Capitolo 3: L’Europa tra destra e sinistra
Il 19 luglio 1979 Simone Veil, il ministro francese della Salute responsabile dell’approvazione della leggendaria legge nazionale che depenalizzava l’aborto nel 1975 [16], è stata eletta primo Presidente donna del Parlamento europeo.
A quel tempo, la vittoria del diritto di disporre del proprio corpo sembrava innegabile. Ma quasi mezzo secolo dopo, nel 2022, il posto di Weil è stato preso da un’altra donna, la parlamentare di centrodestra maltese [17], Roberta Metsola, che si oppone all’aborto.
L’elezione di Metsola è un esempio dei processi in atto nell’Europa moderna. Mentre alcuni paesi (e istituzioni) stanno cercando di diventare più liberali e democratici per rispettare i valori europei, in altri c’è una svolta conservatrice, che invariabilmente colpisce il diritto delle donne ad abortire. Questo è quello che è successo in Polonia, per esempio.
-Polonia
A fine gennaio 2021 è entrata in vigore in Polonia la decisione della Corte Costituzionale di vietare gli aborti per malattia incurabile o grave patologia del feto.
Da allora, ufficialmente, l’aborto può essere praticato solo in caso di minaccia per la vita e la salute della donna incinta, nonché se la gravidanza è avvenuta a seguito di stupro o incesto. Un aborto richiede non solo il parere di un medico, ma anche il permesso di un pubblico ministero. I giudici della Corte costituzionale hanno scritto, nella motivazione pubblicata [riguardante] il divieto [all’aborto], che “ogni individuo ha diritto alla vita dal momento del concepimento” e hanno fatto riferimento all’articolo 38 della Costituzione polacca. [18]
Le proteste di massa contro l’inasprimento della legislazione sull’aborto sono iniziate nell’Ottobre 2020, quando è diventata nota la decisione della Corte costituzionale, e sono proseguite nel gennaio 2021, quando la legge è entrata in vigore. Ma i manifestanti non sono riusciti a influenzare la decisione di giudici e deputati.
Nel novembre 2021, dopo la notizia della morte per sepsi di una donna di 30 anni di nome Isabella, avvenuta alla 22a settimana di gravidanza, migliaia di donne sono scese nelle strade delle città polacche per protestare. I parenti della defunta erano sicuri che la morte fosse il risultato del ritardo di medici che non osavano abortire per paura di infrangere la legge.
Secondo la legge polacca vigente [19], i medici [che praticano] aborti illegali rischiano fino a otto anni di carcere. Pertanto, se una donna necessita di un intervento medico legato al corso della gravidanza, i medici attendono la morte del feto affinché l’operazione non sia più considerata un aborto. Ecco cosa è successo nel caso di Isabella: i medici hanno aspettato fino all’ultimo momento che il cuore del feto si fermasse, cosa che alla fine ha portato alla morte della donna stessa.
La legge polacca sull’aborto, con l’influenza particolarmente forte della Chiesa cattolica, è rimasta una delle più conservatrici in Europa negli ultimi 30 anni. I primi tentativi di liberalizzazione si ebbero dal 1929 al 1932 nell’ambito della riforma del codice penale. Quindi la proposta di legalizzare l’aborto per motivi socio-economici (tra questi, ad esempio, la povertà o le precarie condizioni di vita) era stata respinta e la nuova versione del codice del 1932 consentiva l’aborto solo nei casi in cui la gravidanza era avvenuta a seguito di violenza o minacce per la vita e la salute di una donna.
Questa legge era in vigore sia durante l’occupazione tedesca che dopo l’instaurazione del regime filo-sovietico nel paese. Nel 1955 l’aborto fu legalizzato in URSS e solo un anno dopo la legge fu adottata in altri paesi del blocco socialista, inclusa la Polonia. La legge sovietica consentiva l’aborto per motivi socioeconomici.
Nel 1959 la procedura era stata resa più accessibile in Polonia; infatti le donne avevano il diritto di abortire senza alcun obbligo da parte dello Stato. Allo stesso tempo, come in URSS, l’aborto era visto come una necessità per prevenire il rischio per la vita e la salute di una donna, e non come un suo diritto a disporre del proprio corpo.
Ma negli anni ’80 in Polonia era iniziato un processo inverso: sullo sfondo delle proteste contro tutto ciò che era sovietico nel paese; per la prima volta si era iniziato a parlare del fatto che la legge che regolava l’aborto dovesse essere inasprita.
I cambiamenti erano stati sollecitati da membri dell’opposizione anticomunista, che avevano avuto il sostegno della Chiesa cattolica romana e personalmente da papa Giovanni Paolo II, nato lui stesso in Polonia.
Nel 1993, il diritto all’aborto era stato nuovamente limitato legalmente: le “circostanze di vita difficili” erano state rimosse dai motivi per cui alle donne era consentito abortire.
Secondo Michelle Rivkin-Fish, professoressa di antropologia all’Università della Carolina del Nord che studia l’aborto nei paesi post-sovietici, la criminalizzazione dell’aborto nella Polonia post-socialista è stato il prezzo pagato dal partito anticomunista Solidarnosc che aveva formato il primo governo – ed era sostenuto dalla Chiesa cattolica.
Grazie agli sforzi delle femministe polacche, la nuova disposizione adottata nel 1993 era ancora più morbida di quella avanzata all’inizio degli anni ’90. Ma gli aborti per motivi sociali erano vietati. La discussione è continuata per diversi anni: hanno cercato di annullare la legge, ma dalla seconda metà degli anni ’90 le modifiche sono state sancite dalla decisione della Corte costituzionale e nel Paese è comparso un mercato per aborti clandestini costosi e pericolosi.
Da allora, i conservatori hanno ripetutamente cercato di limitare ulteriormente l’accesso all’aborto da parte delle donne. Nel 2016, una proposta per il divieto totale dell’aborto, approvata dai parlamentari in prima lettura, ha portato a proteste di massa – e il disegno di legge è stato bocciato.
In soli tre anni la situazione è cambiata. Dopo la vittoria alle elezioni parlamentari del 2015 del partito di destra Diritto e Giustizia (37,5% dei voti) – che ha posto fine al periodo di potere del partito liberale Piattaforma Civica -, la normativa sull’aborto è stata comunque inasprita. La disposizione per l’aborto qualora il feto risultasse avere una disabilità grave e irreversibile o una malattia pericolosa per la vita – presente nella legge sull’aborto del 1993 -, è stata eliminata.
[Fino al] 2019, [quindi], il 98% di tutti gli aborti eseguiti nel paese erano stati fatti seguendo quella disposizione [; cambiando la legge,] è entrato in vigore un divieto quasi totale.
Le leggi adottate in Polonia destano preoccupazione nell’Unione Europea. Anche prima dell’inasprimento delle leggi sull’aborto, nel 2017 la Commissione Europea ha concluso che l’indipendenza dei tribunali polacchi era minacciata. Secondo la Commissione, il partito al potere Legge e Giustizia, ha potere sulla Corte Costituzionale. Ciò significa che il giudice non può valutare oggettivamente la legittimità delle misure proposte dai legislatori.
Nell’Ottobre 2021 anche la Polonia ha abbandonato lo stato del diritto europeo, annunciando che il Paese non è obbligato a rispettare leggi che contraddicono la sua costituzione. L’Unione Europea ha risposto a questo tagliando i sussidi dal bilancio generale dell’UE.
Secondo Marta Lempart, co-fondatrice del movimento femminista polacco Strajk Kobiet (“Sciopero delle donne”), l’approvazione di una legge sull’aborto è “un esempio di ciò che accade quando le autorità minano lo stato di diritto e l’indipendenza della magistratura.” Secondo lei, il tribunale che ha deciso sugli aborti è “illegale” e “politicizzato”.
Nel novembre 2021, un anno dopo l’adozione di una legge che ha criminalizzato la maggior parte degli aborti in Polonia, i deputati hanno approvato una risoluzione che condanna la decisione della Corte Costituzionale polacca e invita il governo polacco a concedere a tutte le donne il diritto a un aborto sicuro, legale e gratuito .
Durante i primi 10 mesi dell’inasprimento della legge in Polonia, solo 300 donne polacche hanno potuto abortire negli ospedali del paese a causa della minaccia alla loro vita e alla loro salute. Allo stesso tempo, circa 120.000 cittadine polacche ogni anno si sottopongono a questa procedura all’estero.
In queste condizioni, le donne cercano aiuto da organizzazioni senza scopo di lucro, gruppi indipendenti e iniziative che le aiutano a ottenere cure mediche all’estero. Possono solo sperare che la pressione finanziaria dell’Unione Europea influenzi in futuro le decisioni del governo conservatore e aiuti a superare l’influenza della Chiesa cattolica.
-San Marino
Nel settembre 2021 San Marino, uno degli stati più piccoli d’Europa, completamente circondato dall’Italia, ha tenuto un referendum che ha sollevato la questione se l’aborto debba essere consentito. Al referendum hanno partecipato il 40% dei cittadini del Paese – su una popolazione di 33.000 persone. Il 77% degli elettori ha sostenuto la legalizzazione. Secondo i membri della comunità di attivisti dell’Unione delle Donne – che hanno raccolto le firme per organizzare il referendum -, la maggior parte dei giovani del Paese condivide una posizione pro-aborto, che potrebbe avere un impatto significativo sui risultati del referendum.
La Repubblica di San Marino è stato uno degli ultimi Stati europei in cui l’aborto era completamente bandito. L’aborto era regolato da una legge del 1865, che puniva l’interruzione della gravidanza con la reclusione da tre a sei anni per i medici e da tre a sei mesi per le pazienti. In caso di gravidanza indesiderata, le donne erano costrette a recarsi in Italia – dove l’aborto era stato legalizzato dopo il referendum del 1978 -, pagando tra i 1500-2000 euro per la procedura [di interruzione di gravidanza].
Secondo i risultati del referendum, l’aborto a San Marino è stato completamente legalizzato fino a 12 settimane; [oltrepassato questo periodo, la procedura di interruzione si applica] in caso di minaccia per la salute e la vita della donna incinta, nonché in caso di violazioni nello sviluppo del feto che può causare danni fisici o psicologici alla madre.
La Repubblica di San Marino è uno Stato tradizionalmente conservatore e sotto la forte influenza della Chiesa cattolica: qui le donne hanno ottenuto il diritto di voto solo nel 1964 (18 anni dopo rispetto all’Italia), e il divorzio è stato ufficialmente consentito solo nel 1986. Da 20 anni nel Paese è al potere il Partito Democratico Cristiano di San Marino, principale oppositore della legalizzazione dell’aborto.
Tuttavia, le attiviste sammarinesi sono riuscite a spingere l’idea del diritto all’aborto fuori dal consueto dibattito politico e presentare la questione come comune a tutte le donne. Un esempio importante per le attiviste sammarinesi sono stati i precedenti dell’Irlanda cattolica, dove si è tenuto un referendum sull’aborto nel 2018 e si è concluso con la sua legalizzazione, e di Gibilterra, dove l’aborto è stato depenalizzato a seguito di un referendum nel giugno 2021.
Note
[16] Nota come “Legge del velo”, consentiva l’aborto in Francia. Le femministe si sono battute per questo diritto negli anni ‘70. Il Ministro della Salute francese, Simone Veil, è stata determinante nel far approvare la legge nonostante lo scetticismo iniziale della maggioranza degli uomini del Parlamento nazionale.
[17] Malta è l’unico Paese dell’UE in cui l’aborto non è mai stato legale. Nel 2004, lo Stato ha dovuto negoziare separatamente la possibilità di ottenere il diritto esclusivo di aderire all’UE mantenendo la clausola anti-aborto.
[18] Art. 38: “La Repubblica di Polonia assicura la protezione giuridica della vita di ogni essere umano.”
Fonte
“Costituzione della Repubblica di Polonia” (1997)
Link: https://www.sejm.gov.pl/prawo/konst/angielski/kon1.htm
[19] L’articolo 152 del Codice penale prevede una pena di tre anni di reclusione per i medici che praticano aborti illegali. Se il feto è in grado di vivere autonomamente al di fuori del corpo della gestante, la pena può arrivare fino a otto anni.