L’eroina, ottenuta come derivato dalla morfina dal chimico inglese Wright nel 1874 e, successivamente, ri-sintetizzata da Hoffman per la Bayer nel 1897, venne lanciata come antidolorifico e sostitutiva della morfina stessa nel 1898.
Tuttavia, nel giro di un decennio, diversi Stati vararono legislazioni atte a vietarne l’assunzione, il quanto il consumo dell’eroina provocava una forte dipendenza.
Lo sviluppo di un’industria cosiddetta “illegale” dell’eroina portò enormi benefici economici a quelle compagini dedite alla distribuzione e allo smercio del prodotto: i gruppi criminali.
I primi gruppi criminali ad intraprendere questa attività economica furono i clan presenti in Francia (specie a Marsiglia), in Turchia e in quella zona dell’Indocina chiamata “il triangolo d’oro” (precisamente nei territori della Birmania, Laos e Thailandia).
Gli interventi delle polizie di mezzo mondo per smantellare questo mercato in determinate zone del mondo hanno avuto, come effetto, quello di criminalizzare le persone assuntrici in quanto queste arrivavano a compiere diverse azioni illegali – come rubare, prostituirsi o aggredire altre persone -, nel tentativo di ottenere soldi con cui pagarsi la dose.
Il fenomeno dell’eroina in Italia, a partire dagli anni 1970-1975, è stato affrontato dagli apparati statali con il modus operandi della criminalizzazione, attraverso i blitz delle forze dell’ordine e i titoli giornalistici ad hoc sul “fenomeno degli eroinomani”.
Una modalità del genere ha nascosto, o giudicato risibili, de facto le responsabilità politiche e militari europee e statunitensi.
Se scendiamo nel dettaglio, non possiamo non notare come il mercato capitalista abbia creato questa industria.
Immettendo un prodotto come l’eroina – divenuta, come detto prima, illegale -, si è creata un’ “affezionata” clientela, divenuta dipendente e con crisi di astinenza sempre più marcate – che, in determinati casi, sfociavano nella morte della persona stessa.
La domanda così creata ha incrementato il numero di persone assuntrici, fatto alzare i profitti dei distributori e la produzione della materia prima da cui l’eroina viene prodotta, ossia il papavero da oppio.
La lotta contro l’eroina, portata avanti da associazioni legate o foraggiate da enti privati e politici dalla fine degli anni ‘70, ha comportato due aspetti principali: il primo, quello più evidente, ad una “trasformazione tramite redenzione” delle persone assuntrici di eroina in esseri utili alla società; il secondo, invece, all’occultamento delle responsabilità del sistema socio-economico e dei suoi difensori militari e politici, che hanno portato morte e distruzione psico-fisica degli individui.
Ad opporsi a questo stato di cose vi furono le prime occupazioni in Italia con tanto di striscioni, dibattiti e lavori auto-prodotti – come “Dossier Eroina. Nomi e indirizzi”, un dossier curato dai Collettivi Comunisti Autonomi e Centro di lotta e informazione contro l’eroina (e a cui collaborarono Fausto e Iaio, due militanti del Leoncavallo di Milano, uccisi alla fine degli anni ‘70) – e diversi gruppi che cercavano di aiutare, in senso pratico e scientifico, le persone assuntrici.
Nel corso del tempo, però, queste lotte iniziarono a scemare per una serie di motivi: immissione di nuove droghe, disaffezione politica, maggiore visibilità mediatica delle associazioni “rispettabili” citate poc’anzi e via dicendo.
Così, il problema “eroina”, le varie lotte, le testimonianze raccolte e le persone assuntrici ritratte in film (come “Eroina” di Pirri e “Amore Tossico” di Caligari) o libri (come “Limoni neri. Due anni con l’eroina” di Ambrosi e “Dirty city. Diario tossico-trasgressivo-politico-sovversivo” di Roselvagge), vennero pian piano messe da parte fino a far prevalere la natura legalitaria della soluzione al problema e la concezione del “drogato/a” come persona da “redimere” per reinserirla nella società.
In questi decenni, però, l’eroina, così come i problemi sociali che ne conseguono, non è affatto scomparsa; dal punto di vista capitalistico, la produzione della materia prima quale il papavero da oppio è aumentata, così come la sua sintetizzazione ed il successivo smercio.
Per affrontare l’argomento partendo da una delle prime analisi socio-economiche del fenomeno eroina, riteniamo opportuno, quindi, pubblicare un’intervista del 1977 fatta da Piero Landi al sociologo Guido Blumir, autore di libri come “La droga e il sistema” e “Eroina”, in cui quest’ultimo spiega la natura capitalistica del fenomeno dell’eroina e delle droghe in generale e, al contempo, denuncia la repressione esagitata dello Stato volta a difendere chi, effettivamente, smercia (ovvero il capitalista).
Disegni tratti da “Cannibale n. 2 Nuova Serie. USA ONLY”
da Umanità Nova, 25 Dicembre 1977, n. 45, anno 57
Il diffondersi massiccio dell’eroina da qualche anno si viene ponendo sempre più come uno dei più seri problemi sociali e politici della realtà italiana. Nei giochi politici ed economici che si celano dietro l’introduzione delle droghe pesanti è individuabile ormai un preciso disegno di attacco al movimento proletario (inteso nella sua accezione più ampia), attraverso la riduzione alla impotenza e la distruzione fisica delle frangie giovanili più disperate e indifese. Organismi della sinistra e singoli compagni già stanno cercando di dare una risposta al potere anche su questo terreno. Ma le possibilità di successo sono legate da una parte al creare di una mobilitazione sempre più ampia, dall’altra alla lucidità e alla decisione con cui si affrontano i molti problemi connessi. Per favorire un approfondimento del dibattito pubblichiamo un’intervista a Guido Blumir, considerato uno dei maggiori esperti italiani sulla questione droghe. È autore di molti libri sull’argomento, l’ultimo dei quali, “Eroina”, è apparso nell’Ottobre 1976.
D.: Partiamo da una definizione generale. Cosa sono le droghe?
R.: Da 10 anni campagne di stampa allucinanti si sono basate su un concetto completamente irreale dal punto di vista scientifico, intendendo per droga a livello di massa le droghe proibite: l’eroina, la cocaina, l’hashish, la marijuana etc. Invece la scienza ha stabilito da decenni un concetto di droga completamente diverso in cui vengono incluse anche tutte quelle sostanze che decine di milioni di italiano prendono quotidianamente e che non vengono considerate droghe ma, casomai, sostanze a scopo voluttario – il tabacco, l’alcool, il caffè – oppure medicine – psicofarmaci, sonniferi. Per la scienza non c’è nessuna differenza da un punto di vista di definizione generale tra l’eroina e la Cibalgina, tra il caffè e la marijuana; il loro effetto principale (tralasciamo per un momento gli effetti secondari) consiste nel modificare in qualche modo l’attività psichica, cioè di produrre nel cervello degli stati, o delle sfumature di stati diversi da quello normale. Un’altra opinione che sussiste tuttora a livello di massa e che va combattuta è il ritenere la droga qualche cosa che dà assuefazione. Anche questo non è vero. Ci sono droghe che non danno assuefazione e droghe, anche legali, che invece danno un’assuefazione gravissima, un grado di dipendenza fisica molto intensa e assolutamente biologica, riscontrabile tramite esami di laboratorio ma evidente anche al soggetto in maniera semplicissima. Quando una sostanza viene presa per un certo periodo (certe dosi tutti i giorni per 2 o 3 mesi) e interrompendone bruscamente l’uso ci si accorge di stare male fisicamente e psichicamente – questo fenomeno si chiama crisi di astinenza – abbiamo tecnicamente una droga che dà assuefazione. Non insisto, perché occorrerebbe una lunga trattazione soltanto su questo punto, sulle droghe proibite che non danno assuefazione. Diciamo che a livello scientifico in tutto il mondo questo fatto viene dato completamente per scontato. In tutti i testi, anche dei primi anni di università. Le droghe leggere che derivano dalla canapa indiana – hashish, marijuana e altre preparazioni – hanno un grado di assuefazione nullo, anche usandole per decine di anni. Droghe legali molto usate provocano invece assuefazione. L’assuefazione, conviene dirlo, non è una tigre di carta. Quando si interrompe l’uso di una droga, il tipo di problemi per uscire dall’assuefazione è talmente complicato a livello biologico, che gli stessi scienziati non si trovano d’accordo su una cura di tipo farmacologico e medico.
D.: Che cosa rende l’eroina più pericolosa di un’altra droga, al punto da farla diventare un problema politico?
R.: Ho già parlato dell’aspetto tecnico dell’eroina, per cui essa non è assolutamente diversa dall’alcool, dalla nicotina, o da qualche psicofarmaco come i tranquillanti, i sonniferi, che danno assuefazione. La cosa che rende diversa l’eroina è il fatto di essere illegale, proibita, per cui esiste un mercato nero, e l’eroina ha un costo molto alto. Quando un eroinomane ha bisogno di 2, 3, 4, 5 buchi al giorno, è costretto a spendere molte migliaia di lire, anche 20mila, anche di più. Naturalmente, dato che la maggior parte dei giovani proletari che si bucano non ha a disposizione queste cifre, e lo stesso discorso vale anche per molti studenti dopo che hanno venduto tutti i giradischi, le radioline e le altre cose che hanno in casa, uno è costretto per comprarla, a venderla. In questo modo nasce tutto il mercato dell’eroina, che è praticamente destinato ad allargarsi sempre di più per questo meccanismo matematico per cui uno è costretto a diventare spacciatore. È costretto anche a continuare a essere uno che si buca perché in pratica non ha la possibilità di smettere con dolcezza, di smettere senza andare incontro a un mare di guai. L’assuefazione è essenzialmente un problema di classe. Se un capitalista usa eroina, lo fa con dosi di ottima qualità, magari non se la fa sempre in vena, con iniezioni, può per esempio “sniffarla” ossia “annusarla”: è molto meno tossico e può essere anche piacevole. In ogni caso ha un minor grado di proprietà d’assuefazione. Questo si fa molto per esempio a Roma in un certo ambiente formato da gente dello spettacolo, intellettuali, ricchi, freak di plastica etc.
Prendendo l’eroina “sniffando” come si fa con la cocaina, e solo una volta ogni tanto, non si resta assuefatti. Quasi sempre invece i giovani proletari cominciano dal buco, dall’iniezione, perché se uno buca ha la possibilità di farse di più. I prezzi sono quelli che sono. Una dose minima a Roma negli ultimi tempi va sulle 5mila lire e anche di più, e uno avrebbe bisogno di perlomeno 20mila lire di roba per farsela “sniffando”. Con la stessa somma si possono fare 4 buchi. Oltre al problema dei prezzi, un capitalista o un appartenente all’ambiente dello spettacolo ha la possibilità di farsi spiegare dai “tecnici” come prendere l’eroina senza diventare assuefatti, quali sono i margini di gioco. Chi non ha tutte queste possibilità, viene informato dai fatti sulla propria pelle.
D.: Ritieni che facciano più uso di droghe gli uomini o le donne?
R.: Hanno provato a fare esperimenti in laboratorio con casalinghe che prendevano regolarmente 5 tazze di caffè al giorno, con test medico-clinici, per vedere cosa succedeva interrompendo l’uso: avevano tutte una serie di disturbi al cuore, tachicardia, mal di testa, tremori etc. che erano dovuti proprio alla mancanza di caffè. Erano state scelte 239 giovani casalinghe (l’esperimento è stato fatto da farmacologi americani nel ‘69) perché da statistiche precedenti era risultato che la maggioranza delle persone che bevevano più di 4 tazze di caffè al giorno erano donne, e tra di esse, in maggioranza, le casalinghe. Tutti sanno che le donne stanno di più in casa, fanno lavori monotoni, ripetitivi, privi di creatività, s’annoiano di più. Il rapporto donna-droga, sfruttato massicciamente dall’industria, è cominciato almeno il secolo scorso, quando addirittura i medici prescrivevano alle donne nervose o che avevano disturbi vari anche ginecologici, prima l’oppio, poi la morfina, poi addirittura, quando è stata scoperta nel 1898, l’eroina. Le maggiori consumatrici di eroina, pur non sapendo che dava assuefazione, ma su prescrizione del medico o del marito, erano proprio le donne, soprattutto casalinghe.
Tutta la pubblicità diretta dalle industrie ai medici riguardava soprattutto le donne. Se è probabile, anche se non certo, che oggi la maggior parte dei consumatori di eroina in Italia siano maschi, è certo che la maggior parte di chi prende tranquillanti e sonniferi sono donne, e soprattutto casalinghe. Questo è confermato da tutte le statistiche e vale non solo per l’Italia ma per tutti i paesi neocapitalistici.
D.: In Italia un anno fa è stata approvata una legge sulla droga che è stata almeno inizialmente valutata positivamente da quasi tutte le forze parlamentari. Il comitato scientifico “Libertà e Droga” di cui sei presidente ha parlato invece di fermo di droga e di legge truffa, criticando pesantemente la legge. A un anno di distanza confermi questi giudizi?
R.: Quando si è scoperto il testo di questa legge che come al solito giaceva nascosto in certi cassetti parlamentari, i compagni di Stampa Alternativa hanno fatto una conferenza stampa, presenti i giornalisti dei più importanti quotidiani, e hanno fatto un’analisi critica di questa legge, dicendo che al limite era peggiore di quella vecchia contro la quale si erano fatte tante battaglie. Quasi nessun giornale pubblicò una riga su questa violenta critica proprio perché si era creata un’omertà generale di tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale, omertà aggravata dall’atteggiamento del PCI che era talmente favorevole alla formulazione di questa legge da chiamarla, in una serie di articoli sull’Unità, “Una delle leggi più moderne d’Europa”. Grazie a “una delle leggi più moderne d’Europa”, da quando è entrata in vigore nel Gennaio 1976, fino a Dicembre sono finiti in galera più di 2mila ragazzi o perché detenevano qualche spinello, qualche cicca o qualche busta d’eroina, o perché erano semplicemente sospettati d’essere dei drogati. Io ritengo che come si è svolta, questa faccenda, a parte taluni risvolti grotteschi, sia un esempio di quale può essere oggi il potere di un regime allargato al PCI, quando sull’onda di campagne più o meno reazionarie sull’ordine pubblico o su questi temi, si cerca di fare passare una legge speciale, quindi una legge che criminalizza in generale tutto il movimento o alcune minoranze. Una cosa simile è successa con la Legge Reale, ma il gioco era meno scoperto. Infatti il PCI con una specie di balletto finì, se non erro per astenersi, mentre il PSI votò a favore. La legge sulla droga è quindi la prima legge scopertamente fascista di criminalizzazione generale che è stata approvata proprio da tutti quanti i partiti della sinistra. Ha avuto certamente un peso considerevole l’adesione del Partito Radicale, sia pure con numerose riserve, a questa legge. I Radicali erano stati prima i protagonisti di una spettacolare campagna culminata con l’arresto di Marco Pannella, una cosa che aveva indubbiamente portato la tensione nel dibattito sulle leggi-droga a un punto molto alto. C’è un lavoro molto buono fatto dai compagni del collettivo politico-giuridico di Bologna, di analisi di tutti gli aspetti di questa legge. È stato pubblicato su “La questione criminale” di Gennaio/Aprile 1976, una rivista specializzata che fa ricerche molto interessanti sulla pericolosità di certe leggi. È bene che i compagni si procurino questo lavoro perché mostra una serie di diabolici trucchi giuridici con cui chiunque non ne sia al corrente può essere facilmente incastrato grazie a questa legge, alla faccia di tutte le teorie che la presentano come una legge permissiva e di depenalizzazione. In particolare il ruolo che i “riformisti” possono avere nella criminalizzazione di massa con questa legge – parlo di massa perché oggi bene o male, sono centinaia di migliaia di compagni che fumano, e poi si tratta di una legge che può essere applicata nei confronti di quelli che non fumano, sulla base di semplici sospetti – mi è stato riferito da alcuni compagni di Bologna.
Sembra addirittura che per fare perquisizioni, fermi e arresti per droga, siano stati utilizzati i Vigili Urbani, da cui uno non sta particolarmente attento. Si tratta di un allargamento di tutte le strutture di controllo che pone la necessità di fare un grosso lavoro di autodifesa militante e, per quanto può essere utile, di controinformazione, di campagne a livello nazionale. Ritengo che questa legge, e gli ultimi mesi lo stanno dimostrando, resti una delle armi più micidiali contro i compagni del movimento. Ci sono arresti e retate anche in piccole città di provincia, con compagni che finiscono in galera per mesi e mesi, con o senza droga. Quello che succedeva con la vecchia legge ma allargato in maniera più subdola, anche con una serie di tecniche di ricatto che questa legge fornisce. Per dirne soltanto una, ma sono veramente a dozzine questi trucchi, quando viene “pizzicato” qualcuno, per legge se non rivela nomi e cognomi di tutti quelli che magari una volta gli hanno procurato, offerto, parlato di spinelli etc. viene messo in galera. La conseguenza è che tutta una serie di persone ai margini del movimento ricattate in questo modo – sono successi moltissimi casi – fanno liste incredibili di nomi su cui poi naturalmente la Polizia si scatena. Esiste un caso clamoroso che dimostra come non ci spossa aspettare dalla Polizia una lotta seria ed efficace al traffico dell’eroina, ma come al contrario il movimento debba porsi tra i suoi compiti anche a livello locale, quello di denunciare con campagne di controinformazione le connivenze tra forze dell’ordine e spacciatori. A Roma, nel Giugno del 1975, è stata presentata dall’agenzia di Stampa Alternativa alla Procura della Repubblica del Tribunale una denuncia per spaccio di eroina e corruzione contro i massimi responsabili del nucleo antidroga dei Carabinieri di Roma. Questa denuncia è stata pubblicata con rilievo dai giornali romani. Il fatto clamoroso è che immediatamente dopo, nei 18 mesi successivi, i Carabinieri non solo non hanno contro-denunciato per calunnia questo gruppo, ma nemmeno hanno cercato di smentire in qualche modo la notizia, con lettere ai giornali o con i soliti comunicati alle Agenzie di Stampa. Nello stesso periodo la Magistratura ha lasciato completamente passare inosservata la denuncia e non ha portato avanti nessun tipo di inchiesta. È un silenzio che è una evidente implicita ammissione di colpevolezza, ed essendo questo successo nella città da cui in Italia è partito il traffico della droga pesante nel 1971/72, mi sembra che non sia azzardato affatto supporre connivente dello stesso tipo tra nuclei antidroga e squadre antinarcotici della polizia con gli spacciatori anche in altre città. Almeno dalla mole dei fatti succeduti nel 1976 non si desume nessun tipo di azione che abbia portato a sequestri di quantitativi ingenti di eroina trafficati in Italia, a parte un paio di sequestri all’aeroporto di Fiumicino, ma si trattava di merce di passaggio. Nessun grosso sequestro, e soprattutto nessun arresto o incriminazione o inchiesta a carico di organizzazioni di traffici ad alto livello. Soltanto il solito stillicidio di centinaia e centinaia di ragazzi come al solito consumatori di droghe leggere o di eroina.
D.: Si tratta dunque di combattere su due fronti contemporaneamente: contro l’eroina e contro lo Stato, con le sue leggi e la sua polizia. Basandoti sulla tua esperienza quali indicazioni ritieni di potere dare ai compagni?
R.: Oggi il movimento si sta ponendo seriamente il problema del “che fare?” e si mostra per lo più largamente insufficiente rispetto ai grossissimi compiti che ha di fronte. Anche se ci sono dei compagni inguaiati, raramente si ha la possibilità anche tecnica di dargli una mano. Ma molte cose si stanno per fare o sono già funzionanti. A livello indicativo di quello che si può fare mi limito a riportare le proposte emerse al convegno happening dei Circoli Giovanili a Milano:
1) Creare centri minimi di assistenza medica e legale, al di là delle istituzioni dello Stato e degli enti locali, cioè centri sociali autogestiti che abbiano la possibilità di dare assistenza. Il problema della repressione è anche più importante di quello politico.
2) Lotta al mercato nero dell’eroina, sia tramite la controinformazione sugli spacciatori, sia tramite azioni violente contro gli spacciatori stessi ad alto livello, cioè quelli non tossicomani, gli organizzatori del traffico e i luoghi dove operano (bar, case, etc).
3) Campagne di controinformazione contro la nuova legge antidroga e sul problema delle droghe in generale.
4) Autocoscienza. Il problema è sapere perché i compagni si bucano, discutere con loro. A Milano un compagno di un circolo di Napoli ha posto questo problema e dal dibattito sviluppatosi tra lui ed alcuni compagni che si bucavano è emerso come soltanto quest’ultimi possono aiutare concretamente in questo lavoro di autocoscienza.
Questi sono i punti, e se anche sono pochi, presentano indubbiamente grosse difficoltà sul piano operativo.