Abbiamo deciso di pubblicare questo articolo di Michele Corsentino, tratto dalla rivista Volontà, perché, sebbene faccia riferimento ad un episodio avvenuto quasi mezzo secolo, esso rimane indicativo di una certa tendenza della società italiana nell’affrontare le tematiche riguardanti l’interruzione volontaria di gravidanza, l’educazione e la libertà sessuale.
Nel 1975, anno in cui l’articolo è uscito, la legge 194/78 era ancora in là da venire, e l’aborto era ancora vietato dalle leggi del fu regime fascista.
Eppure, nonostante quella che sembra essere una conquista, e cioè la legalizzazione dell’aborto tramite la sopracitata legge, ci troviamo ad oggi, nel 2022, in una situazione forse di poco migliore rispetto ai quasi cinquant’anni passati.
Negli ultimi due anni c’è stato un sensibile aumento delle infezioni sessualmente trasmissibili (IST) e delle malattie sessualmente trasmissibili (MST), il tutto mentre l’educazione sessuale, specie in territori come quello siciliano, rimane un tabù perché altrimenti potrebbere sconvolgere le fragili menti dei pargoli in età educativa o metter loro in testa strane idee sul loro orientamento sessuale.
Sembra come la canzone degli Skiantos, “Il sesso è peccato…farlo male” del 1999: ignoranza sessuale che porta l’individuo a non conoscere il proprio corpo e, quindi, ad impostare la sua attività sessuale in senso sbagliato ( ad esempio, beccandosi delle malattie).
Una mentalità del genere è onnipresente in Sicilia: la popolazione locale è ostaggio di una mentalità retrograda, cattolica ed apertamente reazionaria che trova la sua espressione nell’onnipresenza della Chiesa Cattolica e delle sue emanazioni (Diocesi, parrocchie, associazionismo cattolico, gruppi economici etc), nonché in un insieme di partiti politici che, tanto a destra quanto a sinistra, sono composti da baciapile di professione (spesso più per motivi di convenienza politica ed economica).
Il primo passo per scardinare questo discorso mortifero è quello di smontare pezzo per pezzo la retorica religioso-culturale di stampo patriarcale. Essa è presente, ammorba l’aria e mina pesantemente l’autodeterminazione corporea delle persone che vivono nell’isola (si pensi alle aggressioni omolesbobitransfobiche, od al machismo esasperato ed ostentato che caratterizza l’uomo medio siciliano).
Il passo successivo, crediamo noi, è quello di andare a leggere l’accesso all’aborto non solo in termini di genere, ma anche in quelli di classe.
Nel meridione, ed in Sicilia per quello che ci riguarda direttamente, l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza si esprime nei termini dell’appartenenza di classe: così, chi dispone di denaro può spostarsi in altre regioni o praticare un aborto in intramoenia, mentre il resto deve rivolgersi ad ospedali pubblici in cui si trovano percentuali molto alte (spesso vicine al 100%) di medici obiettori.
Per contrastare la situazione vigente, vi sono gruppi politici ed associazionisti che difendono queste misure atte a preservare il diritto all’IVG, così come vi è il tentativo di fare una corretta informazione sessuale.
Come detto altre volte, l’attuale sindemia non ha fatto altro che esacerbare (per non dire mostrare apertamente) un dibattito pubblico già povero di contenuti, in cui si sono avute tifoserie contrapposte anziché ragionamenti complessi ed articolati sul fenomeno che si stava e sta vivendo.
E così, a volte capita che, in nome di visioni pseudo-alternative politiche, si faccia ricorso alla peggiore dialettica reazionaria che definisce l’IVG come innaturale, imbastire discorsi insensati sull’obiezione di coscienza o mettere in secondo piano tutti questi discorsi sull’educazione sessuale e procreativa perchè “vi sono lotte più importanti”.
Per questo pensiamo che l’articolo di Corsentino, pur essendo datato, possa avere una sua valenza in tempi dove vi è un avanzamento dell’imbecillità reazionaria e/o pseudo-compagnesca.
“Volontà. Rivista anarchica bimestrale”, a. XVIII, n. 6, Novembre-Dicembre 1975, pagg. 435-438
Le cronache dei giornali italiani, all’inizio della calura agostana quando milioni d’italiani e stranieri – secondo le medesime cronache – hanno lasciato il lavoro e le loro case per andare a trascorrere le vacanze al mare o in montagna, ci hanno fatto partecipi di una singolare notizia – per la penna dei loro illustri corrispondenti e scrittori – che ha assunto la forma di cronaca nera; cronaca molto agghiacciante se non orripilante, per un episodio triste tra i tanti, di cui ormai siamo abituati a leggerne più di brutti che di belli. Episodio triste – come dicevo – motivato da miseria e ignoranza e, allo stesso tempo, da disperazione in questa vecchia Italia, ipocrita e cristiana, ove si aggiunge ora la civiltà dei consumi, di cui tutto il mondo Occidentale è caratterizzato.
Nella vistosa cronaca napoletana è stata coinvolta tale Immacolata Caccavale, ventenne, oriunda, con famiglia, da uno sperduto paesino dell’Avellinese, e “inurbatasi” circa un anno fa a Napoli, ove l’infelice pensava di poter trovare lavoro per continuare a vivere con una certa dignità – direbbero i benpensanti. La Caccavale, invece, con l’unico patrimonio di miseria e ignoranza, vero tipo di emarginata sociale, va a finire a “vivere” la sua magra e desolata esistenza in uno di quei quartieri squallidi e abbandonati nella periferia della città partenopea, fitta di tuguri umidi e infetti e dove le povere famiglie vivono nella promiscuità con numerosa prole.
In questo ambiente abbandonati a se stessi vivono i dannati della terra, come se un cinico destino li avesse condannati a quel tipo di vita senza speranza alcuna di liberazione, rassegnati a condurre una disgraziata esistenza; sono i relitti del sottoproletariato meridionale, sardo e siciliano, di cui molti anni fa Danilo Dolci ci aveva dato la descrizione in alcune interessanti inchieste di carattere sociologico i cui protagonisti erano i medesimi sottoproletari, chiamati a denunziare in un accorato e disperato coro di voci le loro infelici esistenze di esseri tagliati fuori dal consorzio umano. Allora Dolci ebbe il merito – essendosi staccato dalla cultura ufficiale come uomo d’élite e attirandosi i fulmini dell’Italia ufficiale per le sue inchieste e conferenze – di vivere in mezzo a quelle popolazioni siciliane praticando il digiuno come forma di protesta per richiamare l’attenzione delle autorità ufficiali sempre sorde alle voci di certe realtà sociali che bisogna ignorare per non denigrare la patria del diritto e di lor signori; richiamava altresì, da buon pacifista, l’attenzione degli strati più sensibili degli intellettuali e degli studiosi stranieri.
Tuttavia la vita di Immacolata Caccavale è al centro di un mondo che non è mondo, di una vita che non è vita, di una esistenza subumana, forse al di sotto degli animali anche se più responsabile, perché abbrutita dalla miseria; mancano a lei gli strumenti culturali per inserirsi in un ambiente meno disperato e un po’ più aperto ai richiami del cuore e alle esigenze umane. Nel ghetto napoletano, senza lavoro, non le resta altra alternativa che fare la meretrice declassata; è sicuro che lei, Immacolata, non conosce gli anticoncezionali e nemmeno ne capisce il significato; e abbandonata al suo destino con il suo fagotto ambulante, un giorno rimane incinta da un cliente occasionale; ormai, nemmeno sa quanti ne ha avuti di clienti occasionali da quando è scivolata nel gorghi del “vizio”. Ecco che Immacolata diventerà una ragazza-madre, contrariamente alla sua volontà; una responsabilità e molte preoccupazioni in più che si assommano a quelle già gravose del vivere quotidiano. A liberarsi di questo peso, perché per lei non può essere che un peso ingombrante e non una gioia, la gravidanza, forse non sa che potrebbe essere aiutata dalla scienza medica, con l’aborto, e nemmeno sarà stata consigliata e aiutata da nessuno.
Ma io parlo di aborto! Senza ricordare che ancora nella cara Italia esso è proibito dalle vigenti leggi fasciste. Per ricorrere all’aborto clandestino ci vogliono fior di quattrini di cui la povera Immacolata non ha mai potuto disporre. Perciò, volente o nolente, ella sarà costretta a diventare un giorno una ragazza-madre.
Diventare una ragazza-madre – anche a volerlo – è uno scandalo, specie negli ambienti dove la ragazza è conosciuta dalla cerchia dei parenti e degli amici, a causa di persistenti pregiudizi secolari legati alla estrema miseria di quelle popolazioni; ed è perciò un tabù mal tollerato soprattutto dalla morale corrente. Infatti, nelle zone depresse prima di parlare dei problemi del sesso o di una sana educazione sessuale ai sottoproletari denutriti, bisognerebbe non solo indicare le vie della piena occupazione, ma dovrebbe essere compito delle persone oneste e disinteressate a cui sta a cuore la sorte di quelle popolazioni studiare assieme ad esse i problemi locali; se non per raggiungere la piena occupazione, almeno per alleviare con l’aiuto di assistenti sociali e di specialisti di ogni settore, quanto più è possibile la miseria nera di quei sottoproletari. I problemi delle zone depresse vanno studiati, se vogliamo affrontarli, on occhio realistico e non mai con teorie o formule astratte, che spiegano tutto e non dicono nulla, come direbbe il nostro indimenticabile Salvemini.
Nessun giornalista o scrittore è stato mai interessato – sicuramente per amore di quieto vivere – a denunziare quel mondo di derelitti, forse per non guastare la buona digestione delle cosiddette classi dirigenti, locali e nazionali, che se ne infischiano di quel mondo (quanto addirittura non lo ignorano) perché vogliono vivere in pace e non vogliono essere infastiditi… dai pezzenti. Se mai, cercano quelle persone durante la campagna elettorale, per il tramite dei loro agenti, subagenti e galoppini elettorali, per mendicare il voto in cambio d una cassetta di pasta o di diecimila o ventimila lire. D’altronde tutti quei paradisi che promettono sulla faccia della terra, sono delle grosse castronerie o favole a cui nessuno crede; per cui ogni politicante, all’occhio del più infimo di quei sottoproletari, passa per il più matricolato briccone e imbroglione di questo mondo.
Prima che arrivasse il figlio del caso si erano presentati ad Immacolata i Marano; lui, il marito, fa il netturbino a Milano; una coppia di modeste condizioni sociali ben inserita nella nostra società consumistica, verso la quale la natura è stata avara quanto a figliolanza e perciò desidera ardentemente di avere un figlio, sia pure per allietare la monotona esistenza della vita di una grande città come Milano. Nella trattativa il nascituro viene pattuito al prezzo di settecentomila lire; somma, questa, che renderà un po’ felice la giovane sventurata. Ciò non vuol dire che in lei siano stati distrutti i sentimenti materni dalla fame, perché semmai quei sentimenti sono stati piuttosto lacerati e umiliati da tutti noi, meglio, da tutta la società che l’ha abbandonata al suo triste destino.
Immacolata, pensando al suo nascituro, lo salva affidandolo a mani sicure, perché non abbia a soffrire le traversie della vita come lei. Quel che avvenne dopo la nascita di Giovanni, con l’intervento della polizia e della magistratura, è stato affidato alle cronache dei giornali e non è il caso di ripeterlo in questa sede.
Al caso ha dedicato un pezzo – sul “Corriere della Sera” (7 Agosto ora scorso) – lo scrittore e giornalista napoletano Luigi Compagnone, con un commento di tipo letterario che lascia il tempo che trova perché non affronta l’analisi sociologica nelle radici del sottosuolo o, per meglio dire, dei bassi napoletani. Un argomento, questo, molto buono per narratori che vogliono ricamarci un romanzo neorealistico sullo sfondo della civiltà dei consumi o un soggetto, eccellente e molto adatto a ispirare la fertile e geniale fantasia del noto commediografo Eduardo De Filippo.
In questo dramma della Caccavale – e non si tratta di un caso sporadico perché di casi, più o meno similari, ce ne sono migliaia e migliaia che non si conoscono ufficialmente – sono implicate tutte le contraddizioni della nostra società, basata sui privilegi di classe come tu sai meglio di me, caro Compagnone; e non puoi non convenire che bisogna combattere ad oltranza le istituzioni che mantengono gli avanzi della barbarie su cui gli speculatori e i parassiti di ogni tinta e di ogni grinta si fondano per aumentare le loro ricchezze e i loro privilegi. Non è più il tempo, esimio narratore napoletano, di attardarci in commenti, più o meno letterari.
Una nostra presenza (e tu vi giocheresti un ruolo di primo piano con la sua prestigiosa personalità) è necessaria per incominciare a capire (avviso pure ai compagni napoletani!) come bisogna incominciare per eliminare le cause che producono le brutture del nostro infelice Mezzogiorno.
Michele Corsentino
Note storiche a cura del Gruppo Anarchico Galatea
Su Michele Corsentino
Nato l’8 Novembre del 1926 a Ribera (provincia di Agrigento), frequenta fin da giovane il movimento anarchico. In questo periodo subisce numerose perquisizioni da parte delle forze repressive fasciste. Influenzato da Paolo Schicchi, dopo la fine della guerra e del regime fascista, Corsentino diventa il diffusore dei giornali schicchiani nel territorio agrigentino.
Entra in contatto con l’anarchico napoletano Grillo e, tra il 1947 e il 1956, partecipa sia ai convegni anarchici in Sicilia che alle iniziative editoriali anarchiche dell’isola.
Nel 1957 Corsentino assume la direzione del giornale “L’Agitazione del Sud” subendo processi e successive condanne per reati di stampa. Un anno dopo, nel 1958, si trasferisce a Londra dove insegna lingua e letteratura italiana nelle scuole pubbliche e in quelle per i figli degli emigranti italiani.
Da questo momento, Corsentino si dedicherà alla raccolta di materiali storici, oltre che sostenere le attività degli anarchici siciliani durante le sue visite nell’Isola.
Muore il 3 Gennaio 1998 a Londra a causa di un infarto.
Fonte consultata
-Bollettino Archivio Giuseppe Pinelli, n. 12, Gennaio 1999
Su Volontà Rivista
Fondata nel 1946 da Giovanna Caleffi Berneri e Cesare Zaccaria, la rivista, a differenza di altre pubblicazioni anarchiche di lingua italiana, si occupava di tematiche sociali, oltre che delle esperienze libertarie internazionali, senza dimenticare la parte teorica.
Volontà Rivista chiuse nel 1996.
Fonte consultata
-Sito del Centro Studi Libertari Giuseppe Pinelli, Milano