ón sul luogo del reato; alcuni di essi erano militanti di rilievo. Questo è il caso di José Gardeña, del ramo dell’edilizia di Barcellona, e di Fernández, presidente del Sindicato de Alimentación, che avevano un curriculum rivoluzionario notevole, ma che non furono capaci di superare un momento di confusione e di debolezza” [5] .
L’uso appropriato delle armi ha l’obiettivo immediato di liberare la città da chi ha appoggiato le truppe ribelli e può costituire un pericolo: dai militari al clero, dai falangisti ai carlisti. In questo ambito si sviluppa una lotta anticlericale violenta che si basa sia su ragioni storiche che su motivi contingenti: la collaborazione, vera o presunta, di esponenti del clero con gruppi di golpisti. Nelle prime settimane si moltiplicano gli assalti agli edifici religiosi e si perseguono, in molte località, gli ecclesiastici sospettati di simpatie o attività filogolpiste. L’impeto anticlericale porta all’uccisione, soprattutto in Catalogna, di migliaia di religiosi e alla trasformazione delle chiese, particolarmente nei villaggi aragonesi, in strutture civili di uso collettivo. Le violenze sono opera di esponenti di tutte le tendenze antifasciste, o anche di nessuna, e rispondono al diffuso bisogno di colpire uno dei pilastri tradizionali della reazione, al di là dell’esplicito appoggio al golpe. Che verrà ufficialmente dichiarato più tardi [6] .
In fin dei conti si tratta di non tollerare quella che, prima a Madrid ma poi ovunque, viene definita la Quinta Colonna, cioè una serie di gruppi antirepubblicani che aspettano l’arrivo delle quattro colonne guidate dai generali ribelli. Questi ultimi dichiarano subito che, oltre alle loro quattro colonne che da lì a poco sarebbero entrate nella capitale, esistono propri sostenitori, appunto la Quinta Colonna, pronti a insorgere. Tale affermazione è uno dei motivi delle sacas, i prelievi dalle carceri di Madrid dove sono rinchiusi i militari filogolpisti sopravvissuti agli scontri dei primi giorni.
Anche a Barcellona la lotta alla Quinta Colonna determina un tipo di giustizia popolare sommaria che solo dopo alcune settimane assumerà la forma dei Tribunales Revolucionarios. Prima viene usato un metodo molto sbrigativo, approssimativo e talvolta arbitrario: il paseo (passeggio).
Questo termine sarcastico definisce il prelievo senza ritorno effettuato da gruppi armati nelle abitazioni di elementi sospettati di simpatie o azioni filogolpiste, in teoria su indicazione di apposite strutture informative del Comité. Il metodo della limpieza (pulizia) era già stato impiegato, in forma più sistematica e in misura molto più pesante, nelle retrovie dei territori sotto il potere dei generali golpisti. Secondo De Santillán, che ne è parte attiva, «il Comité de Milicias è allo stesso tempo un ministero della Guerra in tempo di guerra, un ministero degli Interni e un ministero degli Affari Esteri, ed è l’ispiratore di organismi simili sul versante economico e culturale» [7] .
La condizione informale e instabile del Comité, la sua improvvisazione e la sua estrema fluidità sono confermate dal fatto che le riunioni si svolgono per lo più a mezzanotte in quanto durante il giorno i suoi componenti hanno mille compiti differenti da svolgere. Questa collaborazione con i partiti autoritari in nome delle urgenze della guerra antifascista suscita, all’interno degli ambienti libertari, discussioni accese che non termineranno con il 1939. A ogni modo, tra il 20 e il 21 luglio si tengono riunioni, ovviamente improvvisate, degli organi di coordinamento della CNT che avallano la scelta di far parte del Comité in posizione di relativa minoranza, mentre il potere di fatto en la calle (nella strada) vede la prevalenza degli anarcosindacalisti. La conquista dello spazio urbano, non solo a Barcellona, è un indice dei rapporti di forza tra potere istituzionale e anarchismo operaio e popolare [8] .
Il 10 dicembre 1931, qualche mese dopo la nascita della Seconda Repubblica e di fronte alle tensioni in atto in quel periodo, il periodico anarchico «Cultura y Acción» di Saragozza aveva già proclamato che «se loro hanno la forza in un ministero, la nostra è nella strada e nella ragione». Il riferimento alla «ragione» rinvia al grande impegno profuso per giungere «a la revolución por la cultura» [9] grazie a una socializzazione e a una formazione sviluppate all’interno delle proprie strutture.
Note al capitolo
[1] G. Berti, Il pensiero anarchico dal Settecento al Novecento, Lacaita, Manduria, 1998, pp. 829-856.
[2] J. García Oliver, El eco de los pasos, Ruedo Ibérico, Barcelona, 1978, p. 176.
[3] G. Ranzato, Eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini. 1931-1939, Bollati Boringhieri, Torino, 2004, p. 288.
[4] C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles y el poder, 1868-1969, Ruedo Ibérico, París, 1972, pp. 82-84.
[5] J. Peirats, La CNT nella rivoluzione spagnola, Antistato, Milano, 1977-78, vol. 1, p. 239.
[6] Non è qui il caso di approfondire le radici e le manifestazioni dell’anticlericalismo. Tra i numerosi studi sul peso della Chiesa nella storia spagnola contemporanea e nella guerra civile, nonché sulle radici dell’ideologia che la sosteneva, si segnalano A. Botti, Nazionalcattolicesimo e Spagna nuova (1881-1975), Franco Angeli, Milano, 1992 e A. Álvarez Bolado, Para ganar la guerra, para ganar la paz, Universidad de Comillas, Madrid, 1995. Per l’opposizione al potere clericale, E. La Parra López, Manuel Suárez Cortina (cur.), El anticlericalismo español contemporáneo, Biblioteca Nueva, Madrid, 1998. Dal punto di vista di uno storico monaco benedettino di Montserrat, si veda H. Raguer, La pólvora y el incienso. La iglesia y la guerra civil española (1936-1939), Península, Barcelona, 2001.
[7] Riportato da C.M. Lorenzo, Los anarquistas españoles…, cit., p. 87.
[8] Per il caso più emblematico, C. Ealham, La lucha por Barcelona. Clase, cultura y conflicto 1898-1937, Alianza, Madrid, 2005.
[9] La consegna è rievocata da J. Navarro, A la revolución por la cultura. Prácticas culturales y sociabilidad libertarias en el País Valenciano (1931-1939), Universitat de Valencia, Valencia, 2004, p. 389. Dello stesso autore, si veda il vasto lavoro Ateneos y grupos ácratas, Generalitat Valenciana, Valencia, 2002.