È dalla fine del 2021 che la politica siciliana affronta il tema delle prossime elezioni regionali – che si terranno quest’autunno.
La posta in gioco è alta: ci sono le Zone Economiche Speciali da avviare, gli ammodernamenti e le costruzioni di infrastrutture viarie autostradali, i PON-FESR da distribuire alla propria base borghese, il ricambio generazionale della Pubblica Amministrazione e la conferma di accordi con le borghesie straniere (maltesi, tedesche, arabe e cinesi) e via dicendo.
A differenza del 2017 (quindi 5 anni or sono), però, la situazione internazionale e regionale è radicalmente cambiata.
La pandemia da Covid-19 (a cui se ne accompagneranno altre a partire da vaiolo ed aviaria), ha praticamente annientato il sostentamento economico tramite cui campavano le persone lavoratrici stagionali e precari del primo e terzo settore.
Gli unici che l’hanno sfangata in questo periodo – se così la vogliamo dire -, sono coloro che lavorano o hanno lavorato (e sono in pensione) nella Pubblica Amministrazione (PA) e/o all’interno delle forze militari e dell’ordine.
Non a caso in Sicilia, così come nel resto del meridione d’Italia, la massima aspirazione per vivere decentemente è indossare una divisa oppure la giacca e cravatta della PA.
Chi non ha questa fortuna, ha due vie: emigrare oppure aprire un’azienda e cercare di avere intrallazzi col clero e le figure politiche.
Sembrano discorsi vecchi di 40 anni fa. Tuttavia queste modalità non sono mai tramontate; anzi, in tempi come quelli odierni sono più forti di prima.
Una lotta o scannamento per vivere sotto un’inflazione galoppante e una crisi sociale ed economica internazionale vivida e palpabile, porta la politica siciliana a fare delle offerte peggiori di quelle dei supermercati, nascondendo (o addolcendo nel peggiore dei casi) allo stesso tempo i citati accordi.
Così troviamo un redivivo Cuffaro che, con il suo carrozzone di imprenditori, alti prelati e politici locali, offre alla Sicilia il ritorno della Democrazia Cristiana, “il partito che ha fatto grande l’Italia”.
E immaginiamo come sia stata fatta grande l’Italia tra mazzette, sventramenti di interi quartieri (Catania, Palermo e Napoli per citarne tre a caso) e via dicendo. Tutto per gli affari!
Oppure troviamo un Cateno De Luca che, insieme all’ex “compagno” catanese Giarrusso, fondano un partito che è un mix tra Cinque Stelle ed indipendentismo siciliano o, detto più terra terra, qualunquismo urlato e sicilianismo.
Che dire di Musumeci e di Miccichè, un tempo amici di coalizione? Le offerte che propongono sono insipide, dimostrando una incapacità di fare gli interessi della loro base politica borghese (in particolare Compagnia delle Opere, Confindustria Sicilia e Confcommercio). Non ci sarà da meravigliarsi se verranno trombati in possibili convention del centro destra.
La cosiddetta sinistra siciliana? L’obiettivo è quello di puntare ai soliti numeri da prefissi telefonici, impegnandosi alacremente in atti di pompieraggio per distruggere qualche movimento di lotta per le loro velleità opportunistiche.
Ma di fronte a questi personaggi e partiti, vi è un dato che non viene considerato: l’astensionismo.
Se nel 2017 si è raggiunto il 52% dell’astensione degli aventi diritto al voto, è facile immaginare che a questa tornata del 2022 si possano raggiungere quote come il 55% o, addirittura, il 60%.
La politica siciliana è consapevole di questo rischio dal 2017. E sicuramente punterà su quel 40-45% degli aventi diritto per poter governare e confermare una serie di accordi (con l’UE e borghesie straniere).
Tutto questo dimostra però una sola cosa: il sistema democratico è un qualcosa di apertamente fallimentare e, al tempo stesso, difende e sostiene chi ha dei privilegi o velleità di governare.
Riusciremo a liberarci una volta per tutte di questo cancro maligno?