Traduzione dall’originale “Можем, повторяем: как война стала национальной идеей России”
Cos’è la politica memoriale e perché Putin ama tanto Aleksandr Nevskij.
La guerra con l’Ucraina sembrava a molti impossibile e incredibile; ma, a livello simbolico, il terreno per questo attacco è stato preparato per decenni. Così afferma il giornalista, ricercatore sui media e politologo Yegor Sennikov. In un nuovo testo di Perito per il progetto “Last war, Next war”, [Sennikov] spiega cosa sia la politica commemorativa e di come i monumenti, le tombe di soldati sconosciuti e le dichiarazioni ufficiali degli ideologi del regime abbiano reso logica e inevitabile la politica estera aggressiva della Russia.
“I guerrieri di Nevskij schiacciarono gli svedesi sulla Neva, eliminarono gli invasori da Kopor’e e ottennero la vittoria sul lago Chudskoe. Questa vittoria è stata decisiva, ha fermato l’offensiva nemica e ha mostrato a tutti, in Occidente e in Oriente, che la potenza della Russia non si è spezzata e che nella terra russa ci sono persone pronte a combattere per essa, senza risparmiarsi”. Queste parole sono state pronunciate da Vladimir Putin l’11 Settembre 2021 alla cerimonia di inaugurazione del monumento commemorativo “Aleksandr Nevskij con la sua druzhina” nella regione di Pskov, sulle rive del lago Chudskoe. Il Presidente è stato accompagnato all’inaugurazione da Vladimir Medinsky, ex Ministro della Cultura, e da Kirill, Patriarca della Chiesa ortodossa russa. Gli ospiti sono stati accolti dal governatore della regione di Pskov, Mikhail Vedernikov, e dal metropolita di Pskov e Porkhov, Tikhon (Georgiy Alexandrovich Shevkunov). Il pubblico ha ascoltato il discorso del capo di Stato in silenzio e sembrava essere d’accordo su tutto. Ma i residenti del villaggio di Samolva, vicino a dove si trova il monumento, hanno avuto molte domande sul progetto. “Mediazone” ha riportato che a causa del costante passaggio di camion con materiali da costruzione, la strada che porta al villaggio è stata completamente rovinata. Di conseguenza, il museo della Battaglia del Ghiaccio situato proprio lì, a Samolva, è stato chiuso: i turisti non potevano raggiungerlo. E nel villaggio, le consegne di cibo e la raccolta dei rifiuti sono state interrotte. Putin, però, non si è quasi accorto di tutto questo, perché è arrivato alla cerimonia di inaugurazione del monumento in elicottero.
Alcuni dei soldati di Aleksandr Nevskij, immortalati nel complesso, hanno il volto di persone reali: i militari della sesta compagnia del 104 ° reggimento paracadutisti della 76a divisione aviotrasportata delle Guardie di Pskov. Durante la seconda guerra cecena hanno imbracciato le armi contro i guerriglieri ceceni, “cioè”, ha detto Putin, “hanno dato prova di grande eroismo nel nostro tempo”. Meno di sei mesi dopo la cerimonia di inaugurazione, i combattenti del 104° Reggimento paracadutisti delle Guardie dimostreranno ancora una volta prova di sé stessi – ovvero con l’occupazione della città di Bucha.
Il monumento ad Aleksandr Nevskij e la retorica con cui è stato inaugurato hanno dimostrato, negli ultimi decenni, diverse tendenze caratteristiche della politica commemorativa in Russia. In primo luogo, il significato storico della figura del principe è stato spiegato attraverso la lotta contro un nemico esterno. In secondo luogo, uno Stato russo forte e indipendente è stato presentato come un valore supremo. In terzo luogo, la guerra era un elemento chiave che collegava la storia e la modernità: gli autori del monumento hanno tracciato un parallelo diretto tra la Battaglia dei ghiacci e le battaglie in Cecenia, mentre Putin ha tracciato un parallelo diretto tra sé e Nevskij. Tutti questi elementi semantici non erano nuovi; il presidente si stava semplicemente basando su idee presenti in molti dei suoi precedenti discorsi e in occasione dell’inaugurazione di altri monumenti. Da quando Putin è al potere, la glorificazione delle guerre del passato è diventata l’idea principale della politica statale di commemorazione, trasformandosi gradualmente in una glorificazione dell’idea stessa di guerra.
Come e perché è stato possibile? Ogni regime ha bisogno di memoriali e monumenti. Danno ai cittadini una comprensione della trama: chi è “noi”? Chi è il nostro nemico? Chi è nostro amico? A volte i monumenti devono essere costruiti, a volte si adattano a quelli che le autorità precedenti hanno creato. E a volte è sufficiente assemblare attrezzature militari all’aperto, dipingerle “come gzhel” e aprire questo “parco divertimenti” per le famiglie con bambini.
Nel nuovo progetto speciale “Last War, Next War”, esaminiamo come le autorità russe si siano impossessati dei monumenti di guerra sovietici e, [contemporaneamente abbiano] costruito i propri memoriali di guerra come parte della generale svolta militarista che alla fine ha portato [alla guerra] in Ucraina.
Un monumento come dichiarazione politica
Monumenti e memoriali esistono da quando l’uomo ha preso coscienza della propria mortalità. I primi monumenti erano le lapidi, la cui funzione era quella di preservare la memoria di un particolare individuo. In seguito, con l’emergere delle alleanze tribali e degli antichi Stati, le persone iniziarono a rendere eterni eroi ed eventi – importanti per i governi in carica. Nacquero così archi di trionfo che commemoravano vittorie e conquiste militari, monumenti a leader e comandanti e targhe commemorative sugli edifici. Installare o non installare questo o quel monumento divenne un atto politico. “Un’opera d’arte tangibile e statica, avallata da attori statali, congela nel tempo una dichiarazione autorevole di ciò che dovrebbe essere ricordato; tali memoriali interpretano il passato e cercano di informare l’opinione pubblica futura”, scrive a questo proposito la ricercatrice americana Kathleen Smith.
In alcuni casi, intere città o parti di esse sono simboli che danno un valore al passato e al futuro. Prendiamo ad esempio la Piazza del Palazzo di San Pietroburgo. Al centro si trova la Colonna di Alessandro, eretta per commemorare la vittoria su Napoleone nella Guerra Patriottica del 1812, una delle più gloriose e importanti nella storia della Russia imperiale. Il monumento si trova di fronte al Palazzo d’Inverno. A destra della residenza imperiale si trova l’edificio del Corpo di Guardia, dietro di esso lo Stato Maggiore, che oltre al dipartimento militare ospitava il Ministero degli Affari Esteri, e a sinistra l’Ammiragliato. Ogni elemento non è solo casuale, ma anche collegato ad altre parti nel suo insieme – che in definitiva glorifica l’impero e riflette l’interazione dei suoi attori principali: l’imperatore, i cortigiani, le guardie, i militari, i diplomatici e la marina. Questa è più comune nelle nuove città, che sono state originariamente fondate per diventare importanti centri simbolici. In questo senso, una “parente” stretta di San Pietroburgo è Washington, DC, anch’essa concepita come capitale di una nuova nazione. Al suo centro si trova il National Alley con il suo complesso di edifici del XIX secolo. Dal Campidoglio al Lincoln Memorial, dal Washington Monument ai principali musei storici, artistici e scientifici, in tutto questo insieme si celebrano gli ideali repubblicani e democratici degli Stati Uniti.
Uno dei fondatori dell’analisi della dimensione simbolica della politica è stato il filosofo americano Murray Edelman, che propose di analizzare come il potere utilizzi i simboli per manifestare i suoi desideri. In particolare, invitò a prestare attenzione su come i simboli politici vengano utilizzati per motivare i cittadini ad agire come [vuole la classe dirigente]. Secondo Edelman, il dibattito sui monumenti non è solo una discussione sull’estetica o sulla rilevanza di una figura storica, ma una forma di discorso politico.
URSS: da Engels al Milite Ignoto
“Per volere della Sapienza, i muri dell’intera città – dentro e fuori, in basso e in alto – sono dipinti in uno stile bellissimo, raffigurando tutte le scienze in modo straordinariamente ordinato”. Anatoly Lunacharsky, il primo Commissario del Popolo per l’Educazione dell’URSS, ricordava come questa citazione del filosofo italiano Tommaso Campanella, sulla struttura di una città ideale, influenzò fortemente il desiderio di Vladimir Lenin nell’avviare una campagna monumentale in URSS. Prima della rivoluzione, i monumenti venivano eretti raramente in Russia; ad esempio, a Mosca c’erano non più di 10 monumenti durante tutto il XIX secolo. Con l’installazione in massa di nuove sculture e monumenti e la demolizione di quelli vecchi, Lenin voleva trasmettere ai cittadini le idee del nuovo governo bolscevico. Ad esempio, il desiderio di giustizia e il rifiuto di un passato imperiale in cui i rivoluzionari e i pensatori di sinistra erano banditi e gli operai e i contadini erano oppressi. Tra gli eroi commemorati in URSS nel 1918-1920 vi sono Karl Marx e Friedrich Engels, il poeta Taras Shevchenko e il pubblicista Aleksandr Herzen, il terrorista Ivan Kaliaev e il rivoluzionario V. Volodarski. Tuttavia, il programma leninista di propaganda monumentale ebbe vita breve: molti dei monumenti erano fatti di gesso e non erano adatti a rimanere in strada per anni.
Le politiche commemorative sovietiche cambiarono di pari passo con la linea del partito. Dopo lo scoppio della Grande Guerra Patriottica, ad esempio, le autorità rivolsero nuovamente la loro attenzione ai personaggi che i primi bolscevichi avevano “buttato giù dalla nave della modernità”: Aleksandr Nevskij, Alexander Suvorov, Yuri Dolgoruky, Fëdor Ushakov, ecc. Allo stesso tempo, si verificò un altro evento simbolicamente importante: in molte strade del centro di Leningrado furono restituiti i nomi storici. Così, la Prospettiva “25 Ottobre” tornò a essere la Prospettiva “Nevskij”.
Gradualmente, la stessa vittoria nella Grande Guerra Patriottica divenne un “punto di raccolta” simbolico per l’intera politica commemorativa sovietica. A metà Ottobre del 1964, Leonid Brezhnev divenne leader del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e capo dell’URSS durante un colpo di Stato interno nel partito. Molti dei suoi colleghi non lo consideravano un leader forte, per cui aveva bisogno di compiere gesti sia pratici che simbolici per consolidare la sua posizione. Uno di questi era rafforzare la memoria della Grande Guerra Patriottica. I veterani erano la parte della società a cui Breznev aveva deciso di appoggiarsi, quindi era importante per lui ottenere il loro sostegno. Lo stesso Segretario Generale e molti dei suoi collaboratori, tra l’altro, erano anch’essi veterani della Grande Guerra Patriottica.
Il 9 Maggio 1965, il giornale Pravda uscì con un enorme articolo intitolato “La gloria immutabile della Madrepatria”. Si trattava di una ristampa di otto pagine del discorso di Breznev. Il contenuto era breve: il lavoro congiunto dell’esercito e del fronte interno sotto la guida del Partito Comunista aveva assicurato la vittoria dell’Unione Sovietica nella guerra, aveva dimostrato la giustezza incondizionata dei bolscevichi e il successo del regime comunista, e aveva giustificato tutte le perdite umane e logistiche. Questo fu, da quel momento in poi, il mito ufficiale sovietico sulla Seconda Guerra Mondiale. Lo stesso giorno, per la prima volta dal 9 Maggio 1945, si tenne sulla Piazza Rossa la parata del Giorno della Vittoria. Ad eccezione di piccole modifiche alla cerimonia (i cavalli usati per sfilare 20 anni prima furono sostituiti dai GAZ-13 Čajka), la parata ereditò quella originale [di matrice] staliniana. È notevole che non sia stato Brezhnev a rivolgersi alla nazione, ma il Ministro della Difesa sovietico, Maresciallo Rodion Malinovsky, un veterano della Prima Guerra Mondiale e generale della Seconda Guerra Mondiale. Da quel momento in poi, la commemorazione della guerra e della vittoria divenne un elemento centrale della politica sovietica in materia di memoria.
Enormi monumenti come il complesso della Fortezza di Brest in Bielorussia, inaugurato all’inizio degli anni Settanta, o i grandiosi complessi di Novorossijsk, che commemorano gli eventi della guerra in Malaya Zemlya (dove Leonid Brezhnev trascorse la maggior parte della guerra), erano l’incarnazione della nuova politica commemorativa. Il 3 Dicembre 1966 si tenne una manifestazione “luttuosamente solenne” vicino al Cremlino, come scrisse la Pravda. Erano presenti, tra gli altri, la madre di Zoya Kosmodemyanskaya, il maresciallo sovietico Konstantin Rokossovsky, il capo del Comitato cittadino di Mosca del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Nikolai Yegorichev e “altri funzionari”. L’evento è stato organizzato in coincidenza con il 25° anniversario di un evento chiave della Grande Guerra Patriottica: all’inizio del Dicembre 1941, le truppe sovietiche lanciarono una controffensiva e respinsero i tedeschi da Mosca. L’evento più importante dell’anniversario è stata l’inaugurazione di un nuovo monumento commemorativo, la Tomba del Milite Ignoto.
I memoriali sono talvolta apparsi come risposta ad una “richiesta dal basso”, da parte di attivisti e veterani che desideravano che anche episodi poco noti della guerra fossero immortalati in bronzo o granito. È il caso, ad esempio, della commemorazione dell’impresa dei partigiani nelle cave di Adzhimushkay in Crimea.
Quando la Germania occupò la Crimea, le cave divennero l’ultimo punto in cui i resti delle truppe sovietiche continuarono a resistere ai nazisti. Dopo la guerra, i veterani e gli attivisti locali scrissero più volte alla stampa centrale sull’importanza di quegli eventi e richiamarono l’attenzione sul sito. Le autorità hanno infine seguito la loro iniziativa: nel 1966 è stato aperto un museo e nel 1982 un memoriale.
Negli ultimi anni dell’URSS, i ricordi della Grande Guerra Patriottica furono generalmente costruiti intorno ad una discussione sui sacrifici fatti dal popolo e sui risultati ottenuti grazie alla vittoria. Questi ultimi comprendevano letteralmente tutti i risultati ottenuti dall’URSS dopo il 1945, dalla liberazione dei popoli colonizzati dall’oppressione dei paesi sviluppati (l’URSS sosteneva l’Asia e l’Africa) ai voli spaziali e alla diffusione dell’idea comunista in tutto il mondo. La guerra stessa fu descritta come un mostruoso fenomeno catastrofico. Le sue vittime caddero per la libertà delle nazioni, ma nulla poteva giustificare [la guerra]. Questo approccio iniziò a cambiare poco prima del crollo dell’Unione Sovietica.