Traduzione dall’originale ““La cantidad de agua que se usa para evaporar el litio es tremenda””
Premessa
Nel continente sudamericano, le violenze contro le persone (repressione ai danni di popolazioni native, epidemie, sfruttamento lavorativo) e interi habitat naturali (mega-miniere, perforazioni petrolifere, coltivazioni e allevamenti intensivi e progetti idroelettrici ed eolici) sono all’ordine del giorno. Chi vive bene in questa situazione sono le classi dominanti (borghesia e politica istituzionale) che, più o meno abilmente, riescono a manipolare l’opinione pubblica locale e internazionale.
Un esempio calzante di questa situazione repressiva e borghese è l’estrattivismo minerario in Sudamerica, in particolare di quelle risorse considerate importanti per la “transizione ecologica” dei paesi del “Primo Mondo”.
Il litio, in questo senso, rientra appieno nel discorso: materiale diventato vitale, secondo la vulgata mainstream, per una cosiddetta “economia capitalista green, salvatrice del pianeta”, viene estratto e venduto a caro prezzo dove, a farne le spese, sono territori e persone.
L’articolo che presentiamo è un’intervista fatta ad un biologo ricercatore argentino, Folguera, dove questi spiega i meccanismi nefasti dell’estrazione del litio (consumo spropositato d’acqua) e la proprietà privata di queste saline – in mano a grandi istituti finanziari mondiali.
Quel che ci preme sottolineare con questa premessa è la parte in cui gli intervistatori parlano di una gestione nazionale di determinate risorse, citando come esempio il Messico di AMLO.
Sintetizzando all’osso, la nazionalizzazione non comporta affatto una gestione e distribuzione dal basso od orizzontale di determinate risorse. Lo Stato, in quanto incarnazione di una struttura di poteri – compresa la gestione della violenza istituzionale sotto forma di esercito e forze dell’ordine -, gestisce la produzione e la distribuzione delle risorse in senso verticista, immettendo queste nei mercati internazionali e lasciando invariati e alla base i rapporti di sfruttamento esistenti (sebbene possa dare qualche contentino sotto forma di assicurazione e diritti lavorativi). La questione messicana sulla gestione del litio o, per meglio dire, il controllo delle risorse in generale da parte di uno Stato non può essere letto in senso rivoluzionario – inteso come liberazione da determinati schemi sociali, culturali ed economici -, ma come mantenimento di uno status quo verticale, borghese e autoritario.
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[“La quantità di acqua utilizzata per far evaporare il litio è enorme”]. Lo ha detto Guillermo Folguera, biologo, filosofo e ricercatore del CONICET. Intervenuto al programma radiofonico Estás Muteadx, ha parlato della produzione di litio in Argentina, del cambiamento climatico e della crisi idrica.
In Messico, il governo di Andrés Manuel López Obrador (AMLO) ha nazionalizzato il litio e la sua industria attraverso un decreto presidenziale. La misura implica una modifica della Costituzione del Paese, che con questo decreto considera il litio come una risorsa strategica che dovrebbe essere di proprietà dello Stato. Il Messico possiede una delle più grandi riserve di litio al mondo e, sebbene il provvedimento non revochi le concessioni già rilasciate, d’ora in poi l’esplorazione e lo sfruttamento di questo minerale saranno di esclusiva competenza dello Stato messicano.
Guillermo Folguera, biologo e ricercatore presso il Consiglio Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnica (in spagnolo “Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas” (CONICET)), ha affermato che è importante che le corporazioni e le multinazionali smettano di determinare le politiche pubbliche nei Paesi dell’America Latina. La misura del Messico potrebbe essere vista come positiva perché significa un ritiro delle aziende dalle risorse naturali, ma anche lo sfruttamento del litio da parte dello Stato comporta dei rischi per i territori e i loro abitanti.
“Il problema è che gli Stati in molti casi, e il caso argentino ne è un esempio, quando prendono le risorse naturali, le usano nella stessa direzione”, ha detto Folguera, sostenendo che la distinzione che spesso viene fatta tra “imprese private versus Stati” è falsa, come se le multinazionali si appropriassero dei territori senza il permesso dello Stato. “Uno degli aspetti più evidenti riguarda il potere dei grandi azionisti, che in Argentina sono anche gruppi finanziari come BlackRock, quello del debito. È un grande operatore nel settore del litio e delle azioni minerarie in generale. Quindi anche questa distinzione non è così netta”, ha spiegato. Per quanto riguarda la nazionalizzazione delle riserve di litio in Messico, il biologo ha spiegato cosa ha generato in lui la notizia: “Da un lato la gioia, per il ritiro di alcune società e la necessità di pensare in termini nazionali. E poi la domanda sul perché gli Stati latinoamericani riproducano le pratiche autoritarie di queste stesse corporazioni.”
Alla notizia della nazionalizzazione del litio in Messico, è inevitabile pensare all’Argentina e alla situazione dell’industria nel nostro Paese. Non solo in termini di chi sfrutta le risorse minerarie ed energetiche, ma anche di come lo fa e quali sono le conseguenze per i territori e le comunità.
Nel caso del litio o “oro bianco”, la promozione dei suoi benefici è sempre accompagnata da un discorso che sottolinea il contributo ecologico della sostituzione dei combustibili, ma non fa riferimento specifico ai danni causati dalla sua esplorazione e sfruttamento in un futuro non troppo lontano. In Argentina non esiste un quadro giuridico che regoli l’estrazione del litio. Attualmente nel Paese ci sono diversi progetti di estrazione del litio che vengono sviluppati come accordi tra privati, dato che le saline – da cui viene estratto – sono nella maggior parte dei casi di proprietà privata.
Estás Muteadx (EM): Come si estrae il litio in Argentina e quali sono i rischi che comporta?
Folguera (F): Il litio estratto in Argentina, che è in salamoia, si trova fondamentalmente nelle saline. Ci sono due grandi miniere attive, una nella zona tra Catamarca e Salta e l’altra a Jujuy. Ci sono molti progetti, credo che ce ne siano più di 30. Il processo avviene attraverso tecniche di evaporazione: si generano grandi “zuppe” in una sorta di piscina di diversi colori in cui il litio inizia a decantare e poi si ottiene un composto, che credo sia il carbonato di litio, che è quello che finisce per essere esportato. Tutti questi progetti utilizzano sostanze chimiche. Infatti, proprio di recente c’è stata una fuoriuscita di acido da un camion dell’azienda “Livent” ad Antofagasta, in Catamarca. Inquinano molto con le sostanze chimiche. E forse l’elemento più importante, di cui non si parla spesso, è che trattandosi di tecniche di evaporazione, la quantità di acqua utilizzata è enorme, in un luogo dove l’acqua scarseggia. Il progetto minerario utilizza un’enorme quantità di acqua, così come il fracking e l’agroalimentare. Questa è l’idea dell’acqua come elemento chiave a perdere. Nel caso del litio è molto chiaro che tutte le tecniche che predominano nel caso della Puna, che è condivisa da Bolivia, Cile e Argentina, coinvolgono la teoria dell’acqua (intesa come strumento per le salamoie di litio, ndt). Con questa perdita di acqua si sacrificano le popolazioni e gli ecosistemi locali. E molto probabilmente, al di là dell’aspetto locale, anche un’intera parte degli affluenti sarà colpita. I territori si stanno letteralmente prosciugando.
EM: A cosa serve oggi il litio?
F: È difficile rispondere a queste domande in modo chiaro. Gli ultimi dati che ho trovato dicono che più o meno il 54% è destinato alle batterie, di cui una parte è per i telefoni cellulari. E una parte molto importante è destinata ai veicoli europei e del Primo Mondo che stanno mettendo in atto la “transizione energetica”. E poi viene utilizzato per molte altre cose, per l’industria farmaceutica, per l’agroalimentare. Ci sono molte ramificazioni: viene utilizzato per le industrie militari, ed è molto difficile trovare queste percentuali. Il mio problema con questo è che si può concepire che la “transizione energetica” debba avvenire e che la situazione del cambiamento climatico, della crisi climatica è pazzesca; l’abbiamo vista e la sentiamo ogni giorno, e sono scenari che danneggiano innanzitutto le comunità più vulnerabili. Il cambiamento climatico colpisce tutti, ma alcuni più di altri. Il punto è che, per me, discutere in modo isolato [significherebbe] nascondere più di quanto si riveli. Ciò che va discusso è perché l’Europa non promuova il trasporto pubblico. Perché dovrei sostenere che ogni europeo debba avere una o due auto? L’Europa, la Cina o gli Stati Uniti non stanno ripensando il trasporto pubblico per gli spostamenti. E queste sono discussioni che non hanno luogo. Perché non discutiamo dell’obsolescenza programmata quando sappiamo perfettamente che i telefoni cellulari sono fatti per rompersi in due o tre anni. Facendo qualche ricerca, ci si rende conto, ad esempio, che Samsung è una delle grandi forze trainanti di tutto questo. Un altro esempio è la Toyota. Mi sembra che se non apriamo un po’ la discussione, entriamo in dicotomie che sono sempre dicotomie di morte.
EM: Cosa succede quando le batterie al litio smettono di funzionare e non vengono trattate correttamente? Anche in questo caso, quando vengono gettate, compare una nuova modalità di contaminazione.
F: Compare e compare molto rapidamente. Il litio è visto come un ripiego. Tutti lo riconoscono, anche le grandi industrie. Il litio permette di costruire rapidamente una sorta di ponte verso un altro Stato. Per esempio, l’anno scorso sono stato a Fiambalá (Catamarca) e c’è un progetto che prima era canadese, ora è cinese. Le proiezioni dicono che l’azienda sarà lì ad asciugare [il litio], con contaminazione chimica, in un luogo dove non c’è acqua. E con un impianto [grande] un terzo di Fiambalá. Immaginate di vivere in un posto in cui vi mettono accanto un impianto di quelle dimensioni. Stiamo parlando di cinque o dieci anni. È qualcosa che sarà molto veloce, molto predatorio. Ecco perché credo che sia molto importante fare tutto il possibile, perché le comunità sentiranno rapidamente l’impatto, gli ecosistemi si prosciugheranno e la “puna latinoamericana” si trasformerà in una groviera. Mi sembra terribile perché c’è una promessa costante e quello che vediamo è che oggi questa logica venga portata avanti praticamente con l’acqua della gente.
I territori colpiti
“Un’altra cosa che non si discute in Argentina è come occupare il territorio. Per esempio, chi sarebbe contrario ai parchi eolici? Sembrano belli, li si vede da lontano. Quando ci si avvicina e si inizia a discutere di cosa significhi per una popolazione avere queste turbine eoliche accanto a sé, è una follia. È un modo di occupare il territorio che possono chiaramente condividere [gli abitanti di] Buenos Aires, Rosario o Puerto Madryn, guardandolo da un televisore”, ha detto Folguera, spiegando che le comunità vengono espulse dai loro territori quando vengono installati questi progetti. “Nessuno può vivere vicino alle turbine eoliche perché generano un enorme inquinamento ambientale. Uno dei principali danni generati da queste pale, che generano energia con il movimento del vento, è che sono terribilmente aggressive nei confronti di uccelli e pipistrelli che sono impollinatori. In altre parole, si danneggia un intero ecosistema e quindi si finisce per colpire anche delle forme produttive (intese per l’andamento di un habitat naturale, ndt)”, ha detto.
Per concludere, il ricercatore del CONICET ha sottolineato l’importanza di pensare a questo problema da una prospettiva economica. “Tutto ciò di cui stiamo parlando è più finanziario che produttivo. Si tratta fondamentalmente del mercato finanziario internazionale e delle forme di speculazione. Tutta la parte di mega-minerarie e agro-imprese che sono state fortemente promosse dal neoliberismo, diciamo, anche se la storia delle miniere e dell’agricoltura risale a molto tempo fa, questa forma è chiaramente neoliberale. E in questo senso, per il mercato finanziario internazionale non importa che si tratti di litio, oro, argento, rame, pino, eucalipto, un chilo di carne di maiale, soia o grano. E poi si parla di cambiamento climatico. A mio avviso, la crisi climatica [, per come viene trattata,] ha più a che fare con il linguaggio pubblicitario che con una reale preoccupazione, e queste imprese trascendono “la crepa” (del cambiamento climatico, ndt) e si sviluppano con diversi governi ai margini delle comunità”, ha affermato.