Originale: “Panorama: Jujuy, litio y extractivismo de norte a sur”. Tradotto da Federica e Ana per il Gruppo Anarchico Galatea
[La frase] “Più estrattivismo, meno democrazia” riassume la sensazione dei territori scossi dal modello minerario, petrolifero, forestale e agroalimentare. Proprio come Jujuy è esplosa con mobilitazioni e repressione, altre città vengono quotidianamente violate, e i gruppi progressisti — e settori dei diritti umani — guardano dall’altra parte. L’estrattivismo non cessa e viene imposto con la violenza.
Repressione per estrarre il litio dai territori del popolo Kolla e Atacama. Violenze per sfruttare Vaca Muerta in territorio mapuche. Processo per sgomberare e fumigare con pesticidi tossici, famiglie contadine e popolazioni invase dall’agrobusiness.
È il DNA dell’estrattivismo: repressione, violazione dei diritti, contaminazione, mancanza di vera democrazia.
Gli atti violenti del governo di Jujuy sono un altro capitolo di come l’estrattivismo venga imposto alle comunità indigene e ai contadini (anche se non solo in questi luoghi). Il potere economico e politico — insieme ai suoi alleati giudiziari e mediatici — cerca di impossessarsi dei territori indigeni per consegnarli alle compagnie minerarie, petrolifere, forestali e agroalimentari.
Per cercare di conservare i voti e il dominio sugli apparati statali, il peronismo al potere sostiene che gli eventi di Jujuy siano una prova tecnica di quello che sarà un prossimo governo di “Juntos por el cambio” (o con Larreta o con Bullrich). Dai territori sottoposti all’estrattivismo, e dalle città che subiscono quotidianamente la repressione, si può capire che Jujuy sia un tassello in più di quanto —con diversa intensità— sta già accadendo nei territori, sia con governi peronisti che radicali.
Un reclamo antico a chi fa sempre orecchie da mercante
Da più di dieci anni le comunità del popolo Kolla e Atacama denunciano (anche con udienza alla Corte Suprema) la violazione dei diritti di estrazione del litio a Jujuy e Salta.
Le sofferenze indigene e le loro rivendicazioni sono antiche quanto la storia del continente. Il passato di Jujuy è ricco di lotte indigene. Un evento importante, non il primo, avvenne nel 1946, durante il primo governo peronista, quando un centinaio di indigeni marciarono da Jujuy fino a Plaza de Mayo per rivendicare i propri territori. L’evento senza precedenti è passato alla storia come il “Malón de la Paz”. Furono quasi due mesi di cammino per gridare a Buenos Aires un’obbligazione taciuta: le terre degli indigeni. Non hanno mai avuto risposta.
Sessant’anni dopo, un’altra marcia, contro un altro peronismo (Cristina Fernández de Kirchner come presidente della Nazione ed Eduardo Fellner per la Provincia), ma con la stessa pretesa: 120 comunità realizzarono il “Secondo Malón de la Paz”. Camminarono per rivendicare le loro terre dai diversi dipartimenti della provincia fino a Purmamarca.
La stessa città dove si sono incontrati lo scorso sabato 17 (Giugno, ndt) e hanno subito quattro repressioni in un giorno. La stessa provincia che ha già battezzato questa lotta indigena come il “Terzo Malón de la Paz”. Dove la bandiera della lotta era “abbasso la riforma, viva la Whipala”.
Per i paladini della “sicurezza legale” è necessario ricordare che i popoli indigeni hanno un’abbondante legislazione che tutela i loro diritti e che obbliga gli Stati (nazionali, provinciali e municipali) a consultare e ottenere il consenso delle comunità colpite. Questo diritto fondamentale, che non è rispettato in Argentina, è scritto nelle leggi provinciali, nella Costituzione nazionale e nei trattati internazionali dei diritti umani – a cui il paese ha aderito.
Jujuy era Neuquén
La repressione è durata più di cinque ore. Nelle strade: insegnanti, indigeni, studenti, lavoratori. Dall’altra parte, poliziotti che sparavano a distanza ravvicinata. Repressione infinita. È quello che è successo a Jujuy nel 2023? No. Era Neuquén nel 2013. Quando la Legislatura provinciale si stava preparando, in totale sintonia con il governo nazionale, a votare una legge a scatola chiusa per consentire a Chevron e YPF di avviare il fracking a Vaca Muerta.
Il progressismo di Kirchner e i suoi media alleati non hanno alzato la voce. Al contrario, hanno giustificato la repressione.
Nel Maggio 2013 c’è stata anche la repressione a Famatina (La Rioja). Il governo di Luis Beder Herrera ha sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeni contro i membri dell’assemblea che rifiutavano la mega-mineria. Una dozzina di detenuti e sette ricoverati.
Andalgalá ha accumulato una mezza dozzina di feroci repressioni da quando è arrivata la mega-mineria. Nell’Aprile 2021, tramite la Magistratura, è scattata in città una caccia all’uomo. Hanno sfondato porte, picchiato uomini e donne e arrestato senza motivo dodici membri dell’assemblea che rifiutavano attivamente l’estrattivismo e, allo stesso tempo, combattevano per proteggere le fonti d’acqua di Catamarca, provincia governata per dodici anni dal peronismo.
Nel Dicembre 2021, a Chubut, la polizia di Mariano Arcioni (alleato di Sergio Massa) ha represso per ore la manifestazione nota come “chubutazo”, che ha respinto il governatore e fermato ancora una volta la mega-mineria.
Né a Catamarca né a Chubut era presente il Segretario per i Diritti Umani, Horacio Pietragalla Corti (che era a Jujuy). Anche il ministro dell’Ambiente, Juan Cabandié, che in passato agitava la bandiera dei diritti umani, non è apparso nei luoghi dove l’estrattivismo viola i diritti. La preoccupazione maggiore di Cabandié, in un paese attraversato dall’estrattivismo, è il riciclo della plastica e la visita ai meeting internazionali.
Ma non si tratta solo dei funzionari. Il “progressismo” urbano (non solo di Buenos Aires) sceglie quale sia o meno la repressione per cui indignarsi. Sono indignati con Jujuy e guardano dall’altra parte in Catamarca, Chubut, Chaco, La Rioja e molte altre province feudali.
Feudi, democrazie e dittature
La ricerca del potere senza limiti di Gerardo Morales e il disprezzo verso le comunità indigene non sono le uniche caratteristiche del radicalismo di Jujuy. Formosa, provincia governata da Gildo Insfrán, è un emblema del potere feudale e della sottomissione dei settori popolari, in generale, e delle popolazioni indigene, in particolare. Ma, per i media ufficiali e i giornalisti, Insfrán non merita critiche.
Il litio, minerale essenziale per la falsa transizione energetica, è uno dei fattori alla base della riforma costituzionale di Jujuy e pregiato bottino per ottenere dollari.
C’è il litio anche in Catamarca. Vi opera la prima mega impresa mineraria (la multinazionale FMC Corporation, con il nome di Minera del Altiplano) che sfrutta quel minerale e quei “salar”. E, da decenni, le popolazioni indigene hanno già sofferto questo estrattivismo. La comunità di “Atacameños del Altiplano” denuncia da anni le azioni delle compagnie minerarie e dei governi locali. Ci sono prove convincenti del suo impatto ambientale: hanno prosciugato il fiume Trapiche. E ora avanzano lungo il fiume Los Patos. “Chi si prenderà la responsabilità del saccheggio, della contaminazione, dell’acqua che usano? Conosciamo le industrie minerarie da tre decenni. Per questo diciamo no all’estrazione del litio”, osserva il capo della comunità indigena Atacameños del Altiplano, Román Guitián.
Non sono gli unici colpiti. La popolazione di Fiambalá, dedita al turismo e all’agricoltura, soffre per l’avanzata del litio della multinazionale cinese Zijing Mining, incoraggiata dal governatore Raúl Jalil e dal presidente Alberto Fernández.
“Dittatura mineraria” è il termine coniato in Catamarca e San Juan per le azioni repressive quotidiane causate dal modello estrattivo, dove i governi sono i migliori lobbisti e guardiani delle compagnie.
È incomprensibile come i settori sociali, che si dicono lontani dalla destra e hanno marciato il 24 Marzo, insistano nello sviluppare ulteriormente l’estrattivismo. Un chiaro esempio è Juan Grabois, che alcuni indicano come la persona più a sinistra del Kirchnerismo. Grabois promuove ripetutamente lo sfruttamento del litio [e richiede] una maggiore partecipazione dello Stato (in linea con le dichiarazioni di Cristina Fernández de Kirchner del 25 Maggio in Plaza de Mayo). Hanno risposto [a costoro] l’organizzazione socio-ambientale Pueblos Catamarqueños en Resistencia y Autodeterminación (Pucará): “Parlano di diritti umani ma reprimono dietro le quinte. Parlano di lottare per i poveri ma vanno a braccetto con i ricchi. Parlano di sovranità ma distruggono le nazioni indigene. Per fortuna, contro tutti coloro che sostengono questo saccheggio, c’è chi resiste nei territori.”
Jujuy non è, come sostiene il peronismo, un banco di prova per il futuro. Il futuro è arrivato da tempo: governi e aziende che sfruttano la natura. E le popolazioni indigene che proteggono i loro territori e la loro vita.